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Pink Floyd 1967-1972 - Gli anni sperimentali
Pink Floyd 1967-1972 - Gli anni sperimentali
Pink Floyd 1967-1972 - Gli anni sperimentali
E-book171 pagine1 ora

Pink Floyd 1967-1972 - Gli anni sperimentali

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Info su questo ebook

Il magnifico volo spiccato dai Pink Floyd nel 1967 è iniziato sin da subito da un’altezza quasi irraggiungibile, considerata l’importanza storica, per il Rock, rivestita da The Piper at the Gates of Dawn. La loro carriera, successiva a quella formidabile opera prima, segnata dalla presenza determinante di Syd Barrett, è proseguita con qualche lieve discesa e nuove vette, seguendo una sinuosa linea di volo, almeno fino al 1972, anno in cui si conclude definitivamente la fase più sperimentale del gruppo inglese. Questo libro prende in esame tutta la musica creata dai Pink Floyd in quei primi, pionieristici, anni della loro avventura musicale.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2016
ISBN9788822858832
Pink Floyd 1967-1972 - Gli anni sperimentali

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    Anteprima del libro

    Pink Floyd 1967-1972 - Gli anni sperimentali - Carlo Pasceri

    cpasceri@libero.it

    Nella stessa collana

    Già pubblicati:

    1) Miles Davis - Kind of Blue

    2) John Coltrane - A Love Supreme

    3) Miles Davis - Bitches Brew

    4) Return To Forever - Hymn Of The Seventh Galaxy

    5) Pink Floyd - Wish You Were Here

    6) Led Zeppelin – Houses Of The Holy

    7) Deep Purple – In Rock

    8) King Crimson – Red

    9) Genesis 1970-1976

    Prefazione

    A distanza di tempo, con questo decimo volume della collana Dischi da leggere, torniamo ad affrontare l’argomento Pink Floyd, tema già toccato con la pubblicazione, datata febbraio 2015, della monografia dedicata al solo Wish You Were Here (n.6). Sospinti anche dagli ottimi riscontri avuti con il volume precedente, riservato al periodo d’oro dei Genesis, con il quale prendevamo in esame sette album, abbiamo deciso di replicare quella formula e dare nuovamente spazio ad una band che ha innegabilmente segnato un’epoca, consapevoli del fatto che ci saranno ancora tanti libri da scrivere su altri artisti e gruppi importanti per la musica popolare del secolo scorso. Questo numero può essere letto, quindi, come un piccolo passo a ritroso, per recuperare e completare un discorso lasciato in sospeso, e successivamente ripartire verso nuove mete.

    Il magnifico volo spiccato dai Pink Floyd nel 1967 è iniziato sin da subito da un’altezza impressionate, quasi irraggiungibile, considerata l’importanza storica, per il Rock, rivestita da The Piper at the Gates of Dawn. E la loro carriera, successiva a quella formidabile opera prima segnata dalla presenza determinante di Syd Barrett, è proseguita con qualche lieve discesa e nuove vette, seguendo una sinuosa linea di volo, almeno fino al 1972, anno in cui si conclude definitivamente la fase più sperimentale (e per noi più interessante) del gruppo inglese. Sapranno ancora scrivere e realizzare grandi pagine di musica (Wish You Were Here, Animals) ma con un profilo prossimo al mainstream, da rock star inarrivabili dopo il successo planetario e duraturo di The Dark Side of the Moon, e mettendo a frutto quanto di buono e innovativo avevano creato in quei primi, pionieristici anni della loro avventura musicale.

    Posto di fronte ad un percorso artistico di così grande rilievo, il critico musicale, se vuole assolvere il proprio compito, realizzare una seria e profonda analisi e offrire un servizio al lettore/ascoltatore, è tenuto a mantenere ben salda la neutralità del proprio punto di vista, senza lasciarsi incantare dalle capacità affabulatorie delle sirene floydiane, non cedendo al facile entusiasmo (che si spinge fino al fanatismo pseudo religioso nel caso dei fan) in cui spesso inciampano le centinaia di scrittori, sparsi in ogni angolo del globo, che si avventurano nei terreni paludosi della critica musicale. Questo compito, già arduo di per sé, nel caso dei Pink Floyd è reso ancor più difficile dalla loro capacità, come leggerete spesso all’interno del libro, di creare nuovi mondi attraverso pochissimi elementi musicali, fosse anche un singolo rumore. Perdersi e lasciarsi andare in quei mondi è alquanto facile.

    Durante la stesura di questo testo ci siamo periodicamente confrontati con Carlo per un ascolto congiunto di brani o per un parere sull’approccio da tenere in alcuni casi. Il sottoscritto, più morbido e pronto all’eccezione, alla piccola deroga. Lui, più deciso a tenere la barra dritta per seguire quella filosofia di lavoro che caratterizza da sempre questa collana: niente sconti a nessuno, il fan che è in noi tenuto fuori dalla porta e ben salda la capacità di saper andare anche contro i propri gusti e passioni musicali.

    Dopo aver letto il libro, prima di scrivere queste poche note, devo dire che ha avuto ragione lui.

    Antonio Lisi

    Introduzione

    Un monolito errante tra i pianeti e il vuoto cosmico, una pietra fuori della nostra umanità, che rappresenta l’impossibilità di comprendere moltissime cose, che effige la nostra piccolezza. E l’invalsa pretesa di sopprimere il Mistero è punita dalla diffusa insufficienza di attive creatività e fantasia, compensate da un’immaginazione che proietta passivamente, verso arcani siderali, il timore ma al contempo la seduzione di catastrofi future o affatto passate, di affascinanti miti per tentare di essere protagonisti almeno in qualche ferita nello Spazio-Tempo che riusciamo a inventarci.

    Tribali e stellari, sogno e realtà, ambienti claustrali e scenari smisurati, abissi di luci e ombre, il dissolversi di mondi da fughe del tempo… Ecco, i Pink Floyd sembra rappresentino, e non occasionalmente, un futuro primitivismo, talvolta cupo, come i film 2001: Odissea nello Spazio o Il Pianeta delle Scimmie: abitanti narratori di una Terra desolata e devastata, non dominata da esseri umani. Loro, perfetti e convincenti anche perché sono musicisti tecnicamente non eccelsi (anche a livello canoro): proprio per questo privi di accademismi e automatismi utili per raggiungere agilità e nettezze sonore, ma che probabilmente sarebbero andate a discapito di quelle manifestazioni naïve che offrono un’impressione di spontaneismo genuino nella finalizzazione espressiva delle loro opere. E seppur da Meddle, e soprattutto The Dark Side Of The Moon, abbiano mutato registro tecnico, molto meno spericolati e molto più attenti a formalismi tecnici e sonori, il loro, talvolta angoscioso, teatro primitivo-futurista lo hanno sempre portato in scena; naturalmente con gradazioni differenti di quantità e qualità.

    Fondamentalmente crepuscolari, hanno saputo svilupparsi proprio tramite il fatto di non avere ideologie di generi e stili, riferimenti e maestri, pertanto a volte hanno anche tratti surrealisti ed espressionisti, e il loro astrattismo è concretezza di un urgente trascendere l’apparenza del reale. Distanti da gesta guerriere ed eroiche, caratteristica principale del Rock, mostrano invece contorni più incerti e chiaroscurati, sfumati dalle luci radenti. I Floyd non manifestano il timore del tempo che trascorre, della gioventù che poi sfiorisce con la velocità, l’ansia di cogliere l’attimo fuggente che è il fatale momento della realtà da afferrare immediatamente, vincendo il timore con il furore: non repentine fotografie polaroid, ma pazienti dipinti.

    La primitività è possesso di un segreto antico, è vivere mediante sogni e simboli da legare con il presente della realtà fattuale, essenzialità da cogliere, nuclei poi da sviluppare e proiettare in un futuro; però loro senza fastosità estetica, piuttosto con ingenuità arcadica, giochi e languori che si traducono in sperimentalismi inusitati e malinconie un po’ sconfortate. Passato e futuro innestati in un’intermittenza del cuore, in un lampo della mente da registrare per sempre. Nessun eroico romanticismo né superbia illuminista di spiegare gli arcani della vita e della morte, o il tentativo di catturare e narrare sogni e fantasticherie, miraggi e chimere che aleggiano su tutti noi, ma quello straordinario dell’esistenza nascosto nell’enigma del presente che ogni attimo muta e progredisce, che fluttua in un futuro che loro cristallizzano e ci donano. Sorta di realismo magico, evocazioni che dall’elementare pulsare terragno della realtà slancia in visioni del cielo.

    Roger Keith Syd Barrett

    Gli anni sessanta del secolo scorso sono stati gli anni della conquista dello spazio, gli anni della fantascienza (e dei fermenti sociali); moltissimi si sono appassionati alla luna, agli astri, al cosmo (e al sistema sociale). Moltissimi con lo sguardo rivolto sopra l’orizzonte, i piedi sollevati da terra, sulla tangente di fuga dal mondo più possibile veloce e verticale (e allo stesso tempo ben saldi nel tentare un’orizzontale e diffusa democratizzazione nei diritti).  Sono stati gli anni di Sun Ra, John Coltrane e Pink Floyd.

    Roger Waters

    Questi artisti sono accomunati di certo non solo dalla superfice dei titoli dei loro dischi e brani, alcuni esplicitamente riferiti allo Spazio con i suoi meravigliosi enti e fenomeni (che sappiamo tanto suggestionano), ma dalla loro concreta capacità di astrarsi dall’imperante gravità schematica musicale, sia in assoluto sia relativamente ai generi e stili di appartenenza.

    Due differenze di fondo: per motivi diversi Sun Ra e Coltrane (che avevano cominciato a farsi conoscere nei ’50) hanno avuto il loro culmine artistico nei ‘60, i Pink Floyd hanno iniziato sul finire di quel decennio e hanno continuato fino al ’75 con la propulsione più futurista. L’altro è che i primi due (anche taluni loro collaboratori) sono più che ottimi musicisti, sono eccellenti. I Pink Floyd no.

    Per fare grande musica ci vogliono grandi musicisti, a tutto tondo, ma i Pink Floyd sono uno di quei rarissimi casi in cui il tutto è superiore alla somma delle singole parti: l’olistico, geniale, organismo Pink Floyd funziona come totalità perfettamente organizzata. I componenti dei Floyd non sono bravi tecnicamente quanto altri del Rock, ci sono molti chitarristi, tastieristi, bassisti, batteristi e cantanti ben più bravi di loro; anche come preparazione teorica di certo non si distinguono.  Insomma è l’unico gruppo del Rock ad aver realizzato musica pregiatissima pur non avendo musicisti (e cantanti) così eminenti.  Sono lapalissiane le differenze tecniche qualitative tra loro e la miriade di musicisti e cantanti militanti nei gruppi ELP, Yes, Led Zeppelin, Genesis, Deep Purple, King Crimson, Soft Machine e una pletora di altri. In pratica ogni singolo musicista (e cantante) di questi, sono superiori a ogni componente dei Floyd. E ciò si basa in primis sul fatto che la musica dei Pink Floyd, pur essendo bellissima e creativa, è, a livello tecnico, molto semplice, e

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