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I fuochi fatui
I fuochi fatui
I fuochi fatui
E-book194 pagine

I fuochi fatui

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Info su questo ebook

La sparizione di un bambino conteso. Un pedofilo in attività, subdolo e perverso. Una donna senza anima che fa prostituire minori. Bande di fanciulli in competizione. Un magistrato d'assalto. Un poliziotto alla disperata ricerca della verità. Sono gli ingredienti dell'ennesima indagine del commissario Scichilone. La vicenda si sviluppa tra i vicoli della città di Camporosso e la bellezza struggente del Ponente Ligure. La miscela di emozioni e cultura del territorio condurrà il lettore alla soluzione finale, imprevedibile ed assurda, che lo scrittore ha tratto da un'esperienza della propria vita.
LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2012
ISBN9788875638108
I fuochi fatui

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    Anteprima del libro

    I fuochi fatui - Negro Roberto

    UNO

    Si guardò attorno, attanagliato dal terrore di incrociare visi conosciuti.

    Aveva scelto quel bar esclusivamente per il nome Canada che risaltava sull’insegna. Non era mai stato in quel paese, ma lo immaginava come una terra libera, con tante foreste e corsi d’acqua: il luogo ideale dove vivere. Mai come quel giorno considerava la libertà il diritto primario per un uomo.

    Entrò, andando ad occupare il tavolo nell’angolo estremo della sala.

    Alcuni avventori sorseggiavano silenziosi caffè neri e bollenti con la stessa espressione beata e raccolta di frati in ritiro spirituale.

    Cosa le porto?.

    Una Ceres, grazie.

    Evitò di guardare in faccia il dinoccolato cameriere in livrea nerazzurra che si era avvicinato con passo felpato, preferendo concentrarsi sulle proprie mani.

    Dita affusolate, unghie curatissime e pelle morbida. Potevano essere quelle di un pianista, anche se non avevano mai sfiorato una tastiera.

    Il tatto e la vista erano i sensi che preferiva. Alle mani dedicava una cura maniacale. Aveva sempre con sé un beauty case da taschino, completo di forbicine, lime, piccole raspe e creme idratanti a cui affidava il loro benessere.

    Esse rappresentavano ciò che amava definire i ferri del mestiere.

    Il cameriere gli servì la birra versandola in un boccale. La bevanda lo colmò in un trionfo di schiuma spumosa e candida. Erano esattamente quaranta giorni che desiderava una Ceres gelata.

    L’ultima l’aveva bevuta nel bar sottocasa prima che quattro mani rozze lo prelevassero, trascinandolo in un’auto puzzolente. L’ufficio dove era stato scaraventato senza troppi riguardi sapeva di nicotina e verbali d’arresto.

    Rivisse quegli attimi terribili.

    ‘Pezzo di merda, stavolta l’hai presa in culo’.

    Parole dure, accompagnate da uno schiaffo che lo aveva colpito al volto. Poi c’era stato il pugno allo stomaco. Il prologo di un incubo lunghissimo.

    Che quegli uomini fossero poliziotti, lo aveva capito solo dopo due ore di calci, pugni, sputi ed insulti, quando sulla porta della camera di sicurezza si era affacciato l’avvocato Stagnino, suo legale di fiducia.

    Capelli color melanzana, faccia rubata ad un set di Dario Argento, magro, vestito come uno yuppie inglese.

    Lo aveva guardato con disagio.

    Che ti è successo?.

    Non lo so. Credo di essere stato calpestato da una mandria di tori impazziti.

    Ti hanno picchiato?.

    Tu che pensi?.

    Gli zigomi erano tumefatti come quelli di un pugile ed il naso si era trasformato in una massa gonfia e scomposta, con le narici ridotte a pertugi scarlatti.

    Per cosa ti hanno arrestato?.

    Il penalista mostrava di temere la risposta più di un brufolo purulento su una chiappa. Evidentemente lo riteneva capace di tutto.

    Santoro, però, era un buon cliente che pagava profumatamente e senza storie.

    Era ricco da sempre, ancora prima che nascesse, titolare di un patrimonio solido, basato su diverse rendite immobiliari. Tutta quella ricchezza l’aveva ereditata dopo che Elide e Vittorio, i suoi genitori, erano morti due anni prima nel corso di un safari nel Serengeti.

    Mi hanno arrestato con la solita accusa di pedofilia, ma è meglio se non parliamo in questa stanza. Ho paura che ci siano delle microspie. Sbriga le solite formalità di rito e se proprio non puoi tirarmi fuori, fammi trasferire in carcere. Ricordati che voglio essere messo in isolamento.

    Ciò che Santoro non sapeva e quindi non poteva ricordare, mentre era seduto in quel bar di Ventimiglia, erano i tormenti che successivamente avevano afflitto il legale.

    Stagnino, lasciata la camera di sicurezza, ancor prima di raggiungere l’ufficio della polizia giudiziaria, si era chiesto chi fosse la vittima.

    La risposta l’aveva avuta dal dottor Arleo, dirigente della squadra mobile della Questura di Savona.

    Santoro è in stato di fermo di polizia giudiziaria, perché sospettato di aver violentato un bambino di otto anni.

    Cazzo....

    In quel momento avrebbe fatto volentieri a meno dell’incarico, ma non aveva scelta. L’etica gli imponeva di assistere il cliente anche di fronte a prove schiaccianti, sino a quando il più piccolo ed insignificante ragionevole dubbio fosse stato escluso.

    Dove lo porterete?.

    Stiamo aspettando indicazioni dal pubblico ministero. Probabilmente non alla casa circondariale di Savona perché vi è detenuto uno zio della vittima ed abbiamo il timore di qualche ritorsione. In carcere esistono regole non scritte che condannano, ancor prima del processo, assassini e violentatori di donne e bambini.

    Capisco.

    Abbiamo proposto quello di Sanremo....

    Certo, è sensato. Posso vedere gli atti?.

    Mi dispiace, avvocato, ma quelli li potrà visionare nel fascicolo della convalida.

    Stagnino, lasciando l’ufficio del commissario Arleo, aveva incrociato lo sguardo del padre del piccolo Riccardo Sismondini, leggendovi rabbia, disperazione ed una muta promessa di vendetta.

    Per un istante, di fronte al dolore di quell’uomo, si era sentito complice di Santoro.

    Passandogli a fianco aveva trattenuto il respiro e guadagnato velocemente l’uscita, perché terrorizzato di essere aggredito.

    Nel parcheggio sottostante si era tuffato nell’aria umida dell’autunno che stava avanzando sottraendo ai giorni ore di sole. Il buio sarebbe giunto in fretta.

    Era certo della colpevolezza di Santoro e non aveva bisogno di ottenere conferme dagli atti della Polizia. Successivamente, leggendoli, si era però reso conto che il fermo faceva acqua da tutte le parti. Contro il suo assistito non esisteva una prova sostanziale, solo sospetti.

    Stagnino a quel punto era stato certo, suo malgrado, che l’avrebbe fatta franca.

    Sapeva che Santoro era un pedofilo scaltro e pericoloso, difficile da incastrare. Subdolo ed intelligente, attento a non lasciare dietro di sé elementi sufficienti a provarne responsabilità alcuna.

    Colpiva con metodo. Isolava le proprie vittime portandole, con scuse banali, in luoghi appartati. Dopo averli narcotizzati, abusava di loro.

    In città erano stati già tre i casi di violenza su minori.

    Preferiva i bambini che non superassero i dieci anni di età.

    Si camuffava sostando nei giardini pubblici in attesa del momento propizio.

    In ognuno di quei casi, però, le testimonianze erano solo servite a raccogliere elementi vaghi, spesso contradditori.

    Sino a quel giorno era riuscito sempre a cavarsela, ma gli episodi avevano allarmato i genitori che abitualmente portavano i propri figli a giocare nei giardini pubblici. Essi ormai vigilavano attenti ed ogni soggetto, il cui atteggiamento poteva apparire dubbio, destava in loro il giusto allarme.

    Così da ultimo non era passato inosservato quell’individuo che stazionava accanto a scivoli ed altalene e che troppo insistentemente guardava i piccoli giocare.

    Nonostante l’estrema attenzione, Riccardo era sparito.

    Il maggiore indiziato era l’uomo visto accanto ai giochi.

    Le ricerche di genitori e forze dell’ordine intervenute sul posto erano state frenetiche sino al ritrovamento del bambino. Era dietro una siepe, nell’angolo più remoto dei giardini. Pareva dormisse ed aveva i pantaloni abbassati alle caviglie. Sotto il corpo supino si allargava una macchia di sangue.

    I connotati del sospettato erano stati diramati immediatamente a tutte le pattuglie in servizio. Santoro era stato individuato dal sovrintendente Vizzo e dall’agente Milano della mobile: stessa corporatura ed abbigliamento, ma a lui mancavano la barba ed i capelli rossi, rinvenuti poco distanti dal corpo di Riccardo. I pochi indizi erano però bastati per portarlo in Questura.

    La perquisizione alla sua abitazione aveva permesso di accertare che Santoro era un pedofilo, un collezionista di video porno, in cui i protagonisti erano bambini.

    Così era scattato il fermo di polizia giudiziaria.

    Santoro sorseggiò la birra, ricordando la sua permanenza nel carcere di Sanremo.

    L’avvocato Stagnino, nel corso del primo colloquio dopo la convalida, lo aveva ascoltato con insofferenza.

    Che ti pago a fare se mi lasci a marcire in questa fogna?.

    Santoro era certo che il suo legale lo odiasse. Sapeva che se non fosse stato per il denaro con cui lo pagava, lo avrebbe fatto rimanere in carcere per sempre.

    La convalida è andata male, ma dovevamo aspettarcelo. Il GIP era la Barbarino, che se deve esprimersi su una violenza sessuale nei confronti di un minore non ha nessun dubbio. Non legge nemmeno le carte e non ascolta le eccezioni della difesa. Lascia dentro l’indagato e buonanotte. Comunque stai tranquillo, ho già proposto istanza al Tribunale del Riesame e quanto prima sarai fuori. In fondo la Polizia non ha in mano nessun elemento.

    Nel corso del dialogo, l’avvocato non aveva volutamente nominato la vittima. Lo aveva fatto Santoro.

    Riccardino....

    Stagnino aveva evidentemente notato nei suoi occhi la lussuria e l’erezione trattenuta a stento dalla patta dei pantaloni.

    Sei stato tu, vero?.

    Santoro aveva risposto deliziato.

    È stato bellissimo.

    Poi si era allontanato lasciando l’avvocato in preda allo sconforto.

    Come nelle previsioni, Santoro era stato rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame. Senza nessun obbligo e da uomo libero aveva deciso che Savona non era più salutare per lui, doveva cambiare città.

    Amava la Liguria ed il mare dal quale non poteva prescindere e quindi si era spostato verso il confine di Stato.

    Uscito dal carcere di Valle Armea aveva preso un taxi, facendosi accompagnare a Ventimiglia.

    Lì avrebbe cercato una casa in affitto. Nel frattempo si sarebbe guardato intorno, alla spasmodica ricerca di un corpo su cui far scivolare le sue mani da pianista.

    I ricordi sfumarono insieme alla birra e si sentì pronto a nuove emozioni.

    DUE

    La titolare dell’agenzia immobiliare osservò il potenziale cliente mentre si aggirava silenzioso nell’appartamento ammobiliato in località Bigauda. Lo aveva in carico ormai da un anno, e ancora non era riuscita a piazzarlo, perché la cifra richiesta era alta. Mille euro al mese, per un trilocale a Camporosso, rappresentava una cifra esagerata.

    Più di una volta le venne il dubbio che forse gli stessi proprietari non lo volessero realmente affittare.

    Lo prendo.

    Lo prende? Sicuro?.

    È perfetto per le mie esigenze, anche se la cifra richiesta è un’autentica rapina.

    Alice Ansaldi arrossì per l’imbarazzo, quasi fosse lei ad imporre il canone.

    Sa, i proprietari....

    Non deve giustificarsi. Capisco che lei è solo un’intermediaria.

    Santoro pagò, in contanti, tre mesi anticipati quale cauzione e versò anche l’affitto del mese in corso. Poi accompagnò la donna alla porta.

    Ci vedremo il mese prossimo. Verrò io direttamente in agenzia.

    Rimasto solo, chiuse con doppia mandata la porta blindata d’ingresso.

    Si avvicinò alla finestra che si affacciava su Corso Vittorio Emanuele.

    L’appartamento era inserito in un complesso residenziale alle porte di Camporosso, la prima città all’imbocco della Valle del Nervia.

    L’agglomerato urbano era diviso in due grosse aree: una al mare e l’altra a tre chilometri più a monte. Le due realtà erano separate dalla porzione di territorio chiamata Braie. Una zona agricola con serre di fiori, che durante la seconda guerra mondiale era stata attrezzata dagli alleati con un aeroporto militare.

    Città natale di santi, abitata da sparuti indigeni e liguri di seconda e terza generazione. Quest’ultimi erano figli di immigrati, per lo più provenienti dalla Calabria.

    L’architettura delle case al mare rispecchiava la filosofia della speculazione edilizia che negli anni sessanta del secolo scorso aveva partorito mostri di cemento armato. Erano tutti ammassati intorno all’Aurelia.

    Tra questi ed il mare esistevano ancora trecento metri di campagne. Fino ad oggi i proprietari dei terreni avevano respinto le proposte dei costruttori che volevano edificare dimore residenziali, sostituendo le serre cadenti.

    Trecento erano anche i metri di litorale di spiaggia libera, degna della

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