A volte casualmente ritorni
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Anteprima del libro
A volte casualmente ritorni - Armando Micheli
Armando Michieli
A volte casualmente ritorni
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Indice dei contenuti
Nota dell'autore
Premessa
Capitolo I:
Capitolo II:
Capitolo III:
Capitolo IV:
Capitolo V:
Capitolo VI:
Capitolo VII:
Capitolo VIII:
Capitolo IX:
Ringraziamenti
Glossario e Abbreviazioni
BIbliografia
Sitografia
I nomi dei personaggi del libro, ad esclusione di quello dei Caduti e di coloro che hanno avuto risonanza mediatica, sono tutti di fantasia. Inoltre, le opinioni e le conclusioni espresse nel testo sono di esclusiva responsabilità dell’autore e non rappresentano necessariamente quelle di qualsiasi altra istituzione menzionat a nel volume.
A Sabrina e la sua costante lotta.
Capire l’esistenza:
sprofondare nel più fondo dei segreti.
Capire chi è Dio,
che dicono sia l’immensità dell’amore,
lascia perplessi in un dubbio,
di cui è impossibile cogliere il mistero.
Perciò questa vita non è amore,
ma l’angosciosa ricerca di una verità mai trovata.
Dal Diario di un Adolescente
Nota dell'autore
Dopo circa sei anni di servizio nelle fila della North Atlantic Treaty Organization (NATO) [1] , seppur professionalmente intensi, impegnativi e molto stimolanti, cominciavo a sentire il bisogno di cambiare ambiente, di sperimentare nuove avventure ed esperienze. Insomma avevo voglia di respirare un po’ di aria fresca. Ho sempre amato nuove situazioni e più che altro la possibilità di poter variare nel mio ambito professionale. La staticità, dal mio punto di vista, può durare al massimo 3 anni, poi ho bisogno di novità. Fortunatamente l’organizzazione a cui appartengo, offre queste opportunità. Quindi, appena lo Stato Maggiore dell’Esercito (SME) ha diramato la lettera annuale per la ricerca di personale disponibile all’impiego semestrale fuori area, ho prontamente preparato gli incartamenti (istanza, Curriculum Vitae e documenti amministrativi), nella speranza di essere preso in considerazione per un’assegnazione.
A seguito dell’invio della documentazione all’ufficio preposto, lo SME, valutato il mio fascicolo ed i miei trascorsi professionali, dopo appena cinque giorni disponeva a breve termine l’impiego in Somalia. Nello specifico la destinazione prevedeva lo schieramento presso la città di Mogadiscio, inquadrato nella missione europea denominata European Union Training Mission – Somalia (EUTM-S) [2] . Si era appena aperta una nuova posizione in quel quartier generale e la mia preparazione professionale rispondeva pienamente alle competenze richieste per ricoprirla. È scontato dire che la vita è caratterizzata da tante variabili, casualità e fattori, ma il più delle volte è incontestabile la validità del modo di dire
"... trovarsi al posto giusto nel momento giusto!"
E questo assunto è stato spesso determinante durante il corso della mia vita.
L’incarico assegnatomi era quello di " Training Department Leader" [3] . In termini pratici, significava essere a capo di un team di istruttori militari, provenienti da diversi Stati membri della Unione Europea (Finlandia, Italia, Spagna e Svezia) ed il mio compito consisteva nel gestire, supervisionare e coordinare questo più che competente gruppo di esperti soldati nel pianificare, organizzare, sviluppare, armonizzare e condurre specifici corsi di combattimento in favore di unità militari appartenenti al Somali National Army (SNA) [4] . La partenza era provvisoriamente fissata per il 09 luglio 2018. In realtà la data, per esigenze di servizio, verrà poi posticipata alla fine dello stesso mese.
Esattamente un quarto di secolo dopo la partecipazione alla missione IBIS, condotta dalle Forze Armate in quel martoriato paese, a cui avevo orgogliosamente preso parte, mi veniva offerta la possibilità di ritornare a Mogadiscio. La prima reazione a quella notizia fu di delusa sorpresa. Di fatti, ogni volta in cui ho l’opportunità di essere impiegato fuori area, sul campo (uno dei compiti per cui un militare si prepara costantemente), ho sempre la speranza di essere spedito in un posto nuovo, tra i tanti dove l’Italia è impegnata. Avere quella notifica tra le mani mi lasciava invece un po’ di amaro in bocca. A quel punto avrei, infatti, preferito un’altra destinazione, uno stato africano in cui non avevo ancora messo piede, come il Mali o la Repubblica Centro Africana, dove le forze militari europee sono tuttora schierate; ma ormai potevo solo dispiacermi e non lagnarmi, quella era la meta assegnatami. Mentre stringevo tra le mani quel preavviso d’impiego però, altre considerazioni ed interrogativi affioravano nella mia mente. Come sarebbe stato il ritorno a Mogadiscio? Quel rientro inaspettato mi avrebbe dato modo di rivivere le stesse emozioni vissute ad inizio anni Novanta? Quali sarebbero state le impressioni nel rivedere i luoghi che avevano così profondamente contribuito alla mia formazione militare e in quella di diventare adulto? E perchè esattamente nel mese di luglio di 25 anni dopo? Ho cominciato quindi, a percepire in modo diverso quella comunicazione e il pensiero predominante a quel punto era diventato:
" E se fosse un segno del destino?"
D’altra parte avevo quasi ultimato un racconto, il cui oggetto, nemmeno a farlo apposta, era proprio la Somalia e gli eventi vissuti dai militari italiani nel luglio del 1993. Un vero e proprio segnale della sorte? Forse era tempo di ritornare in quei luoghi e rientrare a far parte integrante di quello che stava accadendo dopo un così lungo tempo trascorso dal primo tentativo compiuto dalla comunità internazionale, purtroppo non riuscito, di riappacificare e riportare alla normalità il Corno d’Africa.
Queste pagine nascono dai numerosi appunti trascritti sul mio diario, durante il mio ultimo (per lo meno credo) [5] soggiorno in Somalia; vogliono quindi essere il resoconto del periodo vissuto a Mogadiscio dal 26 luglio 2018, giorno della mia partenza, al 23 febbraio 2019, data del rientro in Italia. Poco più di sette mesi durante i quali ho preso parte alla missione addestrativa EUTM-S a guida europea.
Premessa
Lo stile narrativo utilizzato in questo testo, non varia da quello a cui ho già fatto ricorso in passato. Vuole infatti essere un " diario di guerra . Passatemi naturalmente il termine. Utilizzo questa locuzione con l’intenzione di definire delle memorie scritte da un soldato in missione in un paese lontano dalla Madre Patria. In realtà, è da escludere nella maniera più assoluta che EUTM-S stia conducendo una campagna di guerra. Al contrario, il mandato europeo, che ha autorizzato l’operazione, è lontano anni luce da quanto possa essere considerato la partecipazione ad un conflitto. In effetti forse, sarebbe a questo punto più opportuno dare due differenti definizioni a questa narrazione. La prima parte può sicuramente essere descritta come un resoconto storico militare, mentre la seconda porzione del testo, è con certezza meglio identificabile come un
giornale di viaggio ". I primi capitoli, probabilmente, risulteranno di lettura ostica a chi non ha familiarità con la terminologia militare. Si riferiscono infatti a contesti e situazioni per i quali ho fatto ricorso all’utilizzo di tecnicismi ed acronimi che ho comunque provato ad esplicitare [1] . Dal V capitolo in poi invece, il racconto diventa più diretto perchè dedicato ad aspetti operativi (il primo attacco IED [2] subito da EUTM-S il 1º ottobre 2018), personali ed emozionali, dell’esperienza vissuta. Mi preme ad ogni modo sottolineare che, qualsiasi missione militare, a meno che non sia di soccorso a seguito di una catastrofe naturale, nasce, si sviluppa ed opera, nel costante rischio di essere oggetto di atti di guerra. Questo aspetto deve essere ben chiaro.
Ai soldati di EUTM-S quindi, proprio per le caratteristiche del mandato assegnatogli, è consentito l’uso delle armi solo ed esclusivamente per l’autodifesa. A differenza della United Nations Operation in SOMalia II (UNOSOM) che, negli anni Novanta invece, era stata autorizzata all’impiego della forza per l’imposizione della pace, come d’altra parte prevede il Capitolo VII dello statuto ONU, quello dell’organizzazione sotto la cui bandiera operavano le truppe. La forza per la pace, un ossimoro o paradosso che dir si voglia, che purtroppo rappresenta una concreta realtà. EUTM-S ricorre alle armi solo nel caso di attacco, quando personale e materiali dell’Unione Europea (UE) sono sottoposti a pericoli diretti o sono oggetto di imminente minaccia. La risposta è comunque, sempre proporzionale a quella dell’avversario, e applicata esclusivamente per il tempo necessario a ristabilire una condizione di normalità. Lo scopo principale dell’operazione militare infatti, non è quello di combattere direttamente i ribelli, ma quello di contribuire alla formazione ed allo sviluppo del sistema di difesa somalo con attività di training, mentoring ed advising [3] . EUTM-S è focalizzata quindi all’addestramento ed alla preparazione delle forze di sicurezza nazionali, che dovranno affrontare autonomamente, ed auspicabilmente sconfiggere, le forze insurrezionali in competizione per il potere con il governo formalmente in carica.
Il testo è strutturato in una serie di capitoli, scanditi in termini cronologici, la cui esposizione è legata non solo alla partecipazione alla missione militare, ma ricorre anche a delle parentesi narrative, di ordine temporale ed argomentativo, che ho considerato utili per sottolineare ed evidenziare dei concetti e delle emozioni che proverò ad elaborare e trasmettere. Spero di riuscire nel mio intento. L’idea generale di questo ulteriore scritto, che ha come oggetto la Somalia, affonda le sue radici nell’arco di vissuto in prima persona in quel paese, per un periodo complessivo pari a sedici mesi. Tre turni a cui ho partecipato in differenti momenti della mia vita ed in diversi contesti storici, durante i quali, molti sono stati i cambiamenti constatati nelle dinamiche interne del paese, in termini di conflitti e fazioni in lotta per il predominio, ma un aspetto della società locale è sembrato invariato in questo lungo intervallo: nessun miglioramento significativo nelle condizioni di vita della popolazione, dal punto di vista del benessere e della prosperità. Inoltre, in un’epoca di trilogie e saghe letterarie, questo mio secondo volume vuole essere il seguito di ciò che ho già raccontato nel primo libro dedicato al Corno d’Africa, a mo’ di breve dilogìa. Infine, il racconto vuole chiudere il mio conto personale con la Somalia. Non perché qualcosa angusti o provochi particolari afflizioni al mio stato d’animo ripensando a quel paese; ma credo che, anche gli ultimi sette mesi della mia permanenza a Mogadiscio, e le sensazioni che quel periodo ha provocato, meritino di essere narrate e condivise.
Capitolo I:
Arrivo Mogadiscio
Molti non condivideranno la mia posizione, ma allo scopo di permettere il ritorno ad una condizione di sicurezza accettabile in un’area di crisi, è necessaria, di solito, una prolungata presenza di forze militari. In genere decenni, basti pensare alle operazioni iniziate appena al di là del Mar Adriatico, nell’area balcanica nel 1995 e nel 2000, e che a distanza di venticinque anni la prima e venti la seconda, sono ancora in corso. Per un soldato delle forze speciali (visto l’esiguità numerica disponibile in termini di operatori) è quindi alta la probabilità di tornare ad operare in uno stesso teatro operativo. Per questo motivo, diverse volte, ho vissuto in prima persona lo schieramento nella stessa zona di operazione: Bosnia, Iraq, Afghanistan , ... ma questo è sempre accaduto a breve distanza di tempo l’uno dall’altro e nello stesso contesto. In realtà, avevo svolto due turni anche nella stessa Somalia all’inizio degli anni Novanta, ma anche in questo caso sempre nello stesso periodo storico. Le turnazioni di permanenza in zona di operazioni, per gli operatori incursori, erano quadrimestrali, al termine del periodo si rientrava in Italia per il recupero psico-fisico ed addestrativo. Terminato il ricondizionamento e riacquistate le capacità operative, che ovviamente diminuiscono a seguito di un impiego, si ripartiva di nuovo, per lo stesso teatro o per uno diverso. In effetti, ho anche provato il piacere di alternare la permanenza in differenti aree di operazione aperte in concomitanza (Iraq/ Afghanistan /Libano) però, non avevo mai sperimentato il fatto di ritornare in un luogo dopo un così lungo tempo. Esattamente dopo un quarto di secolo.
Quando ero in servizio in Germania, ero stato incaricato di organizzare un Mobile Educational Training Team (METT) [1] a Sarajevo nel 2014. Il mio ultimo turno in Bosnia era stato nel 1998. La curiosità e l’eccitazione nell’assaporare la possibilità di poter rivedere quella capitale europea, dopo circa 16 anni, erano alte. Avevo trascorso quasi due anni della mia vita girovagando in quella gelida regione. Il più del mio tempo a Sarajevo, meglio conosciuta oggi per gli eventi tragici di cui è stata lo scenario, piuttosto che per i fasti dei tempi passati. [2] In Bosnia avevo inoltre svolto molteplici incarichi, sia come componente del mio team di forze speciali, sia come elemento isolato impiegato in differenti compiti. Alcuni di essi erano stati veramente interessanti dal punto di vista professionale ed umano, anche se avevano richiesto un livello di rischio piuttosto elevato. Sarajevo! Chissà come era diventata la capitale della Bosnia-Herzegovina dopo più di due decenni dedicati dalla comunità internazionale, alla ricostruzione e pacificazione. E Pale? Il piccolo paesino a pochi chilometri dalla stessa Sarajevo, che si era ritrovato all’improvviso ad assumere il difficile compito, durante il conflitto, di capitale della fazione serba. In quali condizioni l’avrei trovato? E Mostar? Con la sua comunità croato-bosniaca, ed il famoso ponte del XVI° secolo distrutto durante la guerra e ricostruito sotto l’egida dell’UNESCO. E Gorazde? L’enclave musulmana, in territorio serbo durante il conflitto, che non cadde all’assedio. E tutti gli altri centri abitati, dove avevo operato e incontrato numerosi personaggi appartenenti ai gruppi in lotta? Come si