Storia di una resistenza: Gli Internati Militari Italiani
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Anteprima del libro
Storia di una resistenza - Marcello De Caro
Tavola dei Contenuti (TOC)
RINGRAZIAMENTI
STORIA DI UNA RESISTENZA
I RITARDI DELLA MEMORIA
LA RESISTENZA
DELLE FORZE ARMATE ITALIANE
LA DEPORTAZIONE
GLI IMI TRA TERZO REICH E REPUBBLICA DI SALÒ
LA RESISTENZA NEI LAGER
IL RITORNO A CASA
PERCORSI DI RICONCILIAZIONE
cover.jpgMarcello De Caro
Storia di una
resistenza
GLI INTERNATI MILITARI ITALIANI
Opera curata da
Orlando Materassi e Silvia Pascale
Con il patrocinio di:
img1.jpgSTORIA DI UNA RESISTENZA
Autore: Marcello De Caro
© CIESSE Edizioni
www.ciesseedizioni.it
info@ciesseedizioni.it - ciessedizioni@pec.it
img4.pngISBN versione digitale
978-88-6660-420-4
I Edizione stampata nel mese di settembre 2022
Impostazione grafica e progetto copertina: © CIESSE Edizioni
Immagine di copertina e interni fornite dall’Autore
img5.pngCollana: LE NOSTRE GUERRE
Direttore di Collana: Silvia Pascale
Consulente storico-scientifico di Collana: Orlando Materassi
Editore e Direttore Editoriale: Carlo Santi
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Tutti i diritti sono riservati.
È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale, pertanto nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza che l'Editore abbia prestato preventivamente il consenso.
A Laura e Arianna
RINGRAZIAMENTI
Desidero esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che mi hanno aiutato, sostenuto e incoraggiato nei miei studi e nelle mie ricerche.
Ringrazio il personale dell’istituto Storico Ferruccio Parri di Bologna. Grazie al Comitato Regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto e al suo Presidente Walter Cardi, per il patrocinio al presente libro. Vorrei altresì esprimere un sentito ringraziamento all'Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma che ha concesso il suo patrocinio a quest'opera.
Sono grato a Patrizia Zanasi, Presidente della sezione ANEI di Marzabotto, nonché amica di lunga data, da sempre impegnata nell’educare al dialogo e alla fratellanza tra i popoli.
Grazie all’amico Marco Calvo che ha dato visibilità alla mia ricerca nell’Universo della Rete. Ringrazio Bruno Vialli, figlio di Vittorio, per la squisita disponibilità e gentilezza nel condividere i ricordi di suo padre.
Infine, grazie a Silvia Pascale e Orlando Materassi che hanno curato la presente edizione, arricchendola con le preziose fotografie del loro archivio.
STORIA DI UNA RESISTENZA
Non muoio neanche se mi ammazzano
Giovannino Guareschi
Silvia Pascale & Orlando Materassi{1}
Volutamente riprendiamo il titolo del libro che è assolutamente indicato per descrivere l’odissea degli Internati Militari italiani.
Furono classificati dalla Germania di Hitler con questa dicitura i soldati italiani fatti prigionieri, catturati e rastrellati (sul territorio italiano, in Slovenia, Croazia, Albania, Grecia, Isole Egee e Ionie, Provenza e Corsica) dopo l’8 settembre 1943 e deportati nei campi di prigionia del Terzo Reich. È la storia di oltre 600mila militari italiani negli Stalag della Germania nazista: i nostri soldati, sottufficiali e ufficiali, che operarono Resistenza opponendo il rifiuto alla collaborazione con i nazisti, al costo di indicibili privazioni e sofferenze. In diverse migliaia di casi andarono incontro alla morte per fame, stenti e malattie.
La gran parte di questi campi era situata in Germania e Polonia, ma anche in Austria, Russia, Ucraina, Bielorussia, Rep. Ceca, Francia e Slovenia. I nazisti usarono ogni mezzo di persuasione verso i prigionieri italiani perché scegliessero l’esercito tedesco o i repubblichini di Salò per continuare la guerra, offrendo ogni vantaggio rispetto alla durezza della detenzione nei Lager. Agli Internati Militari italiani, a differenza dei prigionieri di guerra, non venivano riconosciute le garanzie e le tutele previste nella Convenzione di Ginevra del 1929.
Il lavoro di Marcello De Caro è, come sempre premettiamo di dire ogni volta che partecipiamo a iniziative sugli IMI, un nuovo tassello per la composizione di un mosaico sull’internamento militare italiano dei nostri soldati fatti prigionieri dai reparti della Wehrmacht, la cui storia resistenziale è ancora poco conosciuta nel nostro Paese.
È una pagina di storia completamente assente nei testi scolastici di ogni grado: a ormai più di ottant’anni dal coinvolgimento dell’Italia nel secondo conflitto mondiale si tarda a capire il ruolo avuto dalle truppe del regio esercito e delle milizie fasciste in una guerra di aggressione e di italianizzazione nei territori occupati fino al 7 settembre 1943.
Una riflessione che tarda ad arrivare, ma che nessuno fino ad oggi se ne è fatto efficace promotore a nessun livello, sia istituzionale, politico, storico.
La stessa commissione italo-tedesca istituita nel 2009 e i cui lavori si conclusero nel 2012, in una parte della relazione finale nel capitolo italiani e tedeschi tra il 1943 e il 1945 scrive:
L’Italia da parte sua, deve riconoscere pubblicamente la stretta collaborazione fra i regimi dittatoriali di Mussolini e Hitler sotto il segno dell’Asse a partire dal 1936, la comune partecipazione alla guerra in Francia, in Grecia, in Jugoslavia, nel Nord Africa, e nell’Unione Sovietica dal 1940 in poi e il coinvolgimento di entrambe le dittature nelle più efferate forme di repressione nella RSI. Detto in altri termini, i tedeschi devono riconoscere che gli italiani non sono stati soltanto dei collaboratori, ma anche vittime; e gli italiani, da parte loro, devono accettare di non essere stati soltanto vittime, bensì anche, in certa misura, complici e collaboratori.
{2}
Partendo da queste riflessioni meglio si capirebbe la data cruciale del 25 luglio 1943, data importante della destituzione di Mussolini, alla quale fa riferimento Marcello all’inizio del suo lavoro, e si comprenderebbero i fatti accaduti fino all’armistizio dell’8 settembre 1943.
Da questa data i tedeschi hanno modo di occupare quasi tutta l’Italia e di preparare i piani che permetteranno loro, dopo l’annuncio dell'armistizio (interpretato dal Reich, in maniera del tutto strumentale, come tradimento dell’alleanza) di disarmare, deportare e uccidere, in alcuni casi, centinaia di migliaia di soldati italiani, colti completamente di sorpresa e abbandonati dalle istituzioni che avrebbero dovuto prepararli alla svolta.
Le forze armate italiane terminano la guerra, o almeno questa prima fase di guerra, come l’hanno iniziata, nel segno dell’impreparazione e dell’inadeguatezza.
Sono eventi storici che aiutano a capire in maniera più approfondita la SCELTA antifascista fatta dai nostri soldati: quando vengono catturati viene loro chiesto di continuare la guerra accanto ai reparti tedeschi o di far parte del costituito esercito fascista della RSI che avrebbe reso loro la possibilità di riacquistare la libertà, ma la maggior parte di loro rifiuta.
Troppo spesso si è detto che la scelta di non aderire al nazifascismo sia appartenuta soltanto agli ufficiali, perché non accettarono di lavorare per il Terzo Reich. Anche i soldati si rifiutarono di aderire al Terzo Reich e alla RSI, ma vennero inviati automaticamente al lavoro coatto.
E non è vero che alla truppa la richiesta di adesione sia stata fatta solo una volta, ma come si può leggere in molte testimonianze scritte di soldati semplici, la possibilità di accettare le proposte dei nazifascisti venne più volte respinta.
Tutto l’inverno si è dormito senza il pagliericcio, ci è stato tolto, perché ad un’ennesima richiesta di arruolarsi nell’esercito fascista, si era risposto con un ennesimo rifiuto di tornare a combattere a fianco di quelli che sono i nostri odierni aguzzini.
{3}
Secondo una ricerca svolta dall’ANRP (Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia) le motivazioni che spinsero a dire NO al nazifascismo furono il 30% per ragioni militari, in particolare gli ufficiali che avendo giurato fedeltà al regio esercito vollero mantenere il giuramento fatto, il 26% per ragioni etiche, il 24% per ragioni ideologiche, il 20% per motivazioni diverse.
img6.pngGrafico dell’ANRP.
Se mettiamo da parte il 30% per ragioni militari possiamo pensare che la scelta, in particolare per i soldati semplici, era dettata dalla consapevolezza del fallimento del regime fascista, delle sue menzogne, della illusoria certezza di una guerra breve e vincente, ma soprattutto era animata dalla voglia di tornare a casa volendo solo la pace, ripudiando finalmente una guerra imposta al popolo per manie di grandezza del duce e del re.
Una SCELTA fatta in completa solitudine da parte di una generazione nata e educata sotto il fascismo, al credere, obbedire, combattere, costretti a subire l’arruolamento e l’invio nei vari fronti di guerra, dove saranno partecipi non solo in azioni militare, ma di repressione di comuni cittadini, accanto alle milizie fasciste.
La consapevolezza della loro scelta non fu soltanto un NO al nazifascismo, ma anche riscatto morale che rese dignità ad un Paese offeso per vent’anni dalla dittatura fascista e distrutto dalla guerra.
Aver maturato dentro se stessi la coscienza di dover combattere una volontaria e lunga battaglia senza armi nei Lager del Terzo Reich per sconfiggere il nazifascismo li rese attivi in una comune Resistenza di un popolo che dall’8 settembre 1943 sarà partecipe di un secondo Risorgimento per liberare il Paese dal giogo della dittatura fascista e dall’invasore germanico.
Da quella unità di popolo, nacque la determinatezza di un’Italia repubblicana e antifascista i cui Valori vennero sanciti nella Carta costituzionale, promulgata il 27 dicembre 1947 e entrata in vigore dal 1° gennaio 1948.
Marcello in questa sua pubblicazione, ben interpreta i fatti che determinarono l’internamento militare italiano, approfondendone le cause politiche e militari che portarono i nostri soldati a dover e saper scegliere, e se oggi, la Resistenza senz’armi dei nostri IMI sta cominciando a avere un certo riconoscimento, è grazie all’impegno e al molteplice lavoro di ricerca, di formazione e di educazione delle nuove generazioni.
E bene ha fatto nel voler ricordare l’organizzazione e la determinazione intraprese da un gruppo di nostri internati nel campo di concentramento di Linz, conosciuta, come Il fiore giallo, probabilmente poco nota alla maggioranza dei lettori.
Così come le riflessioni che si trovano in questa pubblicazione riguardo al rientro in Patria e ai decenni di oblio della storia degli IMI aiutano ad avere un quadro storico e politico che si inserisce nel contesto dell’inizio della guerra fredda e della rottura dell’unità antifascista avvenuta in Italia nel 1948.
E se da una parte vi era la voluta disconoscenza della lotta resistenziale dei soldati italiani, dall’altra vi era un’idea di riappacificazione che passava attraverso l’amnistia del 22 giugno del 1946 e, nei primi anni ’50 il reinserimento nella pubblica amministrazione di personaggi collusi col ventennio fascista.
Purtroppo per decenni, la storia dell’internamento militare italiano è rimasta nell’oblio per più ragioni che attengono alla sfera politica, per ragioni di stato, per ragioni anche personali degli stessi IMI e contestualmente familiari, per ragioni per le quali per troppi anni si è pensato che la lotta resistenziale nei Lager fosse una scelta dei soli ufficiali.
Anche l’ANEI, l’Associazione Nazionale ex Internati nei Lager Nazisti, ha privilegiato studi e pubblicazioni sugli ufficiali mettendo in risalto le loro testimonianze.
Sicuramente il convegno di Firenze rilanciò pubblicamente la prigionia e la scelta dei nostri soldati, ma saranno le successive pubblicazioni di soldati semplici, con i loro scritti bellissimi e sinceri, anche di ragazzi che avevano conseguito soltanto la licenza di terza elementare a far capire le inaudite sofferenze del lavoro coatto, la voglia di scrivere basta con la guerra, la denuncia di essere stati lasciati soli.
Per tutta la durata della nostra prigionia, non abbiamo avuto nessun aiuto e controlli da parte di enti o associazioni nazionali e internazionali, come la Croce Rossa Internazionale, o l’opera di assistenza del Vaticano, come invece hanno potuto beneficiare i prigionieri di altre nazionalità, ad eccezione dei prigionieri russi
.
Posso solo affermare, che noi italiani, se un aiuto si è avuto, lo abbiamo avuto, fino a quando è stato possibile, da parte delle nostre famiglie, che hanno fatto grandi sacrifici per farci avere quel poco che le era consentito inviarci.
{4}
Interessante anche il capitolo sul trauma personale degli IMI, sull’esperienza tragica subita. Nel Lager niente era più sorprendente, perché tutto nell’insensatezza generale, era diventato possibile. Essere uccisi da un momento all’altro, morire lentamente di stenti, subire la tortura senza alcuna ragione, esporsi alla violenza. Appare necessario quindi immergersi nelle testimonianze, in questi tasselli di storie, nelle ombre di questa pagina di storia così tragica: essere catapultati nel baratro dell’esistenza è importante per capire la Resistenza dei condannati nel Lager.
La scelta resistenziale degli IMI è sicuramente un tema ancora da approfondire e deve essere un impegno che dovrebbe vedere in prima linea chi oggi li rappresenta, andando oltre quelle che sono le rituali, seppur necessarie Cerimonie commemorative.
Un impegno, comunque, che non può riguardare soltanto la sfera dirigenziale, e ben formata, ma che sia frutto di condivisione con istituzioni, associazioni, enti scolastici in Italia e in Germania e Polonia.
È necessario creare le basi di una rinnovata unità antifascista in percorsi non solo rievocativi, ma di memoria condivisa di un periodo storico importante per capire i valori di pace, libertà, democrazia e solidarietà di cui oggi godiamo, ma per i quali vi è la necessità di una forte salvaguardia.
Con Marcello ci siamo conosciuti a Marzabotto, conosciamo il suo impegno a mantenere viva la Memoria, e questo volume ne è una grande testimonianza, unitamente al suo quotidiano impegno per mantenere saldi i Valori Costituzionali.
I RITARDI DELLA MEMORIA
"Noi non li abbiamo mai contati i nostri caduti, i