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Somalia, Mogadiscio. Il mio 2 luglio 1993
Somalia, Mogadiscio. Il mio 2 luglio 1993
Somalia, Mogadiscio. Il mio 2 luglio 1993
E-book178 pagine2 ore

Somalia, Mogadiscio. Il mio 2 luglio 1993

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Info su questo ebook

Quando si parla di Somalia il primo pensiero che viene in mente è "Black Hawk Down", evento conosciutissimo. grazie alle capacità dei media americani di promuovere le gesta delle proprie forze armate. Probabilmente non gode della stessa notorietà, in particolar modo tra le nuove generazioni, la "Battaglia del Pastificio" avvenuta nello stesso contesto il 2 luglio 1993. 
LinguaItaliano
Data di uscita18 dic 2018
ISBN9788878536630
Somalia, Mogadiscio. Il mio 2 luglio 1993

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    Anteprima del libro

    Somalia, Mogadiscio. Il mio 2 luglio 1993 - Armando Micheli

    Ringraziamenti

    Nota dell'autore

    Il 2 luglio del 1993 ho partecipato attivamente alla battaglia del Pastificio; dall’inizio alla fine. Il Distaccamento di Forze Speciali di cui facevo parte, composto da otto persone montate a bordo di due fuoristrada VM90 (Veicoli Multiruolo ruotati leggeri in dotazione alla Fanteria Motorizzata dell’Esercito), è stato tra gli ultimi ad abbandonare il luogo degli scontri. Fisicamente ero parte dell’equipaggio che, dopo aver fatto defluire la colonna degli ultimi veicoli italiani dalla zona dell’imboscata, ha chiuso le fila ed ha segnato la fine dei combattimenti, conclusisi con il ritiro delle nostre forze. Mentre abbandonavamo l’area della battaglia, con la mia mitragliatrice pesante Browning , coprivo il ripiegamento con brevi raffiche controllate. Al superamento dell’ultima barricata eretta dai guerriglieri somali, baluardo finale che ci separava da un’area sicura, un fragore assordante, ma rassicurante, mi fece sollevare lo sguardo al cielo, due elicotteri d’attacco americani Cobra a bassa quota sfilavano sopra le nostre teste dirigendosi verso il check point Pasta che ci eravamo appena lasciati alle spalle. Erano arrivati con notevole ritardo a coprirci la ritirata, ma erano arrivati. Dopo circa nove ore, finalmente quell’operazione si concludeva.

    Papa Francesco in una intervista ha dichiarato che la realtà si percepisce meglio dalla periferia. Io ho vissuto questa esperienza dal centro, per questo non posso avere avuto una visione completa e chiara di tutti gli avvenimenti, ma solo di quelli che ho sperimentato come protagonista nel mezzo della battaglia stessa. Per tale motivo non posso pretendere di voler raccontare il 2 luglio 1993 nella sua totalità. Verum ipsum factum [1] diceva Vico per cui l’uomo può veramente conoscere solo ciò che da lui stesso è generato, ma il fatto stesso, in realtà, è percepito in maniera diversa da chi lo vive e lo crea. Molteplici sono i fattori che influiscono sul modo di comprenderlo. Tra questi elementi si possono elencare la cultura e le tradizioni di cui è portatore il protagonista, lo stato emotivo in cui si trova, l’angolazione fisica e psicologica da cui lo sperimenta, predisposizione ad accettare o meno ciò che sta accadendo. In sintesi uno stesso fatto può essere descritto in svariati modi da diversi testimoni e non è detto che un modo di rappresentarlo o raccontarlo, sia più vero di un altro. Le diverse narrazioni devono però compensarsi e completarsi, perché in questo modo permetteranno di avvicinarsi il più possibile alla comprensione di ciò che è realmente accaduto. I fatti raccontati dagli spettatori, se poi analizzati e messi insieme da un elemento esterno, libero da pregiudizi, permetterà di giungere ad una verità obiettiva e scevra di personalismi, inevitabili quando chi narra è il protagonista stesso. In questo caso, pur avendo vissuto in prima persona gli avvenimenti, cercherò di evitare qualsiasi personalismo, anche se non posso garantirlo.

    " Bottom Line Up Front" (B.L.U.F.) [2] : utilizzando notizie reperite da fonti aperte e dai miei ricordi personali, con questa storia, voglio raccontare ciò che ho percepito, vivendo quella forte esperienza di venticinque anni fa, o per lo meno quello che sono riuscito a richiamare alla mente. Lungi da me la presunzione di essere il portatore della verità assoluta.


    [1] La verità è nello stesso fare.

    [2] Si definisce B.L.U.F. un paragrafo, posto all’inizio del testo, dove vengono riportate le conclusioni, per anticipare e facilitare la comprensione del contenuto finale.

    Premessa

    Facendo un’analisi di un ampio campione di testi contenenti linguaggio militare (scritti e orali), si potrà constatare che nella maggior parte dei casi è normale l’utilizzo di:

    1. un linguaggio burocratico (specialmente nella letteratura non relativa alla condotta delle operazioni) che fa largo uso di tecnicismi militari ed anche termini e locuzioni superate, a volte anche in disuso nella lingua comune (esempio: all’uopo, alla stregua di, refezione del mattino, ecc.) con il risultato di produrre dei testi, a volte, di difficile comprensione e che non vanno direttamente al punto;

    2. un grande numero di anglicismi (spesso adattati) che pur trovando un utilizzo diffuso nel parlato quotidiano, non trovano ancora collocazione nella lingua scritta come taskare, briffare, ecc.

    3. l’ampio ricorso ad acronimi (anche questi prevalentemente anglosassoni) che fanno riferimento a frasi, regole e metodi che pur complicando la comprensione ad un profano, hanno, a volte, il pregio di fornire una comunicazione più snella che va direttamente allo scopo per chi ha la completa padronanza delle abbreviazioni.

    Queste caratteristiche, dal mio punto di vista, annoverano il linguaggio militare tra quelli specialistici, alla stessa stregua di quello giuridico o medico, meritevole di un’analisi approfondita e specifica da parte di linguisti esperti. Purtroppo molti documenti militari sono accessibili solo da chi è in possesso di determinati requisiti e con la necessità di conoscere specifiche informazioni, quindi l’analisi non potrebbe essere completa.

    Questo breve preambolo per dire che, per inquadrare l’oggetto di questa narrazione, voglio utilizzare uno dei metodi anglosassoni a cui ho appena fatto riferimento: la regola delle 5 W. Utilizzata in ambito militare, è largamente abusata dalle Forze Speciali per ridurre ai minimi termini l’essenza di un problema che ha necessità di essere compreso da chi poi dovrà risolverlo. Essa è così definita:

    "La cosiddetta regola delle 5 W è la regola principale dello stile giornalistico anglosassone. In inglese sono note sia come Five Ws che come W-h questions e fanno parte delle regole di buona formazione del discorso. La regola delle 5 W è anche utilizzata nel problem solving [1] e, con alcune modifiche, nella pianificazione dei processi." [2]

    Dalla definizione non sembra che il metodo sia stato ideato in ambiente militare, ma ne è fatto largo uso perché:

    1. Facilita il compito di colui che ha la responsabilità di descrivere ed assegnare un compito.

    2. Aiuta colui che deve svolgerlo nella comprensione del compito stesso.

    L’impiego è dettato non solo dal fatto che in ambito militare non si abbia una grande considerazione delle nostre capacità intellettuali, come qualcuno potrebbe pensare, ma il motivo principale può essere fatto risalire all’addestramento di base, durante il quale ci viene insegnato che uno dei principi dell’arte della guerra, a qualsiasi livello tattico, operativo o strategico, è la semplicità. Per questo cerchiamo di applicare tutte quelle tecniche che permettono di mantenere i concetti semplici (" Keep It Simple, Stupid con il relativo acronimo K.I.S.S." - anche questa espressione ripresa dal mondo anglosassone) a tutti i livelli, dal soldato semplice al generale.

    Le 5 W stanno per:

    1. Who? (Chi?)

    2. What? (Che cosa?)

    3. When? (Quando?)

    4. Where? (Dove?)

    5. Why? (Perché?)

    La corretta applicazione della regola non lascia spazio ad interpretazioni o confusioni. Colui che assegna il compito ha le linee guida per descrivere la missione, senza dimenticare nessun elemento o informazione fondamentale necessaria a chi dovrà eseguirlo. Invece l’esecutore Chi sa Che Cosa deve fare, Dove, Quando e Perché. In genere il Come ( How) riportato anch’esso nella regola, a meno di particolari limitazioni, è lasciato alla professionalità di chi dovrà poi eseguire il compito, per non entrare nella sua sfera professionale.

    Con questo metodo voglio introdurre il mio racconto, per dare una cornice a ciò che proverò a descrivere in queste pagine, e non me ne vogliano gli eventuali lettori, non lo uso perché non ho fiducia nelle capacità intellettuali di coloro che leggeranno questa storia, ma la fiducia manca nelle mie capacità espressive.

    Chi ( Who): Io.

    Descriversi non è una attività semplice. Potrei iniziare con i miei dati anagrafici, ma non sono particolarmente importanti, meglio è descrivere chi ero ed in quale contesto ero inserito ad inizio degli anni ’90. Nel 1993 ero un giovane sottufficiale, aitante ed atleticamente prestante, appena qualificato Incursore, appartenente alla 3^ Compagnia del 9º Battaglione d’Assalto Col Moschin, allora unico reparto di Forze Speciali dell’Esercito Italiano. Ero appena stato formato dal reparto scuola ed ero transitato nella Compagnia operativa da pochi mesi. La mia preparazione come operatore delle Forze Speciali era ancora legata ad un quadro riferente a delle Forze Armate organizzate ed orientate a fronteggiare la minaccia sovietica. Per avere una idea della realtà esistente all’epoca basta fare riferimento allo scandalo provocato dalla rivelazione dell’esistenza dell’organizzazione Gladio, scoppiato in quegli anni. Gladio era una rete clandestina nata con il compito di operare come resistenza in Italia, supportata dalla NATO, nel caso di una possibile invasione sovietica. Insomma la difesa era ancora orientata allo scenario della guerra fredda. In realtà la scena internazionale era drasticamente cambiata già dal 1989 con la caduta del muro di Berlino. La Perestrojka di Gorbacev aveva inoltre cominciato la dissoluzione dell’ex-Unione Sovietica terminata poi nel dicembre del 1991. La comunità scientifica internazionale aveva già intuito il cambiamento epocale in corso ed iniziato a formulare nuove teorie sulla situazione geopolitica mondiale. Lo studioso americano Fukuyama nel 1989, alcuni mesi prima della caduta del muro di Berlino, presentò una lezione dal titolo " The End of History and the Last Man" [3] in cui espose la sua visione sulle conseguenze della fine del mondo bipolare, con la quale prevedeva la fine della storia con la vittoria della democrazia liberale. Il politologo statunitense Samuel Huntington espose una diversa visione nel 1993 con l’articolo " The Clash of Civilizations" [4] . Nel suo testo, lo scienziato, vedeva nella fine del confronto tra USA ed URSS lo spostamento del conflitto mondiale, da un piano prevalentemente ideologico, ad un piano di natura culturale e socio-economico e quindi con un possibile allargamento su più fronti. Le due teorie furono poi esposte e perfezionate con la pubblicazione di due libri rispettivamente nel 1992 e nel 1996. Tali cambiamenti richiedevano cambi di direzione da parte delle nazioni nella loro visione politica e strategica di difesa e sicurezza, ma le teorie hanno bisogno di tempo per essere assimilate e trovare una applicazione pratica. Gli stati le acquisiscono con ritardo a causa di ragioni che possono essere di ordine politico ed economico. Se guardiamo nello specifico allo strumento militare di un paese, la sua riconfigurazione è influenzata da diversi fattori: il tempo per l’attuazione dei cambiamenti (riducibile dalla capacità di prevedere la direzione degli eventi futuri); l’addestramento del personale a disposizione; il denaro necessario per la ristrutturazione stessa in termini di riqualificazione di uomini, equipaggiamenti e materiali. Nel 1993 credo che, molti Paesi occidentali, stessero ancora cercando di comprendere cosa il futuro avrebbe richiesto alle loro Forze Armate, l’Italia probabilmente era tra questi.

    Nel marzo del 1993 vengo inviato in Somalia, come membro del Distaccamento Operativo Condor 3X, team di operatori di Forze Speciali alle dipendenze della Base Operativa Incursori (B.O.I.) di stanza a Mogadiscio presso la ex ambasciata d’Italia. La B.O.I. era la struttura in cui si ri-organizzava e ricostituiva parte del 9º Battaglione Col Moschin quando dispiegato in teatro di operazioni ed il nome in codice assegnatogli era appunto " Condor". Ero il più giovane componente del team, sia in termini di età che per anni di servizio prestato. Il mio incarico principale era quello di addetto alla mitragliatrice Browning che, per lo scopo, avevamo adattato sui nostri VM90, attraverso un piantone verticale fissato al centro del cassone posteriore del veicolo, prendendo spunto dalle cosiddette Tecnica somale. Una Tecnica è un caratteristico tipo di mezzo di trasporto militare arrangiato, composto da un veicolo civile (pick-up, camion o fuoristrada) munito, in maniera artigianale, di armi come mitragliatrici pesanti o lanciarazzi.

    Che Cosa ( What): descrivere e raccontare la mia partecipazione ai fatti d’arme in cui sono stato coinvolto il 2 luglio 1993.

    Come ho già anticipato, l’intento di questo libro non è raccontare la verità assoluta dei fatti di un evento tragico come il 2 luglio 1993. In anticipo chiedo perdono a tutti i protagonisti della battaglia del Pastificio che potessero trovarsi in conflitto con quanto mi accingo a raccontare e per le eventuali imprecisioni. La percezione del mondo è influenzata da fattori socio-culturali e psicologici ed ogni singolo individuo ha il suo modo di leggerlo; per questo, in genere, per arrivare alla verità di un evento sono necessarie approfondite indagini. Con questa storia voglio quindi raccontare il mio 2 luglio 1993, quello che ricordo di quella lunga terribile giornata, quello che ho provato nelle ore in cui ho partecipato ai combattimenti, paure, pensieri, sentimenti, ricordi, emozioni, fatti, persone, azioni. Proverò anche ad esprimere i miei punti di vista su ciò che è stata la mia comprensione, perché per questo racconto non mi sono basato su documenti ufficiali di alcuna sorta e, volutamente, non ho contattato nessun mio compagno di avventura che, con le sue rievocazioni, avrebbe potuto aiutarmi, affidandomi solo ed esclusivamente ai miei ricordi. E non è stato facile far riemergere dai ricordi quello che inconsciamente era stato rimosso. Non me ne vogliano quindi coloro che si sentiranno offesi da questa mia dissertazione, perché non è mia intenzione di ledere la sensibilità di nessuno, ma solo rievocare fatti e sensazioni vissute.

    Quando ( When): 2 luglio 1993.

    L’arco temporale preso in considerazione in questa narrazione va dal 17 marzo, giorno della mia partenza per la Somalia, alla fine di agosto 1993 periodo che copre il mio rientro da Mogadiscio (6 agosto) ed il periodo di riposo a seguito della missione, con il 2 luglio come fulcro del racconto. Farò inoltre ricorso a qualche digressione per raccontare episodi ed aneddoti, di cui sono stato protagonista che, pur svolgendosi in altri periodi, ritengo rilevanti per ragioni di completezza.

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