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Ultimo tanga a Miami
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E-book490 pagine7 ore

Ultimo tanga a Miami

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Info su questo ebook

Dal narciso tutto muscoli per il quale «la donna è solo quella cosa inutile intorno alla vagina», all'erotomane delle 11-volte-in-una-notte-senza-viagra; da un imbarazzante tête-à-tête con un ex compagno di università, originario del Camerun (spinta dalla curiosità di verificare quanto si racconta sulla virilità degli uomini di colore), alla convivenza tragicomica con l'ospite venuto dall'Italia; dalla toccata e fuga con l'insegnante iraniano paranoico nei suoi «a me non piace», alla storia con «l'uomo grattugia», per i peli irti e taglienti distribuiti su un metro e novantacinque centimetri di altezza.
Una carrellata di situazioni imbarazzanti e avventure più o meno amorose che Elly, tornata a Miami per la terza volta e decisa a rimanerci per sempre, vive e racconta all'amica Sarah con un'alta dose di autoironia e leggerezza.
Sentimenti che però rischiano di tramutarsi in sconforto quando Elly, dopo l'ennesima storia finita male, più scettica e disillusa che mai nei confronti dell'altro sesso, decide che quello con Massimo sarà il suo ultimo tanga a Miami.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2017
ISBN9788863584462
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    Anteprima del libro

    Ultimo tanga a Miami - Elena Vigni

    Capitolo 1

    Mi-ami?

    SÌ, TI-AMO e ti amerò per sempre. Ed è per questo che sono tornata da te. È stato love at first sight, un amore a prima vista, destinato a durare in eterno, ovunque io sia, dentro o fuori di te, mia adorata Miami.

    Amo di te soprattutto quello che gli altri giudicano difetti: il caldo umido, gli enormi palazzi, il caos, gli uragani, il traffico, gli eccessi…

    Mi piace persino quell’odore rancido di Caesar Salad fermentata che si sente nelle alley (i vicoli interni) di South Beach³ dove si trovano i cassonetti della spazzatura. Penserete… che schifo! E difatti fa proprio schifo, ma vi assicuro che è un odore che ti si impregna nella memoria e che non riesci a cancellare…

    Miami ha molte facce e tutte sfacciate, le sue luci non sono diamanti come quelle di New York, ma bigiotteria pretenziosa, come quella indossata dalle star. E infatti Lei è la star… e noi gli attori che cavalcano il suo palcoscenico.

    A Miami ci si sveste per la sera e il trucco cola per il caldo… A Miami, non solo ci si sveste, ma addirittura ci si traveste, perché è il regno degli wannabe⁴, dove si vive una doppia, tripla… sestupla vita.

    Miami è una bitch, lo so, ma è la mia bitch… E la difendo nel suo essere pazzoide, schizoide, eccentrica, volgare… e bastarda… bastarda in tutti i sensi, un miscuglio di razze, di colori, di tutto e di tutti…

    È come quando incontri il vero amore, lo riconosci subito. Ami indistintamente i suoi pregi e i suoi difetti. Non puoi sopportare che gli altri ne parlino male e sei pronta a difenderlo, sempre e ovunque. Però, nell’amore per Miami, a differenza di quanto accade con un partner, sei felice di sapere che non sei la sola a desiderarlo, di poterlo condividere con un’infinità di persone che provano il tuo stesso sentimento, senza gelosia.

    Carlo Rossella scriveva nel suo libro intitolato Miami⁵ che «lasciare Miami Beach è come mollare di colpo una donna di cui si è innamorati. Abbandonarla per troppo amore, per infinita gelosia, per paura del turbamento e dell’incanto. Uno sa che non può vivere sempre al Beach. Pochi sono i fortunati che se lo possono permettere. Quando te ne vai, questi privilegiati ti salutano come se andassi all’inferno. Ti compiangono. Ti stringono forte. Comprendono il tuo dolore».

    Parole sante.

    Anche alcune delle email della mia cara amica Sarah rappresentano una preziosa testimonianza a ciò che vi ho appena detto. Me le scrisse durante il suo ritorno forzato in Italia, quando finalmente ottenne l’agognato visto di permanenza negli States. Da queste email passò un anno prima che io potessi ritornare a Miami.

    Prima email di Sarah

    Oggetto: La nostra Miami

    Ciao Elly, ieri sera sono uscita con la compagnia di Betty… i ragazzi mi hanno fatto duemila domande su Miami… sai… le solite… a cui ora storco un po’ il naso per rispondere… ma lo faccio… sì… perché gli altri non sanno… e con la mente proiettata nelle sue mille luci, ho risposto: è dura vivere lì… non crediate… e per farlo bisogna amarla sul serio… davvero… ed anche tanto….

    È accaduto anche a te vero?… ti capita di sentire il ‘dono’ dell’amore che hai avuto per lei???

    Come se ti avesse dato quella spruzzata in più di verve… di energia… di possibilità… di consapevolezza delle cose… sì… ma non solo… consapevolezza di te!!!

    Hai voluto essere più forte e lei ti ha forgiata… hai voluto una vita diversa… e lei ti ha catapultato nelle mille possibilità e varietà… non ti sei risparmiata… e neppure lei!!!

    Ricordo quella sera, al ritorno dall’aeroporto, dove ti avevo appena salutata e rimanevo nuovamente sola a ricombattermi il mio posto là… il mio futuro… i miei sogni.

    Nn avevo un posto dove stare… ero in un ostello putrido e malfamato… nessun lavoro ancora… nessuno dalla mia parte… e l’ho guardata, mentre sfilava sul ponte della Causeway, tutta scintillante nelle sue linee alte e colorate… e le ho giurato di amarla in verità, con tutto il mio cuore e che quello che avrei pagato lo avrei pagato per caro che fosse, ma che altrettanto volevo indietro da lei!!!

    Elly… stavo giurando a me stessa che nulla mi avrebbe cacciato fuori questa volta… no matter what!!! Che nn sarei stata sconfitta!!!

    E prima di ripartire per l’Italia, sotto la cenere dei petardi del 4 di luglio, lì, sulla balconata del Wet Willie’s, con il naso per aria, le lacrime mi scendevano… nel mio cuore sentivo questa gioia… questa soddisfazione… quello che ho fatto l’ho fatto per me, per il mio sogno… io mi ero data il mio sogno… lo avevo fatto sul serio, da sola e nulla mi aveva sconfitta o scalfita!

    Lo sognavo da bambina… guardavo i film e dicevo a me stessa che io sarei stata in quei posti, che avrei avuto anche io il mio 4 di luglio… io c’ero perfettamente nel mezzo dei miei sogni di bimba… e più strada percorrevo più rincorsa acquistavo… ecco perché il titolo del romanzo che magari un domani scriverò sulla mia vita sarà: I’m unbreakable!!!

    Elly… nn credo a quelli che scuotono la testa rammaricati per tutto quello che hanno sognato e poi… e poi… si ritrovano incastrati esattamente dove avevano giurato di nn rimanere mai!!!

    L’azione condita con il coraggio ti porta dove vuoi… se davvero lo vuoi!!!

    Nn posso pensare a chi nn voglia sentire il gusto della vita… neppure quello amaro… e si rinchiude in stanze conosciute senza finestre…

    Nel musical di Evita, lei canta: … I couldn’t stay down here… looking at the window staying out of the sun… so I choose freedom….

    Elly… pensaci bene… ma davvero, perché nn c’è altro modo per migliorare il mondo se nn migliorare la propria vita… ed è l’unica cosa che ispirerà gli altri intorno… sapere che si può, vedere che si può, proprio perché tu lo fai… lo stai facendo… e le luci di quella città sono scintillanti dentro i tuoi occhi!!!

    Miami nn si perde mai… una volta entrata si attacca al tuo cuore ed al tuo spirito… e cambia ogni cosa… persino la tua vita!

    Baci

    Sarah

    Seconda email di Sarah

    Oggetto: Notte prima degli esami

    Cara Elly, mi sento tipo… Notte prima degli esami!!! Che strano però… ripartire… cambiare… passare da un mondo all’altro!!!

    E poi, che strana visione che c’è nei miei occhi da quando ho avuto il passaporto in mano… è già Miami che mi chiama… è la mia vita che mi strizza ancora una volta l’occhio e mi sorride, approvandomi… sa che la seguirò…che la paura sarà solo cautela… e che la sorpresa sarà dietro l’angolo e che saprò ridere ed essere felice di tutto, comunque sia, comunque vada!!!

    Amica, mi mancherà sul serio non averti a un tiro di schioppo… vorrei davvero potessi salire su quel volo, se non con me, giusto giusto dietro!!! Vorrei sapere che fra non molto sarò in aeroporto ad aspettarti e non solo per una vacanza, ma per ‘taccheggiare’ insieme dall’alto dei nostri sandali, avvolte dalle nostre mille parole, su quei marciapiedi rossi di Ocean Drive, in un misto di colonne sonore fra hip hop e salsa… fra muscoli gonfi e sorrisi bianchi fascinosi… fra bottiglie che volano con le luci sparkling nei club… fra omoni che si muovono sensuali nei loro vestiti abbondanti, mentre seguono, cantando con le loro carnose labbra, le musiche che suonano!!!

    A quell’inaspettato di ogni sera… dove tutto può succedere e… accade! E poi svegliarsi il mattino dopo senza poter aspettare di raccontarci di questo e quello… Oh mamma Elly… altro che sognare Andrea nudo e bagnato… eh eh eh… (oddio… adesso che ti dico così ho avuto un’immagine e… mmmmmh)… no no no Sarah concentrati, riprenditi… ah… dicevo… sì… raccontarci di prima mattina, sridazzando davanti al nostro breakfast sulla soglia della finestra del balcone, mentre guardiamo fuori… sorseggiando dalla tazzotta… solo con una canottiera lunga addosso, i capelli raccolti, i piedi nudi… e le finestre spalancate con le tende candide di tulle leggero che svolazzano al vento, con il sapore dell’oceano che riempie le narici… e il sole… quel sole luminoso con la sua luce bianca dei Caraibi che ride davanti alle nostre sciocchezze!!! Le nostre ‘mattine serene’, così le chiamo, dove appaiono le più chiare riflessioni, dove sempre scende la pace!

    Besos

    Sarah

    Terza email di Sarah

    Oggetto: Immagino… e ti aspetto!

    È incredibile… tu vaghi di notte trascinandoti come un fantasma in catene per casa perché non riesci a dormire, mentre io per la quarta volta cerco di vedere Fight Club e mi addormento per la ‘semprebenedetta’ quarta volta esattamente nello stesso punto… come finirà??? mah!!!???

    Scherzi a parte… sogno Miami… e dopo aver passato la serata a scrutare tutti gli appartamenti possibili all’indirizzo che mi hai dato… ho persino sognato di arredarne un paio!

    Mi rendevo conto, mentre scartabellavo sul sito, che cercavo l’appartamento che ho in testa… quello dove si va in giro per casa a piedi nudi… quello che ti racconto sempre quando sogno ad occhi aperti, quello con tanta luce e con le tende che svolazzano leggere e si riempiono al ritmo del vento. Il letto contro la finestra pieno di cuscini con la coperta di boutisse bianca, la tenda della doccia verde acqua con delle ortensie lilla disegnate sopra…

    Immagino anche un tavolino tondo, piccolo, di ferro con due seggioline graziose, sempre da mettere accanto alla finestra… con un vasetto piccolo di vetro e dentro dei piccoli fiori… che danno dolcezza allo sguardo!

    Immagino di posare il libro che sto leggendo, oppure il mio pc su quel tavolino, rannicchiare la mia gamba sulla sedia e scriverti!!! Immagino il mio mondo… ecco cosa faccio… mettere parte di quelle radici che mai affondo veramente nel terreno!

    Perché, mentre tutti hanno paura di volar via e cercano punti fermi, io, invece, ho paura di nn poter spiccare il volo, proprio perché qualcosa mi tiene a terra!!!

    Quel vento che gonfia le mie tende come vele mi chiama a guardare fuori… ora sento che sta per giungere un nuovo momento… ed anche se nn so cosa fare, nn so come fare, scavo nel profondo di quel sospiro e lascio andare la mia presa rigida… sorrido e torno docile al richiamo della vita… ai suoi segreti ancora nn rivelati… alle mille possibilità… già… possibilità… loro sono come le fate… ogni volta che ad alta voce dici che nn esistono da qualche parte muoiono stecchite… ma se ci credi loro ti circondano di magia!!!

    Batto le mani e ne riporto in vita almeno una di quelle fate… batto le mani e aspetterò il tuo arrivo… aspetterò… davanti alla finestra un’altra magia per entrambe!!!

    Besos

    Sarah

    Capitolo 2

    La magia

    Non abbiamo molto tempo a disposizione. Penso che per prima cosa tu abbia bisogno di una zucca.

    Cenerentola non capì il motivo, ma obbedì e raccolse una grossa zucca. La fata agitò la sua bacchetta magica verso di essa, e cantò:

    Salagadula megicabula bibbidi-bobbidi-bu

    Se le pronunci che avviene laggiù?

    Bibbidi-bobbidi-bu

    Salagadula megicabula bibbidi-bobbidi-bu

    Fa la magia tutto quel che vuoi tu

    Bibbidi-bobbidi-bu

    Salagadula dà

    megicabula fa

    ma la formula inver che val di più

    è bibbidi-bobbidi-bu.

    La zucca si alzò lentamente sul fusto, mentre i viticci arrotolandosi si trasformarono in ruote: in un attimo diventò una stupenda carrozza (… e per me un aereo!)

    Da Cenerentola

    Qualche mese dopo…

    Percorro i lunghi e infiniti corridoi dell’aeroporto di Miami, accompagnata da un gran batticuore per la forte emozione che provo nel rivedere il primo scorcio di quel mondo che amo, che ho aspettato per un anno, un lunghissimo e interminabile anno. Anche la pelle d’oca per l’aria condizionata gelida, american style, il più delle volte tanto odiata, ora mi dà gioia, perché mi fa sentire di nuovo a casa. Cammino lentamente in quell’enorme spazio vuoto attorno a me, fatto di corridoi infiniti, come infinita è stata la mia attesa, e lì, in quei passi al rallentatore, la mia sensazione di stupore, di gioia, quasi di smarrimento, aumenta. Mi sento come un personaggio di Star Trek nella macchina del tempo, in viaggio tra due mondi, dove l’aeroporto di Miami è lo stargate fra i due ed io come se fossi appena stata catapultata in quello fatto di spazi spesi in abbondanza, quasi non avessero valore.

    Ad un tratto, gli spazi diminuiscono, delimitati dalle persone, tante persone, tutte in fila con passaporto e visto in mano, per affrontare la barriera dell’Immigration. Osservo sui visi la stanchezza della maggior parte, insieme alla preoccupazione di alcuni e, mentre mi perdo ad ipotizzarne i motivi, un po’ infastidita dall’odore di sudore nell’aria, avanzo, ormai con impazienza, attendendo il mio turno.

    Finalmente, dopo un’ora snervante di coda, passo l’Immigration e mi dirigo di corsa al ritiro bagagli dove, di nuovo, mi trovo a misurare con gli occhi un numero smisurato di nastri trasportatori. Sento di non poterne più. Non vedo l’ora di correre fuori e riabbracciare Miami, il mio grande amore, ma tutto sembra non finire mai. Ecco sul display il numero del mio nastro, il diciotto. È laggiù, in fondo. Ho una sensazione di nausea a causa dell’ansia e della sete. Ecco la mia valigia presentarsi come un miraggio. Sì, siamo verso la fine, la meta è vicina. Mi faccio strada, sgattaiolando tra la gente che si accalca per afferrare il proprio bagaglio e riesco ad afferrare il mio. Evviva! E ora via… verso l’ultimo step, quello della dogana. Il signor Gonzales, gran bel doganiere mascellone, mi lascia fortunatamente passare senza farmi domande… meno male perché mi sento davvero al limite e non avrei retto un’inutile perquisizione, così, tempo dieci minuti, con una dovuta sosta al bagno, mi ritrovo fuori, nel caldo afoso dell’aeroporto, con Sarah che mi salta al collo stringendomi forte!

    Il caldo infernale dei mesi estivi mi toglie il respiro (oltre all’abbraccio di Sarah degno di Tyson). Il calore mi investe come se di colpo si fosse aperto lo sportello di un enorme forno. È il primo segnale che… sììììììììììììì, ci sono!!! Sono arrivata!!! Saltiamo come grilli, abbracciate. Le nostre movenze e i versi che emettiamo sembrano quelli di due bimbe di cinque anni che hanno appena saputo dai genitori che il fine settimana verranno portate in gita a Disney World! La gente ci guarda divertita, abbozzando un mezzo sorrisetto.

    Dopo pochi minuti, quella calura già mi sembra molto più sopportabile sino quasi a non farci più caso, come se fossi sempre stata là, nata e cresciuta in quel clima tropicale.

    Buttati i miei pesanti bagagli sulla Ford Mustang Cabrio di Sarah (un usato da settemila dollari, un po’ vecchiotto, ma di grande effetto), con i capelli al vento, corriamo giù per le strade sino a prendere la Causeway A1A, ovvero la strada rialzata che collega Miami a Miami Beach e che passa al di sopra delle luccicanti acque turchesi della Biscayne Bay. Eccola… The Magic City, piena di colori, con le sue linee alte, che mi abbraccia contenta! Osservo la città passare veloce accanto a me. Percorriamo il McArthur Bridge con il tramonto alle spalle, il porto con le sue enormi navi da crociera che sfilano di fianco, le palme che fluttuano alla brezza marina e sull’altro lato le isole private di Star, Palm e Hibiscus Islands⁶ che sfoggiano sontuose mega-ville e yacht di lusso immersi in un verde rigoglioso e ben curato e, in sottofondo, alla radio, Frank Sinatra con Come Fly with me

    Mi accompagna un senso di commozione… ed eccoci in un baleno nella Quinta Strada a South Beach!!!

    L’attuale appartamento di Sarah è un grazioso bilocale sulla West Avenue, in prossimità della Lincoln, che divide con Ana, una ragazza brasiliana che lavora come cameriera in un ristorante vicino alla spiaggia.

    Approfittando dell’assenza di Ana, che è andata a visitare un’amica a New York per una settimana, Sarah mi ha dato la propria stanza, spostandosi in quella della coinquilina. Poter arrivare a Miami e trovare una sistemazione già pronta dove passare i primi giorni, per cercare nel frattempo, con tutta calma, un appartamento dignitoso, è un gran sollievo.

    Mi sento veramente stanca… l’adrenalina sta sfumando pian piano al ritmo di salsa che Sarah ha messo come sottofondo per sbranare i meravigliosi sandwich che ha comprato da Epicure, il supermercato dei Vip all’angolo tra la Alton Road e la Lincoln. Eh sì, dei Vip, signori miei, se pensate che un solo vasetto di carciofini sottolio costa circa trentadue dollari!

    «Accidenti Sarah, perché hai comprato questi panini da Epicure? Lo sappiamo tutti che lì ci vuole un mutuo per comprare anche un solo sandwich. Non era il caso, visto che non hai ancora trovato un lavoro… Andavano benissimo anche i tramezzini del Publix⁷, come ai vecchi tempi, con turkey, lettuce, tomatos and mayonnaise…» dico, guardandola con un’aria da casalinga-che-fa-quadrare-i-conti. «E come se non bastasse hai comprato anche una bottiglia di Zinfandel, il mio vino preferito… una bomba da quattordici gradi e mezzo scagliata dalla California direttamente qui sul nostro tavolo!»

    «Oggi è un giorno speciale, mia cara. Sei arrivata tu! E siamo a Miami! Yuppppiiiieeee!!!»

    «Grazie amica, sei davvero un tesoro» le dico, guardandola con tenerezza.

    Iniziamo a mangiare il nostro sandwich, con lo sguardo compiaciuto per il gusto sopraffino di quell’imbottitura di roastbeef con senape, e a versarci un bicchiere di vino per coronare il tutto…

    Tre bicchieri di vino dopo, una palla enorme di Häagen Dazs al Rhum & Raisins e una grappa (tanto per digerire…) e siamo ubriache, sdraiate sul tappeto, con due enormi cuscini dietro alla testa, cantando a squarciagola l’inno di Mameli. Quando riapro gli occhi intorno a me è tutto buio. La luce della strada illumina però l’interno della stanza, tanto da farmi capire che devo aver dormito per ore, che Sarah non è più in casa e che forse è giunta l’ora di una doccia, se non voglio essere sfrattata da lì a poco per l’olezzo che emano…

    Mi alzo a fatica perché dormire su un tappeto da fachiri non è il massimo per le ossa e mi trascino verso il bagno… sullo specchio un post-it di Sarah: Se non sei a pezzi, fatti una doccia e raggiungimi allo Shore Club… sono con Flor e altre due che non conosci. In ogni caso chiamami o mandami un sms per farmi sapere… smack!.

    Se fossi rimasta in casa avrei rischiato di non dormire più… decido così di sconfiggere il mio jet lag e riportare le lancette nella posizione ‘Miami party’, buttandomi sotto una cascata di acqua fredda, per poi indossare il primo dei cinquanta vestitini-molto-ini che mi sono portata e di raggiungere Sarah e le sue amiche.

    Ciao sister, cinque minuti e sono lì, scrivo via sms a Sarah…

    Dai, vola!, mi risponde dopo un nanosecondo.

    Prendo un taxi in direzione Shore Club, sulla Collins e tutto brilla, le strade, i lampioni, i negozi, i ristoranti, le palme ricoperte di luci, le enormi collane, gli orecchini di strass e addirittura i denti dei bling bling⁸, i cerchioni delle macchine, i vestiti con le paillettes delle ragazze di colore, gli occhi dei ragazzi nel vedere certe scollature e il mio cuoricino nell’essere di nuovo in questo meraviglioso film che per me può avere solo il titolo di Una magia dentro la magia….

    «Eccola!» grida Flor, saltellando verso di me, insieme con Sarah e ad altre due dallo sguardo lesso (e non voglio sapere se per natura o indotto da qualche ‘erbetta’), con le braccia tese.

    «Sembra che sè estata bia solo pocos dìas» biascica in quell’italñol che ricorda quello dei ridicoli-italiani-in-vacanza-a-Cuba-in-cerca-di… (mi sembra di sentirli nel loro goffo approccio: Ehi guappa, vuoles beres qualcosas conmigo? Me chiamos Giovannis…. Ma vai alla Coop a comprarti una bottiglia di Havana Club, mio caro Giovannis, che fai meno danni e risparmi… tanto, quello che riusciresti a fare con una bella cubana è la stessa cosa che riusciresti a fare dopo esserti scolato una bottiglia di Rhum: solo una bella dormita!).

    «Wow, que bella que sei mujer!» prosegue strizzandomi l’occhio e masticando il chewing gum a bocca aperta.

    Sarah mi presenta anche le altre due, una certa Jessica di Porto Rico, un personaggio patetico, che nel corso della serata scopro vivere a New York ed essere in vacanza a Miami, che si tinge e liscia i capelli per nascondere la propria identità boricua⁹ ed assomigliare allo stereotipo di donna americana bionda-naturale-te-lo-giuro-con-la-mano-sul-cuore.

    L’altra è un’uruguayana, vestita da tigre del materasso, col trucco un po’ sfatto che le dà quell’aria da sono-appena-scesa-dal-letto (di non so chi…).

    Dopo quella sera, sfortunatamente, non le rividi più.

    «Dai Elly, entriamo a brindare per il tuo arrivo!» (E lì capisco che nemmeno una tonnellata di carciofi basterebbe per disintossicare il fegato da una serata che si sarebbe pronosticata alquanto alcolica.)

    La sera dopo, Sarah mi propose di nuovo di andare allo Shore Club, ma mi sentivo davvero a pezzi. Il jet lag questa volta si faceva sentire più del solito. Preferii rimanere a casa, davanti alla tv, in versione maglietta-mutandine-e-becco-in-testa a guardarmi il sempre divertente Ellen DeGeneres Show¹⁰.

    Capitolo 3

    Meridian Avenue e dintorni

    Alla fine della settimana, grazie all’aiuto di un amico di Sarah, un certo Nazzareno che viveva a Miami da un paio d’anni, avevo trovato un alloggio arredato, a South Beach, a quattro isolati da quello di Sarah, per seicento cinquanta verdoni al mese.

    Si trovava sulla Meridian Avenue con la Quinta Strada, in piena atmosfera art déco. Era un appartamentino senza pretese, abbastanza disadorno, attaccato ad altri due sulla destra e ad un altro sulla sinistra. Si presentavano come ‘mini-mini-mini-villini’ a schiera, ognuno con la propria entrata indipendente, sia sul davanti che sul retro dell’abitazione, con tre scalini e un piccolo balconcino. Dalle finestre fuoriuscivano i motori dei condizionatori, vecchi e rumorosi, che, quando erano in funzione, spurgavano l’acqua liberamente sul davanti della casa, creando una pozzanghera muschiata che andava poi a finire sul vialetto di accesso, costeggiato da palme.

    In questi loculi ci vivevano degli italiani. Nel primo, in testata, c’era Antonio, un medico chirurgo di origine siciliana, che lavorava al Mont Sinay Hospital, nel secondo una ragazza di Treviso di nome Marta, che lavorava come receptionist in un hotel di Ocean Drive. Poi c’era il mio e, alla fine della schiera, un ultimo, disabitato, che il padrone di casa utilizzava come magazzino.

    Agli appartamenti si accedeva dalla strada, la Meridian Avenue, tramite un vialetto che costeggiava l’abitazione del proprietario (una bella casa a due piani), anch’egli italiano, di nome Tiziano.

    Il tutto era immerso in un giardino tropicale che rendeva la location sicuramente più affascinate di quello che realmente fosse.

    Ricordo che quando Tiziano aprì la porta per mostrarmi l’appartamento, mi sentii improvvisamente pervasa da un grande sconforto. Dentro, non solo era un tugurio, ma era anche scandalosamente sudicio… Pensavo con nostalgia all’appartamento di Sarah, pulito, luminoso, con un bel balcone e addirittura ubicato all’interno di un residence con piscina e davanti agli occhi avevo, invece, questo appartamento stile-gabbietta-per-criceti!

    Del resto, questo era quello che passava il convento. Sarebbe stato molto più semplice avere un roommate (coinquilino), con il quale dividere le spese dell’affitto e delle utenze, e avere un appartamento più bello, ma mi rifiutavo di vivere con qualcuno (l’unica persona con la quale potevo condividere un appartamento era Sarah, che però abitava già con Ana) e piuttosto mi sarei dissanguata per pagare l’affitto.

    Ci vollero giorni e giorni di olio di gomito per renderlo presentabile, anche se per certe cose ci sarebbe stato bisogno di un drastico intervento di falegnameria (es.: la porta di entrata stava in piedi per miracolo) o, meglio ancora, di un intervento di quel figaccione di Ty Pennington, conduttore di Extreme Makeover: Home Edition, che avrebbe raso tutto al suolo per poi ricostruirlo in grande stile!

    Ci misi due settimane piene per riuscire ad ottenere un risultato di cui potessi essere soddisfatta. Dovevo per forza acquistare dei mobili perché quello che c’era dentro era il minimo essenziale per vivere: un letto, un tavolo, un divano, un comò…

    Andai da Thrift Shop, negozio di articoli usati che si trovava a metà della Washington Avenue, e comprai due tavolini di cristallo, uno stereo, un bauletto semi-orientale porta oggetti, un cuscino in pelle e una consolle con specchio, tutta colorata (molto kitch, che a me faceva impazzire); poi andai da Marshall, in downtown, e lì comprai un copriletto e un paio di vasi per fiori e infine, da Pierre One, sulla Quinta Strada, a un paio di isolati dal mio appartamento, dei cuscini molto trendy da mettere sul divano, che riprendevano i colori accesi della consolle.

    Tiziano mi diede una poltrona in vimini e anche un tappeto di pelle di mucca, bianco e marrone, che veniva dall’Argentina. Ero soddisfatta, perché ero riuscita, sebbene in grande economia, a trasformare quei pochi metri quadrati, tristi e dimessi, in un appartamentino piacevole ed accogliente.

    Tiziano, quando lo vide, a torta finita, completo di mobili e di quel tocco femminile, rimase meravigliato, tanto che, in qualche occasione, lo mostrò orgogliosamente anche ad amici suoi, sottolineando la riuscita trasformazione di quella ‘tana’.

    Carica di entusiasmo, una domenica mattina uscii alla buonora e mi diressi alla fermata del bus, quello piccolo, che gira solo per South Beach e che tutti qui chiamano guagua¹¹, per andare in centro. Sì, perché dovete sapere che chi vive al Sobe, non ha bisogno della macchina: tutto è raggiungibile in bici, con la guaguita, oppure con i cab, cioè i taxi. I cab sono ovunque, gialli come i girasoli, e per la maggior parte sono guidati da tassisti haitiani, perennemente al telefono, che parlano in creolo con la famiglia rimasta a Port-au-Prince, capitale dell’isola…

    È una vera esperienza salire su queste macchine ‘puzzone’, piene di ‘spazzatura’ del loro vivere praticamente in auto. Mi fanno un po’ pena, perché dietro a quel disordine c’è il sacrificio di persone sottopagate, che lavorano anche dodici ore al giorno e solo per una manciata di dollari l’ora per broker che gestiscono centinaia di licenze. E quando noi italiani non diamo la mancia, non solo quando non sappiamo che sarebbe dovuta, ma anche quando lo sappiamo perfettamente facendo-finta-che, un po’ dovremmo vergognarci della nostra spilorceria.

    Ritornando al mio giretto in centro, all’angolo con Española Way, a due blocchi dalla vivace Lincoln Road, c’era la mia cafetería preferita. Si trattava di una cafetería argentina che faceva delle fantastiche facturas¹²! Io adoravo le facturas, quelle con il dulce de membrillo, ma anche i vigilantes con la crema pasticcera (al solo pensiero mi viene l’acquolina in bocca!). E, per iniziare bene la giornata, non poteva esserci colazione migliore che un cortadito¹³ accompagnato da uno di questi fantastici dolcetti, una copia del Miami Herald (comprata ad un dispenser vicino alla fermata dell’autobus) ed essere baciata da un sole ancora non troppo caldo. Mi sentivo felice e positiva.

    Miami è la città più latina del mondo a nord del Messico. Non sembra nemmeno di essere negli Stati Uniti. L’aria risuona di accenti ispanici e la politica di Cuba, di Haiti e della Colombia è un frequente argomento di conversazione.

    Persino gli aspetti più quotidiani di questa città sono infusi di grazia caraibica, che si intravede, per esempio, nei bicchieri di cortadito o di colada¹⁴ presi al volo alla mattina prima di andare a lavorare da un gruppetto di operai latinos o nello scialle chiaro di una donna haitiana che porta i bambini a scuola.

    Trascorsi il resto della mattinata a gironzolare sulla Lincoln Road, la zona pedonale che corre dalla Washington Avenue (est) fino a Lenox Avenue (ovest) fra la Sedicesima e la Diciassettesima Strada per un totale di otto isolati!

    Sììì! Ben otto isolati pieni di negozi di scarpe e vestiti (estasi allo stato puro e crisi da shopping compulsivo), gallerie d’arte, ristoranti multietnici, caffè, negozi d’antiquariato, negozi di gioielli, di cose strane e impensabili (vedi: Ricky’s NYC, 536 Lincoln Road, Miami Beach, che sotto le spoglie di un negozio di prodotti di bellezza per capelli, con tanto di parrucchiera al primo piano, si trasforma in qualcosa di più hot con vestiti per travestimenti e cosine adults only, al piano superiore) e altro ancora.

    Un vero e proprio salotto a cielo aperto dove si può incontrare di tutto, modelle, artisti, personaggi bizzarri e turisti a non finire. Questa città eccentrica e divertente è un cocktail esplosivo!

    A proposito di personaggi bizzarri, tra gli habitué, c’è un simpatico signore molto country, vestito con salopette di jeans e cappello di paglia, che gira in bicicletta e che porta a passeggio, al posto del cane, un gallo seduto sul manubrio e un altro stravagante personaggio che ama vestirsi da donna, in maniera molto estrema, con calze nere velate e vestitini succinti e molto colorati, con tanto di rossetto rosso fuoco steso non solo sulla bocca, ma anche al di fuori, a mo’ di clown. Qui a South Beach li conoscono tutti e sono una delle ‘attrazioni’ che si possono vedere lungo la Lincoln. Senza tipi come loro, questo posto non sarebbe lo stesso.

    A me piaceva un sacco sedermi da qualche parte e osservare quel via vai di gente e personaggi strani. Era una finestra sul mondo. Su quel mondo che adoravo.

    Oltre ai personaggi che costituiscono la scena glamour di South Beach, si vede anche qualche bell’esempio di coloro che formano la popolazione stabile di Miami. Una popolazione formata da intraprendenti immigrati dei Caraibi, da ebrei sopravvissuti all’Olocausto e loro discendenti (qui gli ebrei sono il 12% e rappresentano la seconda comunità ebraica degli Stati Uniti dopo quella di New York), da una cospicua comunità gay, e dagli esuberanti redneck (i contadini bianchi degli Stati del sud).

    E in più, quella domenica mattina, c’era anche il mercatino di mobili e oggetti di antiquariato e vintage (che fanno ogni due settimane), un vero e proprio paradiso per gli amanti del genere e soprattutto per tutti gli amanti del kitch¹⁵. C’erano anche delle bancarelle con verdura e frutta prevalentemente tropicale e numerosi prodotti artigianali.

    Mi sentivo nell’animo come una bambina che entra in un negozio di soli giocattoli. Volevo vedere tutto e toccare tutto. E sono straconvinta di avere avuto stampata sul volto quella tipica espressione da ebete, che assumo sempre quando c’è qualcosa che mi rapisce completamente, corredata da tanto di bocca leggermente aperta.

    Capitolo 4

    Money Money Money

    Lavoro → Soldi → Shopping

    Non si può fare a meno di fare shopping a Miami. Per tante ragioni. Una di queste è, per esempio, che grazie alle temperature esterne sempre favorevoli e all’aria condizionata non hai il problema di doverti aggirare tra gli scaffali con un caldo porco dentro al negozio, il cappotto e la borsa che pesano, la sciarpa che penzola e che ci inciampi dentro ad ogni passo, come accade in Italia d’inverno. A Miami puoi sempre fare shopping ‘agilmente’, d’estate e d’inverno, tanto da poter fare razzia di tutto ciò che trovi sotto la scritta clearance (svendita, liquidazione). E clearance, ahimè, lo trovi scritto o-v-u-n-q-u-e e non si può fare a meno di esserne fatalmente attratti.

    Come non commuoversi davanti a una camicia di Ralph Lauren a quindici dollari? O ai mitici jeans Levi’s a trenta dollari? O alle Timberland a settanta dollari? Eccole lì, tutte insieme, le marche che adori… Tommy Hilfiger, Abercrombie, Ralph Lauren, Guess, Timberland, Michael Kors, Woolrich, Levi’s, Lee, Nike e l’impareggiabile, insuperabile, unica Victoria’s Secret… tutte pazzamente scontate al 70%! Ti senti un friccichío in tutto il corpo, una specie di scossetta che ti corre lungo la schiena, la salivazione che aumenta, gli occhi che si spalancano e il respiro che si fa un po’ più veloce e via… cominci a ruspare in quelle file interminabili di magliette, pantaloni, gonne, felpe, jeans, scarpe, lingerie, alla ricerca del modello che ti piace e della tua taglia. E come un automa, guardi, scegli, scarti, prendi e provi, rimetti giù e riprendi soprattutto quando ti accorgi che la tipa accanto a te non sta aspettando altro che tu abbandoni quella maglietta per cui sta sbavando. E allora, anche se non sei convinta, anche se è tre taglie in meno della tua, decidi di tenerla, giusto per fargliela. E compri-compri-compri-compri e quando arrivi alla cassa sei esausta, ma soddisfatta, appagata, felice, riversando le tue prede sul banco. E una dopo l’altra le vedi passare nelle mani della cassiera che ne batte l’importo e te le infila in una grande borsa di plastica, fino all’ultimo capo e dlllingggg… sono cento novantasette dollari. One-hundred-ninty-seven. Ma come? Il conto ti sembrava più basso… mmmmmm… già le sales taxes, merda… non ci pensavo più, fanculo¹⁶.

    Paghi, ti volti e da lontano vedi la tipa alla quale hai fregato la maglietta che le piaceva tanto, che ti guarda ancora incazzata… e lì ti parte un tièèèèèèèèèèèèèè bella mia, che si esterna silenziosamente mediante un mezzo ghigno che ti fa subito dimenticare le sales taxes e tornare a casa vincente con il tuo bottino. Ma ahimè… una volta arrivata a casa ti accorgi che nel tuo minuscolo appartamento (che poi è lo standard in America), non c’è più posto per niente. Il tuo microscopico closet scoppia e hai già una marea di vestiti (alcuni ancora con il cartellino attaccato) e scarpe di ogni colore e forma; oggetti appoggiati ovunque per casa, sul divano, in bagno, sopra il frigorifero, sul tavolo, in un angolo del letto, in terra, sul balcone (per chi ce l’ha), ovunque ci siano due centimetri a disposizione. E il tuo mini appartamento si trasforma in una specie di ministore (magazzino) da svuotare quanto prima.

    Se hai la fortuna di tornare in Italia per le vacanze di Natale, puoi metterne un po’ nella valigia da regalare alle amiche (meglio quei capi che hanno ancora il cartellino ma, se non indossati, anche quelli che non ce l’hanno più!), altrimenti puoi riempire un paio di borse e portarle alla tua homeless preferita, quella che ti saluta sempre quando le passi davanti, che ti augura buona giornata, quella che non ti chiede mai niente, neanche un cent, ma ti sorride sempre. Ne sarà felice.

    E comunque, dicevamo che per fare shopping ci vogliono i soldi e per avere i soldi ci vuole un lavoro.

    Invidio le russe che qui a Miami non hanno questo problema… basta andare a Bal Harbour¹⁷, dove il lusso-russo regna sovrano, per rendersene conto. Vivono lì o a Sunny Isles Beaches, hanno macchine cabrio da capogiro, borse firmatissime, scarpe che costano come gioielli e gioielli che costano come appartamenti, e il trio labbra-tette-culo siliconato a dovere. Eh sì… loro, la Yolanda, la danno via come il pane, ma per cifre da capogiro…

    Era arrivato quindi il momento di capire come sopravvivere economicamente nel paese dei balocchi, senza dover diventare una signorina olè olè. Semplice, per risolvere il problema dovevo lavorare, ma non potevo farlo in modo legittimo. E vi spiego subito il perché.

    Secondo la legge americana, se entri negli Stati Uniti con un visto da turista, il limite massimo di permanenza è di novanta giorni durante i quali NON puoi assolutamente lavorare regolarmente. Per poter lavorare negli USA devi prima avere un contratto di lavoro con un’azienda americana, che deve spiegare il perché ha bisogno, per quel lavoro, di uno straniero e non può trovare in America qualcuno che lo possa fare. L’azienda americana ti deve poi mandare il contratto (con il quale si impegna nei confronti dell’amministrazione USA per tuo conto, dal punto di vista civile e penale). Con quel contratto poi vai al consolato USA in Italia e chiedi il visto per poter lavorare (e quindi vivere) in America. Non ci sono altri modi, a meno che non si voglia essere rispediti in Italia a calci nel sedere. Se provi a rimanere in USA oltre i tempi del visto turistico, o peggio a lavorare illegalmente, e ti beccano, ti trovi subito (nei casi felici) deportata ed espulsa dal paese. Il che significa che in America non ci torni più per almeno dieci anni!

    OH MY GOD, nooooo, dieci lunghissimi, interminabili anni senza poter tornare

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