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Un amore quasi perfetto
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E-book237 pagine3 ore

Un amore quasi perfetto

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Info su questo ebook

Un amore quasi perfetto è una storia che, nel suo svolgersi, può sembrare universale: è la storia che abbiamo sentito da una nostra amica, sedute al tavolino di un caffè, una storia che abbiamo forse raccontato anche noi, ma poi… poi gli eventi prendono una piega inaspettata: attraverso la riflessione e la conoscenza di se stessi i protagonisti compiono scelte niente affatto scontate, talvolta difficili, ma sempre più consapevoli, fino a giungere a quel finale che tutti sogniamo. Un percorso difficoltoso, paragonabile all’ascensione di una montagna: un sentiero talvolta aspro e faticoso, ma con inaspettati luoghi di riposo e un paesaggio, alla fine, che ripaga di ogni fatica.

Maria Iolanda Volante è nata a Erice (Trapani) nel 1953, trevigiana d’adozione, vive a Roma da oltre vent’anni. Laureata in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Padova, ha insegnato per diversi anni. Nutrendo un vivo interesse per gli aspetti relazionali e comunicativi dell’insegnamento, ha proseguito negli studi e nella formazione che le hanno consentito di ricoprire diversi incarichi in ambito psicopedagogico e realizzare progetti di ricerca educativa. Ha redatto diverse pubblicazioni su riviste di settore.
Un amore quasi perfetto è la sua prima opera narrativa.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830676176
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    Un amore quasi perfetto - Maria Iolanda Volante

    I – Sara rievoca il passato

    Io, Sara Ferri, quarantenne, medico specializzato in chirurgia generale, con un dottorato di ricerca presso l’università della capitale e un’esperienza da ricercatrice, svolgevo la professione in un ospedale della capitale: una situazione soddisfacente dal punto di vista lavorativo, benché precaria. Volgendo uno sguardo al mio futuro di medico chirurgo lo vedevo sicuramente roseo e con possibili sviluppi positivi; non potevo dire altrettanto per quanto riguardava la vita affettiva che era, di fatto, da considerare un sicuro fallimento.

    Avevo fatto dell’intelligenza e del rigore scientifico lo stile per condurre la mia vita e realizzare dei sogni che, in gran parte, si erano realizzati. Ma ora mi ritrovavo spiazzata da una realtà che sfuggiva ad ogni regola, ad ogni previsione. Del resto, come avevo potuto confondere i sentimenti con la ragione? Io che avevo sempre osservato, catalogato, fatto ipotesi, verificato, ora dovevo fare i conti con una realtà che mi disorientava e che, francamente, non ero più in grado di controllare. Ero arrivata al punto di confessare che la mia era stata presunzione: volere fortemente un amore che non avevo saputo leggere e comprendere nelle sue emozioni, nelle sue anomalie.

    Mi ritenevo dispensata dalla sofferenza e dal disprezzo e, invece, ne sono stata travolta. Mi sentivo danneggiata da una situazione che mi faceva sentire superstite a un linciaggio fatto di incomprensioni, delusioni, ricatti. Questa storia avrebbe finito per distruggermi completamente.

    Fortunatamente mi stavo riappropriando della lucidità che avevo perso del tutto: sarà l’effetto di un certo spirito di conservazione, comunque mi avrebbe aiutato a rimettermi in piedi, a comprendere chiaramente le motivazioni, le cause, della storia che stavo vivendo.

    Dovevo ammettere che avevo commesso degli errori imperdonabili, peccando d’ingenuità nel ritenere di poter cambiare un uomo con la mia sola presenza, oltre ad avere concesso fin troppo tempo e troppo agio di approfittarsi di me. Dovevo cercare solo di limitare i danni di una convivenza con quello che credevo un grande amore e che aveva operato su di me soltanto devastazione.

    Pensavo fosse arrivato il momento di agire e per poterlo fare avrei avuto bisogno di tutta la calma e di tutta la saggezza di cui disponevo. Sarebbe stato necessario fare una verifica delle proprie risorse, adottare una strategia utile in vista di decisioni responsabili ed appropriate.

    Mi sentivo favorita dal fatto di volermi fin troppo bene per finire con l’annientarmi del tutto con un uomo simile. Nutrivo un profondo amore per me stessa, per la vita, per tutto ciò che è positivo nelle persone, nella natura, per pensare di soccombere a tale sporcizia che avrebbe finito col contaminare anche me.

    Avevo avuto a che fare con un uomo geniale la cui vivacità d’intuito era stata sfruttata da lui per l’unico scopo che rappresentasse un interesse: quello di realizzare una carriera brillante. Un’intelligenza pronta e acuta gli aveva consentito di comprendere con immediatezza fatti e situazioni che non oltrepassassero il ristretto ambito dei propri interessi, dei propri successi professionali, della propria affermazione sociale. Un talento così evidente mi aveva confusa facendomi erroneamente ritenere che un uomo autorevole e dotato fosse, per analogia, maturo anche da un punto di vista umano e relazionale, ma mi sbagliavo. Mi ero imbattuta in un uomo che aveva dimostrato un’estrema desolazione spirituale, una limitatezza d’animo che aveva messo in luce, giorno dopo giorno, un’immensa fragilità. La sua vulnerabilità si era manifestata poco alla volta attraverso toni e situazioni diversi, confermando una concezione miope e ristretta dei rapporti che intercorrono tra le persone e degli affetti che hanno deluso ogni mia aspettativa, ogni mia idea di rapporto amoroso.

    Avevo sentito dire, una volta, che dietro ad ogni genialità si nasconda una grande fragilità: da questa io intendo prendere le distanze.

    Eseguire profondi respiri consente una sicura ossigenazione, oltre a concedere una leggera sensazione di rilassamento, cosa di cui avevo necessità. Pertanto, decisi come potevo di allungarmi, sebbene fossi ancora rannicchiata sul bordo di una panchina del parco e mi sentissi intorpidita dall’immobilità in cui mi trovavo già da un pezzo. Mi raggiunse un profumo di piante umide e di terra bagnata. Notai che questa, forse, era la prima sensazione piacevole di una giornata tormentata, quindi respirai per prendere più aria possibile. Il contatto con la natura, come sempre, mi fece sentire più viva, incoraggiandomi, come già in altre situazioni e infondendomi ottimismo e senso di realtà, aiutandomi ad essere più determinata, cosa di cui avevo bisogno per riuscire ad andare fino in fondo a questa storia.

    Ero consapevole del fatto che quando si vive una storia coinvolgente possano sfuggire molti particolari che fanno vivere le esperienze in modo superficiale. Avevo bisogno di rivedere tutto della mia storia con Marco per raggiungere maggiore consapevolezza a ciò che era sfuggito alla mia comprensione.

    Pensavo mi fosse utile rivedere i fatti più significativi, magari copiando dalla tecnica cinematografica della moviola che consente di analizzare ogni fotogramma, isolandolo dal contesto per conseguire maggiore coscienza e comprensione di un fatto o di un’azione che, colta nell’insieme delle altre immagini, non ne focalizza il significato. Ciò sarebbe servito ad aiutarmi per inquadrare la mia storia sentimentale, comprenderne ogni sfumatura e rileggere tutto dall’inizio.

    Non potevo fare a meno di riconoscermi la solita tendenza incontrollata a razionalizzare ogni situazione che ricopriva un certo interesse seguendo un ordine, un metodo. Questo ultimo pensiero mi strappò un sorriso di compiacimento.

    Ecco, dunque, la storia che mi volevo raccontare dal principio, quando anni addietro io e la mia amica Lidia arrivammo nella capitale per frequentare l’università. Tutto l’ambiente ci era nuovo.

    Tutte le difficoltà degli inizi furono vissute da noi con un senso di novità ed entusiasmo. Quella era la prima nostra esperienza di vita fuori casa, lontano dalle famiglie e con il desiderio di evadere dalla sonnolenta provincia per vivere in una grande città piena di attrattive, ciò rappresentava un’esperienza esaltante, carica di aspettative.

    Insieme avevamo cercato un appartamentino più vicino possibile all’ateneo. Dopo una lunga ricerca c’eravamo alla fine imbattute in un alloggio che rispondeva alle nostre esigenze, dal costo compatibile alle nostre possibilità. Avevamo organizzato al meglio la situazione logistica, quando ancora l’università era deserta perché non erano iniziati i corsi per noi matricole, eravamo già impegnate a sistemare e a migliorare un alloggio che, con tutta la nostra fantasia ed impegno, non poteva che risultare appena decente. Tuttavia, anche se i fondi stanziati dalle rispettive famiglie non consentivano spese eccessive, facemmo del nostro meglio per renderlo accogliente acquistando arredi e oggetti carini del noto colosso svedese dell’arredamento a buon mercato, mescolandoli con arredi che avevano dato un tocco più caldo e accogliente al piccolo appartamento e utilizzando al meglio gli spazi dedicati per lo studio individuale, per il consumo dei pasti, per il riposo.

    Assaporavamo entrambe il momento tanto atteso di varcare la soglia delle facoltà che avevamo scelto e di provvedere, in questo modo, a dare una svolta alla nostra vita e al nostro futuro.

    Rammentavo come fossero spensierati i primi tempi di convivenza con Lidia, con la quale avevo un rapporto speciale. Oltre ad essere la mia confidente, era la persona con cui stavo condividendo il sogno di una nuova vita. Conosceva di me ogni segreto ed era l’unica persona capace di leggermi intimamente, la sua presenza era rassicurante: mi incoraggiava tutte le volte in cui mi trovavo in difficoltà. Spesso discutevamo animatamente perché Lidia, a parer mio, aveva una visione della vita troppo disincantata. A volte si finiva in discussioni interminabili in cui l’accusavo di essere disarmante e smaliziata, mentre lei ribatteva attribuendomi un’ingenuità insidiosa, addirittura potenzialmente pericolosa, come diceva canzonandomi. Ma poi si finiva sempre con l’assolverci a vicenda, riconoscendo che essere amiche non significasse necessariamente avere le stesse idee, la stessa indole.

    Avrei capito solo in seguito quanto fossero vere certe sue considerazioni che mal sopportavo. Lidia aveva intravisto, nella mia storia, situazioni che non immaginavo nemmeno lontanamente potessero succedere. Mi aveva parlato con la sua solita schiettezza che avevo scambiato per arroganza. Per questo motivo, dopo l’università, l’avevo allontanata poco alla volta. Avevo ritenuto si fosse intromessa nelle mie faccende personali senza che mi sfiorasse l’idea che potesse dirmi una verità che io mi ostinavo a non vedere.

    Adesso me ne rammarico: capivo solo ora che voleva mettermi in guardia, aiutarmi, senza che io afferrassi nulla di tutto ciò che cercava di farmi comprendere. Avevo travisato completamente tutto, ritenevo perfino che parlasse per gelosia: avevo attribuito significati inesistenti, reali soltanto nella mia mente. Se almeno avessi avuto la pazienza di ascoltarla, di cercare cosa di vero ci fosse nelle sue osservazioni, mi sarei risparmiata tanto dolore.

    In seguito avrei provato un sentimento di dispiacere per averla allontanata e per averle inflitto un distacco che non aveva voluto. Mi sarebbe stata accanto: sarebbe stata di conforto la sua presenza e preziosa per ricostruire la mia strana storia. Sentivo di non poter fare a meno della sua distaccata schiettezza, dei suoi consigli disincantati. Mi manvacano il suo intuito, la sua saggezza, il suo giudizio. Conclusi che l’avrei chiamata presto. Il solo pensiero mi sollevò e mi ritrovai, senza accorgermene, ad accennare ad un sorriso ripensando al fatto che, per schernirla, ai tempi del liceo, le dicevo che parlava come un’acuta psicologa, cosa che poi era diventata.

    Ma tornando col pensiero alla ricostruzione della mia vicenda, mi rivedo negli anni successivi in cui seguivo con impegno le lezioni. Furono tempi caratterizzati da uno studio intenso e da una profonda determinazione che mi consentirono di rispettare fedelmente il piano di studi in vista della mia futura professione di medico chirurgo.

    Avevo dalla mia parte tutto l’entusiasmo della mia giovane età, la risoluta fermezza dei miei intenti, l’intelligenza per voler raggiungere la meta e superare ogni ostacolo che si sarebbe frapposto fra me e quel traguardo.

    «Con la nostra determinazione e l’impegno arriveremo a fare cose folli, Lidia! Già ti vedo affermata professionista psicologa molto richiesta per i tuoi sapienti pareri a pazienti … psicolabili!», le dicevo per divertirmi un po’ nel prenderla in giro.

    «Ti stai prendendo gioco di me, Sara. Secondo il mio parere, tra le due, sei sicuramente tu quella più attrezzata per avere successo, e non solo perché sei una gran secchiona, ma perché sei anche attraente, cosa che può fare la differenza. Ma lo vedi come riesci a catturare l’attenzione di tutti gli studenti? Tu non passi inosservata, mia cara!».

    Io le rispondevo che non sarebbe certo bastato essere carina per diventare medico chirurgo come sognavo di diventare, e poi essere attraente in molti casi può rivelarsi niente affatto un vantaggio, anzi.

    In effetti, i miei compagni di università facevano a gara per potersi sedere accanto a me durante le lezioni. Ero una ragazza che aveva più il problema di dover tenere lontani gli uomini, che di attirarli, come si dava un gran da fare la maggioranza delle mie coetanee.

    Il fatto che fossi attraente era dovuto sicuramente agli occhi chiari che avevo, ai lunghi capelli biondi, ma soprattutto per le mie curve armoniose e dirompenti che esercitavano una formidabile attrazione verso il sesso che io definivo debole, cioè gli uomini, e che cercavo di minimizzare sotto indumenti castigati. Come spesso mi diceva Lidia: «Riesci ad essere sexy anche con una tuta da ginnastica e senza trucco. Devo riconoscere che la femminilità è innata. Ci sono donne che s’impegnano a fondo per fare colpo, con abiti succinti e trucco pesante, ma per molte di loro è tutto inutile. Il risultato è pietoso se non si ha la femminilità dentro, come ce l’hai tu!». Cosa intendesse veramente, non l’ho mai capito, ma probabilmente era proprio così, a giudicare dai numerosi consensi maschili che raccoglievo.

    Ricordo che, negli anni dell’adolescenza, i miei vistosi attributi fisici mi avevano condizionata a tal punto da diventare timida e schiva con le persone in genere, ma soprattutto con quelle dell’altro sesso. Col tempo acquistai maggiore sicurezza, quel tanto che mi consentì di avere un buon rapporto con il mio corpo e arrivai a gradire perfino garbati apprezzamenti, anche se dovevo riconoscere che non mi era mai piaciuto mettermi troppo in evidenza tra la gente.

    Se pensavo alle circostanze in cui mi era capitato di espormi in pubblico, era sempre stato durante le assemblee di scuola, ai dibattiti a cui partecipavo o all’associazione che frequentavo. Malgrado la mia ritrosia a mettermi in mostra, in alcuni casi mi era capitato di prendere la parola senza alcuna incertezza perché incoraggiata dal fatto di seguire un ragionamento, dal sostenere un’argomentazione e dal pervenire a delle conclusioni. Solo in questi casi ero motivata ad esibirmi, altra cosa sarebbe stata farsi notare per il solo aspetto esteriore. Similmente, molte delle mie coetanee si affannavano ad imporsi attraverso un’accurata ricerca di abiti ed accessori alla moda che attiravano, inevitabilmente, gli sguardi, insistenti, quasi molesti, di molti uomini. Cosa che non le infastidiva affatto, anzi facevano di tutto per sollecitarne gli sguardi, per trarne una certa soddisfazione, sia pur effimera. Un piacere passeggero che probabilmente serviva a confermare un’immagine di donna conquistatrice, forse emancipata. Per molte delle mie compagne era importante accumulare apprezzamenti, comunque e in qualsiasi modo, come fosse un gioco per cui accumulare non punti, ma approvazioni. Proprio come si fa assegnando i cosiddetti like destinati agli influencer che condizionano scelte e comportamenti di utenti, o malcapitati, usando la strategia dell’essere scelti e approvati per far girare un vero e proprio sistema economico. Cosa diversa è per chi si esibisce in atteggiamenti provocanti: ciò ha a che fare con il bisogno di essere apprezzati e raggiungere una soddisfazione, una ricompensa, forse, per arginare una limitata stima di sé, o per favorire un senso di inclusione che molte giovani donne non riescono a soddisfare. Si può concludere che molte di queste coetanee stavano attuando, alla fine, soltanto una strategia di comunicazione, sia pure discutibile.

    Ripensando ai tempi trascorsi, rivivevo l’emozione del conseguimento della laurea magistrale in medicina alla fine dei primi interminabili anni di studi. Ero soddisfatta del mio primo e concreto successo. Per l’occasione ero tornata nella mia città dove parenti e amici si erano stretti intorno per dimostrarmi il loro affetto e il loro sostegno per la tanto desiderata meta. Tutti erano orgogliosi di me, e sentivo che la mia vita stava prendendo una piega che mi piaceva.

    Potevo pensare di progettare il mio futuro con maggiore sicurezza e ambizione. Mi sembrava di primaria importanza portare a termine gli studi. Quando mi chiedevano se, da un punto di vista sentimentale, ci fosse qualcuno con cui progettare una vita in comune, io rispondevo che ci avrei pensato solo in un secondo momento. Il pensiero di una vita affettiva stabile non rappresentava una priorità. Aggiungevo che ci avrei pensato a tempo debito, avevo altri programmi, come quello di affrontare un nuovo ciclo di studi, la specializzazione in chirurgia generale.

    Avevo scelto questa strada perché era quello che avevo sempre desiderato fare, anche se in molti avevano tentato di dissuadermi suggerendomi che sarebbe stato un impegno estremamente gravoso e di alta responsabilità. Di questo ero consapevole, ma ero pure profondamente motivata a frequentare la sala operatoria e tutto ciò che apparteneva a quel mondo. Nel corso delle prime lezioni in sala operatoria alcuni dei miei colleghi accusarono dei seri malori nell’affrontare la dura esperienza di vedere un addome completamente aperto in cui mani laboriose vi si introducevano e ne uscivano con guanti insanguinati. Diversi compagni di studi, dopo aver assistito ad uno di questi interventi, avevano in seguito deciso di cambiare indirizzo di studi. Io, al contrario, ne rimanevo meravigliata: aumentava in me sempre più la curiosità di conoscere e di capire più a fondo come funzionasse un corpo umano.

    Mi sorpresi a sorridere nel richiamare alla mente i primi giorni di lezione all’istituto di chirurgia generale. Era piacevole intrattenersi dopo le lezioni a discutere con gli altri studenti sugli argomenti trattati nel corso delle lezioni, e non mancavano i commenti sui professori e i loro insegnamenti. Consideravamo quali, tra loro, fossero più competenti, valutavamo chi si esprimesse meglio, quali fossero i più disponibili, i più affabili. Noi studenti eravamo curiosi di conoscerli meglio. Ci informavamo sulle loro esperienze professionali, sulle ricerche che avevano svolto, sulle esperienze condotte con università straniere. Queste informazioni completavano il quadro sui vari professori al fine di conoscerli meglio.

    In una di quelle giornate in cui avevamo particolarmente voglia di ridere per rilassarci dopo una giornata di impegni gravosi, avevamo stilato una classifica dei professori che svolgevano le varie lezioni. Nulla a che vedere col sistema di valutazione dell’università che segue criteri dal profilo scientifico: i nostri giudizi erano formulati sulla base di notizie di corridoio e dal grado di gradimento di noi studentesse. In questo curioso elenco erano piazzati i professori secondo il livello di gradimento. Naturalmente, la percezione delle studentesse era il criterio base di ogni valutazione che si concretizzava in una scala con tanto di punteggio che esprimesse il grado di soddisfazione. Seguivano spassose dispute per l’attribuzione del punteggio ai docenti che, malgrado un rispettoso curriculum, dimostrassero una scarsa prestanza fisica e che garantiva loro un inevitabile punteggio impietosamente misero.

    A parte queste divertenti parentesi, che rendevano piacevole l’impegnativa vita universitaria, si seguivano i corsi con diligenza costante e uno studio intenso.

    Dovevo constatare che richiamare alla memoria alcuni fatti del passato mi restituiva una certa energia, oltre a darmi l’opportunità di rivivere divertenti episodi che non avrei mai pensato di ricordare. Mi compiacevo per aver iniziato a passare in rassegna il mio passato, notando che in ogni esperienza, per quanto complicata, possa sempre comparire un barlume di allegria

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