Io non salgo sul treno dei pazzi, lo guido!
Di Sheyla Barca
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Info su questo ebook
Questa è la sua denuncia.
Sheyla Barca nasce a Vigevano e vive a Cassolnovo, ma si allontana in fretta da un contesto che le sta troppo stretto e le tarpa le ali. Nel corso della sua vita affronta molte difficoltà, ma sono proprio queste a renderla la donna sensibile e forte che si batte contro le ingiustizie di una società troppo indifferente e che tende una mano a chi ne ha più bisogno. Tra i suoi impegni lavorativi e le iniziative benefiche, si ritaglia il tempo di realizzare questo libro, che denuncia una realtà ormai intollerabile e impossibile da ignorare, che ha toccato da vicino lei e la sua famiglia, come tante altre persone rimaste ancora in silenzio.
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Anteprima del libro
Io non salgo sul treno dei pazzi, lo guido! - Sheyla Barca
Sheyla Barca
Io non salgo sul treno dei pazzi, lo guido!
© 2024 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-4659-3
I edizione gennaio 2024
Finito di stampare nel mese di gennaio 2024
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
Io non salgo sul treno dei pazzi, lo guido!
1
Negli ultimi anni ho riempito pagine e pagine di diario, righe fittissime di inchiostro blu che riportano fedelmente ogni mia sfumatura, ogni singolo stato d’animo, tutto in quella scrittura tonda e veloce che è diventata il mio marchio di fabbrica.
Ho sempre scritto per me stessa, per buttare fuori quello che tenevo dentro, tutti i segreti che custodivo gelosamente e che non mi sentivo pronta a condividere con nessuno. Ho impiegato tanto tempo per trovare il coraggio di aprirmi nuovamente al mondo, quel mondo che mi aveva ferita così nel profondo e che faceva paura, troppa perché potessi concedermi una seconda possibilità.
Restare in quello stato di isolamento sarebbe stato più facile, avrei potuto chiudere a doppia mandata la porta del mio cuore ed impedire l’accesso a chiunque provasse a scalfire le mie difese. Sarei rimasta sola, certo, ma non avrei più sofferto, o almeno questo è ciò che pensavo, la certezza a cui mi sono tenuta stessa per tenere lontano il dolore. Poi però, grazie ad un lungo e profondo lavoro su me stessa, sono arrivata a capire che quello non era il mio posto; non solo perché desideravo ardentemente la vicinanza del prossimo, ma soprattutto perché sentivo di poter fare la differenza per gli altri.
È con questo spirito che affronto quest’avventura, scrivendo un libro che mi metterà totalmente a nudo, rivelando aspetti della mia vita che sono stati causa di una profonda sofferenza, ma che sono certa potranno aiutare quanti hanno subito la mia stessa sorte.
So che molte di queste persone – proprio come ho fatto io per tanto tempo – staranno pensando di aver trovato la soluzione nell’oblio, nel distacco completo dalla propria famiglia, dagli affetti e dalle amicizie, ritenendo erroneamente di non poter trovare conforto e comprensione in niente e nessuno.
La vergogna e il senso di colpa paralizzano e ci rendono incapaci di scorgere la verità che abbiamo di fronte agli occhi, ovvero che niente di quello che è accaduto è colpa nostra.
Il trauma che ho subito alla tenera età di otto anni mi ha convinta di essere sbagliata, sporca e colpevole, mi ha fatto pensare di aver meritato quella punizione, di essermela andata a cercare, come piace ripetere a tanti. Ma quale colpa può avere una bambina che gioca con i suoi amici? Perché dovrebbe meritare l’orrore perpetrato su di lei da parte di chi si è approfittato della sua ingenuità?
Trascorriamo una vita a credere di essere al sicuro, protetti da quelle figure rassicuranti che sono gli adulti, e poi, all’improvviso, quel muro di falsità crolla completamente e così ci ritroviamo tra le macerie delle nostre stupide convinzioni, senza fiato né forza per poter piangere.
Quando decisi di seguire quell’uomo dal sorriso gentile, ero ancora sicura che il mondo non fosse altro che un enorme parco giochi dove, per pura fortuna, avevo incontrato una persona dai modi affabili, pronta a mostrarmi il pappagallino che teneva nel suo appartamento, un animaletto tutto piume e cinguettii che aveva il mio stesso nome.
Fantasia ed ingenuità si sono rivelate deleterie, ma sfido chiunque a negare che ogni bambino possieda queste due prerogative in quantità industriali. Sono il loro più grande pregio e sfortunatamente il peggior difetto, ma questa è una realtà impossibile da cambiare, perché i bimbi sono fatti di sogni, energia e un pizzico di paura. Ma di timori io ne avevo ben pochi, ero una ragazzina solare e curiosa, quindi non mi feci troppi problemi all’idea di scoprire qualcosa di nuovo.
È triste pensare come quell’esperienza mi abbia segnata. Stravolgendo di fatto tutta la mia vita e il mio intero essere. Una volta entrata in quella casa, niente fu più lo stesso, di certo io non fui più la stessa Sheyla, e le mani di quell’uomo non avrebbero più lasciato la mia pelle.
Violenza sessuale.
Fa male scriverlo e ancora di più riviverlo nella mia mente.
Fu devastante, un’esperienza così sconvolgente nel suo orrore da lasciarmi priva di energie ancora oggi.
Ricordo di essere riuscita a sfuggire al mio aguzzino, di essere scappata lontano da quella trappola costruita appositamente per me, e di aver fatto ritorno a casa né più assoluto silenzio.
Non trovavo risposte alle domande dei miei genitori, nemmeno a quelle più semplici. Non ero in grado di raccontare la mia giornata, di riferire come fosse andata con i miei amici o a scuola; tutte quelle domande mi rimbombavano nella testa ma io non avevo voce per soddisfarle. Quello fu l’inizio del mio periodo di silenzio, un lasso di tempo che mi vide abbandonare la mia natura briosa e vivace per cedere il posto a una versione di me cupa e solitaria.
Purtroppo accade alla maggior parte delle vittime di molestie e solo dopo anni e un grande aiuto da parte di specialisti, sono arrivata ad ammettere che non esiste nulla di più sbagliato.
Ci puniamo perché la società indirettamente ci insegna che la colpa è delle vittime. Passiamo tutta la vita ad ascoltare commenti su come fosse vestita quella ragazza assalita dal branco, su quanto avesse bevuto, sul locale che aveva deciso di frequentare quella sera e tutta un’infinita serie di sciocchezze che ha la presunzione di puntare il dito, incolpando la vittima anziché l’aguzzino.
In un simile contesto, è impossibile pensare di parlare dell’accaduto, di condividere la propria sofferenza, figuriamoci denunciare l’abuso subito!
La verità è che temiamo il giudizio, abbiamo paura di essere ostracizzati dalla nostra comunità, di subire un isolamento che non ammette repliche, e alla fine preferiamo spegnerci lentamente, sotto lo sguardo impotente di chi ci ama.
È stato così anche per i miei genitori. Hanno assistito al mio cambiamento senza riuscire a capirne il motivo, sentendosi inutili e struggendosi al pensiero di non poter fare niente per aiutarmi.
Hanno sopportato i miei silenzi, pesanti come macigni, la mia solitudine forzata e perfino i disturbi alimentari che hanno minato tanto il mio fisico quanto la mia mente.
Ero l’ombra di me stessa, ma come