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Chimica prebiotica ed origine della vita
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E-book341 pagine3 ore

Chimica prebiotica ed origine della vita

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Info su questo ebook

Frutto di venticinque anni di ricerche sperimentali e dieci anni di studi bibliografici, quest'opera esplora l'intrigante ipotesi dell'origine abiotica della vita. Partendo da semplici amminoacidi, elementi fondamentali delle proteine, il libro svela come queste molecole, presenti fin dall'epoca prebiotica e rinvenute in meteoriti antichi, potrebbero aver giocato un ruolo cruciale nell'evoluzione della vita.

Con un focus particolare sulla chiralità degli amminoacidi, ovvero la loro esistenza in forme speculare Destro e Levo, l'autore indaga il cruciale mistero della loro separazione e della predominanza della forma Sinistra (L) in tutti gli organismi viventi. Il testo apre un intrigante dibattito su come questa separazione sia potuta avvenire alle origini stesse della vita e su quale sia stato il destino della forma Destra.

Inoltre, il saggio si spinge oltre, proponendo una teoria sull'origine del codice genetico, sulla selezione dei 20 amminoacidi naturali tra centinaia conosciuti, e su una teoria fisica della mente nei batteri. "Chimica Prebiotica e Origine della Vita" non è solo un viaggio attraverso le complessità della chimica e della biologia molecolare, ma anche un'esplorazione affascinante delle più profonde domande sull'esistenza e l'evoluzione della vita.
LinguaItaliano
Data di uscita15 gen 2024
ISBN9791221461626
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    Anteprima del libro

    Chimica prebiotica ed origine della vita - Giovanni Occhipinti

    Introduzione

    Nel 1979 Ilya Prigogine vinse il premio Nobel per i suoi studi sui sistemi lontani dall’equilibrio termodinamico.

    Nel 1982 quando arrivai alla Magistri Cumacini non si era ancora spenta l’eco della sua teoria sull’origine della vita.

    Con i miei studenti abbiamo discusso sulla instabilità di Benard, strutture dissipative e reazioni oscillanti. Visto l’interesse degli allievi abbiamo deciso di ordinare i reagenti per questo tipo di reazioni.

    Le reazioni oscillanti li ho fatte solo dopo circa vent’anni.

    Alcune osservazioni sulle tensioni interfacciali ed i fenomeni elettrici ad esse collegate, mi portarono molto lontano dalle idee di Prigogine.

    L’appendice 1 tratta appunto il risultato di queste osservazioni presentato, da tre studenti della Magistri Cumacini, al concorso internazionale della Philips.

    Da questo lavoro, da queste semplici osservazioni, ha avuto origine la ricerca contenuta in questo libro.

    Nel 1984 iniziai la costruzione dell’apparecchio per la misura dei potenziali di flusso. Il mio scopo era di verificare se i doppi strati elettrici di argilla, sabbia, vetro a contatto con soluzioni avrebbero accumulato, al loro interno, gli amminoacidi.

    Un simile evento avrebbe potuto essere un forte indizio su dove e come abbia avuto origine la vita.

    La costruzione dell’apparecchio, la sua messa in opera e individuare le condizioni chimico-fisiche degli esperimenti, hanno necessitato molto più tempo di quanto avevo previsto.

    Gli esperimenti con argilla e sabbia non hanno dato risultati attendibili, mentre con diaframma di vetro non si sono ottenuti risultati utili.

    Ho sospeso gli esperimenti fino a quando ebbi l’idea, dopo circa due anni, di utilizzare diaframmi di quarzo.

    Nell’estate del 2001 ho letto su Le Scienze un articolo su L’acqua nel sistema solare di Thérèse Encrenaz. Ho appreso così che le molecole di acqua non sono tutte uguali; non si finisce mai di imparare. Da quel giorno non mi ha più abbandonato l’idea che il problema dell’asimmetria molecolare degli organismi viventi fosse un problema deterministico e legato al mondo inorganico.

    Così iniziava la prefazione alla 1ª Edizione.

    Dal 1984 al 2009 ero concentrato principalmente nella ricerca sperimentale. Così nell’edizione del 2010 alcuni problemi importanti, in particolare l’origine del codice genetico, del proto-organismo, della discendenza e della mente, li avevo lasciati sottotraccia. Nei dieci anni che sono passati dalla pubblicazione l’unica ricerca significativa, riguardo all’origine della vita, è stata la formazione dei costituenti degli acidi nucleici in presenza di argilla pubblicata da due ricercatori italiani. Durante questo lungo periodo ho avuto modo di riflettere e di leggere molto. Mi aspettavo, in particolare, di trovare nella letteratura scientifica delle ipotesi robuste in riferimento ai problemi suddetti. Fui sorpreso di scoprire che malgrado molto fosse stato scritto alla fine valeva ancora quanto riferito da Niels Eldredge: «Concordo con George Williams quando afferma che i problemi scientifici non vengono tanto risolti quanto tranquillamente abbandonati a favore di qualche nuovo insieme di questioni che sopraggiungono ad assorbire l’interesse di una disciplina».

    A livello molecolare la vita utilizza le stesse molecole in quantità e qualità, e della stessa simmetria sia per le proteine che per il genoma. Ciò ha portato gli scienziati a concludere che tutti gli organismi estinti e viventi sul nostro pianeta discendono da un singolo organismo vivente ancestrale: il progenitore universale. Questo spiegherebbe anche una verità indiscutibile: la vita è unitaria.

    Ma la vita non è unitaria solo a livello molecolare, la vita è unitaria in tutte le sue manifestazioni. Tutti gli organismi viventi sono in possesso di metabolismo, si evolvono e tutti, dagli organismi superiori ai microorganismi, posseggono due caratteristiche fondamentali: l’istino alla sopravvivenza e la mente.

    Mi sono così avventurato a dare una risposta ai problemi sopra elencati. Nel complesso è venuto fuori un quadro organico dell’origine della vita dalle molecole semplici alla cellula attraverso le leggi della natura.

    In questa edizione ho cercato di rendere gli argomenti, in particolare quelli di chimico-fisica, quanto più semplici possibile eliminando quasi tutte le equazioni matematiche e arricchendo gli argomenti con esempi di vita quotidiana. Sono state inserite molte immagini per aiutare il lettore nella comprensione dei processi e anche alcune formule di composti chimici ma solo per far comprendere al lettore quanto complessi sono alcune molecole, in particolare i costituenti degli acidi nucleici. I diversi capitoli contengono delle ripetizioni anche di immagini e ciò per render ogni capitolo parzialmente indipendenti dagli altri, per poi permettere, al lettore, di scoprire l’unità del tutto.

    Per concludere avrei da ringraziare tanti colleghi e tecnici di laboratorio per il loro enorme contributo critico e pratico.

    Un ringraziamento particolare va ancora una volta al Preside della Magistri Cumacini, Ing. Enrico Tedoldi, che mi ha messo a disposizione il locale dove ho svolto i miei esperimenti dimostrando sempre interesse e fiducia nel mio lavoro.

    Confermo la dedica della 1ª Edizione ai miei studenti con i quali ho trascorso parte del mio tempo migliore.

    Capitolo 1.

    Ma la vita che cos’è?

    Prima di affrontare l'argomento, forse vale la pena fare una brevissima premessa.

    La definizione del concetto di vita e di vivente è naturalmente una impresa molto ardua e sono sempre possibili imprecisioni e fraintendimenti. A volte, nell'intento - magari lodevole di essere precisi e rigorosi - si finisce per correre il rischio di essere dogmatici e di cadere in conclusioni paradossali, quali quelli che portano a dubitare della qualifica di vivente del mulo soltanto perché è sterile e non può riprodursi.

    Quelle che seguono sono dunque considerazione che hanno un fine prevalentemente terminologico (quello di evitare che nella discussione si faccia uso di termini uguali, attribuendo loro significati diversi) e metodologico (quello di circoscrivere la trattazione dell'argomento all'ambito strettamente scientifico-sperimentale).

    Se si osservano un cane che abbaia e un sasso sappiamo subito riconoscere cosa è vivo e cosa inanimato. Dare però una definizione scientifica conclusiva che distingua i viventi dal mondo inanimato cioè come definire la vita, per mezzo di osservazioni macroscopiche e di senso comune, è un’impresa difficile.

    Intorno agli anni Settanta del secolo scorso, si inizia a fare una lista delle caratteristiche del vivente. Così, organismo vivente era considerato un sistema capace di nutrirsi, crescere, riprodursi e reagire agli stimoli. La questione è che queste funzioni si riscontrano anche nel mondo inanimato. Il granulo di un cristallo si nutre delle particelle in soluzione e cresce, può spezzarsi e riprodurre un altro cristallo. Si conoscono anche diversi sistemi meccanici che reagiscono ad uno stimolo termico o elettrico. Si è pensato allora di mettere come condizione, per definire un vivente, la presenza simultanea di tutte le caratteristiche sopra elencate. Ma poi, se il cane è gravemente malato e non riesce più a nutrirsi? E gli ibridi, come il mulo che non si riproducono?

    La questione fu quindi spostata sulle popolazioni e infatti Maynard Smith in La teoria dell’evoluzione 1975, scrive: «Una lista così arbitraria ci serve a poco. Per fortuna la teoria della selezione naturale di Darwin ci dà, invece, una definizione soddisfacente. Noi consideriamo vivente una popolazione formata da entità che hanno la proprietà di moltiplicazione, di ereditarietà e di variabilità». Rimane ancora il problema degli ibridi che non si riproducono.

    Agli inizi degli anni `80, come scrive Alessandro Minelli in Gli albori della vita Le Scienze 1984, si preferisce lasciare da parte la tentazione di definire il fenomeno vita. Verso la fine dello stesso decennio Manfred Eigen, in Gradini verso la vita 1987, dedica tutto il primo capitolo a questo argomento e infine conclude: «La domanda: Che cos’è la vita? ha molte risposte possibili, nessuna delle quali è soddisfacente […]. Troppo grande è la massa dei fenomeni complessi, troppo diversificati sono i caratteri e i comportamenti dei viventi perché una definizione generale possa avere senso». Nel 2000, in Da dove viene la vita, Paul Davies tenta di dare una chiara idea di che cosa sia la vita e ritorna a proporre una lista. Egli elenca dieci caratteristiche essenziali per definire un vivente e conclude: «Posso riassumere questo elenco di qualità affermando che, in senso lato, la vita sembra coinvolgere due fattori cruciali: il metabolismo e la riproduzione». E gli ibridi?

    Con Iris Fry ritorna la futilità di qualsiasi tentativo di definire la vita. L’autrice, in Origine della vita sulla terra 2002, dopo avere ripercorso alcuni tentativi di definire la vita da parte degli scienziati, conclude: «Chi ha tentato almeno una volta di produrre una definizione della vita ha fatto l’esperienza frustrante di accorgersi che o l’elenco delle sue proprietà è troppo ampio e si applica a sistemi non viventi, oppure è troppo ristretto escludendo alcuni esseri viventi. Una definizione funzionale che si concentri sulla nutrizione, il metabolismo e l’escrezione, potrebbe applicarsi anche ad un’automobile, ma non ad un seme dormiente».

    Ernst Mayr, in riferimento alla ricerca della vita nello spazio, in L’unicità della biologia2004, ritorna sulla necessità di dare una definizione di vita e scrive: «Personalmente accetto una definizione ampia: la vita deve essere capace di replicarsi e di usare l’energia ricavata dal sole o da alcune molecole disponibili, come i composti solforati presenti nelle fumarole oceaniche».

    Rimane ancora il problema del seme e degli ibridi.

    Anche Pier Luigi Luisi in Sull’origine della vita e della biodiversità 2013 ritiene utile isolare e definire un denominatore comune che accomuna tutti i viventi. L’autore, come egli stesso scrive, utilizza una metafora semi-seria. Egli immagine un Omino verde, proveniente da un sistema stellare molto lontano, con una lista di cose terrestri contenente viventi e non viventi. L’Omino verde incontra un contadino al quale chiede di separare nella lista i viventi dai non viventi. Dopo una serie di obiezioni e chiarimenti finalmente si raggiunge un’intesa e l’Omino verde conclude: «Un sistema da voi è definito vivo se è capace di trasformare il nutrimento esterno in un processo interno di auto-mantenimento e produzione dei propri componenti». Pier Luigi Luisi evidenzia come si è raggiunto una definizione di vivente senza scomodare la biologia molecolare. La definizione comunque non contempla la riproduzione, anche perché nella lista che l’Omino verde mostra al contadino è presente il mulo, che non si riproduce.

    È un peccato che nell’elenco presentato dall’Omino verde, proprio ad un contadino, non fosse compreso il seme. Forse il contadino nel seme avrebbe visto già una pianta e quindi la vita. Ma allora la vita sarebbe ciò che si percepisce come vita, una sensazione. Così, se per un contadino il seme è vita forse non lo è per chi vive in città. E rimane anche da definire il cane ammalato.

    In conclusione, lista o non lista, da un punto di vista scientifico non esiste una chiara e condivisa definizione di che cosa è la vita. Così, per alcuni il seme è vita mentre per altri non lo è, lo stesso vale per il cane ammalato che non riesce a nutrirsi e auto mantenersi. Alcune definizioni portano infine all’assurda conclusione di considerare il mulo non vivente. (https://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20100427124519AAZJMyS)

    Ma perché non si riesce a dare una definizione alla vita?

    Io penso che questi tentativi di definire la vita contengano tutti un errore di fondo: ogni volta che in una lista compaiono metabolismo, riproduzione ed evoluzione, esse vengono proiettate sempre verso il futuro, ma la selezione naturale non conosce il futuro. Non ha senso una definizione di vita che guarda al futuro se il futuro non si conosce. E allora, utilizziamo anche noi una metafora e vediamo, senza nessuna pretesa, se il senso comune ci suggerisce una definizione di vita.

    In una calda sera d’estate una coppia siede in veranda illuminata da una debole luce. La moglie dice al marito: È da un po’ che non vedo più il gatto, è sempre venuto tutti i giorni a chiedermi qualcosa. Il marito conferma: È vero, anch’io non lo vedo da almeno tre o quattro giorni, pensi che sia morto? Non so - risponde la moglie - avrà certamente i suoi anni. E poi, è stato sempre un randagio imprudente, sempre in giro per tutto il quartiere attraverso le strade qui intorno, di giorno e di notte, e tu sai come queste strade sono ormai trafficate. La coppia rimane a lungo in silenzio, ma ognuno si domanda: qual è lo stato del gatto, è vivo o morto? Dopo un po’, dal buio appare il gatto che, con passi felpati, attraversa la veranda e si immerge nuovamente nel buio. Moglie e marito si guardano con soddisfazione, il gatto è vivo. Come hanno fatto a decretare lo stato del gatto? Attraverso l’osservazione. Quindi per decidere cosa è vita ci vuole un osservatore. Ma l’osservatore è un elemento soggettivo, aleatorio ed è per questo motivo che non c’è accordo sugli ibridi, i semi e il cane ammalato. Per definire il vivente, siamo quindi costretti a fornire all’osservatore qualche elemento in più.

    E allora, continuiamo con la nostra metafora.

    Come abbiamo descritto, il gatto attraversa la veranda e ritorna nel buio oltre le siepi.

    La moglie dice al marito: Perché è andato via, se aveva fame avrei potuto dargli io qualcosa da mangiare. È il suo istinto - risponde il marito - per sopravvivere deve cacciare per nutrirsi. Ma nutrirsi vuol dire saper utilizzare il nutrimento, cioè trasformarlo in energia e componenti utili all’organismo, in definitiva possedere un sistema metabolico. Noi però non sappiamo se il gatto troverà il nutrimento, potrà non trovarlo e morire di stenti. Sappiamo però che il gatto ha la capacità di nutrirsi e metabolizzare, che ci riesca o no riguarda il futuro, ma nessuno conosce il futuro. Poiché non ha senso un metabolismo senza nutrimento, con il termine metabolismo si deve intendere anche la capacità di nutrirsi. Il metabolismo deve necessariamente appartenere alla definizione di vivente.

    Ora, noi sappiamo che già milioni di anni fa gli antenati del gatto attraversavano quei luoghi e per arrivare fino ai nostri giorni hanno dovuto riprodursi. Noi però non sappiamo se il nostro gatto avrà la possibilità o la capacità di riprodursi. Sappiamo tuttavia con certezza, che egli è un prodotto della riproduzione e questa certezza deve contribuire a definire il vivente. Ma la riproduzione contiene una copia del genoma del genitore. Il genoma del genitore ha dovuto quindi replicarsi poco prima della riproduzione. Non ha senso parlare di riproduzione senza la replicazione del genoma. Il termine riproduzione deve quindi contenere la replicazione.

    Sulla riproduzione ha agito la selezione naturale che ha permesso agli antenati del gatto di evolvere. Ma la selezione naturale non conosce il futuro e noi non sappiamo in che modo evolverà il gatto. Sappiamo tuttavia, con certezza, che i viventi sono prodotti dell’evoluzione dei propri antenati e questa certezza deve contribuire a definire il vivente.

    E allora: la vita è uno stato della materia. Poiché esistono solo due stati, vita e morte, la vita è vita fino a quando non passa allo stato di morte, cioè fino a quando non si riconosce il nuovo stato, lo stato di materia inanimata.

    Lo stato della materia che noi chiamiamo vita si regge su tre proprietà fondamentali: deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e un prodotto dell’evoluzione. La materia che non presenta simultaneamente queste tre proprietà fondamentali è materia inerte.

    Nessuno in un’automobile o in un cristallo riconosce un sistema metabolico ed essere il prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. I cristalli di sale che si formano sugli scogli dopo l’evaporazione dell’acqua sono identici a quelli che si formavano miliardi di anni fa, nessuna differenza, nessuna evoluzione.

    Il cane ammalato è temporaneamente impedito, ma sappiamo che possiede un sistema metabolico. È un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. Il cane ammalato è un vivente.

    Il mulo sopravvive per mezzo del metabolismo. È ininfluente se si riproduce o no, è però un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione dei suoi antenati, la cavalla e l’asino. Il mulo è un vivente.

    E i semi cui possiamo aggiungere anche le spore? Come i predatori che nascosti tra erbe e cespugli aspettano il momento giusto per attaccare la preda e sopravvivere, semi e spore protetti all’interno dei loro gusci aspettano pazientemente il loro momento per sopravvivere. Semi e spore hanno un sistema metabolico sono prodotti della riproduzione e dell’evoluzione delle piante, e di funghi e batteri. Semi e spore sono viventi.

    Riassumendo: La vita è uno stato della materia che si regge su tre proprietà fondamentali: deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione.

    La definizione di vita non può essere una percezione dell’osservatore ma deve far parte della teoria della selezione naturale di Darwin.

    La cellula batterica è capace di metabolismo, è un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione, essa è l’entità minima vitale, il primo stadio della vita.

    Esistono però degli organismi che sono più piccoli dei batteri: i Virus. Si apre spesso il dibattito se i Virus siano da considerare organismi viventi o non viventi.

    Luis P. Villareal esperto di virologia in I Virus sono vivi?, Le Scienze 2005, paragona i Virus ai semi in quanto a potenziale da cui può sgorgare la vita. Dorothy Crawford microbiologa tra i massimi esperti di virus è di parere opposto e nel suo saggio, Il nemico invisibile. Storia naturale dei virus 2002, scrive: «Diversamente dai batteri i virus non possono fare niente da soli. Non sono cellule ma particelle, e non hanno una fonte di energia né alcuno degli apparati cellulari necessari a produrre le proteine. Ciascuno di essi è composto semplicemente da materiale genetico circondato da un guscio proteico protettivo denominato capside. […] Ma per riuscire ad utilizzarlo devono penetrare in una cellula vivente e assumerne il controllo. […] Non appena un virus riesce a introdursi in una cellula, questa legge il codice genetico del virus che ordina riproducimi, e si mette al lavoro. In questo modo i virus invadono gli esseri viventi, ne requisiscono le cellule, e le trasforma in fabbriche per la produzione di virus». Inoltre, come ci informa ancora Crawford, fuori dalla cellula ospite i Virus non possono sopravvivere a lungo perché non dispongono dei processi metabolici di una cellula e quindi non sono capaci di nutrirsi.

    La definizione di vita sopra esposta chiude definitivamente questo dibattito. I Virus non sono organismi viventi perché non presentano uno dei fattori che definisce la vita: il metabolismo. Ma se i Virus non sono viventi ma particelle, sono simili ai sassi? Come scrisse il virologo Norman Pirie già nel 1934, sono sistemi che non sono né chiaramente viventi né chiaramente inanimati. Se per indicare tali sistemi il termine Virus non è soddisfacente, coniate un altro nome.

    Abbiamo dato una definizione macroscopica della vita e individuato nella cellula batterica l’entità minima vitale, ma all’interno della cellula a livello molecolare, che cosa è la vita? Nessuno scienziato ha mai avuto la pretesa di poter dare una risposta a questa domanda. La vita non si può identificare con una o con un gruppo di molecole. La vita è emergenza. Il termine emergenza si deve intendere nel significato dato da Ernst Mayr (opera citata): «La comparsa di caratteristiche impreviste in sistemi complessi». «Essa non racchiude nessuna implicazione di tipo metafisica». «Spesso nei sistemi complessi compaiono proprietà che non sono evidenti (né si possono prevedere) neppure conoscendo le singole componenti di questi sistemi».

    Quindi, la vita emerge da sistemi complessi, ma già a livello di sistemi semplici il mondo inanimato presenta delle analogie con il comportamento dei viventi.

    La miosina è una delle proteine che partecipa al trasporto di materiali nella cellula. Vedere la miosina muoversi lungo i filamenti di actina, all’interno della cellula, sembra una piccola creatura a due gambe. Se la miosina viene portata fuori dalla cellula è immobile, ma se gli si fornisce il combustibile inizia a muoversi. La miosina non è vivente e non ha nessuno scopo, è una macchina molecolare, come la catalasi che decompone l’acqua ossigenata e come migliaia di altre proteine.

    Pier Luigi Luisi nel suo saggio (opera citata), ha messo in evidenza come vescicole prodotte da acidi grassi possono riprodursi con meccanismi tipici degli organismi viventi.

    Come vedremo quando tratteremo la sintesi dei polipeptidi gocce di composti diversi situati nelle vicinanze sembrano avere comportamenti a noi familiari. L’acqua sembra scappare alla presenza di alcool etilico e l’acido solforico circondato da gocce d’acqua sembra alla ricerca di una via di fuga. Questi fenomeni sono stati denominati Chemiotassi del non vivente (appendice 1). Il termine chemiotassi indica la risposta dei batteri alla presenza di nutrienti o di repellenti.

    Ma già dalla metà del secolo scorso Oparin aveva messo in evidenza come vescicole di polimeri (coacervato) divenute troppe grosse tendevano a dividersi. Anche Sydney Fox ha prodotto coacervati di proteinoidi termici e osservato che questi ingrossando si dividono in modo simile ai batteri. I coacervati proteinoidi di Fox hanno inoltre deboli capacità enzimatiche.

    Ci sono insomma, in molecole e aggregati, alcune analogie che richiamano processi vitali, ma tutti questi fatti hanno una spiegazione

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