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Evoluti per caso: Un lungo viaggio: dai batteri a Leonardo Da Vinci
Evoluti per caso: Un lungo viaggio: dai batteri a Leonardo Da Vinci
Evoluti per caso: Un lungo viaggio: dai batteri a Leonardo Da Vinci
E-book350 pagine4 ore

Evoluti per caso: Un lungo viaggio: dai batteri a Leonardo Da Vinci

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Info su questo ebook

A guidare l’evoluzione non c’è un disegno intelligente o un risultato da raggiungere. C’è solo un’inconfutabile realtà: il pianeta subisce continui, impercettibili e radicali cambiamenti, a volte sconvolgenti, e la vita cerca di adattarsi come può. Questo volume racconta un lungo viaggio: dalle forme più elementari e ancestrali della vita, i batteri, insostituibili benefattori alcuni, nostri mortali nemici altri, fino ai sapiens, che al momento rappresentano il culmine di un percorso evolutivo su questo pianeta che è passato da catastrofi ecologiche e accelerazioni genetiche a sconvolgimenti ambientali ed estinzioni imprevedibili. Il tutto raccontato con il linguaggio della scienza e della divulgazione. Il genere umano non compare per caso nella storia dell’evoluzione, bensì a seguito di un lunghissimo iter durato miliardi di anni e in cui ogni evento, ogni circostanza, ogni passaggio ha determinato quello successivo. Se solo uno di questi avvenimenti fosse stato diverso, oggi non saremmo qui a leggere questo libro.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita24 lug 2023
ISBN9788836163267
Evoluti per caso: Un lungo viaggio: dai batteri a Leonardo Da Vinci

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    Anteprima del libro

    Evoluti per caso - Fabio Procacciante

    EVOLUTIPERCASO_COVER_EBOOK.jpg

    Fabio Procacciante

    EVOLUTI PER CASO

    Un lungo viaggio: dai batteri a Leonardo da Vinci

    Prefazione

    L’evoluzione delle specie per selezione naturale è ancora per molti un argomento specialistico di esclusiva competenza degli addetti ai lavori, ovvero i paleontologi. Al contrario, dovrebbe invece suscitare interesse in ognuno di noi, in quanto la protagonista assoluta dell’evoluzione è la vita.

    Sulla vita tutti ci siamo ritrovati a riflettere insieme a filosofi, poeti e artisti. Alcuni predicatori, peraltro, per dare maggior peso alle loro narrazioni sull’origine e sul significato della vita, hanno immaginato di aver ricevuto le informazioni dallo stesso creatore e queste rivelazioni sono diventate fondamento di religioni sorte in tempi remoti nel lontano Oriente e poi anche da noi, in Occidente. Sublime l’interpretazione che ne ha dato Michelangelo nella volta della cappella Sistina. Quest’ultimo, peraltro, oltre a interpretare i sentimenti dei suoi tempi, ha condiviso una convinzione che accomuna la maggioranza dei credenti, ovvero che il creatore abbia le sembianze di un sapiens, dall’aspetto maestoso e ieratico con capelli folti, baffi e barba bianca. Anche in questo si conferma la vocazione al protagonismo dei sapiens, che tengono in poco conto le altre specie (non meno di cinque milioni) che popolano attualmente il pianeta (senza escludere tutte quelle che lo hanno popolato per milioni di anni), molte delle quali potrebbero auspicare, a buon diritto, di identificare l’immagine del Creatore con un esponente della propria specie.

    Oggi negli studi di paleontologia convergono svariate discipline ultra specialistiche come la crono-stratigrafia, la paleo-faunistica, la paleo-botanica, l’archeologia preistorica e probabilmente altre ancora, come la biologia molecolare, la medicina, la linguistica e l’informatica che contribuiscono a integrare il complesso quadro della dinamica evoluzionistica. Naturalmente ogni specialista è portato ad approfondire e a inquadrare il tema dell’evoluzione dal proprio punto di vista, come ci ricorda il noto specialista e narratore dell’evoluzione umana Giorgio Manzi, magari partendo da «poche ossa e qualche dente». Da un’analisi così particolareggiata, però, si rischia di perdere la visione d’insieme, che è l’obiettivo che si propone questo saggio.

    Può essere utile, allora, cercare la sintesi di circa quattro miliardi di anni in cui la vita è iniziata, si è differenziata e si è evoluta. Partendo dai batteri, le forme più elementari e ancestrali della vita – alcuni dei quali sono nostri acerrimi nemici (anche mortali), ma per la maggior parte insostituibili benefattori – proverò a spiegare come siano derivate nel tempo figure della statura di Alessandro Magno, Gesù Cristo, Galileo, Einstein e, non ultimo, il riferimento di tutta questa narrazione: Leonardo di Ser Piero da Vinci. La trasformazione è tale da far dubitare molti che ci possa essere realmente un qualche legame tra batteri e gli organismi viventi che si sono succeduti ed evoluti nel tempo. Eppure il collegamento c’è, e oggi abbiamo elementi certi per dimostrarlo al di là di ogni comprensibile dubbio. Per parafrasare la celebre frase di Archimede «Datemi un punto di appoggio e vi solleverò la terra», che probabilmente non ha nemmeno mai pronunciato, se l’evoluzione avesse un vecchio saggio che la governa potrebbe sentenziare: datemi il tempo necessario, quattro miliardi di anni, e trasformerò un batterio in Leonardo da Vinci. Questo scritto ha l’obiettivo di provare a spiegare questo assunto in modo convincente.

    Una specificazione va fatta riguardo al titolo: Evoluti per caso. Ogni uomo di scienza, me compreso, sa che il caso non esiste. Ce lo ha ricordato Albert Einstein quando, a proposito della indeterminazione di alcune misurazioni in fisica quantistica, commentò (quasi risentito) che «Dio non gioca a dadi». Quella volta, però, Einstein si sbagliava. Nel nostro caso, Homo sapiens non compare casualmente nella storia dell’evoluzione, bensì in seguito a un lunghissimo iter durato miliardi di anni in cui ogni evento, ogni circostanza, ogni passaggio ha determinato quello successivo. Se solo uno di questi passaggi fosse stato diverso, oggi io non sarei a scrivere, e voi a leggere.

    Chissà quante volte siamo stati sul punto che l’evoluzione prendesse una strada anche appena diversa. Tante, tantissime, se si pensa quanto è stata lunga questa strada, e noi non l’avremmo mai potuto sapere perché non saremmo mai esistiti. Il titolo vuole rimarcare il fatto che a guidare l’evoluzione non c’è un disegno intelligente, non c’è un risultato da raggiungere, non c’è un obiettivo da perseguire, c’è solo una semplice e inconfutabile realtà, ovvero che il pianeta subisce – come vedremo – continue, incessanti, impercettibili o catastrofiche modificazioni, e la vita cerca di adattarsi come può.

    Lo scritto è impostato come un racconto divulgativo semplice, spero anche piacevole e interessante. Ricco di esempi, alcuni molto fantasiosi ma sempre finalizzati a rendere comprensibili eventi e meccanismi reali che altrimenti sarebbero difficili da immaginare. Quando scrivo che il DNA è formato da due filamenti elicoidali che continuamente si separano e si riaccoppiano, non è facile farsene un’idea. Se paragono il DNA a una chiusura lampo che si apre e si chiude, tutti capiscono. Non me ne vogliano i biologi molecolari. Ci tengo però a sottolineare che tutti i dati riportati nel presente saggio derivano da acquisizioni scientifiche certe o altamente probabili, rigorosamente vagliate, condivise e accettate dalla comunità scientifica, almeno fino a questo momento. La scienza, si sa, procede con sempre nuove acquisizioni, con sempre più sofisticati mezzi di indagine che portano a rivedere e rielaborare qualunque certezza. Pertanto il compito di approfondire e connotare sempre meglio la dinamica dell’evoluzione non è mai concluso, ma è demandato ai sapiens che verranno, con un tempo a loro disposizione che si può stimare ancora in diverse migliaia di anni.

    La garanzia che non si è lasciato spazio a ideologie o convinzioni personali deriva dalla estrazione accademica e professionale dell’autore, che è stato professore ordinario di Chirurgia generale presso l’Università Sapienza di Roma. Il chirurgo, si sa, è chiamato a un rigoroso rapporto con una ineludibile realtà: l’anatomia umana dei pazienti che opera. Non gli è consentito in nessun momento e per nessun motivo discostarsi da questa. E, anche in questo saggio, si è proceduto con lo stesso metodo: non discostarsi mai da tutto ciò che è documentato e collegato in maniera logica e coerente a eventi reali.

    Capitolo primo.

    Un lungo viaggio

    Prepariamoci a partire

    Ci apprestiamo a intraprendere un lungo viaggio particolarmente complesso e avventuroso, che prende inizio dalla formazione del sistema solare, circa cinque miliardi di anni fa. Il viaggio toccherà diverse latitudini del nostro pianeta, che è sempre in un’incessante trasformazione, e riguarderà l’incredibile varietà sia di organismi viventi, sia di quelli che hanno ormai concluso il loro ciclo vitale, fino ad arrivare a quelli – tantissimi – che si sono estinti durante il percorso a causa dell’inesorabile meccanismo della selezione naturale. Quando ci si prepara per un viaggio impegnativo, e sicuramente questo lo è, bisogna attrezzarsi sistemando in valigia tutto il materiale che ci aiuterà a capire meglio le varie situazioni che di volta in volta andremo a indagare e ad approfondire: cos’è la vita, la cellula e il DNA, la genetica e l’epigenetica, l’ambiente con le sue trasformazioni e, infine, cosa significa essere mammiferi. Verso la fine del viaggio sarà addirittura necessario utilizzare il passaporto per fare una ricognizione dei diversi stati che abbiamo attraversato prima di approdare a quello di Homo sapiens. I lettori non si preoccupino di mettere in valigia il passaporto, in quanto è escluso il rischio di dimenticarlo a casa, non solo perché ci è stato affidato da persone a noi molto care, i nostri genitori, ma perché è uno strumento di viaggio che non ci abbandona mai, è sempre con noi e continuerà a essere custodito anche in futuro dai nostri discendenti: è il nostro DNA.

    La prima testimonianza della vita sul nostro pianeta è rappresentata da microorganismi fossili precipitati nella fumarola dal nome impronunciabile di Nuvvuagittuq Belt in Canada e risalenti a quattro miliardi e 280 milioni di anni fa. L’inizio rimane molto lontano nel tempo anche se si dovesse scoprire che è avvenuto qualche milione di anni dopo rispetto a quella probabile datazione. Si impone, allora, una considerazione che riguarda la cronologia degli eventi e la puntualizzazione dei tempi. Per un uomo d’affari di oggi, la dimensione del tempo ha un valore enorme anche in termini di minuti e di secondi, basti pensare all’esempio delle contrattazioni di borsa. Addirittura, nella programmazione dei viaggi spaziali è necessario sincronizzare il tempo con orologi atomici che hanno la precisione del milionesimo di secondo. Per il tempo passato, però, le cose sono diverse. È possibile una maggiore approssimazione senza creare grossi sconvolgimenti cronologici. Nel 1492 Cristoforo Colombo ha scoperto l’America e cinquant’anni dopo Niccolò Copernico ha pubblicato la sua teoria eliocentrica. Dicendo che i due eventi sono databili intorno al 1500 saremmo sicuramente imprecisi, ma daremmo comunque un messaggio tanto chiaro quanto sintetico: cinquecento anni fa sono avvenute due scoperte che hanno modificato radicalmente le nostre conoscenze del pianeta. Più si va indietro nel tempo, più la ricostruzione degli eventi diventa ovviamene complicata e difficile da precisare, ma per fortuna senza grossi danni. Non se ne abbiano a male i paleontologi se nelle ricostruzioni che seguono dovesse emergere qualche errore di datazione – anche di qualche milione di anni – ma l’obiettivo di questo saggio è dare una visione d’insieme quanto più possibile semplice e schematica, privilegiando la successione degli eventi piuttosto che soffermarsi sulla loro esatta collocazione temporale. Come ultima annotazione, alcuni concetti sono ripetuti in punti diversi della narrazione, seppur espressi con formulazioni diverse. Questa è probabilmente una deformazione professionale del professore universitario e di chiunque sia impegnato a trasmettere conoscenze, che non si contenta di raccontare ma desidera che le spiegazioni siano quanto più chiare possibile, evitando omissioni o zone d’ombra e utilizzando, insieme a qualche ripetizione, esempi a volte anche fantasiosi, ma sempre all’interno di un tracciato scientifico documentato e verificabile, lasciando che ognuno poi valuti secondo le proprie convinzioni.

    Leonardo, la massima espressione dei sapiens

    In questo saggio Leonardo da Vinci è immaginato come la massima espressione della nostra specie, il simbolo, al più alto livello, delle multiformi capacità del cervello umano, il punto di arrivo di quel lungo percorso iniziato tantissimo tempo fa e di cui lo stesso Leonardo ha indicato il traguardo finale con la raffigurazione dell’uomo vitruviano, che fissa l’immagine ideale di Homo sapiens. Leonardo è diventato un riferimento non solo per il suo eccezionale ingegno ma anche per alcuni suoi limiti che lo assimilano, meglio di chiunque altro, alle caratteristiche di un sapiens. Per noi italiani, con una punta di orgoglio, Leonardo possiede una valenza aggiuntiva, come se ognuno di noi avesse ereditato più di altri una piccola quota del suo DNA. Se io fossi stato di origini orientali, per esempio, il personaggio di riferimento probabilmente avrebbe avuto gli occhi a mandorla, anche se ho visto con molto compiacimento, durante la recente pandemia, l’immagine della leonardiana Monna Lisa con la mascherina sul volto riprodotta su grossi cartelloni pubblicitari di città giapponesi, per esortare i propri cittadini a indossarla.

    È indubbio che la Gioconda sia un’icona planetaria della pittura. Ma Leonardo si è espresso nei campi più disparati della tecnica e dell’arte, raggiungendo vette altissime. Ha inventato e progettato macchine belliche, idrauliche e volanti. Il maggior aeroporto italiano non poteva non intitolarsi a Leonardo da Vinci. Ha realizzato il primo robot della storia («[…] Un lione che camminò parecchi passi»), e forse proprio per questo il primo e più diffuso sistema per interventi chirurgici robotizzati si chiama DaVinci Surgery, mentre uno dei quattro supercomputer più potenti al mondo inaugurato recentemente a Bologna ha ricevuto proprio il nome di Leonardo. Con l’uomo vitruviano ha dettato i canoni della figura umana. Impossibile fare una sintesi della sua multiforme attività creativa. Ma con altrettanta grandezza esprime tutti i limiti del nostro cervello, come emerge da una rassegna degli insuccessi che hanno accompagnato la sua poliedrica attività. In una recente biografia, in occasione del cinquecentesimo anniversario della sua morte, viene simpaticamente definito il «genio dell’imperfezione». Sappiamo che non ha mai visto la luce la monumentale statua equestre dedicata a Francesco Sforza, nonostante Leonardo si fosse cimentato in numerose progettazioni. Le figure dell’Ultima cena si sono sbiadite nel tempo e i colori della Battaglia di Anghiari si sono liquefatti colando giù lungo l’intonaco mentre lui tentava di essiccarli accendendo dei bracieri sul pavimento. Il cervello umano esprime tutto questo: pensieri, sentimenti, emozioni, arte, progetti, invenzioni, in una costante tensione di ampliare i suoi confini, ottenendo spesso successi ma anche fallimenti. I processi di calcolo di un computer sono velocissimi e infallibili. Ma Homo sapiens che lo ha inventato è tutt’altro che infallibile.

    Questa premessa è necessaria affinché non suoni troppo inquietante, incredibile e fantasiosa l’affermazione che questo nostro grandioso lontano antenato abbia preso origine da un ancor più lontano antenato, discendente da un prodigioso batterio sviluppatosi quattro miliardi di anni fa, che attraverso irripetibili peripezie ha finito per produrre gli esseri umani. Collegare i batteri, ancestrali forme di vita, a Leonardo da Vinci può sembrare una forzatura, poco credibile, quasi irriverente. Eppure la storia della vita nel nostro pianeta sembra sia andata proprio così, e io cercherò di dimostrarlo e farvene convinti.

    Madre natura

    Generalmente si immagina la natura come la fonte di tutto quanto esista e come anima del nostro pianeta. Nella mitologia greca Gea impersonifica la natura, che è venerata come la divinità primordiale dalla cui unione con il cielo, il Dio Urano, sono nate tutte le altre divinità dell’Olimpo. Anche noi guardiamo la natura sempre con occhio benevolo e riconoscente, come fosse una divinità o comunque una madre munifica che ci ha donato l’ambiente in cui la vita si svolge. Ci riferiamo a lei come a una maestra saggia e onnisciente che ci insegna come mantenere una sana armonia con tutti i beni preziosi che continuamente ci elargisce. Se per qualunque motivo infrangiamo questo rapporto, sentiamo la colpa di essere andati contro natura. Per alcune persone la natura è anche di più. Ricordo che, da giovane medico in ospedale, un’anziana paziente mi riferì di avere dei problemi alla natura, intendendola come la sede anatomica da cui la vita fa il suo ingresso nel mondo. Un po’ tutti le riconosciamo questa sua missione di produrre la vita e di allevare amorevolmente i suoi figli, tanto da riconoscerle il ruolo di madre natura. Se non fosse che la natura non esiste! Esiste solamente l’interazione tra materia ed energia e la ricostruzione elaborata dal nostro cervello. La natura come la si intende è una personificazione del tutto ideale che fa riferimento prevalentemente ai suoi lati migliori.

    Vedremo, però, che anche le cose artificiali hanno in fondo un’origine naturale e non solo: se la natura esistesse davvero come un’entità superiore che tutto controlla, non sarebbe solo una madre generosa e amorevole, ma anche una matrigna perfida e odiosa, responsabile di terremoti e tsunami, di rovinose eruzioni vulcaniche, di devastanti incendi e catastrofici uragani e, come purtroppo abbiamo sperimentato, di periodiche e disastrose pandemie. Se la natura fosse all’origine di tutto ciò che esiste, anche l’Universo dovrebbe rientrare tra le sue creature, ma per noi lei è la madre di tutto ciò che avviene esclusivamente nel nostro pianeta, considerato nella totalità dei suoi fenomeni. Sentiamo la sua presenza nelle continue interazioni tra gli organismi viventi in un ambiente sempre mutevole e a volte incomprensibile, almeno sulla base delle nostre conoscenze. La natura è anche continuità tra un passato remoto e misterioso e un futuro non sempre prevedibile, con aspetti a volte affascinanti altre volte inquietanti.

    Pur dovendo prendere atto che la natura non esiste, spesso nelle pagine che seguono faremo riferimento a lei nella accezione più comune e più amabile, quella – come detto – di madre natura, per non rinunciare al fascino che questa semplice ma grandiosa immagine contiene.

    Dall’unicità alla diversità

    Chi non ha mai portato a spasso un cane o ne ha osservato qualcuno al guinzaglio del padrone? Normalmente si incontrano cani delle razze più disparate: bassotti, barboncini, mastini napoletani, pastori tedeschi, pastori maremmani, terranova, alani, solo per citarne qualcuna. Pur nella diversità hanno comportamenti molto simili. Comunicano abbaiando e scodinzolando, annusano tutto ciò che è alla loro portata, si fermano per fare i bisogni, le femmine accovacciandosi, i maschi sollevando una zampa, a volte col consenso del padrone e altre volte con difficoltà se quest’ultimo è distratto e li strattona via. Se vedono un gatto, alcuni provano a rincorrerlo abbaiando, altri neanche gli prestano attenzione. Insomma, comportamenti che inequivocabilmente contraddistinguono la loro appartenenza alla medesima specie: Canis lupus familiaris, secondo la classificazione di Linneo.

    Eppure se al guinzaglio ci fosse un gatto, non molto diverso da un cane di piccola taglia, tutti ce ne stupiremmo e ne rimarremmo incuriositi, magari indugiando a seguirlo con lo sguardo. Viceversa nessuno si stupisce che animali dall’aspetto così diverso come il bassotto e il San Bernardo, due chili contro cento, appartengano alla medesima specie. Infatti, mentre il gatto appartiene alla famiglia dei felini come il leone, la tigre, il leopardo e il giaguaro, il cane è della famiglia dei canidi, insieme ai lupi, agli sciacalli, ai licaoni e ai coyote. Ed è come se noi inconsapevolmente lo percepissimo. Appartenere alla medesima specie non è solamente una classificazione, in termini biologici è molto di più. Significa che costoro possono accoppiarsi tra loro e riprodurre altri cani che, una volta cresciuti, saranno a loro volta in grado di generare altri cani delle varietà più disparate a seconda dei diversi incroci. Allora bisogna porsi questa domanda: la specie dei cani è sempre esistita con tutta la varietà delle razze che oggi osserviamo, o è più logico pensare che, in un passato più o meno lontano, ci sia stato un antenato comune da cui sono derivate le attuali diversità?

    Ho utilizzato l’esempio dei cani perché, a differenza di molte altre specie in cui l’antenato comune si è estinto nella notte dei tempi, per i nostri amici l’antenato comune esiste con certezza, è vivente e tutti lo conosciamo. Intorno a trentamila anni fa, il lupo grigio euroasiatico (Canis lupus), è stato il progenitore dei cani selvatici e da questi sono derivati i cani domestici. Il processo di addomesticazione e differenziazione dall’antenato comune è frutto di un accordo di reciproca convenienza tra i lupi e gli umani di allora, più o meno nel periodo in cui i neanderthal si sono estinti. In quell’occasione alcuni lupi hanno ceduto qualcosa del loro comportamento istintuale, ma hanno guadagnato qualcos’altro. Hanno rinunciato alla libertà di cui godevano ma che in fondo serviva loro principalmente per scovare le prede, inseguirle, cacciarle per alimentare sé stessi e i loro cuccioli. I lupi sono dei mammiferi sociali, organizzati in branchi con a capo – non di rado – una femmina alfa. Sono combattenti tenaci, instancabili, capaci di percorrere decine e decine di chilometri sotto la neve all’inseguimento di prede anche otto, dieci volte più grosse di loro, come i bisonti o i buoi muschiati. Sono intrepidi, generosi, con uno spiccato senso di solidarietà di gruppo. Ebbene, i lupi grigi che hanno accettato di convivere con l’uomo sono gli antenati degli attuali cani, e in cambio hanno ottenuto un cibo sicuro con cui nutrirsi, una protezione dal clima gelido di certe regioni asiatiche e anche la sicurezza per la loro incolumità. Ma da generosi quali sono, hanno contraccambiato offrendo le prestazioni di cui erano capaci: la guardia alle greggi e alla comunità in cui erano stati accolti, l’aiuto nella caccia, la ricerca basata sul loro eccezionale olfatto. Ne è nato un forte e duraturo sodalizio di reciproca utilità, che ha finito per coinvolgere anche la sfera affettiva. Era nata un’amicizia.

    Per svolgere al meglio le loro prestazioni, gli ex lupi hanno rinunciato anche alla loro originaria identità somatica per adattare al meglio la corporatura ai diversi compiti loro assegnati. Gli abitanti di Roma, poi, nutrono una particolare riconoscenza nei confronti di una loro esponente, beniamina di artisti e scultori che l’hanno riprodotta in moltissime opere per aver allattato i fondatori della città eterna, Romolo e Remo. La selezione in razze anche molto diverse non è stata del tutto naturale ma operata dall’uomo attraverso incroci tra individui che possedevano le caratteristiche più utili per svolgere specifiche attività. Pertanto una razza animale è il risultato dell’azione selettiva svolta dall’uomo. Quelle che negli antiquati libri di geografia venivano indicate impropriamente come razze umane corrispondono in realtà a etnie selezionate naturalmente dall’ambiente in cui alcuni caratteri si sono meglio adattati. Ogni etnia è la migliore possibile nel proprio ambiente.

    Della antica origine del rapporto di amicizia tra uomo e cane si è ormai perso il ricordo e, tornando alla nostra iniziale passeggiata, resta quello che osserviamo normalmente: un’incredibile diversità nell’aspetto fisico dei cani che popolano il pianeta, anche se tutti quanti conservano un caratteristico comportamento che svela la discendenza da un antenato comune. Insomma, è sotto i nostri occhi come da una unicità la vita possa assumere connotazioni così diverse.

    Non è un caso che Telmo Pievani, noto studioso di evoluzione darwiniana e docente di Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova, nel saggio La teoria dell’Evoluzione esordisca dicendo che «il segno distintivo dell’evoluzione è l’unità nella diversità», per poi precisare che l’architettura dell’evoluzione è contenuta in una cornice unitaria che si basa su tre principi fondamentali: la nascita di continue variazioni, la trasmissione ereditaria delle variazioni, la selezione dei più adatti. Il concetto è contenuto anche nella definizione stessa di vita proposta dal biofisico molecolare israeliano Edward Trifonov (1937), che la riassume come «autoriproduzione con variazioni».

    Basta spostare ancora più indietro le lancette dell’orologio, da trentamila a quattro miliardi di anni, e si comincia a prendere dimestichezza con il concetto che la vita nel suo divenire non è invariabile ma può assumere le forme più disparate. L’esempio dei cani, come vedremo, non rientra esattamente nel meccanismo dell’evoluzione in quanto si tratta della differenziazione di razze nell’ambito di una stessa specie, ottenuta da incroci dovuti all’intervento dell’uomo. Un po’ come fanno alcuni floricoltori nei confronti di certi fiori. In altri termini, manca il processo della selezione naturale che è alla base del meccanismo dell’origine delle specie, come Darwin con eccezionale intuizione aveva saputo ricostruire.

    Ho utilizzato l’esempio dei cani in quanto, come già ricordato, l’antenato comune esiste e tutti conosciamo le sue caratteristiche somatiche che contraddistinguono il lupo grigio euro-asiatico. Da quella ben definita identità derivano tutte le numerosissime tipologie di cani domestici che popolano il pianeta, a dimostrazione che da una stessa identità, una stessa specie, possono derivare discendenze così diverse che a volte stentiamo a ricollegare all’antenato comune. Se poi scopriremo che le balene hanno molte sequenze del DNA in comune con le mucche, non faremo più fatica a crederci.

    Dalla semplicità alla complessità

    Il nostro sguardo, meno attento di quello di Darwin, ha bisogno di vicende eclatanti e non troppo diluite nel tempo per riuscire a percepire i cambiamenti. Se ci soffermiamo a considerare l’evoluzione tecnologica nei diversi campi – dall’automazione all’informatica, dai trasporti alle comunicazioni – riusciamo a ricostruire tutti i passaggi che hanno caratterizzato i diversi processi evolutivi e non ci stupiamo se tutto ciò che ci circonda si modifica rapidamente. Nessuno di noi, tanto meno i nostri genitori e i nostri nonni, metterebbe in dubbio che in principio gli smartphone erano delle cassette di legno con una ruota forata per comporre i numeri dotata di una manovella per far suonare un campanello che si trovava lontano, in tutt’altro ambiente, al quale rispondeva una centralinista che faceva a mano i collegamenti. Ma già i nostri nipoti avranno bisogno di vedere qualche film d’epoca per convincersi, mentre i loro stenteranno a crederlo.

    Vedremo come evoluzione naturale ed evoluzione tecnologica siano collegate tra loro. Analizzeremo le differenze e le similitudini di queste due forme di evoluzione, che ci aiuteranno a capire meglio come entrambe funzionano. L’evoluzione tecnologica è un processo in cui l’artefice è l’uomo, spesso anche a danno della natura, per cui siamo

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