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Butter
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E-book640 pagine13 ore

Butter

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Info su questo ebook

CI SONO DUE COSE CHE IO NON RIESCO ASSOLUTAMENTE A SOPPORTARE: LE FEMMINISTE E LA MARGARINA.

Rika è una giornalista in una rivista maschile. È l’unica donna nel suo posto di lavoro e spesso viene trattata come una segretaria, quando non peggio. Per cercare di farsi strada lavora giorno e notte e tutto ciò che riesce a cucinare quando la sera torna tardi a casa è un ramen preconfezionato. Da tempo però un pensiero la assilla: vuole intervistare Manako Kajii, la cuoca gourmet accusata di aver assassinato gli uomini d’affari con i quali si intratteneva, dopo aver cucinato per loro. Ma la donna non rilascia interviste e non intende ricevere visitatori nel carcere di Tokyo dove è detenuta.

Rika decide di provare un’altra strada e le scrive una lettera per conoscere la ricetta dello stufato di manzo, pezzo forte della cucina di Manako. La detenuta a quel punto accetta di incontrarla. Quando, però, le visite in carcere alla serial killer si intensificano, cresce anche la curiosità gastronomica di Rika. 

Durante i loro incontri, che si avvicinano più a una masterclass di cucina che a un’indagine giornalistica, sembra infatti che sia proprio la giovane reporter a cambiare. A ogni pasto che prepara e consuma, qualcosa si risveglia nel suo corpo e scopre nel cibo un piacere liberatorio: forse lei e Manako hanno in comune più di quanto pensasse?

Ispirato al vero caso di cronaca della truffatrice e serial killer “The Konkatsu Killer”, Butter di Asako Yuzuki è un romanzo spiazzante e un caso letterario in patria, dove è stato candidato al Premio Naoki, il più importante riconoscimento giapponese. Un’esplorazione vivida e inquietante sulla misoginia, l’ossessione e il piacere trasgressivo del cibo in un Giappone in cui le donne devono sempre compiacere gli uomini e mai se stesse.

UN ROMANZO DI EMANCIPAZIONE CULINARIA
“Asako Yuzuki firma un romanzo intrigante e interessantissimo.”LIBÉRATION

“Butter è un racconto femminista e una feroce critica alla società giapponese. La sua autrice, Asako Yuzuki, ha studiato pasticceria prima di scrivere questo romanzo.”EL PAÍS

“Asako Yuzuki scrive in modo così fresco e vivido che la storia di Rika cattura il lettore fin dalla prima pagina.”STERN

“L’autrice parla delle sue tematiche con un’acutezza e una forza espressiva travolgenti. È un’opera potente.”SHINKAN NEWS

“Asako Yuzuki è unica nella sua capacità di rappresentare le relazioni tra donne con profondità e acume nonostante la storia sia incentrata su truffe matrimoniali e omicidi.”SHUKAN POST

LinguaItaliano
Data di uscita16 apr 2024
ISBN9788830593800
Butter
Autore

Asako Yuzuki

Asako Yuzuki was born in Tokyo in 1981. She won the All Yomimono Award for New Writers for her story “Forget Me, Not Blue,” which appeared in her debut novel, published in 2010. She won the Yamamoto Shugoro Award in 2015. She has been nominated multiple times for the Naoki Prize, and her novels have been adapted for television, radio, and film. Butter is her first novel published in English. 

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    Anteprima del libro

    Butter - Asako Yuzuki

    1

    La lunga e sottile linea di casette a schiera color crema si estendeva all’infinito, seguendo il pendio dolce della collina. Già da un po’, in qualunque punto di quel paesaggio urbano così ordinato si trovasse, Rika percepiva un senso di piatta uniformità, e aveva l’impressione di continuare a girare in tondo. Sulle dita della sua mano destra ormai congelata si erano fastidiosamente sollevate delle pellicine ai lati delle unghie.

    Era arrivata a una stazione della linea Den-en-toshi in cui non era mai scesa. Si trattava di una zona di periferia particolarmente rinomata e considerata l’ambiente ideale per crescervi dei bambini. L’ampiezza delle strade, pensate per famiglie in possesso di una propria automobile, era tale da farti sentire sperduto. Rika Machida, mappa dello smartphone alla mano, si aggirava nei dintorni della stazione, affollati da un viavai di donne affaccendate nei loro acquisti per la cena. Non riusciva ancora a capacitarsi di come Reiko avesse potuto acquistare una casa lì ed eleggere quel posto a propria residenza definitiva. Un magazzino di vendita all’ingrosso, un ristorante per famiglie, un noleggio DVD di una catena nazionale… Non vedeva nessuna libreria o piccola attività commerciale vecchio stile. Insomma, quel quartiere di periferia con le casette tutte uguali e le auto parcheggiate davanti non emanava il minimo effluvio di storia o di cultura.

    La settimana precedente, allo scopo di raccogliere informazioni sulla vittima di un caso di delinquenza minorile, Rika si era recata in una città del Kyūshū, andando e tornando nello stesso giorno. Oltre a supermercati locali che non aveva mai sentito nominare e cartelloni di istituti scolastici privati, si era trovata davanti agli occhi soltanto una zona residenziale in cui le abitazioni private si succedevano senza soluzione di continuità. Aveva incrociato alcune liceali che indossavano gonne di una lunghezza particolare mai vista a Tōkyō. Mentre passeggiava da sola per le strade della cittadina, dove non si sarebbe mai recata se non avesse fatto quel lavoro, aveva avuto l’impressione di allontanarsi dalla propria quotidianità, e che la sua vita si stesse completamente dissolvendo. Il cielo era piatto e uniforme, di una tonalità avorio. La sensazione che le affiorava alla mente era quella di un susseguirsi di sogni privi di colore.

    Ma in quella città doveva pur esserci un posto che risultasse per lei accogliente. Determinata a riprendere il controllo della sua coscienza smarrita, Rika era entrata in un negozio, decidendo che quella sarebbe stata la sua scelta definitiva. All’interno aleggiava soffuso l’odore tipico dei supermercati, di mele refrigerate e cartone bagnato. Una donna di mezza età grigliava della carne su una piastra e, tagliandola a pezzettini più piccoli, invitava i clienti all’assaggio con una voce squillante. Per qualche motivo, Rika aveva preso in mano una confezione di carne di maiale, chiedendosi da quanto tempo non guardasse così da vicino del cibo crudo. La vaschetta era umida e fredda e, all’interno, la carne di un rosa tenero e la parte grassa di un bianco cangiante sembravano sfidarsi per attirare l’attenzione.

    Aveva iniziato a chattare con la sua amica Reiko poco dopo aver superato Futako Tamagawa. Aveva declinato, non volendo disturbare, l’offerta di lasciare che lei venisse a prenderla alla stazione, chiedendole al contrario se avesse potuto comprare nelle vicinanze qualcosa da portarle. Quella mattina era rientrata a casa all’alba, e dopo aver dormito stremata fin oltre mezzogiorno aveva fatto una doccia e preparato una bozza riordinando i materiali al computer, dopodiché era andata a Shibuya per incontrare un giornalista che aveva già pubblicato diversi articoli per loro. Dato che si stava facendo tardi, si era poi congedata in tutta fretta ed era salita di corsa sul treno. Non aveva avuto assolutamente il tempo di comprare nulla. Anche se si trattava di una cara amica, stava pur sempre andando a trovarla nella sua nuova casa dopo il recente matrimonio, e si sentiva in colpa per non averle preso nemmeno un piccolo regalo. La risposta era arrivata subito, insieme all’immagine di un coniglio. Tutto quello spirito giocoso l’amica l’aveva ritrovato l’anno precedente, dopo aver smesso di lavorare.

    Be’, se mi dici così allora quasi quasi ne approfitto… Se lo trovi, mi porteresti del burro? Quest’inverno pare scarseggino le forniture, ed è difficile procurarselo. Ma se non lo trovi non fa nulla! Piuttosto, sbrigati ad arrivare!

    Il reparto latticini era avvolto da una pigra luce giallastra. Nella parte inferiore di una scaffalatura c’era uno spazio vuoto di cinque ripiani, occupato da un cartello con su scritto: ATTUALMENTE, A CAUSA DELLA SCARSA DISPONIBILITÀ DEL PRODOTTO, L’ACQUISTO DI BURRO È LIMITATO A UN PANETTO PER PERSONA.

    Girò tre supermercati, ma solo per trovare la stessa situazione. Rassegnata, Rika ripiegò sulla margarina, e scelse quella che le sembrava più simile al burro quanto a ricchezza di grassi. Quindi si avviò a passo svelto verso la cassa.

    La nuova casa di Reiko si trovava a circa cinque minuti a piedi dalla stazione, lungo una strada in leggera salita. Era un edificio a tre piani costruito sfruttando fino al limite un terreno di un centinaio di metri quadrati, e sul posto auto era parcheggiata al centimetro una Toyota, come se fossero state prese le misure in precedenza. Sulla breve salitina che portava dal cancello esterno all’ingresso erano posizionate delle fioriere piene di piantine di vario tipo, come pratoline a fiori doppi e viole del pensiero, e alla porta era appesa una ghirlanda di agrifoglio. Premette il pulsante del citofono, e finalmente trasse un sospiro di sollievo.

    «Benvenuta! Oh, Rika, quanto tempo!»

    Quando la porta si spalancò comparve Reiko, che si era precipitata ad aprire con un grembiule da cucina indosso, e la abbracciò. Anche Rika le poggiò le mani sulle spalle esili, con la massima naturalezza. Con il suo metro e sessantasei di altezza, e le braccia e le gambe lunghe, avrebbe quasi potuto avvolgere Reiko, così magra e minuta. Come sempre, i suoi capelli profumavano di una specie di essenza di violetta, un suo tratto distintivo. Rika si commosse. Forse aveva giusto bisogno di una manifestazione di affetto così diretta, o del calore di un corpo umano.

    L’accoglienza dell’amica non era tutta scena. Nonostante ai tempi dell’università stessero insieme quasi tutti i giorni, ormai erano passati sei mesi da quando si erano viste l’ultima volta. Anche ora che Reiko aveva lasciato il lavoro, Rika era talmente impegnata che risultava loro difficile trovare il momento adatto per incontrarsi. In teoria avrebbe dovuto avere due giorni liberi la settimana, il martedì e il mercoledì, ma di colleghi che li trascorressero davvero in panciolle c’era forse soltanto Kitamura, che era più giovane di lei. Anche quel giorno, pur essendo mercoledì, Rika aveva messo in agenda un incontro di lavoro, e una volta uscita di lì aveva in programma di recarsi in redazione per effettuare delle ricerche.

    Mescolati all’odore di legno tipico di una casa di nuova costruzione, dall’interno arrivavano un effluvio dolciastro di brodo dashi e uno di formaggio fuso bruciacchiato. Rika indossò le pantofole di tessuto caldo consegnatele da Reiko e le porse il soprabito. Imboccarono un corridoio in parquet liscio e senza nemmeno un graffio dirette verso l’interno, soffuso di una luce aranciata. Il soggiorno, una ventina di metri quadrati collegati a una cucina abitabile, era piuttosto ordinario. Ma, grazie ai motivi floreali del divano e delle tende, all’aspetto antico e un po’ consunto della libreria e della credenza in legno marrone scuro, e ai collage di autore sconosciuto appesi alle pareti, vi si ritrovava un’atmosfera intima e in stile mansarda molto simile a quella dell’appartamento di Oyamadai, dove Reiko aveva abitato quand’era ancora single.

    Il profumo di violetta si fece più intenso. Nonostante l’aria informale, non c’era una foto né del matrimonio né del viaggio di nozze, ma questo rispecchiava molto la personalità di Reiko. A ben pensarci, non le erano mai piaciute le fotografie.

    In bagno, Rika fece degli sciacqui e si lavò le mani, utilizzando poi un piccolo e soffice asciugamano perfettamente ordinato insieme ad altri all’interno di un cestino, proprio come nei bagni di un albergo. Percepì un gradevole profumo di ammorbidente e, nonostante di solito non vi avrebbe nemmeno fatto caso, le venne addirittura da chiedersi di quale marca fosse.

    «Scusami! Ho fatto tardi, e in più non sono riuscita a trovare che questo…»

    Quando estrasse con aria mortificata dal sacchetto l’involucro bianco con su scritto MARGARINA ARRICCHITA CON IL 50% DI BURRO, Reiko proruppe in un’esclamazione: «Oh! Ma è fantastico, grazie!», e andò a riporlo nel frigorifero. In realtà a Rika non era nemmeno molto chiaro quale differenza ci fosse tra il burro e la margarina.

    «Ho girato tutti i supermercati della zona, ma alla fine ho trovato solo questo…»

    «Ah, mi dispiace! Però dopo tutti questi giri, qualcosa è spuntato fuori! Sembra proprio la storia di Little Black Sambo…» Con un sorrisino sulle labbra, Reiko tornò saltellando in soggiorno da Rika, estrasse dalla libreria un volume con la copertina rosso vivo e glielo porse. In effetti un libro illustrato con quel titolo Rika aveva l’impressione di averlo letto, quand’era all’asilo. Ricordava vagamente la storia, ma aveva memoria visiva del tratto deciso delle illustrazioni e dei colori vivaci utilizzati.

    «Ho deciso di comprare, per i figli che verranno, tutti i libri illustrati che mi erano piaciuti, visto che stanno andando tutti fuori catalogo. Persino Little Black Sambo, per via di alcune descrizioni inappropriate delle persone di colore, non è quasi più in circolazione. Anche se io trovo che non ci sia nulla di discriminatorio nel contenuto…»

    Dal tono in cui Reiko parlava, sembrava quasi che i suoi bambini fossero già venuti al mondo, come se tutti si aspettassero di vedere spuntare il loro faccino nella stanza da un momento all’altro. Era sposata da due anni. Il ginecologo le aveva comunicato che il motivo per cui non rimaneva incinta era lo stress causato da un ambiente lavorativo troppo opprimente. Da quel posto in cui non le rimaneva nemmeno il tempo per le visite mediche, Reiko si era prontamente distaccata l’estate dell’anno precedente.

    Rika osservò di sottecchi l’amica che sfogliava il libro illustrato. In apparenza non c’erano ancora segni di una gravidanza, ma Reiko aveva già l’aria serena tipica di una madre. Rispetto a quando lavorava, i capelli e la pelle, ormai priva di qualsiasi ombra di trucco, erano ovviamente più lucenti, gli occhi marroni più idratati, le labbra turgide come petali di fiori, ed emanava un’atmosfera di rilassatezza. Da sotto la gonna a fiorellini spuntavano le gambe snelle fasciate da leggings blu, con sopra degli scaldamuscoli in lana. Risultava oltremodo casual rispetto alla tenuta impeccabile che indossava costantemente quando lavorava come addetta stampa presso una grossa casa di produzione cinematografica, ma era comunque molto carina; per qualche strano motivo, ricordava le ragazze di Parigi. Con quell’aria sbarazzina, sembrava impossibile che avesse trentatré anni proprio come lei.

    Quando Reiko, così brillante, aveva deciso di lasciare il lavoro, Rika aveva pensato come prima cosa che fosse uno spreco. Poi si era sentita come lasciata sola, e non era riuscita più a dormire bene. Avevano perfino avuto più di una discussione al telefono.

    Mentre seguiva con lo sguardo il libro illustrato da dietro le spalle esili di Reiko, le tornarono alla mente ricordi del periodo universitario, quando nella grande aula a scalinata si scambiavano libri e quaderni di appunti. Nel racconto, un ragazzino di colore chiamato Little Black Sambo si imbatteva nel bel mezzo della giungla in alcune tigri che avevano rubato i suoi abiti e tutto quello che aveva. Ma poi le belve, tutte prese da una gara per stabilire chi fosse la meglio vestita, avevano iniziato a mordersi la coda e a girare vorticosamente intorno a un albero, finendo a un certo punto per liquefarsi e trasformarsi in una specie di burro giallastro. Il padre di Sambo lo aveva trovato per caso e portato a casa, e la moglie lo aveva usato per cucinare dei pancake, così che le tigri, in conclusione, erano finite nella pancia dei membri della famiglia. Era una storia edificante, ma anche vagamente crudele.

    «Non credi che la famiglia di Sambo sia stata un po’ insensibile? Mi fanno un po’ pena le tigri…»

    «Ma che cavolo dici? Sono state loro le cattive! All’inizio volevano anche mangiarlo, no? Ma poi sono state distratte dalla loro vanità e completamente assorbite dalla contesa. Io credo che la morale sia che non si deve lasciare che la vanità renda così competitivi da spingere all’autodistruzione.»

    Mentre erano prese dalla loro discussione, si sentì il rumore della porta d’ingresso che si apriva. «Ah, Rika, sei già arrivata… Era un bel po’ che non ci si vedeva!»

    Ryōsuke, che lavorava presso l’ufficio commerciale di un’azienda di dolciumi di medie dimensioni, era rientrato a un orario che per gli standard di Rika era incredibilmente presto. Alle superiori aveva giocato come quarterback nella squadra di football americano della scuola, e aveva un fisico imponente. Erano caratteristici i suoi occhi sottili sempre sorridenti e spensierati, e le guance rosse che spiccavano sul volto come quelle dei bambini. A una prima occhiata, sembrava non avere nulla in comune con Reiko, e neppure grossi argomenti di conversazione.

    Si erano conosciuti durante una campagna promozionale per il lancio di un film. Quando la produzione aveva deciso di realizzare delle torte con l’immagine dell’eroina protagonista da vendere solo nelle sale cinematografiche si erano incontrati più volte per discutere i dettagli. Era stata Reiko la prima a provare interesse. Pare avesse pensato fin dal primo istante che non poteva essere altro che lui l’uomo della sua vita. Ryōsuke era rimasto inizialmente un po’ perplesso di fronte alle aperte avance di Reiko, perché gli sembrava un tipo di donna fuori dalla sua portata, come un inaccessibile fiore raro di montagna. Tuttavia, a mano a mano che lei scopriva i lati più puri di quel suo carattere introverso, Ryōsuke aveva iniziato a provare qualcosa. Lui era cresciuto a Saitama insieme ad altri tre fratelli, in una famiglia i cui genitori andavano d’amore e d’accordo e gestivano un negozio di liquori; aveva affascinato Reiko già solo con l’aria onesta e generosa che lo contraddistingueva.

    La gelosia che Rika aveva provato all’inizio nei suoi confronti si era ormai del tutto placata. Anche se, in verità, quando aveva visto l’amica vestita da sposa aveva avuto la sensazione che le fosse stata rubata una parte di se stessa.

    Reiko dispose sul tavolo uno dopo l’altro una serie di piatti da portata tutti diversi per tipo di ceramica e decorazione, e iniziarono la cena.

    Una bagna cauda con verdure invernali bollite e salsa densa di acciughe, carne di maiale marinata e stufata tagliata a fettine sottili, un gratin di porri al latte di soia, riso con ostriche cotte in tegame di coccio, e zuppa di miso. Erano tutte preparazioni che esaltavano il sapore intenso degli ingredienti di stagione, conditi in modo tale da non coprirne il gusto, ma Rika vi percepì comunque una certa complessità. Mentre portava alla bocca il riso, arricchito dal profumo di mare e dalla salsa di soia, guardò di soppiatto Reiko, chiedendosi se le ostriche non fossero un cibo che poteva favorire la fertilità. Le era aumentato l’appetito, ovviamente per la bontà delle pietanze, ma anche perché era affascinata dalla voracità con cui stava mangiando Ryōsuke.

    «Posso fare il bis? Questa carne di maiale è tenerissima! Potresti aprire un ristorante!» disse lui ammirato socchiudendo gli occhi, mentre porgeva di nuovo il piatto vuoto. Reiko glielo riempì con aria quanto mai orgogliosa.

    Rika si sentì in colpa per aver deciso in modo del tutto arbitrario che in quel sobborgo non spirava la minima aria di tradizione. Probabilmente avevano scelto quella zona dopo essersi consultati tra loro, calcolando con attenzione il loro standard di vita in base all’introito annuale del lavoro di Ryōsuke, e privilegiando la sicurezza e la comodità dei servizi. Pareva che Reiko avesse ormai contatti molto rari con la sua famiglia.

    «Scusate per la frase così banale, ma vorrei anch’io una moglie! Sei fortunato, Ryōsuke!»

    Non era un complimento. Era davvero invidiosa di lui, che le sorrideva beato di fronte. Ebbe la sensazione di capire il perché di quella sua carnagione fresca, di quell’aspetto radioso, di quella sua aria rilassata. Anche al lavoro, gli uomini sposati della generazione precedente alla sua avevano in qualche modo quell’aria. A quanto si diceva, la maggior parte delle mogli dei suoi impegnatissimi colleghi faceva semplicemente la casalinga. Lei non aveva mai pensato a uno stile di vita simile, ma capiva bene quale enorme contributo dessero quelle donne alla famiglia. Ogni sera ripulivano le scorie di stress che tutti i giorni andavano depositandosi pian piano nel partner. Se si lasciavano accumulare, prima o poi ne avrebbero indebolito il fisico. Il collega morto il mese prima improvvisamente, in casa, era scapolo e viveva da solo. Le affiorò alla mente il suo freddo appartamento, dove non faceva le pulizie da chissà quanto, pensando a come la propria situazione non fosse poi così diversa.

    «Senti, la prossima volta porta anche Makoto, il tuo fidanzato! Non l’ho ancora incontrato nemmeno una volta!»

    Ah, perché, io avrei un fidanzato? Rika si mise quasi a ridere. Makoto Fujimura era stato assunto nel suo stesso anno, e lavorava nella redazione delle riviste letterarie. Avevano iniziato a frequentarsi come amici, ed erano ben lontani dall’avere una relazione romantica. Tutti i giorni al lavoro si incrociavano a malapena, e per lei era solo uno con cui passare la notte due volte al mese, a casa di uno dei due. Mantenere quella distanza lo trovava piuttosto un vantaggio.

    «Rika, cosa mangi di solito? Fai una vita regolare? Sembri di nuovo dimagrita. Non ricordo dove l’ho letto, ma pare che le calorie assunte dalle donne giapponesi oggi siano ancora meno di quelle dell’immediato dopoguerra!»

    «Sì, ha senso. Non ho tempo né voglia di prepararmi da mangiare. Non ho nemmeno la vaporiera per cuocere il riso. E poi, la maggior parte delle sere mangio con qualche alto papavero dei ministeri che bisogna intrattenere o con qualcuno che devo intervistare.»

    «Be’, almeno alle cene con i dirigenti mangerai di sicuro manicaretti che non riusciamo neppure a immaginare…»

    A Rika tornarono alla mente le molte ore trascorse in lussuosi ristoranti tradizionali di Ginza, trattata come se fosse una escort. Molti di quegli alti funzionari a volte interpretavano erroneamente la situazione a loro vantaggio, in modo quasi disgustoso. Pensavano magari che quella giornalista non si fosse avvicinata in cerca di notizie, ma che si fosse invaghita di loro. I porri al gratin, teneri quasi da sciogliersi in bocca, acquistarono di colpo un sapore amaro. Rika cambiò discorso.

    «Ma io non me ne intendo di sapori! Sono come un bambino, quanto a gusti gastronomici. Mi fai contenta con un obentō del minimarket o con il riso al curry dei ristoranti per famiglie!»

    Era sempre stata piuttosto indifferente al cibo raffinato o agli abiti eleganti. Ma essendo alta rischiava di essere considerata corpulenta, e così aveva fatto attenzione a non superare mai i cinquanta chili di peso. Forse era stata influenzata in questo senso dalla madre, che aveva uno spiccato senso estetico. La sera si sforzava di mangiare il meno possibile. Anche alle cene a cui veniva invitata cercava di limitarsi a verdure e una zuppa. Al minimarket aperto ventiquattr’ore di fronte alla sede della sua casa editrice, dove si recava due volte al giorno, sceglieva immancabilmente yogurt, insalata o vermicelli di soia. Dato che non aveva tempo di andare in palestra, cercava di muoversi il più possibile a piedi. Anche se non era particolarmente attraente, grazie alla corporatura snella riceveva spesso complimenti, e l’abbigliamento casual che sceglieva senza particolare attenzione faceva comunque un discreto effetto addosso a lei. Il suo era un ambiente dove mantenere un aspetto curato aveva sempre i suoi vantaggi professionali. Grazie anche agli occhi dal taglio allungato e ai lineamenti sottili e vagamente maschili, quando era alle superiori riceveva spesso lettere da parte di compagne di scuola più grandi.

    «Io non credo che tu abbia così poco gusto per il cibo. Misaki diceva sempre di non avere tanto tempo per dedicarsi alla cucina, eppure ti dava sempre le cose migliori, certo entro i limiti di quello che riusciva a preparare. Ti ha allevata da sola, è da ammirare molto, molto più di mia madre!»

    Reiko chiamava affettuosamente Misaki la madre di Rika, i cui genitori avevano divorziato subito dopo che lei aveva iniziato a frequentare la scuola media. Dopo la separazione, la madre era entrata come socia nella gestione di un negozio di abbigliamento aperto da un’amica. Non aveva ottenuto gli alimenti, e non potendo fare affidamento sul supporto economico del marito si era buttata a capofitto nel lavoro, senza mai un attimo di riposo. A cucinare non era così brava, ma quando vivevano ancora con il padre cercava sempre di mettere in piedi pasti abbondanti e vari.

    Scusa, non è che aiuteresti un po’ la mamma? si sentiva chiedere ogni tanto Rika da quando aveva iniziato a lavorare, e lei, per nulla infastidita, si impegnava con entusiasmo per darle una mano. Sbrigava le pulizie e il bucato fino al suo rientro, cuoceva il riso e preparava la zuppa di miso. La madre rientrava a casa dopo le otto, portando piatti pronti presi al supermercato che diventavano le pietanze principali della loro cena a tarda ora. Non c’erano cibi elaborati cucinati in casa, ma in compenso non c’era nemmeno quell’atmosfera tesa tipica di quando era presente il padre. Erano numerose anche le sere in cui si incontravano direttamente in qualche ristorantino per famiglie e cenavano lì. Quel periodo vissuto un po’ arrangiandosi l’aveva divertita, quasi si trattasse di uno svago prolungato. La consapevolezza di essere considerata un aiuto le dava fiducia in se stessa.

    La vita era proseguita con quel ritmo fino a quando Rika non se n’era andata via di casa, a ventidue anni. Il negozio della madre procedeva a gonfie vele. Erano aumentati anche i viaggi all’estero per rifornirsi di capi, e c’erano mesi in cui a Rika era capitato di vivere più a Okusawa con i nonni che a casa con lei, ma avevano comunque mantenuto un buon rapporto, che perdurava tuttora. Non c’erano state nemmeno fasi di ribellione, e Rika aveva continuato decidendo da sola sia l’iter scolastico che la successiva ricerca di un impiego. Anche ora che aveva superato la sessantina, la madre, lavoratrice instancabile, era sempre al suo posto nel nuovo negozio che aveva aperto a Jiyūgaoka. Non lo diceva apertamente, ma sembrava avesse anche un fidanzato.

    Ai tempi dell’università, Reiko andava spesso a trovare l’amica nell’appartamento di Hatanodai dove viveva con la madre, portando con sé ingredienti e attrezzi da cucina. Sia Rika sia Misaki si erano grandemente sorprese della sua bravura ai fornelli, e ne erano rimaste impressionate. Persino in piatti semplici come la pasta o l’ochazuke, tocchi particolari come l’aggiunta di buccia di yuzu o di limone in salamoia facevano capire il suo gusto e la sua inventiva, e davano un sapore per cui chiunque avrebbe voluto continuare a mangiare lentamente, prendendosi tutto il tempo che voleva.

    Reiko era l’unica figlia del proprietario di uno storico albergo di Kanazawa, e aveva un radicato senso estetico e uno spirito anticonformista che nessuno avrebbe mai sospettato a giudicare dal suo aspetto delicato. Fin da bambina i genitori avevano vissuto da separati in casa. Pareva che, in modo del tutto consensuale, ciascuno di loro avesse persino un amante ufficiale, e che non si occupassero molto della figlia. Per lei, che trascorreva gran parte del tempo con una domestica dalle incredibili abilità culinarie, il cosiddetto sapore di casa era una tavola con allineate sopra terrine che al taglio mostravano raffinate decorazioni cromatiche, o una moltitudine di piccole ciotole il cui contenuto era stato preparato tenendo conto alla perfezione dell’apporto calorico. Se un giorno avrò dei figli, vorrei che mangiassero il cibo e i dolci che gli preparerò io. Sto studiando fin da adesso pietanze che si possano mangiare in quantità, ma che siano anche salutari ripeteva in continuazione, come un mantra.

    Pur se cresciute in ambienti diversi, Rika e Reiko avevano vissuto un’infanzia simile. Entrambe nutrivano infatti una sorta di insofferenza verso la struttura familiare tradizionale, considerata la più normale nell’opinione comune. Quindi, forse, era per questo che all’esame di ammissione all’università i loro sguardi si erano incrociati e le due avevano iniziato a scambiare qualche parola.

    Gli occhi di Reiko stavano brillando di curiosità. «Perché non mi parli un po’ del lavoro? Avevi detto di aver chiesto un’intervista con Manako Kajii, com’è andata a finire?»

    Manako Kajii era stata la principale indiziata per tre morti, avvenute a breve distanza e in circostanze misteriose nell’area metropolitana di Tōkyō, che avevano fatto molto parlare in anni recenti. Servendosi di un sito di incontri a scopo matrimoniale, aveva estorto denaro a una serie di uomini ed era accusata addirittura di averne uccisi tre. Il blog di lusso e cucina gourmet che aveva continuato a tenere fino a poco prima di venire arrestata era diventato famoso. Si diceva che le sue passioni fossero girare per ristoranti e fare acquisti in rete, e che fosse anche molto brava in cucina. I media non avevano ancora smesso di parlare di lei. Al momento, era detenuta nel carcere di Tōkyō in attesa di giudizio.

    Era un caso che l’aveva sempre incuriosita. All’epoca dei fatti lavorava in un’altra sezione e non aveva potuto occuparsene direttamente. Ma l’interesse aveva continuato a covare dentro di lei, e ormai aveva quasi raggiunto l’età che aveva Kajii al momento dell’arresto. E ora che l’incarico di seguire le elezioni politiche era giunto al termine, finalmente poteva muoversi a propria discrezione.

    «Credo che Manako Kajii sia davvero un’ingorda! È sovrappeso! Non capisco come abbia fatto una cicciona del genere a truffare gli uomini con la lusinga di un possibile matrimonio. Forse perché è così brava in cucina?» disse Ryōsuke.

    Rika sentì un brivido correrle lungo la schiena. Vide Reiko aggrottare quasi impercettibilmente le sopracciglia. Era sempre stata molto suscettibile rispetto a qualsiasi forma di sessismo, ancor più di Rika. Non si poteva tuttavia dire che Ryōsuke fosse particolarmente insensibile. Il suo era solo il commento tipico del maschio medio. Molta dell’attenzione suscitata dal caso era dovuta al fatto che Kajii, che aveva manipolato un mucchio di uomini e anche in aula si era comportata come una regina, non era né giovane né bella. A giudicare dalle foto, doveva pesare più di settanta chili.

    «Più che parlare delle azioni di Manako, bisognerebbe considerare il contesto sociale di questo caso e la misoginia in cui affonda… Ho l’impressione che sia lei sia le vittime, e tutti gli uomini coinvolti, odino le donne. Non so se riuscirò a esprimere pienamente questa sfumatura in una rivista rivolta al pubblico maschile come quella che pubblichiamo. E comunque, le ho mandato diverse lettere ma non mi ha mai risposto. Sono andata anche due volte al carcere, ma pare che lei non abbia nessuna intenzione di incontrarmi.»

    Sono stato sempre da solo, e avrei accettato qualsiasi bruttona, se solo si fosse occupata di me da anziano.

    Mi andava bene una donna qualunque, a condizione che si dedicasse alle faccende di casa e cucinasse per me.

    Sarà anche grassa, ma è una donna fantastica. Ha quel fare innocente, quello di chi conosce poco il mondo…

    Questo avevano raccontato le vittime a persone con cui erano in confidenza. Avevano un forte bisogno di Manako Kajii e di sicuro le avevano dato grosse cifre di denaro, eppure, per qualche motivo, di fronte agli altri continuavano a usare espressioni denigratorie. In tribunale, la pubblica accusa aveva ignorato alibi e prove, insistendo invece sull’ideale di castità di Manako e condannandolo. Gli argomenti su cui si focalizzava l’attenzione cambiavano di continuo e così il processo andava avanti lentamente e con fatica. Una testimone, una caregiver familiare, era stata persino sottoposta a un interrogatorio che aveva quasi sconfinato nelle molestie sessuali.

    Nelle discussioni in merito al caso, i pareri degli uomini e delle donne risultavano diametralmente opposti. Le parole pronunciate da un opinionista erano state bollate come discriminatorie nei confronti delle donne, e l’uomo aveva dovuto scusarsi.

    «L’ultima vittima… ma sì, quell’otaku famoso sulla rete. Appena prima di venire investito dal treno aveva mangiato uno stufato di manzo preparato da Manako. Forse anche quella era una ricetta che aveva imparato a quel corso di cucina francese, come si chiamava, Salon de Miyuko

    Pareva che Reiko avesse letto con passione gli articoli sulle riviste, e persino fatto ricerche su internet. Non solo le era sempre piaciuto tenersi al passo coi tempi, in senso buono, ma era anche molto studiosa; all’università si era distinta tra le migliori, anche se fino all’ultimo era stata incerta se proseguire con il dottorato.

    Il Salon de Miyuko era un corso di cucina francese, conosciuto soprattutto dalle signore dell’alta borghesia, che Miyuko Sasazuka, moglie dello chef e proprietario del famoso ristorante francese Balzac di Nishi Azabu, aveva creato per un pubblico femminile. Lei era direttrice di sala, e teneva le lezioni nel giorno di chiusura del locale. Il punto di forza del corso era che gli studenti potevano usare la cucina e gli strumenti professionali del Balzac, nonché gli ingredienti di prima qualità del ristorante. C’erano tre lezioni al mese, e per ciascuna si pagava una quota elevata, quindicimila yen. Se si frequentava per un anno, la spesa ammontava a più di cinquecentomila yen. E anche una volta completato il corso, in realtà non si otteneva alcun diploma, né si poteva lavorare come professionisti. Insomma, era un insegnamento esclusivo che potevano permettersi solo ricche casalinghe o donne che guadagnavano molto bene. Si era saputo che fino a due mesi prima dell’arresto, Manako Kajii aveva frequentato con passione il corso, facendo pagare la quota di iscrizione a una delle sue vittime. Cercando in rete, si potevano trovare con facilità foto che la ritraevano insieme alle altre allieve. In mezzo a donne abbigliate con eleganza e buon gusto, Manako, con un vestitino attillato che ne metteva in evidenza le forme generose e sembrava più adatto a un appuntamento galante che a una lezione di cucina, appariva del tutto fuori contesto. Girava voce che, a causa delle aggressive investigazioni promosse dai mass media, il corso fosse stato al momento sospeso.

    «Sì, sì, la vittima aveva scritto un messaggio alla madre, prima di morire. Diceva che lo stufato di manzo che Manako aveva preparato era squisito. Anche al processo, l’avvocato della difesa ha sottolineato quanto fosse improbabile che una donna che cucina un piatto così raffinato per il proprio amante poi lo spinga sotto un treno in corsa. Ah, ecco, a proposito… Rika, perché la prossima volta che le mandi una lettera non le scrivi che vorresti assolutamente conoscere la ricetta di quello stufato? Probabilmente accetterebbe di incontrarti…»

    Rika sbatté le palpebre. Non ci aveva mai pensato. Si ricordò di come Reiko, ai tempi in cui lavorava come addetta stampa, con la sua premura, il senso dell’umorismo e i regali inattesi, avesse spesso fatto capitolare e portato dalla sua parte registi famosi, direttori di agenzie di spettacolo e sponsor dal carattere difficile.

    «Insomma, una donna appassionata di cucina è lusingata quando le chiedono una ricetta, e finisce per parlare anche di cose che non le sono state chieste. È sicuro al cento per cento! In realtà anche per me è così…»

    «È vero, di recente è venuto a trovarci a casa un collega di lavoro con la moglie e i figli, e sono rimasti deliziati dagli shūmai che aveva preparato Reiko. Così lei ha cominciato a parlare della ricetta, e degli utensili che aveva usato per cuocerli a vapore, e non la finiva più! Mi sono davvero stupito…» commentò il marito ridacchiando.

    «Ehi, Ryōsuke, una volta vorrei provare ad andarci anch’io, al Salon de Miyuko…»

    «Impossibile, con quello che guadagno io!»

    Come dessert, furono servite castagne sciroppate fatte in casa, una chiffon cake preparata con farina di riso e amazake, e un chai profumato allo zenzero.

    Rika le fece i complimenti per l’impasto della torta, che non solo era morbidissimo, ma aveva anche una consistenza pastosa ed elastica. Reiko allora abbassò gli occhi, come mortificata.

    «Natale è vicino, e in realtà avrei voluto preparare qualcosa di più scenografico, tipo un tronchetto con crema al burro e le decorazioni… Ah, senti, Ryōsuke… Prima ho mandato anche Rika a cercarlo, ma pare proprio che in zona non si trovi ancora il burro. Per un po’ dovrò rinunciare alla pound cake e al pan di spagna, dovrò accontentarmi della chiffon, che si fa con l’olio vegetale.»

    «Ma dai, questa è buonissima, è pastosa… Credo che la penuria di burro durerà ancora per un bel po’. Dicono sia perché l’estate scorsa ha continuato a far caldo più a lungo del normale, e molte mucche da latte hanno sofferto di mastite. Eppure quest’anno avevano aumentato d’urgenza le importazioni, prevedendo il problema. Chissà mai dov’è finito, il burro! Ma di base, sono diminuite anche le fattorie che lo producono. Forse arriverà il momento in cui dovremo dipendere del tutto dall’estero per i prodotti caseari. E comunque, per aziende piccole come la nostra è un bel problema!»

    Mentre concordava con quanto aveva appena detto Ryōsuke, Rika si ricordò di colpo di quanto a Manako Kajii piacesse il burro. Il suo blog l’aveva letto un po’ a salti, ma l’unica cosa che le era rimasta impressa era che parlava a ripetizione del burro di qualità superiore. E anche al processo era emerso come avesse comprato una gran quantità di panetti che costavano quasi duemila yen l’uno usando di nascosto la carta di credito di una delle vittime. Era originaria di Niigata e pareva fosse cresciuta in mezzo alle fattorie, e forse per questo era un po’ fissata con i prodotti caseari. In rete era stata messa in ridicolo perché si vociferava che fosse così grassa proprio per aver mangiato troppo burro, o che addirittura l’avesse usato per scopi lascivi.

    «Ma perché non te la prendi comoda? Se devi alzarti presto, potresti fermarti a dormire qui…» Declinando l’invito accorato a rimanere della coppia di amici, poco dopo le nove Rika si accomiatò. Portando con sé degli onigiri fatti con il riso alle ostriche e una fetta di chiffon cake, che Reiko le aveva avvolto con cura nella pellicola trasparente, si avviò direttamente verso la redazione.

    Voglio avere rapporti solo con persone che capiscono quale sia la reale natura delle cose. Persone vere, e sono poche.

    Era una frase che piaceva molto a Manako Kajii, e che usava spesso nel suo blog. Ma sembrava adattarsi perfettamente a una donna come Reiko.

    Giunta davanti ai tornelli all’ingresso della stazione, si girò ancora una volta verso l’abitato. La distesa di luci che illuminavano le casette a schiera lungo il pendio della collina le sembrò emanare un calore particolare, in modo del tutto diverso da prima. Quando estrasse la tessera prepagata, si accorse che le sue dita erano meno secche, e che le pellicine si erano ammorbidite.

    «La discussione sul revenge porn è tutta concentrata sulla questione se le vittime siano state fotografate nude per loro espressa volontà o meno. Ma così si finisce per perdere il nocciolo del problema! Finché si continuerà a blaterare sulle responsabilità dell’interessato, episodi come questo non smetteranno mai di accadere!»

    Le maniche della giacca dell’opinionista, gettata a casaccio sopra la scrivania, apparivano lunghissime nella parte che andava dal gomito al polso. Il volto dalla carnagione scura era scavato, e tra i capelli spuntavano qua e là puntini bianchi di forfora. Osservando meglio, sotto gli occhi gonfi e cadenti si notavano profonde occhiaie scure, che davano un’impressione poco salutare. Ogni volta che il suo atteggiamento serio si rilassava involontariamente per un attimo, o che il pomo d’Adamo si muoveva con evidenza sul collo slanciato, Rika non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Shinoi era stato invitato a quel talk show per parlare del caso di un’impiegata che lavorava a Hamamatsu-chō, strangolata dopo che le sue foto di nudo erano state diffuse in rete da un suo ex.

    «Ehi, di recente Shinoi si vede spesso in questi programmi, no? Be’, ha un po’ una faccia da yakuza, ma per essere uno sulla quarantina, e visto che a guardarlo sono soprattutto le donne, non credo che gli manchino le fan tra le casalinghe. Insomma, per la sua età si mantiene ancora bene!»

    Aveva sentito arrivare da dietro la voce di Kitamura, un collega di quattro anni più giovane di lei.

    «Tu trovi?» Con un sorriso, e assumendo un’espressione il più disinteressata possibile, Rika distolse lo sguardo dallo schermo del televisore, e si avvicinò il telecomando poggiato sopra il divano consunto.

    Yoshinori Shinoi, redattore di spicco di un’importante agenzia di stampa, di recente diventato famoso per le sue apparizioni in tivù, era da sempre considerato autorevole e tenuto in gran conto come opinionista, ed era ben conosciuto all’interno della redazione.

    Quello spazio, in cui c’erano il televisore e un vecchio divano a ferro di cavallo, era considerato il posto ideale per prendersi delle brevi pause. Se non si faceva caso alla gente intorno, ci si poteva anche fare un sonnellino. Rika guardò la parete ingiallita dai vapori di nicotina che filtravano dalla porta della stanza per fumatori che le stava di fronte, e abbassò il volume dell’apparecchio. All’interno della Shumeisha, il grande gruppo editoriale, l’unico posto dove c’era una stanza dedicata alle sigarette era la redazione di quella rivista, Shūkan Shumei. I fumatori incalliti della sezione arte e letteratura e dell’amministrazione andavano lì apposta per farsi due boccate, e c’era un discreto via vai. L’unico momento in cui si poteva stare lì tranquilli era la mattina, quando non era ancora affollato. Nonostante si fosse recata presto al lavoro per le sue ricerche, una volta sedutasi su quel divano si era immediatamente impigrita. Come colazione, Rika estrasse dal sacchetto del minimarket un onigiri, e lo scartò dalla pellicola trasparente. Era ancora tiepido, visto che se l’era appena fatto scaldare al microonde. Mentre curiosava tra gli scaffali forniti di una grande varietà di onigiri, come faceva sempre prima di entrare al lavoro, si era ricordata con nostalgia della cena che le aveva preparato Reiko la settimana prima, e alla fine aveva allungato la mano verso il takikomi gohan, che di solito non mangiava mai.

    «A proposito del caso di revenge porn e omicidio di Hamamatsu-chō… Il sospettato non è stato perseguito, ma si dice che già in passato avesse commesso azioni simili di stalkeraggio nei confronti di altre due ex fidanzate, proprio come tu avevi ipotizzato fin dall’inizio, Machida. Sei stata più veloce di chiunque altro!»

    A un tratto Kitamura le si era seduto accanto, e aveva iniziato a parlarle come se fossero dei vecchi compagni di classe. Muoveva con disinvoltura il fisico snello, senza alcun gonfiore o traccia di grasso superfluo, dentro una camicia a righe ben inamidata, e la fluente capigliatura castano chiaro si combinava perfettamente con la pelle bianca. Era stato cresciuto con tutte le attenzioni, come una principessa; dormiva più di chiunque altro, non beveva né fumava, ed era sempre il primo a fare commenti sui libri o sui film di cui si parlava in giro. Non era il tipico giornalista che lavorava per un periodico, e non lasciava mai trapelare il minimo segno di stanchezza. Ovviamente non era mai di cattivo umore, né si ammalava, e, nonostante non fosse certo uno stakanovista, stranamente godeva di grande considerazione.

    «Mah, quello è stato un semplice colpo di fortuna! E che noia, il dibattito di oggi! Questa settimana non hanno trovato niente di decente. E poi, si fa tanta fatica per riuscire a ottenere uno scoop, e la notizia finisce subito in rete…»

    «Una rivista come la nostra, rivolta agli uomini maturi, finché ci infili articoli su come risparmiare sulle tasse di successione o sulla prevenzione dei tumori, vende comunque. Quindi va bene una cosa qualsiasi. Tra un po’ forse dovremo pubblicare articoli tipo Le dieci regole per continuare a fare sesso fino alla fine dei nostri giorni…»

    Era giovedì, e ciascuno doveva proporre gli avvenimenti o i temi che aveva individuato. In base a questo, il venerdì il direttore annunciava la scaletta del numero successivo, e il fine settimana erano tutti impegnati a raccogliere materiale e a scrivere le bozze degli articoli, in modo da essere in tempo per la chiusura del lunedì. Questa routine settimanale, che somigliava a una breve corsa disperata, si ripeteva per quattro volte al mese e, facendo i calcoli, più o meno quarantotto volte l’anno. Dopo dieci anni di lavoro, quel ritmo ti si insinuava fino in fondo alle ossa, e sia nel sonno sia da svegli non si riusciva a eliminare la sensazione di essere sempre in affanno. Erano in tutto settanta dipendenti: dieci fotografi, otto addetti agli affari generali, undici caporedattori, e per il resto giornalisti. Rika era l’unica giornalista donna regolarmente assunta. Delle altre quattro che erano entrate a lavorare insieme a lei, due avevano fatto richiesta di trasferimento ed erano passate ad altri dipartimenti, e altre due, preoccupate per la propria salute fisica e mentale, avevano lasciato l’impiego. Anche altre colleghe più anziane, che l’avevano aiutata ad ambientarsi, dopo il matrimonio si erano spostate alla divisione Pubblicazioni letterarie e artistiche o a quella amministrativa. Quel posto di lavoro, a meno che non si usassero arti magiche, non era assolutamente compatibile con la maternità e l’educazione dei figli.

    «Machida, se continui con questi scoop, forse sarai la prima giornalista donna a poter diventare redattore capo qui a Shūkan Shumei. È fantastico!»

    Alla rivista, revisionare le varie bozze e trasformarle in articoli di solito era un lavoro da caporedattore. L’obiettivo di Rika era quello di vedere un giorno pubblicato un pezzo così com’era stato scritto da lei stessa.

    «Ma che dici, Kitamura? Tanto lo so che tu non sei minimamente invidioso di quelli che fanno carriera!»

    Con quella gelida frecciatina nei confronti del collega voleva sottolineare il fatto che chiunque ormai aveva perfettamente capito il suo atteggiamento, teso soltanto a poter tornare prima a casa, e che non mostrava nemmeno lontanamente l’intenzione di impegnarsi a fondo. Non proponeva mai spontaneamente degli argomenti da trattare, ma in compenso, visto che non nutriva alcun entusiastico attaccamento verso l’inchiesta assegnatagli, non commetteva errori, ed era il più rapido a portare avanti il lavoro. Eppure, stavolta sembrava estremamente coinvolto.

    «Però gli argomenti che proponi sono troppo vari, passi dalla cultura allo sport, senza un filo conduttore. Mi dispiace dirlo, ma vedendolo da fuori… Le giornaliste, per quanto spesso incontrino ufficiali di polizia o funzionari governativi, magari vengono trattate con carineria, ma non riescono mai a farli essere del tutto sinceri, giusto? In conclusione, pur impiegando la stessa quantità di tempo e di energie, sono i giornalisti uomini a guadagnarsi la fiducia dell’ospite e a cogliere gli spunti interessanti per un articolo.»

    Nell’ambiente si definiva ospite una persona da cui si cercava di ottenere informazioni esclusive.

    L’onigiri era un semplice ammasso di riso bollito senza consistenza né profumo che, pur assomigliando a quelli che le aveva preparato Reiko, non ne era nemmeno lontano parente. Ne avvertì il calore sulla punta della lingua, ma quando le scese nella gola provò solo il diffondersi di una sensazione di freddo. Lo mandò giù con del tè verde bevuto direttamente dalla bottiglietta, e leccò via i chicchi che le si erano infilati tra i denti.

    Con la coda dell’occhio, sullo schermo vide Shinoi che annuiva leggermente in direzione del conduttore.

    «Eppure, Machida, nonostante tu sia una donna, hai infilato una serie di scoop… Devi aver acchiappato un pesce bello grosso, come ospite! Be’, immagino però che tu non possa rivelare le tue fonti…»

    Uomini come Kitamura non potevano certo rendersene conto. E anche nel caso avessero capito, forse non avrebbero mostrato eccessivo interesse. Con un sorriso beffardo, Rika lo guardò dritto negli occhi, di un marrone tendente al chiaro.

    «Scusami, Machida… Prima o poi toglierai di mezzo questo scatolone?» La voce squillante, che suonava oltremodo infastidita, era quella di Yū Uchimura, una studentessa universitaria che lavorava lì part time, e che conosceva molto bene. Dopo che le era stata confermata l’assunzione regolare per l’anno successivo, era diventata più sfrontata. Grata per quell’interruzione, Rika si alzò e diede le spalle a Kitamura.

    «Hai ragione, sarebbe anche ora… Uno di questi giorni me lo faccio spedire a casa. Scusami tanto!»

    Si precipitò alla sua scrivania, vi infilò sotto lo scatolone che ostruiva il corridoio e si sedette. Era ciò in cui si erano trasformati tre anni di blog stampati su carta. Già in partenza erano tutti articoli lunghi, e oltretutto Manako Kajii lo aggiornava più volte quotidianamente; per cui si erano accumulati in quantità spropositata. Al momento, il blog era stato cancellato, ma grazie a uno dei suoi ospiti, che aveva prontamente conservato il tutto in archivio, Rika era riuscita a procurarsi quelle copie. Estrasse dallo scatolone gli articoli corrispondenti a cinque giorni e cominciò a sfogliarli. Sembrava la vita di un membro della nobiltà, per il quale le giornate trascorrevano soltanto tra visite a ristoranti e shopping. Era un maniacale susseguirsi di locali rinomati nel panorama cittadino, di descrizioni di dolci e di vini considerati al top della qualità. La pasticceria Senbiki-ya, il New York Grill, i ristoranti francesi Robuchon, Maxim de Paris e L’Ecrin, quello di cucina tradizionale Nadaman… Erano tutti nomi noti da sempre che persino Rika riconosceva immediatamente, e descrizioni e commenti sembravano essere stati scopiazzati da qualche altra parte. Pur rileggendoli diverse volte, il contenuto sembrava non memorizzarsi mai. Ed effettivamente, molti passaggi erano riportati pari pari da guide specializzate o da altri blog.

    Manako Kajii era nata a Tōkyō, nel sobborgo di Fuchū, nel 1980. Ma in seguito il padre era dovuto ritornare al paese di origine per aiutare il nonno nella conduzione di un’agenzia immobiliare, e così si erano trasferiti a Yasuda, nella prefettura di Niigata. La madre era maestra di composizione floreale. Manako era cresciuta in un ambiente relativamente agiato insieme alla sorella, di sette anni più piccola. Dopo le superiori aveva fatto ritorno a Tōkyō per frequentare l’università, ma si era ritirata dopo soli tre mesi. Da quel momento in poi aveva vissuto a Fudōmae, nel quartiere di Shinagawa, senza un lavoro e facendosi mantenere e proteggere da un’ambigua cerchia di uomini maturi di cui era l’amante. Nel 2013, in seguito a tre omicidi avvenuti nel giro di sei mesi, era stata arrestata. Le vittime erano tutti uomini single dai quaranta ai settant’anni residenti nell’area metropolitana di Tōkyō, conosciuti attraverso siti di incontri o a scopo matrimonio. Pareva anche che fossero stati seriamente intenzionati a sposarla. Accettavano le sue richieste relative al pagamento delle quote per le lezioni di cucina, o delle spese per le cure necessarie ai familiari quando questi si infortunavano o si ammalavano, e le avevano versato somme ingenti. Tutti i decessi potevano essere interpretati anche come suicidio: uno aveva assunto un’overdose di sonniferi, un altro era annegato nella vasca da bagno, e il terzo si era buttato sotto un treno. Ma il motivo che aveva portato all’arresto di Manako era che fino a poco prima lei era stata insieme a loro. Inoltre, in precedenza era stata accusata per cinque volte di truffa. Pur non essendoci prove materiali della sua colpevolezza per nessuna di quelle morti, era stata condannata all’ergastolo. All’annuncio della sentenza, lo stesso giorno il suo legale aveva fatto ricorso in appello, e Kajii al momento era detenuta nel carcere di Tōkyō in attesa del nuovo processo, che si sarebbe svolto la primavera successiva. Era ben noto il suo rifiuto tassativo di venire intervistata, e si era mostrata particolarmente maldisposta verso le giornaliste donne.

    Che il suo caso avesse avuto una tale risonanza era dovuto probabilmente al suo aspetto. Al di là del giudizio sulla sua bellezza, sicuramente non era magra. Il pubblico femminile ne era rimasto molto colpito, mentre gli uomini avevano manifestato nei suoi confronti un’ostilità e un disprezzo perfino eccessivi. Nella società attuale, a tutti veniva inculcato il concetto che le donne dovevano essere magre, e la scelta di continuare a vivere in sovrappeso, senza seguire una dieta, per le donne comportava con tutta probabilità la consapevolezza di doverne subire pesanti conseguenze.

    Ma Manako Kajii si accettava completamente. Ignorando i propri difetti, si riconosceva semplicemente come donna. Essere trattata con attenzione, venire rispettata, essere oggetto di amore, ricevere regali, tenersi il più possibile lontano da chi detestava il lavoro o le dinamiche di gruppo: aveva continuato a pretendere queste cose come se fossero perfettamente nel suo diritto. Così era riuscita a crearsi un ambiente ideale in cui poteva vivere distaccata dal resto del mondo. A Rika sembrava che questo risultato fosse ancora più degno di considerazione dell’aver estorto a vari uomini quasi cento milioni di yen.

    Qualsiasi donna avrebbe dovuto poter essere se stessa, e aspirare a essere rispettata e degna di considerazione. Invece, anche quel semplice principio trovava difficilmente applicazione nella società. Ciò era tanto più evidente nelle donne che venivano considerate di successo, e che Rika aveva modo di conoscere grazie al suo lavoro. Erano tutte terrorizzate da qualcosa. Resistevano in modo stoico, e cercavano disperatamente di difendersi esibendo una modestia esagerata. Anche Rika, per quanti elogi ricevesse dagli altri, per quanti complimenti le venissero fatti sul lavoro, non riusciva mai a essere pienamente soddisfatta di se stessa sotto diversi punti di vista.

    Nelle notti in cui si sentiva insicura, e le veniva improvvisamente voglia di chiamare Makoto e invitarlo a casa, si doveva trattenere a forza, pensando che sarebbe stato imperdonabile abbandonarsi a una simile debolezza. Persino Reiko, che al momento sembrava il ritratto della tranquillità, da giovane era stata molto inquieta, ed estremamente labile dal punto di vista psicologico. Aveva anche avuto pochi fidanzati. Entrambe avevano poca autostima, e il fatto che non riuscissero ad aprirsi fino in fondo coi ragazzi forse era dipeso in parte dal rapporto che avevano avuto con il padre. E a tal proposito, pareva che Manako Kajii fosse davvero affezionata al suo – scomparso diversi anni prima –, quasi come a un fidanzato, e che fossero stati molto uniti.

    Rika pensava che se il suo sogno di ottenere un’intervista con lei si fosse avverato avrebbe potuto non solo avvicinarsi alla verità sui fatti, ma anche confrontarsi apertamente con qualcosa che le ricordava il proprio mal di vivere.

    Capiva anche la solitudine e la desolazione interiore degli uomini che erano stati raggirati. La volta precedente, quando era stata invitata a cena da Reiko, aveva compreso perfettamente quanto potessero essere di conforto a un fisico esausto e a uno spirito provato del cibo preparato in casa e delle attenzioni amorevoli. Non contava l’aspetto fisico, né tutto quello che c’era di contorno. Era quanto mai giustificabile il desiderio di volersi aggrappare al corpo morbido e caldo di un altro essere umano, anche a costo di venire ingannati. E tuttavia… Quando arrivava a pensare in questi termini, inconsciamente avvertiva una specie di asperità, come se stesse toccando della carta vetrata. Aveva la sensazione che di colpo una sorta di rabbia che le si era accumulata dentro facesse capolino da piccoli tagli creatisi sulla sua pelle. Anche se non sapeva con esattezza a chi o a cosa fosse indirizzata quella rabbia. Forse alla società contemporanea, che continuava a pretendere che le donne fossero per loro stessa natura delle buone casalinghe? A lei, da quando era nata, non era mai capitato di cucinare per un uomo, e neppure si ricordava che le fosse stato chiesto, eppure…

    Rika rigirò una busta leggera come un petalo di fiore che probabilmente le aveva appoggiato con noncuranza Yū sulla scrivania prima di scomparire da qualche parte, e trattenne un gridolino. Vi era stampato l’indirizzo del carcere di Tōkyō. Doveva essere senz’altro da parte di Manako Kajii. Fino ad allora non aveva mai ricevuto risposta. Guardandosi intorno, prese il tagliacarte e la aprì. Le apparve un foglio di carta da lettere rosa pallido.

    Sono disposta a incontrarla. Lei mi sembra diversa dagli altri giornalisti. Venga pure a farmi visita quando vuole. I miei saluti.

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