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Delitto e castigo
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E-book693 pagine11 ore

Delitto e castigo

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Info su questo ebook

Una nuova e integrale edizione di un capolavoro assoluto. Da leggere con la consapevolezza, di dover scavare a fondo la mera superficie della storia. Un’opera che non lascia indifferenti. Terminata la lettura, rimane, in chi l’ha affrontata con la giusta attenzione, un senso di straniamento. Si può uccidere convinti di aver compiuto un’opera meritoria? Si può dividere l’umanità in due categorie: persone “comuni” e persone “speciali”. Si può attribuire a queste ultime il diritto di infrangere le regole? Il delirio di onnipotenza che affligge il protagonista, Raskòlnikoff, lo farà perdere. La coscienza, il rimorso, l’amore riusciranno a salvarlo. Prima però dovrà combattere con i propri mostri.
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2014
ISBN9788897093503

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    Anteprima del libro

    Delitto e castigo - Fëdor Dostoevskij

    rinascita

    >> PARTE PRIMA <<

    I. Il sopralluogo

    In una sera caldissima d’inizio luglio, un giovane uscì dalla cameretta ammobiliata che occupava, sotto il tetto di un gran casamento di cinque piani nel quartiere S…, e, lentamente, con aria decisa, s’incamminò verso il ponte di K…

    Aveva avuto la fortuna di non incontrare, sulle scale, la sua padrona di casa. Costei abitava al piano di sotto, e la sua cucina, quasi sempre aperta, dava sul pianerottolo. Il giovane, quando doveva uscire, era dunque obbligato a passare sotto il fuoco del nemico, e ogni volta provava una sensazione di timore che l’umiliava e gli faceva aggrottare le sopracciglia. Era debitore, verso quella donna, di parecchio denaro, e aveva quasi paura di lei. Non già perché la sventura lo avesse reso vile o avesse annientato in lui ogni energia, tutt'altro. Ma da un po' di tempo era in uno stato d'irritazione nervosa molto simile all'ipocondria. S’isolava, si chiudeva in se stesso. Rifuggiva non solo la padrona di casa, ma anche qualsiasi rapporto col prossimo. La povertà lo schiacciava, benché avesse ormai cessato di sentirne il peso. Aveva totalmente rinunciato alle occupazioni consuete. In fondo, s'infischiava dell’affittacamere e di ciò che avrebbe potuto fare contro di lui, ma non gli garbava d'esser fermato sulle scale, di dovere ascoltare una quantità d’insolenze, di dover subire delle lagnanze o delle minacce, di dover rispondere evasivamente o con delle scuse o con delle bugie. Preferiva svignarsela, non visto, scappando via come un gatto.

    Quella sera, peraltro, quando fu nella via, pensò con stupore a quel suo timore eccessivo d'imbattersi nella sua creditrice. ‘Come posso temere tanto delle sciocchezze simili, sto preparando un colpo tanto ardito?’ disse fra sé con un sorriso strano. ‘Eh sì, l'uomo ha tutte le possibilità, e solo per vigliaccheria si lascia passare sotto il naso molte cose che desidera ardentemente. Questo è un assioma. Sarei curioso di sapere di che cosa gli uomini hanno maggiormente paura; credo che temano soprattutto ciò che li distoglie dalle loro abitudini... Ma io chiacchiero troppo. Appunto perché non faccio nulla. Veramente, potrei anche dire: appunto perché non faccio nulla, mi abbandono alle chiacchiere. Già da un mese, ho preso l'abitudine di fare dei soliloqui, stando sdraiato per giornate intere, con la mente piena di scempiaggini... E ora, perché vado laggiù? Sono davvero capace di fare una cosa simile? E… si tratta forse di una cosa seria? No, non è seria affatto. Sono burle, semplici chimere, che divertono la mia immaginazione.’

    Nella via, il caldo era soffocante. La folla, la vista delle case in costruzione, e quel fetore speciale ben noto agli abitanti di San Pietroburgo che non hanno modo di andare in andare in villeggiatura, contribuivano a irritare di più i nervi del giovane, già tanto eccitati. L'insopportabile odore delle bettole, numerosissime in quella parte della città, e gli ubriachi che s'incontravano a ogni passo, quantunque fosse giorno di lavoro, rendevano il quadro ancor più ripugnante. I lineamenti del nostro eroe attestarono per un momento un’impressione di amaro disgusto. Certo, non era privo di una certa bellezza. Di statura superiore alla media, snello e ben proporzionato, aveva capelli castani e bellissimi occhi, di colore scuro.

    Poco dopo, sprofondò in una profonda fantasticheria o, piuttosto in una specie di torpore intellettuale. Camminava, ora, senza badare a ciò che lo circondava, o meglio, senza volerci badare. Solo di tanto in tanto mormorava qualche parola, a se stesso, poiché, come aveva riconosciuto poco prima, aveva l’abitudine di abbandonarsi spesso a dei soliloqui. In quel momento, s'accorse che le idee gli s'imbrogliavano, e che era debolissimo. Negli ultimi due giorni, non aveva mangiato. Era vestito tanto miseramente che con cenci simili ai suoi, un altro non avrebbe osato uscire di giorno. A dire il vero, in quel quartiere nessuno si meravigliava di vedere uno straccione. Nelle vicinanze del Mercato del Fieno, in quelle vie del centro di San Pietroburgo abitate da una popolazione operaia, abbonda la gente vestita malamente. Ma nell'animo del giovane si era accumulato tanto selvaggio disprezzo che, nonostante la sua delicatezza talvolta estrema, lui non si sarebbe vergognato affatto di farsi vedere anche altrove, cencioso com’era.

    Certo non sarebbe stato così se avesse incontrato qualche conoscente, qualcuno di quei suoi compagni d’un tempo, che generalmente evitava... Tuttavia si fermò a un tratto quando si sentì indicare all'attenzione dei passanti con queste parole pronunciate in tono beffardo: ‘Ohè, cappellaccio tedesco’. L'uomo che l'aveva chiamato a quel modo era un ubriaco che veniva trasportato su di un carretto, non sappiamo dove né perché.

    Con un rapido gesto istintivo, l'interpellato si levò il cappello e si mise a esaminarlo. Era una tuba comprata da Zimmermann, ma ridotta dal lungo uso in pessime condizioni, quasi rossiccia, tutta bucherellata con molte ammaccature e molte macchie, insomma orribile a vedersi. Ma anziché sentirsi colpito nell'amor proprio, il possessore di quel copricapo provò un’impressione d'inquietudine più che d'umiliazione.

    ‘Me l'immaginavo’ mormorò, turbato. ‘Ecco il peggio! Un’inezia come questa, una sciocchezza insignificante può guastare tutta la faccenda. Sì, questo cappello si fa notare troppo! Si fa notare precisamente perché è ridicolo. Ho assolutamente bisogno di un berretto che s’intonerà coi miei cenci... Un berrettaccio qualunque mi starà sempre meglio di quest'orrore. Nessuno porta cappelli come questo! Questo desterà l’attenzione di tutti, a una versta intorno a me... e, più tardi, molti se ne ricorderanno, ci ripenseranno, e così s'avrà un indizio. Ora io devo cercare di passare inosservato... Certe piccole cose possono avere una grande importanza... Avviene quasi sempre che una piccola cosa sia causa di rovina…’

    Non doveva andare molto lontano. Anzi, sapeva esattamente quale distanza separasse da casa sua il luogo verso il quale si dirigeva: settecentotrenta passi. Li aveva contati assai prima che il progetto che andava maturando si fosse delineato con precisione nella sua mente. Allora non aveva pensato che si sarebbe deciso a passare all'azione, si era limitato ad accarezzare una specie di fantasma, spaventevole e seducente allo stesso tempo. Ma era trascorso un mese, e cominciava già a considerar le cose molto diversamente. Quantunque in tutti i suoi soliloqui si rimproverasse di non avere energia e di essere troppo irresoluto, a poco a poco e quasi involontariamente si era assuefatto a considerare come possibile la realizzazione del suo sogno, pur continuando a dubitare di se stesso. Quel giorno, aveva fatto una prova della sua impresa, e ora la sua agitazione stava crescendo.

    Col cuore palpitante, con le membra scosse da un tremito nervoso, si avvicinò a un enorme casamento che da una parte dava sul canale, dall'altra sulla via. Quell'edificio, diviso in una quantità di piccoli appartamenti, aveva per inquilini dei lavoratori d'ogni specie: sarti, magnani, cuoche, tedeschi di diverse categorie, prostitute, impiegatucci… Era un vero formicaio, nel quale e dal quale entrava e usciva senza posa una quantità incredibile di gente. Al servizio di quella casa, erano addetti tre o quattro dvornik. Il giovane fu molto contento di non incontrarne alcuno. Entrato nella casa senz'esser visto, cominciò immediatamente a salire la scala di destra. Era buia e stretta, la conosceva già. L’oscurità che vi regnava gli piaceva, poiché gli evitava gli sguardi curiosi.

    ‘Se ho già paura adesso, come sarà quando verrò qui per davvero?’ pensò mentre raggiungeva il quarto piano. Lassù dovette fermarsi: alcuni facchini, ex soldati, stavano trasportando mobili da un appartamentino che il giovane sapeva abitato da un impiegato tedesco e dalla sua famiglia.

    ‘Per un po' di tempo, dopo il trasloco di questo tedesco, a questo piano, la mia vecchia resterà unica inquilina. È bene saperlo, per qualsiasi evenienza...’ pensò. E tirò il cordone del campanello che pendeva accanto all'uscio dell'appartamento abitato dalla vecchia. Il campanello tintinnò debolmente, come se fosse stato di latta, invece che di ottone.

    Il tintinnio specialissimo di quel campanello gli ricordò a un tratto qualcosa, dato che i suoi nervi indeboliti furono scossi da un brivido. Dopo un momento, l’uscio si schiuse e, dallo spiraglio, due occhi esaminarono il visitatore con evidente diffidenza. Erano punti luminosi nella penombra. Accortasi della presenza d'altra gente sul pianerottolo, la vecchia si rassicurò e si decise a spalancare la porta. Il giovane entrò in un'anticamera semibuia, tagliata in due da un assito dietro al quale c’era una cucinetta. Ritta davanti a lui, la vecchia taceva e lo interrogava con lo sguardo. Sessantenne, piccola e scarna, aveva un naso minuscolo e puntuto. Negli occhi le si leggeva la cattiveria.

    Non aveva cuffia, e i suoi capelli brizzolati erano lucidi d'olio. Un cencio di flanella le avvolgeva il collo lungo e sottile quasi come una zampa di pollo. Per quanto facesse caldo, aveva sulle spalle una mantellina di pelliccia spelacchiata e giallastra. La vecchia tossiva a ogni istante. Probabilmente il giovane la guardò in modo singolare, giacché gli occhi ripresero a un tratto la loro espressione di diffidenza.

    Sono Raskolnikoff, studente... Sono già venuto in case vostra un mese fa... si affrettò a raccontare il visitatore, avendo riflettuto che doveva mostrarsi affabile.

    "Me ne ricordo, batuska… me ne ricordo benissimo" rispose la vecchia, che non cessava di osservarlo con occhi sospettosi.

    Ebbene, ecco... sono tornato da voi per un piccolo affare come quello dell’altra volta… riprese Raskolnikoff, alquanto turbato e sorpreso per la diffidenza che la vecchia gli manifestava.

    ‘Forse è sempre così con tutti... Ma l'altra volta non me se sono accorto’ pensò, sgradevolmente colpito.

    La vecchia tacque per un momento: sembrò che riflettesse. Poi indicò al visitatore la porta della camera e, scostandosi per farlo passare, gli disse: " Entrate, batuska..."

    La cameretta nella quale il giovane entrò era tappezzata di carta gialla. Alle finestre, c'erano delle tendine di mussola e dei gerani. Il sole al tramonto proiettava su quelle cose una luce cruda.

    ‘Anche allora, certamente, il sole illuminerà così questa camera’ pensò a un tratto Raskolnikoff. Volse intorno lo sguardo, rapidamente, per imprimersi nella memoria tutti gli oggetti circostanti. Ma non vide nulla di particolare. I mobili, di legno giallo, erano tutti vecchissimi. Un divano con la spalliera piegata all'indietro, una tavola ovale davanti al divano, una toeletta e una specchiera davanti alla finestra, alcune sedie lungo le pareti, due o tre stampe senza valore che rappresentavano delle signorine tedesche con degli uccellini fra le mani... A questo si riduceva tutto l'arredamento.

    In un angolo, davanti a una piccola immagine, ardeva una lampada. I mobili e il pavimento rilucevano, pulitissimi. Sarebbe stato impossibile scoprire un granello di polvere in tutto l'appartamento.

    ‘Solo in casa di queste vecchiacce si può trovare tanta pulizia’ soggiunse fra sé Raskolnikoff. E guardò con curiosità la tenda di cotonina che mascherava la porta per cui s'entrava in un'altra stanzetta. In quest'ultima, nella quale non aveva mai messo piede, si trovavano il letto e il cassettone della vecchia. L’appartamentino finiva lì.

    Che volete? domandò seccamente la padrona di casa, che, dopo aver seguito il visitatore, si era piantata di nuovo davanti a lui per osservarlo da vicino.

    Sono venuto per impegnare qualcosa... Ecco… Il giovane, così dicendo, estrasse di tasca un orologio d’argento, vecchio e di forma schiacciata. Sulla cassa era inciso un globo, la catena era d'acciaio.

    Ma non mi avete ancora rimborsato la somma che vi ho prestato l'altra volta! Il termine è già scaduto dall'altro ieri...

    Vi pagherò l'interesse per un altro mese... Abbiate un po' di pazienza...

    "lo sono libera, batuska, di aspettare, oppure, se voglio… di vendere oggi stesso il vostro oggetto."

    Quanto mi date per quest’orologio, Alena Ivanovna?

    "Ma è una miseria, batuska. Non vale nulla, o quasi ... L’altra volta, vi ho prestato due biglietti per il vostro anello… Ma con un rublo e mezzo si può comprare un orologio come questo, nuovo..."

    Datemi quattro rubli… Lo riscatterò… È un ricordo di mio padre… Fra pochi giorni riceverò del denaro.

    Un rublo e mezzo. E mi tengo l'interesse anticipato.

    Un rublo e mezzo! esclamò il giovane.

    O tanto, o niente. E dicendo così, la vecchia gli porse l'orologio. Il giovane lo riprese e, irritato, stava già per andarsene, quando rifletté che la vecchia usuraia era la sua ultima risorsa. D'altronde, era venuto anche per un'altra cosa.

    Suvvia, date qua… disse aspramente.

    La vecchia si frugò nella tasca della gonna per cercarvi le chiavi, e passò nell'altra stanza. Rimasto solo, Raskolnikoff tese l'orecchio. Udì che l’usuraia apriva il cassettone. ‘Dev'essere il primo cassetto…’ suppose. ‘Ora so che tiene le chiavi nella tasca a destra. Sono unite da un anello d’acciaio... Ce n'è una che é tre volte più grande delle altre... Quella, certamente, non apre il cassettone... Dunque ci dev'essere anche uno scrigno, o una cassaforte... Curiosissimo. Le chiavi, delle casseforti hanno generalmente la forma di quella… ma… Ma com'è ignobile, tutto questo!’

    La vecchia ricomparve.

    "Ecco, batuska... Prendendo dieci copechi il mese e per ciascun rublo, su di un rublo e mezzo devo prelevare quindici copechi d'interesse anticipato. Inoltre, siccome mi pregate di aspettare ancora un mese per il rimborso dei due rubli che vi ho prestato l'altra volta, mi dovete per questo venti copechi, che aggiunti agli altri diventano trentacinque. Devo darvi, dunque, sul vostro orologio, un rublo e quindici copechi. Ecco, prendete..."

    Come! Così, ora mi date soltanto un rublo e quindici copechi?

    Non devo darvi di più.

    Senza discutere, il giovane prese il denaro. Guardava la vecchia e non s'affrettava ad andarsene. Sembrava volesse dire o fare ancora qualcosa, ma non sapesse esattamente che cosa.

    Forse, Alena Ivanovna, vi porterò uno di questi giorni un altro oggetto... Sì, un portasigarette d'argento... molto bello... Ve lo porterò quando un amico cui l'ho prestato me l'avrà restituito...

    Pronunciò queste parole con un'aria di grande imbarazzo.

    "Ebbene, ne riparleremo, batuska..."

    Addio... E dite un po'... Siete sempre sola? Non viene mai vostra sorella a tenervi compagnia? domandò Raskolnikoff, col tono più indifferente di cui fu capace, mentre attraversava l'anticamera.

    "Ma che v'importa di mia sorella, batuska?"

    È vero… vi ho fatto quella domanda tanto per dire qualche cosa… e voi, subito! Addio, Alena Ivanovna...

    Raskolnikoff uscì, molto turbato. Scendendo le scale, si fermò parecchie volte come vinto dalla violenza delle emozioni provate. Infine, giunto nella via, esclamò: ‘Mio Dio che schifo mi fa tutto questo! È possibile... è possibile che io... No! È un’assurdità! aggiunse risoluto. Come mai ho potuto concepire un'idea tanto spaventosa? lo, capace di un’infamia simile? Ah, che cosa odiosa, ignobile, ripugnante!... E per tutto un mese, io…"

    Ma le parole e le esclamazioni non esprimevano l'agitazione che provava. La sensazione di profondo disgusto che aveva cominciato a opprimerlo mentre si recava a casa della vecchia, era giunta ora a una tale intensità che non sapeva che fare per sfuggire a un supplizio simile. Camminava sul marciapiede come un ubriaco, senza curarsi dei passanti che urtava. Nella via seguente, si riebbe. Guardandosi attorno s’accorse d'esser vicino a una bettola. Una scaletta che sboccava sul marciapiede dava accesso a un sotterraneo dal quale Raskolnikoff vide uscire in quel momento due ubriachi, che si sorreggevano l'un l'altro, mentre si scambiavano degli insulti.

    Esitò, ma solo per un minuto, quindi scese la scaletta. Non era ancora entrato mai, neppure una volta, in una bettola. Ma in quel momento gli girava la testa e per di più era divorato dalla sete. Aveva voglia di bere della birra fresca, tanto più che attribuiva la propria debolezza al vuoto che si sentiva nello stomaco. Sedutosi in un cantuccio semibuio e sudicio, davanti a un tavolino appiccicoso, si fece servire della birra e subito ne bevve un bicchiere con avidità. Provò immediatamente un gran sollievo. Le sue idee divennero più chiare: ‘Tutto questo è assurdo!’ disse fra sé, riconfortato. ‘Il mio turbamento non ha avuto alcun motivo. È stato semplicemente un malessere fisico! Un bicchiere di birra, un po' di biscotto, e in pochi minuti avrò ricuperato forza d'intelligenza, chiarezza di pensiero, possibilità di risoluzioni energiche! Oh com'è insignificante tutto quello che mi ha turbato!’

    Nonostante questa conclusione sprezzante, sembrava allegro, come se si fosse improvvisamente liberato da un peso terribile, e guardava con cordialità le persone presenti. Ma, nello stesso tempo, temeva confusamente che quel ritorno d’energia fosso fittizio. Nella bettola erano rimasti pochissimi avventori. Dopo i due ubriachi cui abbiamo accennato, era uscita una comitiva di cinque musicanti. Allora nello stanzone erano rimaste soltanto tre persone e vi regnava un silenzio quasi assoluto.

    Un individuo un po' brillo, dall'aspetto di piccolo borghese, era seduto davanti a una bottiglia di birra. Vicino a lui, su di una panca, in uno stato di completa ubriachezza, dormiva un omaccione dalla barba bianca, avvolto in un lungo e ampio soprabito. Di tanto in tanto, quest’ultimo sembrava svegliarsi bruscamente, e allora si metteva a far schioccare le dita, allargando le braccia e imprimendo al proprio busto dei movimenti rapidi, senza alzarsi dalla panca su cui stava sdraiato. Quel gesticolare accompagnava una stupida canzone della quale si sforzava di rammentarsi i versi:

    "Per tutto, un anno accarezzai mia moglie,

    Per tutt… to un anno acca… accarezzai."

    Oppure:

    "Nella Podiatsceskaia

    Ritrovai la mia amante..."

    Nessuno partecipava alla felicità del melomane. Perfino il suo compagno ascoltava quei canti mostrandosene seccato. Il terzo bevitore doveva essere un vecchio impiegato. Seduto in disparte, s'avvicinava alle labbra il bicchiere, di tanto in tanto, e si guardava attorno. Anche lui sembrava in preda a una certa agitazione.

    II. Marmeladoff

    Raskolnikoff non era abituato alla folla, e da qualche tempo evitava di stare fra i suoi simili. Ora, invece, si sentiva attratto d'improvviso verso gli uomini. Il bisogno di socievolezza vinceva la sua misantropia. Dopo essersi abbandonato per tutto un mese a morbose fantasticherie generate dalla solitudine, il nostro eroe si era tanto stancato del suo isolamento da desiderare di ritrovarsi, foss'anche solo per poco, in un ambiente animato da esseri umani. Perciò, per quanto quella bettola fosse immonda, vi restò con vero piacere.

    Il bettoliere compariva frequentemente nella sala. Fin dalla soglia, i suoi begli stivali dai larghi risvolti rossi attiravano lo sguardo prima d'ogni altra cosa. Indossava un paddiovka, un panciotto di raso nero cosparso d'orribili macchie d'unto, e non aveva cravatta. La sua faccia pareva tutta spalmata d'olio. Un ragazzetto sui quattordici anni stava seduto al banco; un altro, che poteva averne dodici, serviva gli avventori. Le vettovaglie tenute in mostra erano cetrioli a fette, biscotti neri e pesce tagliato a pezzetti. Da tutto esalava un odore ripugnante. Il caldo era insopportabile, e l'aria era tanto carica di vapori alcolici, che si aveva la sensazione di stare per ubriacarsi dopo soli cinque minuti passati lì dentro.

    Avviene talvolta d'incontrare degli sconosciuti dei quali c’interessiamo immediatamente, a prima vista, prima d'aver scambiato con loro qualche parola. Fu esattamente questo l’effetto che produsse su Raskolnikoff l'individuo che sembrava un vecchio impiegato. Più tardi, ricordandosi di quell’impressione, il giovane l'attribuì a un presentimento. Non riusciva a staccar lo sguardo da quell'uomo, anche perché anche lui lo osservava e pareva molto desideroso d'iniziare una conversazione. L’impiegato guardava gli altri avventori e anche il bettoliere con aria un po' sprezzante: erano, evidentemente, persone troppo inferiori a lui per condizione sociale e per educazione, perché potesse degnarsi di rivolger loro la parola.

    Quell'individuo, che aveva oltrepassato la cinquantina, era di media statura ma robusto. Sul suo cranio, quasi completamente calvo, erano rimasti pochi e radi capelli grigi. Il viso, che sembrava gonfio e il cui colorito era tra il giallastro e il verdastro, rivelava un carattere intemperante. Sotto le grosse palpebre, brillavano due occhietti rossicci, pieni di vivacità. Ciò che più colpiva quella fisionomia, era lo sguardo, nel quale le fiamme dell'intelligenza e dell'entusiasmo si alternavano con un’espressione di pazzia.

    Aveva una vecchia marsina logora e lacera. Nemico del disordine, la teneva correttamente abbottonata con l'unico bottone che vi era rimasto. Sotto il panciotto di nanchino s'accartocciava una larga cravatta coperta di macchie. L'assenza di barba rivelava il funzionario. Doveva essersi raso parecchi giorni prima, poiché aveva le guance scure di peli. Anche nei suoi modi si notava una certa gravità burocratica, anche se in quel momento sembrava turbato. Si arruffava nervosamente gli scarsi capelli, e di tanto in tanto, puntando i gomiti sulla tavola viscida, senza temere d'insudiciarsi le maniche, si stringeva il capo fra le palme.

    Infine, cominciò con voce alta e ferma, guardando in viso Raskolnikoff: È indiscreto, da parte mia, signore, attaccar discorso con voi? Vi dirò che, nonostante la semplicità del vostro vestire, la mia esperienza distingue in voi un uomo ben nato, non già un frequentatore di bettole… Personalmente, io do sempre molta importanza alla buona educazione unita alle qualità del cuore… Aggiungerò che sono un funzionario. Permettetemi di presentarmi: Marmeladoff, consigliere titolare. Posso domandarvi se anche voi siete al servizio dello Stato?

    No, io studio... rispose il giovane, un po' sorpreso da quel linguaggio cortese e anche un po' offeso, per la disinvoltura con la quale quello sconosciuto si era permesso di rivolgergli la parola. Infatti, quantunque fosse provvisoriamente propenso alla socievolezza, si sentì riprendere, lì per lì, dalla contrarietà che provava di solito quando un estraneo tentava d'iniziar rapporti con lui.

    Dunque, siete studente o lo siete stato riprese con vivacità il funzionario. L’avevo indovinato. Ho molto fiuto, signore… sì, molto fiuto, dovuto a una lunga esperienza e si puntò l'indice sulla fronte, manifestando con quel gesto l'opinione che aveva delle proprie capacità cerebrali.

    Avete fatto degli studi, dicevamo... Ma permettete... Si alzò, prese il suo bicchiere, e andò a sedersi accanto al giovane. Quantunque fosse ubriaco, parlava con chiarezza e senza troppa incoerenza. Al vederlo slanciarsi verso Raskolnikoff come su di una preda, si sarebbe potuto supporre che anch'egli non avesse aperto bocca per un mese.

    Signore riprese con una specie di solennità, la povertà non è un vizio, questo è verissimo. So pure che l'ubriachezza abituale non è una virtù... Ma l'indigenza, signore, l’indigenza è un vizio innegabile. Nella povertà si conserva ancora la fierezza innata dei nostri sentimenti; nell’indigenza non si conserva nulla. L'indigente non viene neppure scacciato col bastone dal consorzio umano: ne è scacciato con la scopa, in un modo molto più umiliante. E si ha ragione, poiché l'indigente è sempre disposto ad avvilirsi da sé. Così, signore, si spiega l'abitudine di frequentare le bettole!... Signore, un mese fa, Lebeziatnikoff ha picchiato mia moglie! Ora, toccare mia moglie non equivale forse a colpirmi nel punto più sensibile del mio essere? Mi capite? Permettetemi di farvi un’altra domanda... Oh, soltanto per curiosità... Vi è accaduto qualche volta di passar la notte sulla Neva, su di un barcone carico di fieno?

    No, non mi è accaduto mai rispose Raskolnikoff. Perché?

    Già da cinque notti, io dormo su uno di quei barconi.

    Il vecchio sì riempì il bicchiere, lo vuotò, e rimase pensoso. Infatti, dei fili di fieno si vedevano sparsi qua e là sui suoi abiti e finanche tra i suoi pochi capelli. Evidentemente, da cinque giorni non aveva dormito in un letto, né si era lavato. Le sue grosse mani rosse dalle unghie orlate di nero, erano molto sporche.

    Tutti i presenti lo ascoltavano, ma con indifferenza. I garzoni ridevano, dietro al banco. Il bettoliere era entrato nella sala apposta per ascoltare quel ‘bel tipo’. Seduto in disparte, sbadigliava con sussiego. Si capiva che Marmeladoff era conosciuto, in quel luogo, già da un pezzo. Probabilmente, la sua parlantina derivava dall'abitudine di conversare nella bettola con interlocutori diversi, casuali. È un'abitudine che diventa un bisogno, in certi beoni, specialmente in quelli che a casa loro sono trattati con severità da consorti poco indulgenti. La considerazione che manca loro in seno alla famiglia, cercano d'acquistarsela nella taverna, fra i compagni di stravizio.

    Bel tipo! disse ad alta voce l’oste. Ma perché non lavori, perché non vai in servizio, se sei, funzionario?

    Perché non vado in servizio, signore? riprese Marmeladoff, rivolgendosi esclusivamente a Raskolnikoff, come se la domanda gli fosse stata rivolta da quest'ultimo. Perché non lavoro? Ma supponete forse che la mia inutilità non sia un vero dolore, per me? Quando, un mese fa, il signor Lebeziatnikoff, con le sue mani, ha picchiato mia moglie, mentre io, ubriaco fradicio, assistevo alla scena, non ho sofferto, forse? Permettete, giovanotto... permettetemi di domandarvi se... se vi è capitato qualche volta... di chiedere un prestito, senza speranza…

    Sì... Cioè, che cosa intendete dire con: ‘senza speranza’?-

    Voglio dire sapendo già perfettamente che non s’otterrà nulla. Per esempio, si ha la certezza che quell'uomo, quel cittadino utile e pieno di buone intenzioni, non ci presterà la benché minima somma, non avendo alcun motivo per prestarcela. Sa che non gli sarebbe restituita. Prestarla per compassione? Ma il signor Lebeziatnikoff, partigiano delle idee nuove, ha spiegato, l'altro giorno, che la pietà, nell'epoca nostra, è perfino proibita dalla scienza, e che tale, appunto, è la dottrina seguita in Inghilterra, dove fiorisce l’economia politica. Perché dunque, ripeto, quell'individuo ci presterebbe del denaro? Siamo perfettamente certi che non ne presterà, e nondimeno andiamo da lui e...-

    Perché andarci, in questo caso? lo interruppe Raskolnikoff.

    Ma perché bisogna pur fare qualche tentativo! Perché non si sa più come tirare avanti! Viene un momento in cui un uomo si decide, volente o nolente, a qualunque passo… Quando Ia mia unica figliuola è andata a farsi iscrivere all’ufficio di polizia (poiché mia figlia ha la tessera gialla)... aggiunse tra parentesi, guardando il giovane con un po’ d’inquietudine, dovetti andarci anch’io. La cosa mi è indifferente, signore.... sì, indifferente s'affrettò a dire, ostentando un’assoluta noncuranza, mentre i garzoni, dietro al banco, non riuscivano a frenare la loro voglia di ridere. Anche l’oste sorrideva.

    "Non me ne importa nulla. Non mi curo affatto di chi fa dei commenti, perché tutti sanno questa cosa ch'io considero non già con disprezzo, ma con rassegnazione... Così è, così è. Ecco homo… Dite giovanotto: potete ora, o piuttosto osate affermare, guardandomi, che io sia un porco?"

    Il giovane non rispose.

    L’oratore aspettò, con un’aria assai dignitosa, che cessassero le risa provocate dalle sue ultime parole, quindi riprese: Dunque è così: io sono un porco… ma lei è una signora. Io sono un animale, ma Caterina Ivanovna, mia moglie, è una donna ben nata, figlia di un ufficiale superiore. Ammetto di essere un briccone, ma mia moglie ha un cuore generoso, dei sentimenti elevati, un’ottima educazione. Eppure… Oh, se avesse compassione di me. Signore, signore, ogni uomo ha bisogno di trovare in qualcuno un po’ di pietà. Ma Caterina Ivanovna nonostante la sua elevatezza d’animo, è ingiusta… E quantunque io capisca che quando mi strapazza lo fa in sostanza perché s’interessa a me, infatti non esito a ripeterlo, giovanotto, mia moglie mi strapazza molto insistè quel tipo con un fare ancora più dignitoso mentre udiva intorno a se nuovi scoppi di risa. Quantunque io capisca questo, Dio! Se almeno una volta Caterina Ivanovna, mi dimostrasse... Ma no, no... Basta. È inutile parlarne. Neppure una volta ho ottenuto da lei ciò che desideravo. Neppure una volta ha avuto pietà di me. Ma io, già... sono un bestione.

    Proprio così! Non c'è che dire... approvò l’oste, sbadigliando.

    Marmeladoff battè col pugno sulla tavola.

    Questo è il mio carattere! Sapete, sapete, signore, che le ho bevuto perfino le calze? Non parlo delle scarpe… Questo si potrebbe capire, almeno fino a un certo punto… Ma le calze, vi dico… Le ho bevuto le calze! Così pure, le ho bevuto una mantellina di pelo di capra, un dono che le avevano fatto, una cosa che possedeva già prima di sposarmi, e che era proprietà sua, non mia! E abitiamo in una camera fredda. Quest'inverno, Caterina Ivanovna s’è buscata un catarro... e tossisce, e sputa sangue... Abbiamo tre bambini, e lei lavora dalla mattina alla sera, fa il bucato, lava i marmocchi, perché è stata sempre abituata alla pulizia, fin dall’infanzia. Purtroppo, è debole di petto, ha una predisposizione alla tisi, lo so, lo sento… Non lo sento, forse? E quanto più bevo, tanto più lo sento. Bevo appunto per sentire e per soffrire di più. Bevo, perché voglio soffrire doppiamente! e reclinò il capo sulla tavola, con un'espressione di disperazione.

    Giovanotto! riprese poi, raddrizzandosi. Mi par di leggervi in viso un profondo dolore. Appena siete entrato ho avuto quest’impressione, e perciò, appunto, vi ho rivolto la parola. Se vi racconto la storia della mia vita, non è già per far ridere alle mie spalle questi oziosi, che d'altronde sanno già tutto. No, è perché cerco la simpatia di un uomo per bene. Sappiate, dunque, che mia moglie è stata educata in un collegio aristocratico di provincia, e che quando ne è uscita si era messa a ballare, davanti al governatore e agli altri personaggi ufficiali, tanto era contenta di avere ottenuto una medaglia d'oro e un diploma!

    "La medaglia... l'abbiamo venduta... già da molto tempo... Eh, sì! Il diploma, mia moglie lo conserva, in una scatola, e anche recentemente lo ha fatto vedere alla nostra padrona di casa. Quantunque non siano in buoni rapporti, mia moglie era felice, quel giorno, di poter mostrare a qualcuno una prova dei suoi successi passati. Non gliene faccio una colpa, perché ora la sua unica gioia consiste nel ricordarsi del buon tempo che fu. Tutto il resto è svanito, per lei! Si, mia moglie ha un’anima ardente, orgogliosa, intrattabile. Lava il pavimento, mangia pane nero, ma non sopporta che le si manchi di rispetto. Così non tollera la villania di Lebeziatnikoff, e quando, per vendicarsi d'essere stato redarguito, lui l’ha picchiata, ha dovuto mettersi a letto, più per l’insulto subìto dalla sua dignità, che per le percosse ricevute.

    "Quando la sposai, era vedova, con tre bambini da mantenere. Aveva avuto per primo marito un ufficiale di fanteria col quale era fuggita dalla casa dei suoi. Lo aveva molto amato, ma lui si era messo a giocare, aveva avuto a che fare con la Giustizia, ed è morto. Negli ultimi anni, prima di morire, l’aveva battuta spesso... So da buona fonte che lei era molto bisbetica con lui, ma ora piange spesso ricordandolo e fa continuamente dei confronti fra lui e me che non sono affatto lusinghieri per il mio amor proprio. Però io ne sono contento: ho piacere che s’illuda d’essere stata felice nel passato.

    "Dopo la morte del primo marito, Caterina Ivanovna si è trovata da sola con i tre bambini in un distretto lontano e selvaggio. L’ho conosciuta appunto laggiù. La sua miseria era tale che io, pure avendo avuto tanti guai, non sono capace di descriverla. Tutti i suoi parenti l'avevano abbandonata, e l’orgoglio le aveva impedito d'implorare la loro pietà. E allora… io, a mia volta vedovo, con una figlia quattordicenne, offrii la mia mano a quella povera donna, tanto mi faceva pena vederla soffrire.

    "Istruita, bene educata, nata da una famiglia onorevole, ha acconsentito a diventare mia moglie. Questo fatto può bastare a darvi un'idea della sua miseria. Ha accolto la mia domanda piangendo, singhiozzando, torcendosi le mani, ma l'ha accolta, perché non sapeva più come vivere. Capite, capite, signore, il significato di queste parole: non saper più come vivere? No, non potete ancora capirlo!"

    Per tutto un anno, io ho fatto il mio dovere onestamente, senza ubriacarmi mai, perché ho dei buoni sentimenti. Ma ho perso il posto, senz’averne alcuna colpa. Certi mutamenti amministrativi hanno condotto alla soppressione del mio impiego. Ed è allora che ho cominciato a bere!...

    Sono ormai passati diciotto mesi da quando, dopo molti stenti e molte peregrinazioni, ci siamo stabiliti in questa capitale magnifica e popolata d'innumerevoli monumenti. Qui ero riuscito a trovare un altro impiego, ma ho perso anche questo. Per colpa mia, questa volta... Sì, perché mi ubriacavo! Ora viviamo in una camera presso Amalia Fedorovna Lippevechzel. Ma di che cosa viviamo e con che cosa paghiamo? Non lo so! Oltre a noi, ci sono molti altri inquilini. È una vera babilonia, quella casa! Eh, sì! Nel frattempo, la figliola che ho avuto dalla mia prima moglie è cresciuta... Preferisco non raccontare come e quanto l'abbia fatta soffrire la matrigna!...

    "Quantunque piena di sentimenti nobilissimi, Caterina Ivanovna è una signora irascibile e incapace di moderare gli impeti delle sue collere. Ma basta! È inutile parlarne… Come potete immaginare, Sonia non ha potuto essere istruita bene. Quattro anni or sono, ho cercato d'insegnarle la geografia e la storia generale; ma siccome neppure io sapevo molto bene queste materie, e siccome per di più non avevo a mia disposizione un buon manuale, gli studi di mia figlia non sono proseguiti. Ci siamo fermati a Ciro, re di Persia. Più tardi, divenuta una signorina, Sonia ha letto alcuni romanzi. Il signor Lebeziatnikoff le ha prestato, non molto tempo fa, la Fisiologia del Ludwig. Conoscete quest'opera? Mia figlia la trovava interessantissima, e anzi ce ne ha letto ad alta voce parecchi brani. A questo si limita tutta la sua cultura.

    "Ora, signore, mi rivolgo alla vostra sincerità: pensate che una ragazza povera ma onesta possa vivere del proprio lavoro? Non possiede alcun talento speciale, può a malapena guadagnare quindici copechi il giorno, signore... E anzi, per giungere a questo guadagno, bisogna che non perda neppure un minuto! Che dico? Sonia ha fatto una mezza dozzina di camicie di tela d'Olanda per il consigliere di Stato Ivan Ivanovich Kiovstock (avrete sentito parlare di lui)... Ebbene, non solo aspetta ancora d'essere pagata per quel lavoro, ma è stata messa alla porta e violentemente insultata da Kiovstock per non aver preso bene, secondo lui, la misura del suo collo.

    " Intanto i bambini morivano di fame, Caterina Ivanovna si agitava, torcendosi le mani e col viso coperto di chiazze rosse, come avviene sempre per quella malattia... ‘Fannullona!…’ ha detto un giorno a Sonia. ‘Non ti vergogni di vivere alle nostre spalle senza far niente? Bevi, mangi, stai al caldo...’ Vi domando che cosa potesse bere e mangiare quella povera ragazza, mentre da tre giorni interi non si vedeva in casa neppure una crosta di pane per i bambini! Io, ero a letto. Suvvia, vi dirò addirittura che ero ubriaco! Ho sentito che la mia Sonia rispondeva timidamente, con la sua voce dolce dolce... (è bionda, Sonia, e ha un visino sempre pallido, da ragazza malaticcia): ‘Ma vi pare, Caterina Ivanovna, che io possa fare quel che dite voi?’

    "Dovete sapere che già tre volte Daria Frantzovna, una donnaccia ben nota alla polizia, le aveva fatto delle proposte per mezzo della padrona di casa... ‘Oh, via’ ha ripreso ironicamente Caterina Ivanovna, ‘non è poi un gran tesoro, quello che vuoi conservare con tanta cura.’ Ma non la biasimate, signore, non la biasimate. Lei non era consapevole dell’effetto delle sue parole... Era agitata, malata, vedeva piangere i suoi bambini affamati, e parlava a quel modo per offendere Sonia, più che per spingerla a prostituirsi... Caterina Ivanovna è così: appena sente strillare i bambini, si mette subito a picchiarli, anche se strillano soltanto perché hanno fame. Erano le cinque... Io ho visto la mia Sonetchka alzarsi, mettersi il mantello e uscire da casa…

    È ritornata dopo le otto. Appena entrata, s'è avvicinata a Caterina Ivanovna, e senz'aprir bocca ha posato davanti a lei, sulla tavola, trenta rubli d'argento. Poi, Sonia ha preso il nostro gran fazzoletto verde (è un fazzoletto che serve per tutta famiglia)... lo ha avvolto attorno alla sua testa e si è stesa sul suo letto, la faccia voltata verso il muro... Le sue spalle erano agitate da un tremito continuo... Io ero ancora ubriaco fradicio... E in quel momento, giovanotto, ho visto Caterina Ivanovna avvicinarsi silenziosamente al lettuccio di Sonetchka, e inginocchiarsi... È rimasta lì, in ginocchio, per tutta la sera, baciando di tanto in tanto i piedi alla mia figliola e dimenticandosi di rialzarsi. Poi, tutt'e due si sono addormentate insieme, abbracciate… mentre io ero ancora annientato dall’ubriachezza.

    Marmeladoff tacque, come se fosse rimasto privo di voce. Poi bruscamente si versò da bere, vuotò di nuovo il bicchiere e dopo quella pausa riprese: "Da allora, signore, in seguito a un caso sfortunato e a una denuncia dovuta alla cattiveria di certe persone... (vi dirò senz'altro che Daria Frantzovna ha avuto la parte principale in questa faccenda)... da allora, dunque, mia figlia Sonia Semenovna è stata iscritta nei registri della polizia e perciò ha dovuto lasciarci. La nostra affittacamere Anialia Fedorovra, si è mostrata inflessibile, in questo, dimenticando di aver favoriti i maneggi di Daria Frantzovna.

    "Il signor Lebeziatnikoff si è unito a lei contro di noi... è stato appunto per Sonia, che Caterina Ivanovna ha avuto con lui quella storia di cui vi parlavo dianzi... Da principio, era pieno di premure per Sonetchka, ma un giorno ha cominciato a dire: ‘Come potrebbe un galantuomo che sa tutto continuare ad abitare nella stessa casa in cui abita una ragazza simile?’ Caterina Ivanovna per difendere Sonia ha finito con l’essere picchiata! Ora mia figlia viene a trovarci spesso, generalmente sul far della sera, e fa quel che può per aiutare Caterina Ivanovna. Abita in casa di Kapernaumoff, che è un sarto zoppo e balbuziente.

    "Costui ha una famiglia numerosa, e tutti i suoi figlioli balbettano come lui. Anche sua moglie ha un difetto di pronuncia... Stanno tutti nella stessa camera, ma Sonia ha una stanzetta per sé, lì accanto... Eh sì. Quella è una famiglia poverissima, tutta di balbuzienti... Sì... Dunque, io mi sono alzato, una mattina, ho indossato i miei cenci, e mi sono deciso a recarmi da Sua Eccellenza Ivan Afanasievich. Conoscete anche voi Sua Eccellenza Ivan Afanasievich? No? Ebbene, non conoscete un vero uomo di Dio… È un cero... sì, un cero davanti al volto del Signore.

    Si è degnato di ascoltarmi sino alla fine, e la mia narrazione gli ha fatto salire le lacrime agli occhi. ‘Suvvia, Marmeladoff’ mi ha detto, ‘già una volta ti sei mostrato indegno della mia fiducia ma ti accetto di nuovo sotto la mia personale responsabilità… Cerca di ricordartene… Va pure…’ Io ho baciato la polvere dei suoi stivali, mentalmente si capisce, giacché non avrebbe permesso che facessi davvero una cosa simile. È un uomo che ha delle idee troppo moderne per accettare certi omaggi troppo servili. Ma, santo Dio, quale accoglienza ho avuto a casa mia, quando ho annunciato che sarei rientrato in servizio e avrei riscosso uno stipendio...

    La commozione obbligò Marmeladoff a interrompersi un’altra volta. In quel momento la bettola fu invasa da una comitiva d’ubriachi. Un organetto suonava davanti all'ingresso e la debole voce di un bambino di sette anni cantava la Piccola fattoria. Ora nella sala c'era molto rumore. L’oste e i suoi garzoni s'affaccendavano intorno ai nuovi venuti. Senza curarsi di quell’incidente, Marmeladoff riprese il suo racconto. I progressi dell’ubriachezza lo rendevano sempre più espansivo. Mentre parlava dell'impiego riavuto, gli s’illuminava il viso come d’un raggio di gioia. Raskolnikoff lo ascoltava con molta attenzione.

    "Da quel giorno, sono passate cinque settimane, signore. Sì… appena Caterina Ivanovna e Sonetchka hanno saputo la notizia, io mi sono sentito, mio Dio, come trasportato in paradiso. Prima continui insulti, ora mille riguardi. Facevano tacere i bimbi: ‘Zitti… Simone Zakharich è tornato stanco dall’ufficio. Bisogna lasciarlo riposare’. Prima che uscissi per tornare al lavoro mi davano del caffè con la panna. Si sono procurate, per me, della vera panna… Capite? Sono riuscite addirittura a trovare undici rubli e novanta copechi per rifornirmi d’indumenti. Non so come abbiano fatto. So soltanto che Caterina Ivanovna e Sonetchka mi hanno comprato un paio di stivali, delle camicie, una divisa... Tutte cose in buonissime condizioni, per le quali hanno speso undici rubli e mezzo.

    "Sei giorni or sono, quando ho portato a casa, integralmente, il mio primo onorario: ventitré, rubli e quaranta copechi. Mia moglie mi ha fatto una carezza, chiamandomi pesciolino. ‘Ah’ mi ha detto, ‘sei proprio un caro pesciolino.’ Questo, a quattr’occhi, naturalmente. Che ne dite?"

    Marmeladoff s’interruppe di nuovo, tentò di sorridere, ma un tremito improvviso gli agitò il mento. Riuscì subito, però, a vincere quella commozione. Raskolnikoff non sapeva che pensare, guardando quel beone che faceva baldoria da cinque giorni, che dormiva sui barconi di fieno, e che tuttavia nutriva un affetto morboso per la sua famiglia. Lo ascoltava attentissimo, ma provando una sensazione di disagio. Si era pentito di essere entrato in quella bettola.

    Signore... signore... si scusò Marmeladoff oh signore, forse anche a voi, come agli altri, tutto ciò sembra ridicolo! Forse vi annoio, raccontandovi tutti questi stupidi e meschini particolari della mia esistenza domestica... ma per me non sono indifferenti! Per tutta quella giornata benedetta, ho sognato dei sogni incantevoli. Pensavo di riorganizzare la nostra vita, di vestire i bambini, di procurare un po' di riposo a mia moglie, di togliere dal fango la mia figliola… Quanti progetti andavo formando! Ebbene, signore… (Marmeladoff sussultò, ad un tratto, alzò il capo, e guardò in faccia il suo interlocutore), ebbene, proprio il giorno seguente, e sono passati esattamente cinque giorni, dopo aver accarezzato tanti bei sogni, ho rubato, come un ladro notturno, la chiave di Caterina Ivanovna e ho preso nella cassetta quel che restava del denaro che avevo portato a casa. Quanto ne restava? Non ricordo... Ecco! Guardatemi tutti! Da cinque giorni ho lasciato la mia casa, dove non si sa che sia avvenuto di me... Ho perso l'impiego… Ho lasciato la mia divisa in una bettola, nei paraggi del ponte Egipetski, e m'hanno dato in cambio questi stracci... Tutto è finito, per me!

    Marmeladoff si diede un pugno sulla fronte, serrò i denti e, chiusi gli occhi, reclinò il capo sulle braccia piegate sulla tavola. Ma dopo un minuto, il suo viso mutò espressione. Guardò Raskolnikoff con un cinismo voluto, e disse ridendo: Oggi sono andato da Sonia. Sì... sono andato a domandarle del denaro per bere! Eh eh eh

    Te ne ha dato? gridò ridendo forte uno dei bevitori che erano entrati poco prima, in comitiva.

    Questa mezza bottiglia, l'ho pagata col suo denaro... riprese Marmeladoff rivolgendosi esclusivamente a Raskolnikoff. Sonia è andata a prendere trenta copechi e me li ha dati, con le sue mani. Non aveva altro, l'ho visto. Non mi ha detto nulla, s'è limitata a guardarmi fissa… Uno sguardo che non è di questo mondo, uno sguardo come devono averne gli angeli, che piangono sulle colpe umane, ma non le condannano! Resta nel cuore una tristezza maggiore, quando uno sguardo simile non è accompagnato da nessun rimprovero! Trenta copechi, sì... E ora, lei ne avrà bisogno, certamente! Che ne pensate, mio caro signore? Sonia, ora, deve vestirsi bene. La pulizia, che è indispensabile nel suo mestiere, costa denaro... Capite? Una ragazza come lei deve avere della pomata, delle sottane inamidate, delle scarpette eleganti che diano grazia al piede, se c'è una pozzanghera da scavalcare... Capite, capite, signore, l'importanza di queste cure della persona? Ebbene, io, suo padre, sono andato a prenderle quei trenta copechi, per berli! E li bevo! E li ho già bevuti! Ah! chi potrà aver compassione di un uomo come me? Adesso, signore, potete compiangermi? Parlate, signore! Avete pietà di me, sì o no? Ah ah ah!

    Fece l'atto di versarsi da bere, ma s'accorse che la mezza bottiglia era vuota.

    Ma perché si dovrebbe aver compassione di te?gridò l’oste.

    S’udirono delle risate, cui s'aggiunsero delle ingiurie. Coloro che non avevano ascoltato le parole dell'ex funzionario facevano coro con gli altri, solo al vedere il suo viso. Sembrò che Marmeladoff non avesse aspettato altro che l’esclamazione dell’oste per dare maggior sfogo alla propria eloquenza. S’alzò a un tratto e, teso in avanti il braccio, proruppe enfaticamente: "Perché si dovrebbe aver pietà di me, dici tu? Perché? È vero! Non ce n'è motivo! Bisogna crocifiggermi, non compiangermi. Ebbene, mettimi in croce, giudicami, ma nel mettermi in croce, abbi pietà di me. E allora io andrò incontro al mio supplizio, poiché non ho sete di gioia, ma di dolore e di pianto! Supponi forse, mercante, che la tua mezza bottiglia m'abbia procurato del piacere? Ho cercato la tristezza... sì, la tristezza e le lacrime in fondo a questo recipiente, e ve le ho trovate, e le ho assaporate... Ma Colui ch'ebbe pietà di tutti gli uomini, Colui che comprese tutto, avrà certamente pietà di noi! È l'unico giudice che esista!

    "Egli verrà, nell’ultimo giorno, e domanderà: ‘Dov'è la figliola che si è sacrificata per una matrigna astiosa e tisica, e per dei bambini che non sono suoi fratelli? Dov'è la figliola ch'ebbe pietà del suo padre terrestre, e non respinse con orrore quell'ignobile beone?’ Ed egli dirà: ‘Vieni! Ti ho già perdonato una volta, e ancora ti perdono tutti i tuoi peccati, perché hai molto amato!’ Così perdonerà la mia Sonia, la perdonerà, lo so… Poc'anzi l'ho sentito, qui nel cuore, mentre ero da lei! Tutti saranno giudicati da Lui, e Lui perdonerà tutti: ai buoni e ai malvagi, ai savi e ai miti... E quando avrà finito di perdonare agli altri, perdonerà anche a noi: ‘Avvicinatevi voi pure’ ci dirà, ‘venite, ubriaconi, venite, vili, venite, lussuriosi...’

    E noi ci avvicineremo a Lui, tutti, senza timore. E ci dirà ancora: ‘Siete porci! Siete uguali alle bestie ma venite lo stesso!’ E i savi, gli intelligenti, chiederanno: ‘Signore, perché accogli costoro?’ E Lui risponderà: ‘Li accolgo, o savi, li accolgo, o intelligenti, perché nessuno di loro si credette degno di questo favore...’ E ci tenderà le braccia, e noi ci precipiteremo sul suo seno... e piangeremo a dirotto… e capiremo tutto. Allora, tutto sarà compreso da tutti… E anche Caterina Ivanovna comprenderà, anche lei! O Signore, venga il regno tuo.

    Spossato, Marmeladoff si lasciò cadere sulla panca senza guardar nessuno, come dimentico del luogo e dei presenti, e rimase assorto nelle sue fantasticherie. Le sue parole avevano prodotto una certa impressione. Per un momento era cessato il frastuono, ma le risate non tardarono a ricominciare, accompagnando delle invettive:

    Che ragionatore...

    Che chiacchierone...

    Impiegato…

    Andiamo via, signore disse a un tratto Marmeladoff, alzando il capo e rivolgendosi a Raskolnikoff. Accompagnatemi... Casa Kozel, nel cortile... È tempo che io ritorni da Caterina Ivanovna!

    Già da un pezzo il giovane aveva voglia d'andarsene, e aveva già pensato di offrire e Marmeladoff di accompagnarlo. Il vecchio impiegato aveva le gambe assai più deboli della voce, e perciò doveva appoggiarsi pesantemente al braccio del compagno. La distanza da percorrere era di due o trecento passi. L'ubriaco, quanto più s'avvicinava al suo domicilio, tanto più sembrava turbato e inquieto.

    Adesso, non è Caterina Ivanovna, che mi fa paura... balbettava, nel suo turbamento. So già che si metterà a tirarmi i capelli... ma che importa? Questo non vuoi dir nulla! E anzi, tanto meglio se me li tirerà, i capelli... non è questo che mi spaventa. Sento invece di temere i suoi occhi… sì, i suoi occhi… e le chiazze rosse delle sue guance… e la sua respirazione, anche! Ha mai notato come respira chi soffre di quel male in preda a un’emozione violenta? Temo anche i pianti dei bambini... èerché, se Sonia non li avrà nutriti, non so che cosa mangeranno. Non, lo so! Ma delle percosse, non ho paura... affatto! Deve sapere, signore, che invece di soffrire, quando Caterina lvanovna mi batte... provo piacere. Anzi, non posso farne a meno... Meglio così! Mi picchi pure, Caterina Ivanovna. Si sfoghi. Sarà meglio... Ma ecco la mia casa... Casa Kozel... Il padrone è un fabbro tedesco, un uomo ricco... Venga, mi accompagni.

    Attraversato il cortile, i due uomini si misero a salire fino al quarto piano. Erano quasi le undici, e quantunque in quella stagione, a San Pietroburgo, non fosse quasi mai nottequanto più salivano tanto più la scala diventava buia, per finire, in alto, in un'oscurità completa.

    La piccola porta affumicata che dava sul pianerottolo era aperta. Un moccolo illuminava scarsamente una camera squallida, lunga una decina di passi. In quella camera, che si vedeva tutta dal di fuori, regnava il massimo disordine. Qua e là erano sparsi degli indumenti dei bambini. Un lenzuolo lacero era steso in modo da mascherare gli angoli più lontani dalla porta. Dietro a quella tenda improvvisata, c'era probabilmente un letto. Non si vedevano altri mobili che due sedie e uno sgangherato divano coperto di tela incerata, davanti a una vecchia tavola da cucina, d'abete, grezza e senza tappeto. Sulla tavola, un candeliere di ferro, nel quale finiva di ardere un resto di candela. Marmeladoff aveva il proprio giaciglio non già in un angolo di quella camera, ma in un corridoio. La porta degli alloggi degli altri affittuari di Amalia Lippevechzel era semiaperta. C'era, là dentro, della gente chiassosa, che certo stava giocando a carte e bevendo del tè. Si udivano delle grida, degli scoppi di risa, delle parole talvolta molto sguaiate.

    Raskolnikoff riconobbe immediatamente Caterina Ivanovna. Era una donna magra, piuttosto alta e abbastanza ben fatta, ma visibilmente malaticcia. Aveva ancora una bella capigliatura castana e, come aveva detto Marmeladoff, delle chiazze rosse agli zigomi. Con le labbra aride e semiaperte, tenendosi strette al petto le mani, passeggiava per la camera. La sua respirazione era breve e disuguale. I suoi occhi ardevano febbrili, ma lo sguardo era duro e fisso. Alla luce morente del moccolo, quel viso tisico e agitato dava un'impressione penosissima. Raskolnikoff giudicò che Caterina Ivanovna non doveva avere più di trent'anni. Era, infatti, molto più giovane del marito.

    Lei non si accorse che fossero sopraggiunti i due uomini: sembrava che avesse perso la facoltà di vedere e di udire. Nella camera, il caldo era soffocante, e dalla scala salivano dei fetori insopportabili. Ma la donna non pensava ad aprire la finestra, né a chiudere la porta che dava sul pianerottolo. Dalla porta interna, entrava un denso fumo di tabacco che la faceva tossire, dal quale non cercava di difendersi.

    La figlioletta minore, bambina di sei anni, dormiva seduta sul pavimento, con la testa appoggiata al divano. Il maschietto, che aveva un anno più di lei, tremava in un angolo e piangeva. Si capiva che la mamma lo aveva picchiato poco prima. La bimba più grandicella, sui nove anni, snella e alta per la sua età, aveva una camicia tutta lacera e, sulle spalle nude, un vecchio mantello leggero che doveva esserle stato fatto due anni prima: non le arrivava neppure alle ginocchia.

    Dritta nell'angolo, accanto al fratellino, gli cingeva il collo col lungo braccio magrissimo, gli parlava piano per farlo tacere. Nello stesso tempo, seguiva la madre con uno sguardo timido. Gli occhioni scuri, come allargati dalla paura, sembravano ancor più grandi.

    Marmeladoff, invece di entrare nella camera, s'inginocchiò presso la porta, ma con un cenno invitò Raskolnikoff a entrare. La donna, al vedere uno sconosciuto, si fermò distrattamente davanti a lui, e per un momento cercò di spiegarsi la sua presenza. ‘Che cosa viene a fare qui?’ si domandava. Ma poi pensò che forse passava di lì per andare da qualche vicino e, senza curarsi di osservarlo, s'accinse ad aprire la porta di comunicazione. Allora, a un tratto, si lasciò sfuggire un grido... Aveva visto suo marito, inginocchiato sulla soglia.

    Ah, sei tornato! esclamò con voce vibrante di collera. Infame! Mostro! Dov'è il denaro? Quanto hai in tasca? Fa' vedere! Ma come sei vestito? Che ne hai fatto della tua divisa? E il denaro? Ne hai ancora? Parla! S'affrettò a perquisirlo. Lui non le oppose resistenza alcuna, anzi, allargò le braccia perché lei potesse frugare meglio nelle tasche. Non aveva più neppure un copeco.

    Dov'è, dov'è il denaro? gridava Caterina Ivanovna. Oh! Signore! È possibile che questo mostro se lo sia bevuto tutto? C'erano ancora dodici rubli, nella cassetta...

    Presa da un improvviso accesso d'ira, afferrò il marito per gli scarsi capelli e lo trascinò violentemente attraverso la camera. La pazienza di Marmeladoff non si smentì. Seguì docilmente sua moglie, in ginocchio dietro di lei.

    Questo è un piacere, per me… Non è un dolore, ma un vero piacere, signore! gridava, mentre Caterina Ivanovna gli scuoteva la testa con forza facendogliela perfino sbattere sul pavimento.

    Il bimbo che dormiva a terra si svegliò e si mise a piangere. Il ragazzetto ritto nell'angolo non potè sopportare quello spettacolo. Cominciò a tremare, a gridare, e si slanciò verso la sorella. Sembrava preso da convulsioni, tanto era spaventato. La figlia maggiore tremava come una foglia.

    Ha bevuto, tutto… Ha bevuto tutto! urlava Caterina lvanovna, disperata. Ha perfino venduto la divisa! E i bambini hanno fame! Hanno fame! aggiunse indicando i figli e torcendosi le mani. Oh! Vita tre volte maledetta! E voi, e voi, non vi vergognate a venire qui, appena uscito dalla bettola? riprese, rivolgendosi improvvisamente a Raskolnikoff. Ha bevuto con lui, non è vero? Ha bevuto con lui! Se ne vada!

    Il giovane non si fece ripetere quell'ordine, e si ritirò senza aprir bocca. La porta interna

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