Woom
5/5
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Info su questo ebook
Un thriller psicologico feroce e trasgressivo, per gli amanti di Chuck Palahniuk e Lars von Trier.
Attenzione: questo libro contiene scene esplicite di violenza e sesso che normalmente vengono ritenute offensive.
«Non so,» disse Angel. «Io credo che sia la sofferenza a rimanere sospesa. Se credo agli spiriti, al soprannaturale? Probabilmente no.»
Il Lonely Motel nasconde segreti terribili e la stanza numero sei contiene forse quello peggiore di tutti.
Angel sa tutto sul dolore. Sua madre è morta lì. Ha fatto ricerche sulla storia di quella stanza. Ora è tornato per mettere la parola fine, a qualsiasi costo, una volta per tutte.
Shyla, una prostituta di taglia forte, pensa che le storie di Angel non siano vere. Segreti talmente disgustosi che nessuno vorrebbe scoprire.
Ma il Lonely Motel non dimentica. Non perdona. E reclama sempre la sua vittima.
Duncan Ralston
"Author of the cult smash-hit Woom and Ghostland and more than 15 other books that aren't the cult smash-hit Woom or Ghostland. His debut collection was blurbed positively by the legendary Jack Ketchum. In 10 years of publishing, Duncan Ralston hasn't won or been nominated for sh*t outside of screenwriting awards, and is definitely not bitter about it. For 7 FREE dark fiction short stories/novellas including the prequel to GHOSTLAND, ""The Moving House,"" signed copies of Woom, bookplates and merch, please visit www.duncanralston.com."
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Recensioni su Woom
3 valutazioni0 recensioni
Anteprima del libro
Woom - Duncan Ralston
RECENSIONI
"Sporco, crudo, disgustoso. Ma con intelligenza e stile letterario. Woom è l’opera di uno scrittore di talento, un capolavoro assoluto. E io non uso queste parole con leggerezza."
J.R. Park, Autore di Upon Waking
"Woom è un racconto che arriva molto lontano, in pochissimo tempo. È complesso e sconcertante, dall’inizio alla fine. Ed è veramente raccapricciante, ma nel modo migliore possibile."
Adiba Jaigirdar, Cultured Vultures
Mettete insieme il cinismo di Chuck Palahniuk, le sordide e credibilissime descrizioni di Irvine Welsh e gli esempi più ripugnanti della letteratura pulp-horror e otterrete questa favola a più strati, che tiene in serbo un segreto dopo l’altro, fino al suo disgustoso finale.
Jonathan Butcher, The Ginger Nuts of Horror
Eccellente esempio di letteratura horror contemporanea, una favola che rimarrà a lungo nella memoria degli appassionati del genere abbastanza coraggiosi da riuscire a leggerla.
Adrian Shotbolt, Beavis the Bookhead
"Tre giorni dopo aver letto l’ultima parola, non riesco ancora nemmeno ad aprire la copertina di un altro libro. Non perché non abbia apprezzato Woom, ma per la potenza e la forza che caratterizzano la sua scrittura."
Alex Kimmell, Confessions of a Reviewer
Shadow Work Publishing
Shadow Work Publishing Hand.tiffwww.ShadowWorkPublishing.com
Copyright © 2016 Duncan Ralston
Traduzione: Marta Leoni
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte dell’opera può essere riprodotta o utilizzata, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, senza la preventiva autorizzazione scritta dell’editore, con l’eccezione di brevi citazioni a fini di recensione.
I personaggi di questo libro sono frutto dell’immaginazione. Qualunque riferimento a persone reali, in vita e non, è puramente casuale.
ISBN-13: 978-0995242340
ISBN-10: 0995242348
www.DuncanRalston.com
WOOM
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CAMEVA
Romanzo horror estremo
––––––––
Duncan Ralston
––––––––
Seconda ristampa, Shadow Work Publishing
INDICE
STANZA NUMERO SEI 1
CRAMPI 15
PROLASSO 37
CAMEVA 53
SOFFOCARE 72
MANICHINO 99
RINASCERE 124
STANZA NUMERO SEI
Angel aprì la porta della stanza numero sei con una chiave talmente rovinata che si stupì funzionasse ancora, attaccata a un portachiavi vermiglio, consumato da così tanti pollici che il numero era appena visibile. La vecchia stanza era come la ricordava. Questa non era una buona cosa. Non c’era nostalgia lì, per Angel, solo dolore. Certi posti conservano il dolore nei muri, nei fili strappati della moquette, nelle crepe sul soffitto e nelle fessure dei battiscopa. La stanza numero sei del Lonely Motel, a trenta minuti dal confine tra lo stato di New York e il Canada, era un posto così, Angel ne era convinto. Inquieto, sollevò il pesante zaino nero, lo mise in spalla e varcò la soglia.
«Ciao mamma,» disse alla stanza vuota. «È passato tanto tempo.»
Angel lasciò cadere lo zaino sulla moquette logora dello stesso colore del portachiavi ed esaminò attentamente la camera. Il copriletto a fiori era nuovo; aveva senso, tutto sommato. La testiera di legno massiccio del letto e probabilmente anche il materasso, se erano riusciti a eliminare il rosso, erano ancora gli stessi.
Il quadro attaccato sul pannello di legno in alto era lo stesso: una pessima riproduzione ad olio di Giona che fugge dalla balena. Anche il comò in finto ciliegio rosso e la toilette, scrostata nell’angolo in basso a destra e con uno specchio deformante come quelli da luna park, per cui se ti alzavi sulle punte, la testa diventava lunga e appuntita. Il posacenere era nuovo, di quelli economici di plastica nera. L’ultima volta che era stato lì, alla reception avevano detto che era vietato fumare, anche se lo avevano fatto comunque. Era necessario, serviva a coprire la puzza.
Angel sedette sul letto e si sfilò le scarpe. Appoggiò la testa sui cuscini (troppo grandi e duri, lui preferiva quelli sottili e morbidi, anche se non era un problema, visto che non avrebbe dormito) e piegò le ginocchia contro il petto. Rimase in quella posizione per diversi minuti a riflettere sul ricordo della sofferenza, mentre fissava le ante chiuse dell’armadio a muro e la porta aperta del bagno. L’odore di sigarette e un profumo da quattro soldi aleggiavano nella stanza insieme alla puzza di stantio della moquette e a quella di salviette per asciugatrice, che irritava gli occhi, del copriletto.
Sofferenza.
Angel sapeva tante cose sulla sofferenza. Ne sapeva troppe. Con un po’ di fortuna, la sua sofferenza sarebbe finita quel giorno. Finalmente, avrebbe potuto portare indietro le lancette dell’orologio e ricominciare daccapo.
Quella era la stanza dove tutto era iniziato, pensò. Era giusto che tutto finisse proprio lì.
Colto da una nausea improvvisa, si alzò e barcollò verso il bagno. Alzò precipitosamente la tavoletta del water e riuscì a inginocchiarsi prima di vomitare i resti della sua colazione non digerita: una poltiglia acida di burrito e whisky che schizzò fin sul bordo della tazza e sulla tavoletta. Tossì diverse volte e sputò un grumo denso di saliva scura in quella schifezza schiumosa che galleggiava sulla superficie dell’acqua, prima di tirare la catena un paio di volte per sciacquare via gli ultimi rimasugli sparsi di vomito e rimettersi lentamente in piedi.
Lo specchio di prima rifletteva il suo viso smunto. La sua calotta cranica, rasata a zero, brillava sotto la luce troppo forte della lampadina e le borse che aveva sotto gli occhi erano grandi e nere quasi quanto lo zaino che si era portato.
Angel sapeva bene quali fossero i difetti fisici che la gente notava in lui: una lunga cicatrice sul lato sinistro del viso e la forma a uovo della testa, anche se era visibile solo quando si rasava. Sebbene tecnicamente non fosse una testa di cavolo
, era stato definito spesso in quel modo da chi si trovava più in basso di lui sulla scala evolutiva. Sembrava che vestirsi bene, però, sviasse l’attenzione da quei difetti fisici ed era per quel motivo che Angel indossava un’impeccabile camicia a righe di Armani, pantaloni neri di lana con la piega di Hugo Boss e calzini rossi di seta Paul Smith. Le scarpe, accanto al letto, erano di Gucci, in pelle marrone, lucide come la sua testa.
Diede un’occhiata di sfuggita alla vasca prima di spegnere la luce in bagno e tornare in camera. Sedette sul bordo del letto e si allungò verso il telefono che stava sul comodino, lo stesso vecchio apparecchio a disco dal quale aveva chiamato la polizia la penultima volta che era stato lì, prima di uscire dalla porta. Afferrò la cornetta malconcia e cominciò a comporre il numero.
«Sì, salve. Vorrei una ragazza.» Fece una pausa, ascoltando il centralino. «Deve essere robusta. Sì, ha capito bene, più è grossa e meglio è. Mi raccomando, l’ultima volta che ho chiesto una ragazza, mi avete mandato una che non andava bene per niente, quindi glielo ripeto: una donna robusta. Non importa che sia attraente, d’accordo?» Rimase in ascolto. Le scuse, pronunciate con voce secca e nasale, lo irritarono, ma riuscì a tenere a bada la rabbia. «China? Shyla. Sembra perfetta. Sono al Lonely Motel, stanza numero sei. Sì, quello vicino all’aeroporto. Grazie.»
Mentre riattaccava, Angel sperò che avessero capito bene. L’intera giornata dipendeva da quello. Si stese e aspettò, pensando ancora alla sofferenza.
ANGEL FU SVEGLIATO da alcuni colpetti sulla porta. Stando all’orologio sul comodino, aveva dormito per un’ora. Aveva la bocca impastata che sapeva di carogna. Si era addormentato sulla coperta in posizione fetale e aveva le ginocchia indolenzite. Sentì dolore quando si alzò in piedi, così sgranchì un po’ le gambe prima di andare ad aprire. Sbirciò attraverso lo spioncino per dare un’occhiata alla donna che aveva richiesto. O l’agenzia aveva capito bene stavolta, oppure lo spioncino deformava parecchio. La ragazza sembrava affannata per aver salito le scale e questo prometteva bene.
Impaziente, Angel aprì la porta.
Shyla era lì, in tutto il suo splendore, con le spalle scoperte, arrossate dal sole e il resto del corpo avvolto in uno scialle di seta nera e un mini abito lamé color oro (che in realtà era più un maxi abito, vista la taglia). Non portava calze sulle gambe lentigginose e le dita paffutelle dei suoi piedi, con le unghie smaltate di rosso ciliegia, facevano capolino da un paio di zeppe stringate. I capelli castani, con riflessi biondi, raccolti e arrotolati sulla testa, ricordavano una ciambella alla cannella.
«Ciao. Io sono Angel e tu devi essere Shyla.»
Le tese la mano e lei la strinse delicatamente nella sua, con un’espressione che indicava chiaramente quanto i clienti prima di lui non l’avessero abituata a certe carinerie.
«Prego,» disse, «accomodati.»
La ragazza sorrise ed entrò. «Che gentiluomo,» disse lei con voce acuta e gutturale. Lui pensò che con quella voce avrebbe potuto lavorare per un telefono erotico, anche se aveva il sospetto che guadagnasse già abbastanza con il suo lavoro attuale. L’acronimo BBW, Big Beautiful Women e cioè belle donne grasse, occupava buona parte delle ultime pagine del giornale in cui aveva trovato il numero di telefono dell’agenzia. Quella di Shyla sembrava essere la tipologia più diffusa, insieme a She-male e Asiatiche.
«Ma questo motel non era stato chiuso per violazione delle norme igienico-sanitarie?»
«Sai, credo di sì,» rispose lui chiudendo la porta e agganciando la catenella.
«Non voglio sembrare maleducata,» disse girandosi verso di lui con una smorfia evidente in viso, «ma questo posto è una topaia.»
«Concordo.»
Fece qualche passo dietro di lei, respirando nella sua scia di profumo dolciastro misto a