"DAISUKI." (Edizione Italiana)
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Info su questo ebook
La serie REN'AI RENSAI offre uno sguardo su una relazione lesbica lungo il corso di decenni, raccontandola in ordine non cronologico tramite romanzi, romanzi brevi, novelle e racconti.
"DAISUKI."
Aiko e Reina stanno assieme da quasi vent'anni, ma c'è sempre stato un qualcosa di non detto tra loro: daisuki, ossia "ti amo." Con l'avvicinarsi dell'anniversario, la loro relazione giunge a un punto morto perché Aiko, la casalinga giapponese, inizia a chiedere non solo dei "ti amo," ma anche un matrimonio e del romanticismo.
Reina però non capisce concetti complessi come "amore" o altre emozioni. Per anni ha supportato finanziariamente la compagna con un lavoro che le succhia l'anima, e si è presa cura dei loro reciproci bisogni in camera da letto. Non basta? In una cultura che le chiede di scegliere tra il mondo "femminile" e quello "maschile," ha già abbastanza difficoltà a trovare il suo ruolo senza che Aiko le faccia pressioni.
Certe parole non hanno bisogno di essere pronunciate, ma un "ti amo" potrebbe distruggere una relazione che già si barcamena tra incursioni di terzi e altri episodi bizzarri.
"DAISUKI." si svolge tra dicembre 2011 e luglio 2012
NOTA - contiene:
- Linguaggio esplicito
- Scene di sesso
- Poliamore/relazioni aperte
- Disforia di genere
- Tanto amore per donne che amano donne
Riservato a un pubblico maturo
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"DAISUKI." (Edizione Italiana) - Hildred Billings
Avvertenza
––––––––
Per la trascrizione dei nomi giapponesi si è utilizzato il sistema Hepburn. In particolare, si ricorda che:
chè un'affricata sorda, come in Cina
shè una fricativa come in scelta
gè una velare come in gara
hè sempre aspirata
jè un'affricata sonora, simile a gelo
yè un'approssimante palatale, simile alla j italiana in jella o alla y di yak
Il diacritico orizzontale sulle vocali (ˉ) ne indica l'allungamento. È stato omesso in caso di termini ampiamente conosciuti, come Tokyo.
Per i termini non di uso comune e alcuni luoghi si rimanda al in fondo al testo.
Tokyo; 17 dicembre 2011
––––––––
Sapeva che Reina l'amava.
Chi le conosceva come coppia diceva Certo che sono innamorate! Non ho mai conosciuto una coppia così, le ammiro moltissimo!
A quelle parole Aiko arrossiva, come fosse ancora stata la timida adolescente di un tempo. Come il giorno in cui Reina l'aveva invitata fuori per la prima volta.
Ti ricordi?
le chiese mentre festeggiavano il loro anniversario in un ristorante alla moda. Sei venuta a cercarmi dopo le prove, dicendo che volevi prendere un gelato insieme.
Reina posò il bicchiere di vino, osservando il centrotavola floreale. La guardava raramente negli occhi in pubblico, anche dopo tanti anni. Credo. È passato tanto tempo.
Diciannove anni.
Aiko sorrise per nascondere il rossore. Ci credi che sono passati diciannove anni dal nostro primo appuntamento?
Direi di sì. Sei tu che tieni nota di tutto.
Aiko si schiarì la gola, spostando il piatto di pollo Alfredo vuoto. Reina tormentava posate e bicchieri; sembrava convinta che tutti si aspettassero da loro qualcosa di non platonico. Aiko osservò il locale: diverse coppie etero; una famiglia benestante con due adolescenti; un gruppetto di amiche che brindavano ai vecchi tempi. Erano l'unica coppia di donne. Senz'altro sembravano buone amiche, o sorelle, magari cugine. A nessuno sarebbe venuto in mente fossero amanti, tranne forse a uno straniero depravato.
Allungando una mano sul tavolo, guardò Reina perché la ricambiasse. Solitamente erano attente alle manifestazioni d'affetto in pubblico, ma il ristorante era semibuio e nessuno prestava attenzione alle signore silenziose al centro della sala. Invitò la compagna con una timida occhiata.
Reina studiò la mano e distolse lo sguardo.
Le fece male, ma non ne fu sorpresa. Non lì. Non in un posto del genere. Era stata lei a suggerire di andare in un bel ristorante per l’anniversario. Forse sarebbe stato meglio non scegliere la zona dove Reina lavorava – qualcuno dell'ufficio avrebbe potuto vederle mentre si tenevano per mano.
Non era un posto da Reina. Ad Aiko piacevano le cose eleganti, ma che l'altra indossasse un tailleur pantalone e si fosse sistemata i capelli era un miracolo. Mi ama. Si è fatta bella per me. Reina avrebbe senz'altro preferito andare in un locale a Ni-chōme, dove le bariste lesbiche le avrebbero prese in giro per la loro lunga relazione. Erano clienti fisse quasi dappertutto. Ma quello era il campo giochi di Reina. Ora erano nella vita immaginaria di Aiko.
Stai bene?
le chiese. Te ne vuoi andare?
Finalmente Reina sorrise, lo sguardo acceso e fisso su di lei per la prima volta da quando erano entrate in quel noioso ristorante. Lo sai cosa voglio.
* * *
Presero un taxi per evitare la folla dei treni. Aiko allargò un cappotto tra loro e strinse la mano di Reina al di sotto perché il tassista, un tipo anziano con l'aria del conservatore, non le vedesse. Reina tenne sempre gli occhi sul finestrino mentre Aiko tratteneva risatine di felicità. Probabilmente era colpa del vino. L'aveva finito di corsa perché Reina aveva fretta di andarsene.
Tutto cambiò nel momento in cui varcarono la porta di casa. Come se avesse acceso un interruttore, Reina diventò la ‘vecchia’ se stessa e si sfilò le scarpe come una sciattona, mollandole alla rinfusa nel genkan. Prese Aiko per un braccio e la baciò.
Si precipitarono su per le scale, con i vestiti che cadevano loro di dosso come aria. Il tempo di raggiungere il secondo piano, e Reina aveva immerso entrambe le mani tra i capelli di Aiko. Questa non riusciva a respirare mentre l'altra la copriva di baci e le mordicchiava la nuca; abbracciò la compagna e chiese di essere portata in camera loro.
Reina era senz'altro più alta, ma non poteva certo sollevarla e prenderla in braccio come nei film romantici. Il meglio che poté fare fu tirarla su per la vita e trascinarla sul letto dove facevano sesso quasi tutti i giorni da quindici anni.
Reina fu passionale quella notte. Lo era sempre durante il sesso, ma stavolta Aiko giurò aver visto una nuova passione sbocciare da ogni bacio, spinta e gemito gutturale. Immaginò fossero delle maestose tigri, come le aveva viste in TV, felini furbi che si spintonavano e rotolavano cercando di addomesticare il partner. Un'altra stupida fantasia. Lì era Reina la tigre – lì e ovunque. Lo dicevano tutte le altre.
E allora Aiko pensò, come ogni volta che la compagna la conduceva tra le vette del piacere: Lei è mia. Le altre possono andare e venire, ma sono io a dormirle accanto tutte le notti.
Reina era, in mancanza di una definizione migliore, un'onna tarashi, una cacciatrice di donne, una donnaiola, o qualunque altro stupido termine si inventasse la loro amica americana. Aveva l'inspiegabile capacità di avvicinare qualunque donna e farla perlomeno ridere. Quando l'aveva conosciuta, aveva vent'anni e lavorava nel mondo dello spettacolo, spendendo l'intero stipendio in sigarette, alcool e ingressi in locali lesbici, dove rimorchiava ragazze per sesso. Adesso andava per i quaranta, e nonostante avesse scambiato da tempo capelli lunghi e vestiti da palcoscenico luccicanti con abiti formali e un taglio corto, spendeva ancora i suoi risparmi in sigarette, alcool e per intrattenere altre donne quando andavano in centro il fine settimana.
Stare con lei comportava comprendere il suo modo di vivere. Non pensava in termini di ‘monogamia vs poligamia,’ o ‘la mia compagna vs le altre.’ Ma talvolta Aiko si chiedeva se esistesse in Giappone una lesbica maggiorenne che Reina non avesse montato almeno una volta.
Ma adesso sta montando me, perché mi ama.
Aiko percepiva la pelle dell'altra e vi tracciava cerchi con le mani curate. Una calma piacevole nel sesso infuocato. Reina era silenziosa, come sempre, tranne che per i respiri pesanti – e poi il brusco annuncio, Questo è l'ultimo.
‘L'ultimo’ significava che ne aveva avuto abbastanza di giocare con l'amante, e reclamava una ricompensa. Le sole volte in cui Aiko sentiva la voce roca di Reina acuirsi, in maniera quasi femminile, era in quell'unico secondo durante l'orgasmo, quando le urlava brevemente nell'orecchio. L'aveva sentito molte, molte volte, ma la faceva sempre sorridere.
Non ci volle molto perché Reina si rotolasse verso il comodino per prendere una sigaretta. Aiko non voleva che fumasse in casa, ma glielo concedeva dopo il sesso. Reina si tirò a sedere sul letto, cullando la compagna con un braccio, mentre si passavano la sigaretta. Erano gli unici momenti in cui fumasse, al contrario di Reina, che finiva un pacchetto al giorno.
Dopo aver finito, Reina si mise a sistemare. Uscì e rientrò in camera da letto, nuda, inciampando sul vestito di Aiko, finito sul pavimento quando avevano sbattuto contro la porta. Raggiunse la luce della camera e la spense, prima di scivolare nuovamente a letto. Aiko le si raggomitolò accanto, la testa poggiata sul petto piatto, ad ascoltarne il respiro e assaporare il calore della pelle.
Ti amo,
le disse, mentre le massaggiava il braccio e la baciava nel varco tra i seni. Diciannove anni. Non le pesavano sul cuore più di una piuma. Forse l’altra provava la stessa cosa.
Attese una risposta. Ma tutto quello che sentì fu il respiro regolare di Reina e il rumore di una macchina da fuori. Le luci attraversarono la finestra della camera, illuminando il viso di Reina, i suoi occhi aperti e le labbra serrate.
Ti amo,
ripeté, a voce più alta. Non sapeva cosa aspettarsi. Qualunque cosa, per il loro anniversario.
Reina chiuse gli occhi. Pochi minuti dopo la presa si allentò mentre si addormentava.
Pazienza. Anche lei chiuse gli occhi. Non avrebbe permesso al silenzio di importunarla.
––––––––
Aiko si recò in visita alla casa di famiglia, nella zona occidentale di Tokyo. La giornata era tiepida e leggermente piovosa, perciò si era portata un ombrello; aveva anche una busta di mandarini regalatale qualche giorno prima dalla loro vicina di casa, Yuri. Scese all'ultima stazione del treno e si trascinò per le strade verso la casa della sua infanzia, la busta di agrumi in una mano e l'ombrello nell'altra. All'arrivo, entrò senza suonare.
"Mō. Le disse Junko, sua madre, vedendola all'ingresso.
Sei tu."
Entrò e posò la busta di mandarini sul tavolo della cucina. Me li ha dati la vicina,
disse alla madre, affaccendata lì attorno. Sono troppi, così ho pensato potessero piacervi.
Junko apparve il tempo necessario per annusare la busta e tastare gli agrumi. Belli. Li mangeremo.
Mi fa piacere.
Devo farti vedere una cosa.
Junko le diede un colpetto sulla spalla, invitandola a sedersi al tavolo. Aiko obbedì, mentre la madre frugava in una pila di buste sul piano lì accanto. Eccola. Leggila e dimmi se non ti fa cambiare idea.
Aiko prese la bustina e l'aprì, chiedendosi cosa volesse dire. Dentro c'era un cartoncino bianco con incisioni in oro, metà in giapponese e metà in inglese. Le si seccò la gola: l’invito a un matrimonio.
Eri-chan si sposa,
le disse Junko guardandola aprire il biglietto e leggere i dettagli. Lo sposo è quel ragazzo che ha conosciuto all'università. È passato talmente tanto, non ci credeva più nessuno si sposassero. Tre anni. Troppo tempo per non sposarsi.
Si pulì le mani sul grembiule e andò a cercare un posto dove mettere i mandarini.
Aiko rilesse l'invito. Eri era sua nipote, figlia del maggiore dei suoi fratelli. Tutti e quattro erano sposati – uno più di una volta – e fra tutti avevano sette figli. Lei era l'unica non sposata e senza figli, nonostante la sua fosse una relazione tra le più lunghe. Il sottinteso di Junko la feriva profondamente, come avrebbe potuto farlo il coltello da verdure che ora teneva in mano.
Immaginare la piccola Eri in abito da sposa la portò a chiedersi come ci sarebbe stata lei. Crescendo aveva fantasticato spesso di avere un matrimonio all'occidentale e le piaceva sfogliare le riviste per spose, per avere un assaggio di cosa potesse attenderla un giorno. Ma era stato prima di incontrare Reina. Il momento in cui aveva capito di amarla vent'anni prima era stato anche il momento in cui aveva abbandonato ogni fantasia matrimoniale. Vivevano da sposate ma non avevano anelli, né uno stato di famiglia condiviso. Al massimo una avrebbe potuto adottare l'altra, ma non riusciva a immaginare niente del genere.
E i figli... Ne aveva sempre voluti due, un maschio e una femmina. Sarebbe diventata una casalinga e una madre perfetta, proprio come la sua. Sapeva di coppie lesbiche che avevano adottato bambini, ma di nuovo, non riusciva a immaginarselo. Pensare a Reina come genitore era come pensare a un cane che si prendeva cura di un cucciolo di elefante: a parte corrergli incontro abbaiando, e trottare via quando gli faceva comodo non avrebbe saputo fare altro. Ma sentiva che per vivere con lei valeva la pena rinunciare alle fantasie su figli e matrimonio. Nessun uomo avrebbe mai potuto farla sentire come la faceva sentire lei.
Se solo sua madre l'avesse capito. Sapeva che era solo una pugnalata passivo aggressiva a lei e alla sua vita. L'invito risaliva a una settimana prima, quindi avrebbe già dovuto ricevere la sua copia, se avesse dovuto averne una. Ma non era arrivato nessun invito, e dubitava sarebbe mai arrivato. Eri non la conosceva bene, grazie alle premure del fratello, che l'aveva esclusa dalla sua vita da quando aveva saputo della sua vita amorosa. Certo, il decoro voleva l'invitassero comunque, ma non dubitava fosse stata una dimenticanza ‘conveniente.’
Sarà un bel matrimonio,
proseguì Junko, con sottofondo il rumore di cipolle tagliate. Il ragazzo è ricco! Diventerà un ingegnere.
Dovrò mandare i miei auguri.
Andò in cucina a prendere un grembiule. Cucinare l'avrebbe distratta.
Il telefonò le vibrò nella tasca posteriore dei pantaloni mentre versava le carote nella pentola, il curry già a ribollire sul fornello. Lo prese e vide lampeggiare il nome di Reina.
"Moshi moshi?"
Ah, Ai-chan? Sai se l'altro mio abito è pulito? Ho una riunione venerdì e...
Mentre