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I segreti della casa sotto l’albero
I segreti della casa sotto l’albero
I segreti della casa sotto l’albero
E-book420 pagine6 ore

I segreti della casa sotto l’albero

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Info su questo ebook

Quali segreti si nascondono nella casa all’ombra del grande olmo? Non è solo la famiglia Moriyama ad abitare lì sotto: nella silenziosa stanzetta dei libri all’ultimo piano vivono da oltre trent’anni delle persone in miniatura arrivate dall’Inghilterra per mano di un’insegnante inglese. Affidati al piccolo Tatsuo Moriyama, e via via al più giovane della casa, i piccoli esserini ogni giorno attendono il misterioso bicchiere azzurro pieno di latte, simbolo del rapporto di affetto e fiducia. La vita scorre tranquilla per ‘grandi’ e ‘piccoli’, ma l’ombra oscura della guerra giunge a turbare la loro serenità. Giorni bui si prospettano per Yuri, la minore dei Moriyama cui è passato l’incarico di famiglia, e per i piccoli esserini, ma anche la scoperta della natura e delle sue meraviglie fra cui i suoi abitanti come il piccione Yahei e Amanejaki, curioso personaggio di un passato lontano. Fantasia e realtà quotidiana si mescolano in questo romanzo dove il fiorire di sincere amicizie e di profondi sentimenti sono scanditi dal rinnovarsi delle stagioni. Tra i classici della letteratura giapponese per ragazzi, è considerata un’opera pioniera del genere fantasy.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2019
ISBN9788865643365
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    Anteprima del libro

    I segreti della casa sotto l’albero - Inui Tomiko

    2

    Yuri and the Little People by Tomiko Inui

    Text © Tomiko Inui 1959

    Originally published by Fukuinkan Shoten Publishers, Inc., Tokyo, Japan, in 1959

    under the title of KOKAGE NO IE NO KOBITO TACHI

    The Italian rights arranged with Fukuinkan Shoten Publishers, Inc., Tokyo

    All rights reserved

    Traduzione dal giapponese di Maria Elena Tisi

    © Atmosphere libri 2019

    Via Seneca 66

    00136 Roma, Italy

    www.atmospherelibri.it

    info@atmospherelibri.it

    ISBN DIGITALE 978-88-6564-336-5

    Indice

      Prologo                                                                          

      Capitolo 1  La stanzetta dei libri                                    

      Capitolo 2  I due uomini

      Capitolo 3  La storia delle fate

      Capitolo 4  Il piccione Yahei, Robin e la tigre

      Capitolo 5  Le ghiande non crescono sugli olmi

      Capitolo 6  Addio, stanzetta dei libri!  

      Capitolo 7  Nella casa di Nojiri

      Capitolo 8  Il giorno della falciatura dell’erba

      Capitolo 9  Un nuovo amico

      Capitolo 10  La prima neve

      Capitolo 11  Il piccione Yahei e Amanejaki

      Capitolo 12  L’ultimo bicchiere di latte

      Capitolo 13  Una separazione improvvisa

      Capitolo 14  Nella casa di Amanejaki

      Capitolo 15  Tornate a casa!

      Capitolo 16  Giorni bui

      Capitolo 17  Il ritorno di Yuri

      Glossario

      Postfazione dell’autrice

      Il posto segreto di Inui Tomiko di Maria Elena Tisi

     Note

    Un altro aveva il suo posto segreto sull’allegra riva di un fiume dove fluttuavano argentee le fronde dei salici. Lì, lontano dai polverosi centri abitati, c’erano la linda casetta di un piccolo topo d’acqua e la grande villa di un rospo eccentrico.

    E in una notte estiva, prima dell’alba, insieme al topo e a una talpa aveva sentito il suono puro di un flauto. La melodia oltrepassava la superficie dell’acqua del fiume colma di sogni incantevoli, e lui stesso, nella luce dell’aurora che spuntava silenziosamente, aveva visto la figura di Pan, il dio dei boschi.

    Nel mio posto segreto c’è una casa circondata dagli olmi giapponesi. Nel giardino crescono rigogliosi alberi di albicocche, noci, fichi e ciliegie. Lì abitano un bambino grande, uno più piccolo e una bimba piccina di cinque o sei anni. Il sole dei sereni pomeriggi estivi illumina il prato. I bambini, portata in giardino la pompa per spruzzare l’acqua con il getto a fontana, si stanno schizzando e corrono qua e là con schiamazzi gioiosi, i maschietti con i pantaloncini neri e la femminuccia con un costumino giallo fatto dalla mamma. L’acqua  spruzza in tutte le direzioni e forma piccoli arcobaleni un po’ dappertutto sull’erba verde.

    Io, bambino, entro di nascosto in quel giardino. È un posto dove mi intrufolo di soppiatto da casa mia che è lì accanto. Il ragazzino delle medie e la bimba piccina mi fanno una buona accoglienza, invece quello di mezzo è un po’ timido e mi guarda fisso con una smorfia.

    Trattengo il respiro e mi butto tra gli spruzzi d’acqua.

    Che meraviglia una doccia fresca sotto il sole fulgido di piena estate! Ne siamo ubriachi e come piccoli indiani ci rotoliamo sul prato. Si sente il profumo intenso dell’erba bagnata. Caro odore di terra umida. Alla fine anche il bambino di mezzo mi si avvinghia come un cucciolo di orso e ha inizio una lotta corpo a corpo con tutta la forza che abbiamo.

    Gli occhi della bimba che ci guarda sfavillano come quelli di un allegro diavoletto. La sua risata gioiosa riecheggia su, su fino alla cima degli olmi.

    Poco dopo il cielo imbrunisce, arriva per davvero un acquazzone serale e il gioco con la pompa giunge al termine.

    Quando i violenti tuoni estivi risuonano nel mio posto, sia la bambina che i suoi due fratelli scompaiono nell’oscurità. E con loro svanisco anche io bambino.

    Nel mio posto segreto è sempre piena estate.

    Una volta io, da bravo bricconcello, sto salendo sull’albero di fichi bianchi della casa della bimba. Oltrepassata la siepe di cipresso di casa mia, sono venuto a fare il ladro. Questo ladro divora uno dopo l’altro i frutti dalla cui attaccatura, quando li cogli, esce il latte. Le foglie di fico spandono intorno un buon profumo.

    Dalla casa vicina, una costruzione occidentale vecchio stile, esce la bimba piccola.

    Anche io, ladro senza paura, pensando di essere scoperto nascondo il viso all’ombra di una grande foglia di fico.

    La bimba viene avanti e, con gentilezza, si rivolge a me che sto sull’albero: «Ne prendi uno anche per me?»

    Io, povero ladro, mi trasformo subito in un angelo sceso dal cielo per cogliere il fico.

    «Grazie!» dice con gratitudine lei, e mentre pesta l’ombra corta ritorna nella casa da dove è venuta. Pensando alle perle di sudore sul naso della bimba con il collo sottile, il ladro sul ramo di fico disegna un castello nel cielo azzurro. Un castello immaginario dove un giorno vivrà con quella bambina.

    I nuvoloni estivi si alzano verso l’alto e anche il mio castello si estende all’infinito nel cielo azzurro…

    Come vedete nel mio posto segreto non c’è un piccolo principe sceso dalle stelle e nemmeno l’allegra riva di un fiume dove riecheggia il flauto di Pan, ma la mia casa, dove sono realmente nato e cresciuto, prima che sparisse bruciata da un’incursione aerea. Quello per me è diventato un posto speciale. Ora non ci sono più tracce né della mia abitazione, né della bambina circondata dagli olmi verso cui mi sono girato e rigirato pieno di nostalgia quando, scolaretto delle elementari, sono partito per lo sfollamento di massa. E finché vivrò non incontrerò mai un’altra volta la bimba che sembrava un diavoletto che viveva lì…

    Avevo continuato a pensarla così per più di dieci anni ma un giorno, da un amico incontrato per caso sul treno, ebbi sue notizie.

    «Lei si ricorda di te. Ha detto che qualche volta le piacerebbe incontrare il bambino della casa vicina che era bravo a volteggiare sulla sbarra».

    Sul momento non riuscii a rispondere. Il mio amico senza curarsene continuò: «Che nostalgia, eh? Dopo tanto tempo poter parlare con lei di quando eravamo piccoli. Anche se da parte sua non ha detto molto. Con te probabilmente si sarebbe aperta di più. Le piacevi più di me già allora!»

    Quell’amico con cui avevo passato la fanciullezza, con al centro la casa della bimba, come allora era gentile ma un po’ rude.

    «Perché non vai a trovarla una volta? Guarda, mi ha detto che l’indirizzo è questo».

    L’amico mi scrisse l’indirizzo della ragazza su un foglietto di carta e me lo diede.

    Sentendo che non avrei sopportato che un estraneo mettesse piede senza permesso nel mio posto segreto, mi separai da lui che avrebbe voluto continuare a parlare.

    Anche se in realtà avrei voluto sapere molte più cose di lei.

    Lungo la strada del ritorno strappai minuziosamente in tanti pezzetti il foglietto.

    Nel ricordo di quella ragazza devo rimanere sempre il bambino vivace e birichino che volteggiava sulla sbarra! E poi quella del mio posto deve essere per sempre la bambina che sembrava un diavoletto!

    Il foglio, ridotto in mille pezzi, dalle mie mani si sparpagliò nel vento.

    Da quel giorno passarono alcuni mesi.

    In mezzo alla posta arrivata la mattina e che stavo smistando sul tavolo dove lavoro, c’era un pacchetto. Mentre pensavo che fosse il contributo di un lettore, vidi il nome del mittente sul retro e le mie mani tremarono.

    Moriyama Yuri, il nome scritto con un pennarello blu era quello della bambina del mio posto segreto.

    In fretta scartai la busta e, aperto il quadernone all’interno, cominciai a leggere.

    Era il racconto del suo posto segreto.

    Lei, a due passi dal mio, aveva avuto un regno molto molto più meraviglioso.

    Mi resi conto che mi stava mostrando la parte sconosciuta del mio posto incantato e fui trascinato nella sua storia.

    La stanzetta dei libri

    Al primo piano c’era una piccola biblioteca.

    La porta della stanza, che dava su un corridoio in penombra, raramente si trovava aperta. Di solito era ben chiusa,  come per tenere alla larga chiunque volesse entrare. Quello era l’angolo più silenzioso e appartato di tutta la casa.

    Aprendo con un cigolio la massiccia porta di quercia, come vere pareti si trovavano tre librerie che arrivavano quasi al soffitto, e volumi di ogni sorta avevano riempito prepotentemente gli scaffali. Accanto ai libri antichi in cinese stavano quelli stranieri che nel periodo Meiji il nonno aveva letto con piacere. Poi nell’angolo vicino erano allineati circa duecento piccoli tascabili leggermente coperti di polvere.

    In poche parole questa biblioteca era la dimora serena dove riposavano vecchi libri che avevano svolto senza intoppi il loro lavoro.

    Nei pressi del soffitto di questa stanza silenziosa c’era la dimora del Piccolo Popolo: in uno spazio triangolare prodotto dalla finestra dell’abbaino sul tetto e dal ripiano più alto dello scaffale a est… lì abitavano delle personcine in miniatura.

    Proprio fuori dalla finestrella del soffitto si stendevano i rami folti del grande olmo giapponese del giardino. D’estate l’ombra delle sue foglie verdi faceva da tenda alla loro casa e, in inverno, i tiepidi raggi del sole la riempivano attraverso la cima spoglia rendendola una specie di veranda.

    A parte l’atmosfera solenne per la combinazione di polvere, muffa e odore di carta fine, tipici delle stanze dei libri, non c’era un ambiente più adatto per essere abitato dalla gente del Piccolo Popolo.

    Sarebbe stato impossibile trovare un posto migliore di quello, dove non venivano estranei e si poteva vivere senza essere visti da nessuno.

    I due esserini erano giunti in quella casa, che si trovava nella periferia di Tōkyō, poco dopo la sua costruzione, verso la fine del periodo Meiji, e da allora abitavano lì senza grandi problemi.

    A voler essere precisi, era stato durante le vacanze estive del 1913 che le due personcine, nate in Inghilterra, erano arrivate per la prima volta in quella casa sballottate nel cestino portato da Moriyama Tatsuo, il suo nuovo proprietario.

    A quell’epoca Tatsuo era al terzo anno delle elementari e portava il kimono sul blu e l’hakama per andare a scuola.

    Era successo tutto il giorno in cui il piccolo Tatsuo aveva ricevuto il cestino da Miss MacLachlan, l’insegnante di inglese che da Yokohama stava per tornare nel suo paese.

    Miss MacLachlan era un’educatrice venuta in Giappone dall’Inghilterra circa a metà del periodo Meiji. Insegnava inglese nella scuola femminile di Yokohama e, invece di stare nel dormitorio, abitava da sola in una casa di periferia dove teneva anche lezioni di conversazione per i bambini delle elementari del vicinato. Dopo vent’anni in Giappone l’insegnante ora stava per tornare nella sua terra e, quando il bambino dei Moriyama che conosceva fin dalla nascita era andato a salutarla, lo aveva condotto nella sua casa ormai  vuota.

    Il tappeto con gli animali che Tatsuo calpestava sempre con gusto quando andava là era già stato riposto da qualche parte, e anche i quadri alle pareti erano stati tolti tutti. La stanza appariva molto triste.

    Dal suo bagaglio ammucchiato in un angolo Miss MacLachlan aveva tirato fuori un vecchio cestino da picnic e, facendolo tenere ben stretto dal più piccolo dei suoi allievi, gli aveva detto: «Puoi dare tu il latte alle personcine in miniatura che sono qui dentro? Ogni giorno devi metterne un bicchiere sul davanzale della finestra!»

    Poi d’improvviso aveva fissato Tatsuo negli occhi, spalancati per lo stupore. Nei capelli color grano di Miss MacLachlan, venuta in Giappone poco più che ventenne, si mescolava ormai qualche ciocca bianca, e i suoi occhi inchiodati a quelli di Tatsuo erano di un misterioso grigio intenso.

    «Tatsuo Moriyama, sei un ragazzino che ama gli uccellini e gli insetti e che mantiene le promesse. Hai capito, vero? Mi prometti che farai quello che ti sto chiedendo?» Miss MacLachlan aveva supplicato il piccolo scolaro con fervore.

    «Sì, maestra, porterò il latte! Non solo il latte, qualche volta porterò anche dei biscotti perché la mamma è brava a farli».

    Tatsuo, che fin da piccolissimo aveva sentito storie di fate dalla sua insegnante, aveva capito subito chi erano le personcine in miniatura. Per la prima volta Miss MacLachlan aveva abbozzato un sorriso nel sentire il bimbo che le rispondeva come fosse a scuola.

    «Oh, no! I biscotti non servono. Da sempre il cibo di queste piccole persone è il latte. Mi raccomando, Tatsu, non ti dimenticare di metterlo in questo bicchiere e di lasciarlo ogni giorno sulla finestra. Se gli esseri umani si dimenticano i poveri esserini non sopravvivono».

    Miss MacLachlan aveva preso dalla tasca un bicchierino di un azzurro meraviglioso in cui sembrava essersi sciolto un pezzo di cielo. Il piccolo calice, assorbiti i raggi del sole dalla finestra, aveva cominciato a luccicare. E poi l’interno della stanza da tetro improvvisamente si era fatto brillante e gioioso.

    Attraverso il manico del cestino si era sentito un brusio leggerissimo. Tatsuo, irrigiditosi, aveva alzato lo sguardo su Miss MacLachlan.

    Allungata improvvisamente la mano, l’insegnante aveva aperto la chiusura del vecchio cestino e il coperchio si era sollevato con un cigolio. La luce azzurra che veniva dal bicchiere era penetrata festosamente nella fessura di appena cinque centimetri, e negli occhi di Tatsuo di colpo si erano impressi due visini, come di piccole bambole, e nelle sue orecchie era entrato un mormorio quasi impercettibile, simile al tono più alto del piano o a un soffio di vento.

    Finché, passato quell’attimo, come in un sogno Miss MacLachlan aveva richiuso il coperchio dicendo: «Hanno detto che si possono far vedere da te e che ti seguiranno. Va bene, Tatsu? Proteggili in modo che non siano visti da nessun altro, mi raccomando».

    Prima di rendersene conto Tatsuo aveva preso dall’insegnante lo splendente bicchiere azzurro.

    «E ora torna a casa, addio!»

    Miss MacLachlan aveva dato un frettoloso bacino di saluto sulla guancia di Tatsuo ed era scomparsa nella stanza in fondo.

    Del perché quella donna inglese avesse dovuto tornare in patria lasciando qui i piccoli esserini e, inoltre, del perché fosse stato scelto Tatsuo, che aveva appena dieci anni, per prendersene cura, parleremo in qualche altra parte di questa storia. Adesso occupiamoci di loro e del primo incontro con la famiglia Moriyama.

    Gli esserini erano due, il nome del maschio era Balbo Ash e quello della sua nervosa moglie Fern Ash. Di mestiere Balbo faceva le scarpe ed era un omino con le mani robuste. Fern era una brava donna di casa, che amava il pulito, e il fatto che nella biblioteca dei Moriyama non ci fossero ragnatele e simili era tutto merito suo.

    Quando per la prima volta erano stati portati a casa Moriyama, Balbo e Fern non si erano stabiliti da subito nella stanzetta dei libri. All’inizio Tatsuo aveva deciso di mettere il loro cestino dentro l’armadio dei giocattoli dove non c’era pericolo che potessero essere visti. Ma lì vivevano addirittura sei topi domestici. La prima giornata era trascorsa senza intoppi, ma di notte i grossi topi avevano rosicchiato in continuazione il cestino prendendolo per un perfetto affilatore.

    I poveri Balbo e Fern avevano dovuto sentire per tutta la notte il rumore spaventoso dei denti dei topi come fossero tuoni.

    La mattina dopo, quando Tatsuo, portato il latte, aveva visto i segni del rosicchiamento, era rimasto senza fiato per lo spavento. Immediatamente aveva aperto un po’ il coperchio del cestino e sia Balbo che Fern erano sani e salvi, ma quasi morti di paura. Stando così le cose, era necessario trovare subito un posto sicuro. Tatsuo aveva ispezionato tutta la casa e sentito l’odore di chiuso della sala del pianterreno, dove c’era il pianoforte, gli era venuta in mente la biblioteca del primo piano ancora più deserta.

    E così era salito al secondo piano e dopo aver corso per il corridoio buio aveva aperto con una spinta la pesante porta di quercia.

    Dentro la biblioteca c’era un colore ambrato per i raggi del sole che penetravano dalla finestra del tetto. Tatsuo aveva scoperto un posto confortevole vicino al soffitto nell’apertura triangolare formata dall’alta libreria e dal soffitto obliquo. La luce solare che filtrava tra le foglie dell’olmo tremolava.

    Senza indugio Tatsuo era tornato nella sua camera, era andato a prendere Balbo e lo aveva portato via avvolto nel suo fazzoletto. Anche all’omettino era subito piaciuta la tranquillità di questo posto. Il bambino era ritornato un’altra volta nella sua stanza, aveva tirato fuori dall’armadio dei giocattoli il cestino e portato anche Fern al primo piano. Stringendo intorno a sé le cose messe per loro nel cesto da Miss MacLachlan, Fern, pallida e stremata come un’emigrante dopo la traversata dell’oceano in tempesta, era arrivata alla stanzetta dei libri.

    Tatsuo aveva tolto qualche volume dalla libreria e creato una scala segreta. Nel caso improbabile in cui le domestiche fossero entrate nella stanza e avessero deciso di passare lo spolverino sulla libreria, a meno che non fossero salite su quella scala non sarebbero arrivate alla casa degli esserini.

    Da quel momento erano trascorsi ancora parecchi giorni prima che la loro dimora lì sopra, dove prima non c’era niente, fosse finalmente pronta.

    Visto che il cestino non era stato messo sulla libreria perché troppo grande, Tatsuo aveva dovuto costruire da solo una nuova casa per i piccoli. La loro abitazione che, guardando da sotto, aveva l’aspetto di libri poggiati l’uno accanto all’altro, ad un certo punto era finita. Due scatole vuote di sigarette Gelbe Sorte, prese di nascosto dalla stanza del padre, erano diventate i comodi lettini di Balbo e Fern.

    Tatsuo aveva preso due pezzi di seta soffice bianca e rosa dal cassetto della macchina da cucire della madre e li aveva consegnati alla piccola Fern. Lei, con il suo piccolo ago, ne aveva ricavato due tendine per il letto e con gli avanzi di quelle aveva confezionato della biancheria graziosa per il bimbo che stava per nascere.

    Le giornate estive passate a inventarsi questo e quello per completare la casa degli esserini erano state molto divertenti per il bambino.

    Né Balbo né Fern si erano ancora abituati a farsi vedere da lui e lavoravano alacremente con le proprie mani nel punto dove i suoi occhi non potevano arrivare.

    Tatsuo, una volta al giorno, riempiva di latte il bicchiere di vetro azzurro, si arrampicava sulla libreria e lo poggiava sul davanzale della finestrella dell’abbaino. Qui non c’era pericolo che qualcuno sbirciasse da fuori. Lo spettacolo dell’intera biblioteca che, da cupa, improvvisamente si illuminava di allegria quando i raggi del sole, penetrati attraverso il vetro, risplendevano nel bicchiere azzurro, era sempre una cosa entusiasmante.

    Pensando che la vita delle piccole persone nella stanzetta si reggeva sul bicchiere di latte lasciato da lui, il bambino provava un fiero senso di responsabilità e il cuore gli tremava per l’emozione.

    Anche se Fern era un po’ orgogliosa e non gli aveva mai mostrato in che modo venisse usato il latte per la cucina degli Ash, con quello i due neonati, Iris la femminuccia e Robin il maschietto, crescevano bene.

    Quando Tatsuo era andato alle medie, dopo aver svolto il suo compito per millequattrocentosettantasette volte senza dimenticare un giorno, la sorellina Yukari aveva preso il suo posto.

    Yukari era una bambina di costituzione delicata. Già da anni si era accorta del lavoro segreto di suo fratello, versare nel bicchiere azzurro il latte e portarlo nella biblioteca al secondo piano, ma essendo di carattere riservato non aveva chiesto niente.

    Poi, quando Tatsuo era entrato alle medie e ogni giorno aveva preso a rincasare tardi, Yukari, vedendo che quel compito gli era diventato gravoso si era offerta per la prima volta di aiutarlo.

    Nonostante chi portava il latte fosse cambiato Balbo e la sua famiglia non erano intimoriti da Yukari. Spesso a casa da scuola perché di salute cagionevole, già da prima era entrata nella stanzetta e quando Tatsuo non c’era leggeva spesso libri e riviste. E quindi da allora sia Balbo che Fern avevano provato simpatia per la tranquilla bambina.

    Per lei questo nuovo compito era il più piacevole che potesse desiderare. Malaticcia e sempre bisognosa dell’aiuto dei familiari, per la prima volta aveva la possibilità di prendersi cura di qualcuno.

    Ogni volta che il bicchiere di vetro azzurro faceva risplendere la stanzetta dei libri, Yukari sentiva una gioia senza paragone. La bambina aveva portato, uno dopo l’altro, i kimono e il mobilio in miniatura delle sue bambole agli esserini. La brava casalinga Fern, guardandosi attorno nella propria casa improvvisamente rimpicciolita dove stavano allineati la credenza, la lampada e la cucina a gas lucente, aveva emesso un sospiro di gioia.

    Tuttavia la debole Yukari non aveva potuto continuare a lungo a occuparsi di loro. L’inverno successivo a causa di una polmonite aveva lasciato questo mondo.

    Proprio in quel periodo era ospite a casa Moriyama una ragazza particolare, nata all’estero. Cugina di Tatsuo e Yukari, era stata mandata lì dallo zio Jun che viveva in Australia per avere un’educazione giapponese, aveva dodici anni e si chiamava Tōko.

    Al contrario della malaticcia Yukari, Tōko era una ragazzina in salute e con un carattere forte. Appena venuta in Giappone, senza abituarsi all’educazione formale di qui, quando tornava da scuola entrava furtivamente in quella stanzetta dei libri al secondo piano e si immergeva nella lettura di testi di ogni tipo. Per lei, a cui era sempre piaciuto leggere, la biblioteca dei Moriyama era una montagna di tesori inestimabili. Poi, spesso, mentre entrava e usciva questa bambina dall’occhio attento si era resa conto della presenza di piccoli esseri che abitavano vicino all’abbaino.

    «Tatsu, quegli ometti che stanno sul soffitto, li fai vedere anche a me?» aveva chiesto un giorno al cugino con insistenza e fissandolo diritto negli occhi.

    Ormai quindicenne, Tatsuo, non sapendo che dire, era arrossito in volto. Era lui che ultimamente, dopo la morte di Yukari, aveva ripreso a occuparsi del latte sul davanzale.

    Anche se riusciva a cavarsela in quella situazione, la sera si era consigliato con Balbo e gli altri e aveva deciso di confidare il segreto a quella cugina un po’ strana.

    «Prometti che non lo dirai a nessuno. E poi ogni giorno dovrai assolutamente mettere alla finestra il bicchiere di latte».

    «Uhm…»

    Quando Tatsuo aveva finito di parlare Tōko, come se non lo stesse prendendo sul serio, aveva guardato il cugino e riso, ma ricevendo davvero il piccolo bicchiere azzurro era rimasta incredibilmente affascinata dalla sua bellezza.

    Dopo qualche istante la ragazzina aveva domandato: «Quando posso incontrare quella gente, io?»

    «Eh, chissà! Se sarai paziente e continuerai a portare il latte per molti giorni, per decine di giorni, senza dimenticartene, credo che loro si faranno vedere».

    «Che bello!» aveva detto Tōko sgranando gli occhi. «Ti adoro, Tatsu! Quindi te lo prometto!»

    E poi la ragazzina, per esattamente settantasette giorni, senza farsi notare né dai genitori di Tatsuo né dalle domestiche aveva continuato a portare sulla finestra della stanzetta dei libri il latte per i piccolini.

    La sera del settantasettesimo giorno da quando Tōko aveva ricevuto quel compito, Robin e Iris, i figli di Balbo e Fern, erano scesi con facilità dalla casa vicina al soffitto e saliti con aria amichevole sulle spalle di Tōko. Di temperamento impetuoso, Tōko era stata contentissima di quella testimonianza di fiducia da parte dei bambini e aveva riso e pianto nello stesso tempo.

    Anche in seguito la ragazza era rimasta in quella casa e per lungo tempo aveva assolto con gioia il compito di portare il latte. Iris e Robin avevano familiarizzato con lei più che con chiunque altro e quando leggeva i libri in quella stanza salivano sempre sulle sue spalle. In particolare Robin si divertiva molto a dondolarsi come su un’altalena appeso ai suoi lunghi capelli.

    Quando il latte portato da lei era arrivato alla duemilasettecentosettantasettesima volta di seguito senza mancare mai, la ragazza si era sposata con l’adorato Tatsu, allora studente universitario, divenendo la giovane sposina della famiglia Moriyama.

    Da allora erano passati quasi vent’anni. Adesso, nel giugno del 1943, il signor Moriyama Tatsuo era un tranquillo studioso di letteratura inglese di quarant’anni, mentre sua moglie Tōko aveva superato i trentacinque ed era mamma di tre bambini, e naturalmente abitavano nella casa sotto il grande olmo dove si trovava la stanzetta dei libri. L’abitazione dei Moriyama, che non era stata distrutta dal fuoco durante il terremoto del 1923, in seguito ad ampliamenti e adattamenti di una parte del giardino e delle stanze, nel tempo era piuttosto cambiata e soltanto l’angolo nella stanzetta dei libri era rimasto esattamente come prima.

    Qui ora vivevano serenamente i coniugi Moriyama, un bambino di nome Shin, una bambina di nome Yuri e la famiglia di Balbo. Tetsu, l’altro figlio, da poco aveva lasciato quella casa, in cui aveva vissuto per diciassette anni, perché in primavera era entrato alla scuola superiore di Kyoto.

    Nata a Sidney, Tōko aveva continuato a portare il latte a Balbo e ai suoi anche dopo essere diventata la giovane padrona di casa. Poco tempo dopo aveva dato alla luce Tetsu e quando il bimbo aveva compiuto otto anni, dopo essersi consigliata con Balbo e Fern, aveva passato l’impegno del bicchiere sul davanzale al quieto figlio maggiore. Quando Tetsu aveva raggiunto i tredici anni, Shin, il fratello minore di nove, aveva ricevuto a sua volta quel compito.

    A differenza di Tetsu, di carattere riflessivo, Shin era un tipo irruente come la signora Tōko, e timido. Aveva anche un lato dolce, quando era piccolo aveva guardato instancabilmente l’entrata di un formicaio distrutto ed era capitato che fosse corso a portare delle uova fresche al cavallo del carretto caduto sulla salita vicino casa.

    Shin lo avevano fatto aspettare a lungo, ma quando gli era stato passato dal fratello l’importante incarico di portare il latte aveva pensato a un dispositivo perché la polvere non entrasse nel bicchiere, trasformato il frigorifero giocattolo di latta portato dalla zia Yukari e ideato una tecnica per infilarci i pezzetti di ghiaccio vero. Grazie a lui da quell’estate Fern aveva potuto presentare sulla tavola della famiglia Ash dei piatti usando il latte fresco. E soprattutto Fern gli era grata perché la paura che il latte potesse andare a male era scomparsa del tutto.

    Ciononostante sia Balbo che Fern si erano accorti che a un certo punto gli occhi di Shin, quando li guardava, erano diventati molto freddi. Soprattutto Fern, tanto contenta delle sue premure, aveva detto scuotendo il capo tristemente: «Cosa è successo a quel bambino negli ultimi tempi? Non so perché ma mi fa un po’ paura…»

    Compiuti tredici anni da poco, Shin si faceva vedere di rado. L’impegno del latte dalla fine dell’anno precedente era stato assunto dalla sorellina Yuri.

    Dopo aver studiato a scuola fino a tardi per l’esame di entrata alle medie provinciali, allievo prediletto dall’insegnante di educazione fisica, un ex militare, Shin aveva cominciato a prendere lezioni di kendō. La signora Tōko, quando il figlio piccolo le aveva annunciato che al primo anno delle medie avrebbe desiderato sostenere l’esame di ammissione alla scuola di avviamento all’accademia militare, era rabbrividita senza dire nulla. Infatti, fino ad allora, né nella famiglia Moriyama né tra i loro amici c’era mai stato un bambino che di propria iniziativa avesse aspirato a entrare nell’esercito. Notando il dolore dato a sua madre, Shin aveva detto con orgoglio che era bello studiare avendo scelto da solo la propria strada.

    Quando di rado entrava nella stanzetta per prendere dei libri con parole come patriota o esercito, che si nascondevano lì in mezzo, ne usciva in fretta. Anche se Fern e gli altri lo osservavano con nostalgia dalla casa vicino all’abbaino, Shin se ne andava imbronciato facendo finta di non notare il loro sguardo.

    Yuri, nove anni compiuti da poco e ultima figlia dei Moriyama, era la fedele portatrice del latte. Chiunque avesse conosciuto la zia diceva a Yuri che sembrava Yukari rinata. Anche per Balbo, Fern e gli altri quando vedevano Yuri esile e malaticcia, il tempo di circa dieci anni anni scompariva improvvisamente e sembrava che lì ci fosse la zia.

    Una volta Yukari aveva detto a Balbo: «Questa è proprio una bella stanza silenziosa, ma sempre chiusa non è un po’ soffocante? Chiediamo a mio fratello Tatsuo di fare un buco di aerazione».

    Mentre pensava di parlare a Tatsuo di questa idea, Yukari era morta per la febbre alta di una polmonite acuta.

    Tuttavia proprio nell’ultimo periodo Yuri, senza sapere niente, aveva avuto la stessa idea. Se un venticello fresco fosse entrato in quella stanzetta piena di polvere come avrebbe vissuto meglio la famiglia di Balbo!

    Più risoluta nei propositi della zia, aveva chiesto subito al fratello Tetsu, tornato dalla scuola di Kyoto per le vacanze estive, di creare un foro di aerazione.

    Testu aveva accettato di buon grado e con gli attrezzi da falegname aveva realizzato una piccola apertura vicino alla finestra del soffitto. Fuori era stata costruita una tettoia perché la pioggia non entrasse. Inoltre era stato installato un ventilatore giocattolo di Yuri nella parte interna. Quando Balbo e Robin, unite le proprie forze, giravano la chiavetta, andava per un periodo sufficientemente lungo, e un fresco venticello si immetteva nella stanza.

    Dopo circa trent’anni l’aria fresca era passata attraverso la cima dell’olmo entrando nella stanzetta dei libri.

    Iris, che stava cominciando a imparare da Fern a lavorare a maglia, aveva annodato sul ventilatore un nastro del colore dell’arcobaleno, fatto tingendo i fili di ragno.

    La piccola Yuri, sentita la voce felice degli esserini levatasi lassù, aveva sorriso.

    «Tetsu, anche tu da piccolo portavi il latte ogni giorno?» aveva chiesto Yuri al fratello più grande guardandolo piena di ammirazione.

    «Io? Sì, io l’ho portato per cinque anni da quando ne avevo otto senza interruzione… anche se qualche volta mi ha aiutato la mamma! Ma qui non è cambiato niente, vero? A Tōkyō non si è ancora a corto di latte?» aveva esclamato, guardando con compassione la sorellina, Testu che, tornato dopo molto tempo, sembrava improvvisamente adulto.

    «Yuri, mi sa che d’ora in poi portare il latte sarà un compito piuttosto difficile».

    I due uomini

    Robin aveva appena compiuto otto anni.  

    Gli appartenenti al Piccolo Popolo, dalla nascita fino ai cinque anni, crescono come i bambini umani, ma dai cinque in poi crescono solo di un anno ogni cinque. Per questa ragione anche se i membri della famiglia Moriyama invecchiavano di anno in anno, Balbo e Fern erano ancora sulla quarantina. Robin e Iris, nati quando Tasuo faceva le elementari, ora che lui aveva appena compiuto quarant’anni erano bambini di nove anni lei e otto e qualche mese lui, e anche adesso si godevano il periodo dell’infanzia proprio come trent’anni prima.

    Dopo aver appreso l’alfabeto dal padre Balbo, Robin stava imparando a leggere usando un bell’albo illustrato come libro di testo. Per il piccolo questo libro era qualcosa di molto grande ma dagli esseri umani veniva chiamato libro in miniatura di Sazanami della casa editrice Nakanishiya, ed era un volume grazioso e dalle pagine larghe.

    Comprato dai genitori in occasione del quinto compleanno di Yukari, la zia morta giovane, quel libricino illustrato non era mai stato visto né da Shin né da Yuri, perché quando il piccolo Robin lo aveva trovato a cinque o sei anni, in un secondo se ne era innamorato e aveva chiesto con insistenza al padre di portarlo in casa.

    Balbo era contrario a portare quel fardello così grosso dallo scaffale di sotto fino alla loro abitazione vicina all’alto soffitto, ma Robin non sentiva ragioni. Perciò insieme a Fern, rischiando la propria vita, lo avevano accontentato. E comunque adesso i due genitori erano molto soddisfatti del proprio lavoro perché il figlioletto, così poco diligente, apriva senza stufarsi solo

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