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La legge dell'intelligenza artificiale: L’AI Act europeo per trovare un senso nel futuro della tecnologia
La legge dell'intelligenza artificiale: L’AI Act europeo per trovare un senso nel futuro della tecnologia
La legge dell'intelligenza artificiale: L’AI Act europeo per trovare un senso nel futuro della tecnologia
E-book235 pagine3 ore

La legge dell'intelligenza artificiale: L’AI Act europeo per trovare un senso nel futuro della tecnologia

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Info su questo ebook

L’approccio dell’Ue all’Intelligenza Artificiale (AI) è incentrato sull’eccellenza e sulla fiducia, con l’obiettivo di rafforzare la ricerca e la capacità industriale, garantendo nel contempo la sicurezza e i diritti fondamentali dell’individuo e del cittadino. Il modo in cui ci avviciniamo all’Intelligenza Artificiale definirà infatti il mondo che vivremo in futuro. Per contribuire alla costruzione di un’Europa resiliente e competitiva, i cittadini e le imprese dovrebbero poter beneficiare dei vantaggi dell’AI, sentendosi al contempo sicuri e protetti. Roberto Viola, che ha contribuito alla stesura del quadro normativo europeo, e Luca De Biase, giornalista esperto di tecnologia e innovazione, raccontano i principi che stanno ispirando l’azione europea, le finalità dell’AI Act e gli impatti che avrà nel prossimo futuro sulle nostre vite.

“La via europea all’intelligenza artificiale è frutto di un pensiero articolato e complesso. Come tutte le visioni, potrà funzionare o no. Ma, date le alternative, vale la pena di tentare. Se questa operazione riesce, l’Europa avrà tecnologie umanamente più sensate e potrà proporle al mondo."

LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2024
ISBN9791254843475
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    Anteprima del libro

    La legge dell'intelligenza artificiale - Luca De Biase

    Prima parte

    System Error

    L’avvento globale dell’intelligenza artificiale nel XXI secolo

    L’intelligenza artificiale potrebbe essere associata a una maggiore crescita del PIL dei Paesi sviluppati, secondo Goldman Sachs, di quasi mezzo punto percentuale all’anno nella prossima decade. Tenendo conto delle mille facce della questione, sull’intelligenza artificiale si giocano tra i 4 e i 6 trilioni di maggiore prodotto interno lordo globale, secondo McKinsey. Intanto, l’impatto organizzativo e pratico dell’intelligenza artificiale potrebbe generare trasformazioni profonde nel modo di lavorare di quasi la metà degli occupati, secondo l’OCSE. Tecnicamente, questa tecnologia si candida a diventare l’interfaccia per usare piattaforme, smartphone, automobili, elettrodomestici e molto altro. La questione, insomma, è strategica.

    Non mancano le preoccupazioni, naturalmente. Non solo per le allucinazioni che i modelli linguistici non cessano di inserire nelle loro risposte. Non solo per i pregiudizi che dimostrano di perpetuare a causa delle distorsioni contenute nei dati che servono ad allenarli. Ci sono problemi di copyright, di privacy, di protezione dei minori. Ci sono problemi per il lavoro e le professionalità potenzialmente impattate dall’uso di queste tecnologie. Ci sono timori sulla industrializzazione della produzione di disinformazione e sulla manipolazione delle coscienze che ne può derivare. Ma queste preoccupazioni non riducono la forza di attrazione della tecnologia nei confronti dei talenti e delle risorse finanziarie, garantendone uno sviluppo accelerato.

    La competizione globale sull’intelligenza artificiale è articolata intorno ai sistemi di regole, alle strategie di politica industriale, alle istituzioni finanziarie, alle capacità delle imprese di cogliere le opportunità. L’Europa è considerata forte soprattutto nei sistemi di regole ma anche nella disponibilità di risorse tecnologiche e scientifiche pubbliche. Stati Uniti e Cina sono più avanti dal punto di vista delle imprese in gioco, avvantaggiate tra l’altro dal grande potere che esercitano sulle tecnologie digitali esistenti che garantiscono una enorme disponibilità di dati, un potente sistema di piattaforme di calcolo, algoritmi in fase di sviluppo già avanzata. L’India e diversi altri Paesi stanno a loro volta concorrendo allo sviluppo di questa tecnologia. Questa prima parte del libro è dedicata a comprendere quali possono essere le logiche che si seguono nel mondo per immaginare una governance globale di questa frontiera tecnologica decisiva.

    La legge dell’intelligenza artificiale

    1. Bletchley Park

    Era l’inizio di novembre 2023. Era stata annunciata una grande tempesta d’acqua e questo un po’ rovinò la festa agli inglesi che avevano organizzato, nella mitica sede di Bletchley Park, il primo summit mondiale sulla sicurezza dell’intelligenza artificiale (AI Safety Summit). Ma la burrasca era anche metaforica: il summit era circondato da un clima di sorpresa e preoccupazione, dato dalla velocità con cui si sviluppavano le nuove forme di intelligenza artificiale generativa, quelle che producono testi, immagini, programmi software, che si esprimono e conversano con gli utenti in qualsiasi lingua, ma che dimostravano anche problemi importanti di affidabilità delle informazioni, rischi per la privacy delle persone, scarso rispetto per il copyright e così via.

    Una situazione che richiedeva una risposta da parte della classe politica. Verso la fine della seconda parte del 2022, parallelamente alla corsa degli algoritmi, si era scatenata anche una sorta di gara delle regole: l’Europa aveva conquistato una chiara leadership culturale, mentre Washington, Londra e le Nazioni Unite inseguivano. L’Europa, in effetti, era partita ben quattro anni prima e, all’epoca del summit inglese, si avviava a concludere la preparazione del primo regolamento al mondo sull’intelligenza artificiale. Ma gli americani non sembravano gradire questa posizione di rincalzo. E, pochi giorni prima del summit, il presidente degli Stati Uniti aveva firmato un ordine esecutivo per regolamentare l’intelligenza artificiale¹. La vice presidente Kamala Harris aveva avvertito le altre nazioni: «Parliamoci chiaro: se si tratta di intelligenza artificiale l’America è il leader globale. Sono le aziende americane che innovano. È l’America che può catalizzare un’azione globale e costruire un consenso globale con un’efficacia della quale nessun altro Paese può essere capace»². I giornali considerarono quella scelta di tempi ben poco diplomatica nei confronti dell’alleato britannico che aveva organizzato il summit per avviare una discussione multilaterale su questa questione.

    Per il governo del Regno Unito, in effetti, era strategico trovare un argomento sul quale costruire una politica di impatto internazionale. Per riuscire a riconquistare un’influenza significativa, il governo britannico aveva tentato di giocare, per quanto possibile, da posizioni indipendenti, come dimostrava per esempio l’invito a partecipare rivolto alla Cina. Ma soprattutto aveva puntato molto sulla possibilità di migliorare i rapporti con l’Europa. Se da un lato la ferita della Brexit si stava ancora rimarginando, dall’altro l’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’UE e il Regno Unito rappresentava la normalizzazione dei rapporti tra le due aree: Bletchley Park doveva essere un altro passo avanti. E infatti il governo britannico aveva riservato il primo invito al summit alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che aveva immediatamente accettato.

    Fu una straordinaria intuizione da parte del primo ministro Rishi Sunak quell’idea di riunire i grandi del mondo in un vertice sulla sicurezza dell’intelligenza artificiale proprio a Bletchley Park, luogo iconico avvolto dal mito della decodifica della macchina nemica e soprattutto dalla creazione della macchina amica: in questo luogo, durante la Seconda guerra mondiale, lavorò il gruppo di scienziati che riuscì a craccare il codice della macchina Enigma, utilizzata dalla Germania nazista per criptare le comunicazioni. Alla guida del gruppo c’era Alan Turing, matematico, logico, crittografo e filosofo britannico, ideatore del primo calcolatore al mondo e riconosciuto come uno dei più grandi matematici del secolo scorso³. Bisogna ammettere che la scelta della sede per il summit ebbe anche qualche svantaggio. Quella villa vittoriana era di dimensioni tanto modeste che l’organizzazione inglese fu costretta a servirsi di enormi tendoni bianchi da adibire a padiglioni: non si poteva certo costringere tanta gente in poche piccole stanze. Era abbastanza comico vedere i grandi del mondo che si arrabattavano per spostarsi da un padiglione all’altro sotto la pioggia battente.

    La bellissima villa vittoriana fu ristrutturata verso la fine dell’Ottocento da un ricco borghese, Sir Herbert Samuel Leon, il quale le ha dato quel carattere eccentrico e gotico che ricordano coloro che hanno visto il film The Imitation Game nel quale viene raccontata, appunto, la storia della decodifica di Enigma e dove si vede molto bene tutta l’architettura della villa. Col tempo, lo Stato inglese ne aveva acquisito la proprietà e l’aveva adibita a scuola di addestramento per il servizio postale nazionale. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, il carattere isolato del posto si era dimostrato strategico. In effetti si trovava davvero in mezzo alla campagna. E questa fu un’altra delle difficoltà per tutte le delegazioni internazionali giunte a Bletchley, costrette a organizzare i trasporti con auto e navette per spostarsi nel territorio circostante e a sottoporsi a snervanti controlli di sicurezza.

    All’inizio degli anni Quaranta del secolo scorso, il governo inglese decise di concentrare un impressionante numero di scienziati esperti in crittografia, sfruttando la location così appartata, fuori dalla portata di sguardi indiscreti, di spie e spioni. E lì cominciò la grande avventura della decodifica di Enigma. La cosa interessante è che l’esistenza di Bletchley Park e del progetto top secret di codifica rimase segreta per tantissimi anni, cominciando a emergere solo all’inizio degli anni Novanta, quando fu deciso poi di trasformare il parco in un museo. Oggi è un posto che attrae tanti investitori e visitatori, dove sono conservati degli scritti originali e dove si trova persino un piccolo negozietto con i souvenir che ricordano, appunto, Enigma, la storia di Turing e dei suoi colleghi. Durante l’AI Safety Summit, questo negozietto venne trasformato in una specie di punto di ritrovo per tutta la gente che arrivava. Veniva servito un terribile caffè – assolutamente imbevibile – ma siccome faceva tanto freddo e lì non c’era il riscaldamento, tutti erano costretti a consumarne quantità industriali.

    La squadra chiamata a far parte dell’operazione Enigma era di altissimo livello. Naturalmente fra tutti spiccava la figura di Alan Turing. Turing era una mente superiore, un ragazzo piuttosto eccentrico che si vestiva in maniera originale e che durante il periodo dei pollini girava in bicicletta con la maschera antigas; d’altro canto, aveva straordinarie qualità nell’ambito della matematica e si era specializzato nella crittografia, iniziando da lì il percorso che avrebbe portato all’informatica moderna. Non era quello scienziato scontroso e nerd che viene descritto nel film The Imitation Game, ma al contrario una persona che andava abbastanza d’accordo con i suoi colleghi. Altra particolarità non riportata fedelmente nel film è che il team di Bletchley era composto anche da parecchie donne, tra cui spiccavano quattro scienziate molto capaci. Oltre alla più famosa, Joan Clarke – matematica, crittoanalista che lavorò a stretto contatto con Turing – c’erano anche Mavis Batey – una delle più sveglie crittoanaliste dell’Inghilterra – Margaret Rock e Ruth Briggs. Il lavoro del gruppo di Bletchley fu un’opera che cambiò la storia della Seconda guerra mondiale e, conseguentemente, la storia del mondo, perché la necessità di decodificare Enigma condusse all’invenzione del primo calcolatore – quello che noi oggi chiamiamo computer. Si tratta di una grande storia europea, giacché in realtà i primi che riuscirono a decodificare Enigma furono i polacchi. Prima ancora dell’inizio della guerra, una squadra di scienziati polacchi, appunto, riuscì a decodificare la macchina grazie a un prototipo di calcolatore che fu alla base di quello poi effettivamente progettato da Turing a Bletchley.

    Ma facciamo un passo indietro e, al tempo stesso, avanti: che cosa era effettivamente Enigma e che cosa c’entra con la storia futura dell’intelligenza artificiale? La macchina Enigma, per dimensioni e forma, ce la potremmo immaginare molto simile a una macchina da scrivere con due tastiere. L’operatore inseriva il testo del messaggio premendo i tasti della prima tastiera; da qui partivano dei circuiti elettrici, emettendo un flusso di corrente verso una serie di rotori – e ogni rotore aveva una differente configurazione di cablaggio. Dopo ogni pressione dei tasti, i rotori ruotavano, cambiando il percorso per ogni lettera digitata; così facendo, trasmettevano l’informazione a quello che veniva chiamato riflettore – ovvero un circuito che rimandava indietro il segnale attraverso i rotori, ogni volta su un percorso diverso, alla seconda tastiera (tastiera di uscita), i cui tasti si illuminavano. Per fare un esempio concreto, se l’operatore avesse spinto la lettera A, il tasto avrebbe mandato il segnale ai rotori tramite i circuiti elettrici e i rotori avrebbero trasmesso il segnale alla tastiera d’uscita, sulla quale sarebbe venuto fuori X. Una volta al giorno, venivano cambiate le impostazioni prima dell’uso dei rotori, per evitare pattern ripetitivi. Dati i miliardi di combinazioni possibili, Enigma era quindi considerato una macchina impenetrabile – visto che all’epoca non esistevano ancora i calcolatori – e questo diede il via a una corsa alla decodifica che, come accennato, trovò una primissima riuscita grazie ai matematici polacchi Marian Rejewski, Jerzy Różycki e Henryk Zygalski.

    Rejewski, Różycki e Zygalski svilupparono metodi per determinare le impostazioni dei rotori di Enigma, creando la cosiddetta bomba kryptologiczna (bomba crittografica), ovvero un dispositivo meccanico progettato per facilitare la decifrazione dei rotori di Enigma. Tuttavia, come succede sempre nella storia della scienza e della crittografia, le macchine evolvono e la Germania nazista intensificò la sicurezza di Enigma aggiungendo più rotori e complicando ulteriormente il codice. A quel punto i polacchi non furono più in grado di decodificare la nuova versione – usata soprattutto dalla marina tedesca per comunicare con i sottomarini – ma condivisero la scoperta con gli alleati britannici e francesi. Questo passaggio di informazioni si dimostrò fondamentale per gli sforzi successivi di Bletchley Park: il team di Alan Turing partì proprio da questo. Sebbene onoriamo la memoria di Turing e del suo fantastico gruppo di collaboratori, bisogna sempre tenere in mente il fondamentale contributo dei matematici polacchi. Una collaborazione avvenuta più di ottant’anni fa ci dimostra che, quando si lavora insieme per una giusta causa, si arriva a risultati incredibili; un messaggio che, in effetti, riecheggia fino ai giorni

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