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Dialoghi col serpente
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E-book180 pagine2 ore

Dialoghi col serpente

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Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (128 pagine) - Cosa sarebbe accaduto se Eva avesse rifiutato Adamo, rinunciando a dare inizio alla storia dell’umanità?


Le storie ucroniche sono sempre basate su un punto di svolta: è accaduto qualcosa in modo diverso da come la storia lo ricorda, e il tempo ha preso una strada diversa. Ma accade se questo punto di svolta è proprio all'inizio di tutto? Se la prima donna, scoprendo a quali sviluppi avrebbero dato luogo le sue scelte, avesse semplicemente deciso di non prestarsi al gioco, di rifiutare Adamo e accettare la condizione di eterna solitudine nel giardino dell'Eden, con solo il Serpente con cui scambiare i propri tormenti interiori?

E come l'avrebbe presa il padrone di casa?


Elisa Franco è nata a Roma, ha studiato e si è laureata in giurisprudenza a Genova, scegliendo poi di vivere a Bologna. Ha cominciato a scrivere racconti al tempo del covid, pubblicando su diverse riviste online, quindi si è decisa a tentare la via della sua antica passione fantascientifica. Col racconto Lo stato gassoso dei fantasmi ha vinto il premio Urania Short 2021. Nel 2022 ha partecipato all’antologia Primo contatto di Urania Millemondi e, sempre nello stesso anno, è stata segnalata al premio Short Kipple con successiva pubblicazione nella collana Capsule. Nel 2023 ha preso parte al numero 13 della rivista Un’Ambigua Utopia, dedicato a Daniela Piegai. Ha alcuni romanzi nel cassetto e sta lavorando perché da quel cassetto riescano a uscire.

LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2024
ISBN9788825429404
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    Anteprima del libro

    Dialoghi col serpente - Elisa Franco

    a Eva

    Il Diavolo non è mai così brutto come lo si dipinge

    (proverbio)

    Prologo in Cielo

    – Ma il Cielo è completamente vuoto!

    – Certo: sono tutti nel Paradiso Terrestre.

    – Chi è stato a parlare?

    1° Colloquio

    – Eva, hai una zanzara sul braccio destro!

    Sto passeggiando. Passeggio distratta tra una distesa di papaveri rossi: si appoggiano su cuscini di trifoglio e, con la loro tinta accesa, è come se cercassero a tutti i costi la mia attenzione, obbligandomi a guardarli. Il rosso in evidenza sul verde del Giardino mi affascina, sembra mi voglia dire qualcosa, percepisco il rumore di una frase che non comprendo. No, non sono così poetica e misteriosa: solo una ragazza come tante dove non ci sono ragazze. Dove non c’è proprio nessuno. Per spiegare, il tipo di ragazza che nel prato cerca il quadrifoglio per quel discorso della fortuna. Ma la fortuna non esiste, o è inutile: credo sia per questo che, ogni volta che frugo con gli occhi, un quadrifoglio finisco per trovarlo. In fondo, vivo nell’Eden. La prima donna. L’unica donna. L’unica persona, anzi.

    Dunque sto passeggiando e riesco a non pensare a nulla. Poi la voce nota: – Eva, hai una zanzara sul braccio destro!

    E i pensieri ritornano.

    Invece di rispondere, provo ad allontanarmi dal Serpente.

    Non perché morda: in realtà è il Diavolo, cioè un angelo con le corna. Da un bel pezzo è obbligato a starsene rinchiuso nei pochi centimetri quadrati di una pelle di serpente; quindi, a tutti gli effetti, è un serpente, anzi: il Serpente. Però non morde, posso garantire. In compenso parla tantissimo, mentre oggi sento il bisogno di stare da sola, di non riflettere. Guardare i papaveri rossi e basta.

    Forse sono malata. Non è questione di tastarsi alla ricerca di ferite o pustole né di palparsi la fronte per capire se la febbre la faccia da padrona. Si tratta di un discorso più complesso. Qualunque cosa è intricata nell’Eden: le infinite distese di erba verde ingannano, lo scorrere pacato e diritto di fiumi e ruscelli che non si sa dove vadano a finire copre l’illusione. Il Paradiso Terrestre da un pezzo non è più un paradiso.

    Quando dormo è peggio. Nelle ultime notti gli incubi stessi hanno iniziato a mutare, a espandersi. C’è la solita passeggiata, che si dipana ogni volta uguale strizzandomi il cuore: avanzo carica di ogni tipo di arma e mi dedico ad ammazzare nei modi più cruenti figli, nipoti e qualunque sagoma che riconosca umana. Poi, a tradimento, si aggiunge un nuovo scenario. Animali – ne sono rimasti pochissimi, ma gli incubi non ne tengono conto – e alberi del Giardino formano un cerchio perfetto di cui sono il centro e a poco a poco si avvicinano, stando così attenti a non farsene accorgere che per un bel pezzo non me ne rendo conto: non c’è memoria nei sogni. Il cerchio si serra. L’erba allunga i filamenti, le piante lanciano rami e radici, le creature sporgono zampe, code e quanto altro a loro disposizione. Mi strangolano. E a questo punto comprendo che il Paradiso Terrestre mi ha messo un cappio intorno al collo, stringe il nodo scorsoio e io non posso farcela a sopravvivere. Mi manca l’aria e la cerco disperata aprendo e chiudendo le labbra, come un pesce estratto dal mare, contro la sua volontà, da una lenza di cui non è stato in grado di vedere l’inizio e la fine. Eppure non invoco l’aiuto di Dio: non credo di meritarlo.

    – Eva, hai una zanzara sul braccio destro!

    La voce squillante insiste, scaccia le visioni notturne fuori tempo massimo e fa riapparire il prato senza fine attorno a me, coi papaveri incerti se muoversi al vento o starsene immobili per prudenza. Il Serpente mi trova sempre, una non può starsene in pace neppure coi propri incubi che invadono il giorno. Lui – gli attribuisco un genere per pigrizia, ma non so quale sia quello reale o se ne abbia uno o più – quasi sorride nonostante quella bocca senza labbra e continua ad avvertirmi, scuotendo via le elucubrazioni torbide e c’è, c’è davvero la maledetta zanzara. Scusami Dio, ovunque Tu sia, per l’imprecazione. È già volata altrove prima che potessi schiacciarla. Comunque resusciterebbe, no? Siamo nell’Eden. Scuoto la testa e sbuffo, non do al mio interlocutore la soddisfazione di rispondere. In realtà è perché rivivo ancora i postumi dello strangolamento. Simbolico. Significativo. Sadico. Pensare che stamane il Paradiso Terrestre sembra appena ripulito, perbenino, ogni gradazione di verde al suo posto, i rami degli alberi spolverati, l’orizzonte bello netto. Un paese noioso, un balocco rotto.

    L’ho rotto io. E Adamo è morto.

    – Percepisco che sei in collera senza ragione – mi previene il Serpente. – Una zanzara non è certo una ragione. Se il buongiorno si vede dal mattino, credo che oggi non riusciremo ad avere una conversazione decente.

    – Dormivo. – Bugia palese, dato che passeggiavo.

    – Da come ti lamentavi direi che era un brutto sogno. Ti ho fatto un favore.

    Mostrando in modo plateale di tenermi il broncio, il Serpente si arrotola piano su sé stesso, in una accogliente alcova di pietre scaldate dal sole primaverile. Ammesso che nel Giardino possa dirsi che esistano ancora vere stagioni, perché, dopo il trasloco dei residenti a numero variabile di zampe e gli altri recenti cambiamenti, niente è più come prima. Sono pentita di aver concentrato il cattivo umore sul mio compagno di solitudine.

    – Non farci caso, Serpente. Tanto sai benissimo che le nostre infinite chiacchiere …

    – Conversazioni.

    E figurati se rinunciava a mettere i puntini sulle i.

    – Conversazioni, va bene, se questo basta a renderti contento.

    – Reputo un principio basilare l’adozione di un eloquio corretto.

    – Come sei noioso, oggi. O forse no, forse lo eri anche ieri e il giorno prima e mi sono limitata a idealizzarti. Stai un momento zitto e lascia parlare me, per una volta.

    – Sono tutt’orecchi.

    Stavolta è evidente che ride, pur senza labbra e con la bocca chiusa. E, naturalmente, senza orecchie. Sto per arrabbiarmi, invece scoppio a ridere dietro a lui.

    – Sei proprio un Serpente infido! Uno stereotipo vivente. Pensare che un secondo fa ero sul punto di confessarti che trovo tanto confortanti le nostre chiacchiere. Perdona: conversazioni.

    – Cara, è ovvio. Sono placide e di alto livello.

    Colgo il lampo impertinente nel suo occhio.

    – Mi stai di nuovo prendendo in giro. Aaah, vai via, lontano da me!

    – E dopo con chi parleresti? Mi hai appena detto che sono il tuo conforto.

    – Non usiamo paroloni. Diciamo che ti considero una sorta di camomilla a rilascio prolungato: noi blateriamo per ore perché non sappiamo che altro fare, ogni santo giorno che Dio manda in Paradiso Terrestre.

    – Attenzione, Eva, sei pericolosamente vicina all’uso vano del Suo nome.

    – Che torni qui a punirmi, allora! – Ho alzato la voce, ma poiché è inutile diminuisco il volume e termino in un mezzo sospiro. – Che torni.

    Ho paura che ci sia dentro una minuscola particella di rimpianto.

    – Ti comporteresti con Lui in modo diverso rispetto al passato?

    – No.

    – Desideri chiederGli perdono?

    – No! Avevo ragione io.

    Scuote il capo appuntito, ma è più un dondolamento.

    – Mi sembri pronta per gli psicofarmaci.

    Lo mando a quel paese (quale paese, poi?) con un gesto, ma intanto rifletto malinconica che di una qualche terapia magari avrei bisogno perché, in aggiunta agli incubi notturni, sempre più spesso durante la giornata finisco in preda ad attacchi di panico, che nemmeno comprendo bene cosa sono: io provengo da una non-nascita e vado incontro a una non-vita, per cui l’unico desiderio diventa quello di dare fuoco a questo residuato di Paradiso Terrestre e di correre fino alla sua edizione aggiornata – il Nuovo Eden, dovunque si trovi – a supplicare lei, Lilith, di stare attenta, di non avere figli, di resistere alla volontà del Creatore, a tutti i costi.

    Come ho fatto io.

    Pensieri e desideri velleitari che si spengono presto, una fiamma sotto la pioggia, appena recupero quel minimo di ragione che li mostra irrealizzabili. Perciò mi va bene se io e il Serpente passiamo ore e ore a discutere e a ragionare insieme. Non abbiamo altri con cui parlare.

    Esprimo all’esterno questa analisi elementare con un sospiro, affrettandomi poi ad assumere un atteggiamento di vago antagonismo perché non mi legga nel pensiero, come ho la sensazione che gli capiti molto spesso.

    – Adesso possiamo restarcene zitti per un po’?

    Mi fissa stranito dal tono brusco e controbatte sibilante.

    – Proprio di buonumore! Meglio che me ne torni a dormire nel mio angoletto.

    – Dai, Serpente, scusa. È che mi sento inquieta, o solo frustrata, o annoiata.

    –Se aspetti pochi secondi passa l’Arcangelo.

    –Sai che grande evento. Passa una volta all’ora, puntuale come un orologio.

    Però, mio malgrado, alzo gli occhi al cielo: alcuni attimi di attesa ed eccolo lì, che attraversa l’azzurro e le poche nuvole così veloce da essere in pratica invisibile, la breve impressione di una lama snudata e scintillante. Eppure mi piacerebbe riuscire, almeno in un’occasione, a vedere … che so? La punta di un’ala, la piega della veste dorata. Non pretendo di guardarlo in faccia.

    L’Arcangelo passa e scompare, lasciando nel celeste una scia bianca di inquietudine. Ho paura di lui, di quella impressione di ali, dell’arma, ma non darò al Serpente la soddisfazione di ammetterlo.

    – Chissà perché tiene sempre brandita la spada. Noi due siamo innocui. – Ho un ripensamento: – Io, quantomeno.

    – Secondo me significa che avrebbe voglia di menare le mani. Ti rendi conto, Eva, che noia la routine da custode, gli stessi giri tutte le ore? Sono le cinque e tutto va beneee! Sono le sei e tutto va beneee!

    – Questa dove l’hai sentita?

    – Sarebbe successo in una qualche epoca, in un qualche paese. La ronda di notte, ci si sarebbe addirittura potuto dipingere un quadro. Inutile perderci tempo, ormai: hai azzerato ogni cosa rifiutando di fare figli. – Se avesse le spalle le solleverebbe per un istante, a significare totale indifferenza. – E poi potrebbe essere una scimitarra e non una spada, ragazza: quel brillio mi sembra più consono a una lama ricurva.

    Così è riuscito a farmi sorridere. Vecchio demonio.

    – Se si trattasse di una scimitarra avremmo un arcangelo musulmano, caro il mio Serpente, e Dio non ne sarebbe affatto contento. Non nel Giardino dell’Eden.

    – Tanto Lui se ne è andato.

    Mi osserva fisso, come se volesse aggiungere qualcosa, scrutandomi prima per prendere le misure. Non ho intenzione di dar corda a questi discorsi tanto vicini alle mie inquietudini; perciò, mi alzo e sgranchisco le gambe camminando sull’erba, bassa e fresca sotto le piante dei piedi. Dio se ne è andato, è innegabile: ha traslocato nel Nuovo Eden o addirittura nell’Alto dei Cieli. E si è portato via quasi tutti gli animali. Nonostante quel che ho detto prima, non sento davvero la Sua mancanza (degli animali sì, riempivano l’ambiente ed erano una grande distrazione). Neppure il Serpente sente la mancanza del Grande Capo, credo, anche se con lui non si può mai dire. Quel Vecchio – perché vecchio? mi è venuta così, però non posso affermare di averLo mai visto bene in faccia, i Suoi lineamenti erano sempre sfocati, a volte troppo circonfusi di luce, a volte con pozze d’ombra impenetrabile – è stato un gran manipolatore. E sapeva mentirmi in modo splendido – divino, chioserebbe il Serpente – tranne quando veniva preso dal raptus incoercibile di esprimere per filo e per segno tutto quello che pensava sull’argomento in discussione.

    – Sogni a occhi aperti, Eva?

    Non sopporta il silenzio, lo so, e si mostra spazientito, ma non dura. Gli piacciono troppo la compagnia e la discussione infinita, durante la quale sbandierare la propria intelligenza superiore.

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