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Il destino proibito
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E-book429 pagine5 ore

Il destino proibito

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Info su questo ebook

"... Dovevo allontanarmi
prima che fosse troppo tardi,
ma forse quell'attimo
era già passato da un bel pezzo imprigionando la mia anima 
in una gabbia bellissima.
Lentamente il mio cuore,
si stava perdutamente
innamorando di lui. 
E forse questo, dopotutto,
non mi dispiaceva affatto."
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2021
ISBN9788830644687
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    Anteprima del libro

    Il destino proibito - Valentina Preto

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    nÈ corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i quattro volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Quella che oggi vi voglio raccontare non è una semplice favola. Tutto quello che fino ad ora avete appreso su di noi forse era vero o forse anche a voi è stato mentito.

    Mentire: è questo quello che si fa per nascondere un terribile segreto, un terribile destino.

    Molte voci girano contorte, si inseguono veloci e in ogni direzione su quest’argomento. Dicono che la nostra specie sia stata creata da una maledizione e forse questa ipotesi non è del tutto errata.

    Antichi dei e antiche sfide si celano dietro alla nostra creazione, o almeno è quello che tutti ora pensano ed è quello che anch’io credevo, prima di apprendere la verità.

    Ogni storia che ha un lieto fine o una trama avvincente e gioiosa, ha dietro di sé un passato tenebroso e difficile, celato da una maschera cupa, piena di sofferenze. Non esistono fiabe con un "per sempre felici e contenti se prima non si è passati attraverso al dolore. Dietro ad ogni eroe c’è sempre un atto di enorme sacrificio e coraggio. È questo quello che io desidero farvi comprendere. Non tutto quello che vi si dice è realtà. Anche quello che viene descritto come favoloso, meraviglioso o anche più semplicemente lieto e felice, può sembrare stupendo, ma non lo è… c’è sempre un inganno, un effetto collaterale".

    Celata dietro alla meraviglia c’è stata la sofferenza, e dietro alla sofferenza c’è stato il dolore. Dolore, sofferenza e meraviglia: questa è la corretta sequenza, sta a noi capire se alla fine sia valsa davvero la pena sopportare tutto questo.

    Licantropi, lupi mannari, inferni della notte: ogni nome riferito a noi è simbolo di paura e disprezzo da parte di ogni umano. Gli angeli della notte, così noi ci chiamiamo.

    Un assurdo appellativo appiccicatoci addosso da antichi burberi antenati.

    Un’altra storia inventata direte voi. Forse sì, o forse no, questo sta a voi deciderlo alla fine di questi libri, ma le origini della nostra specie sono più profonde e più strazianti di ogni fiaba inventata per i bambini…

    Forse prima di svelarvi la nostra storia dovrei partire da qualcosa di più vicino al vostro mondo, al vostro modo di pensare, a qualcosa di tutti i giorni e quindi più facile da comprendere.

    Le origini di tutto le capirete da soli non appena arriverà il tempo, ma ora vi racconterò la mia storia, quando tutto ebbe inizio. Quando il mio cuore per la prima volta cominciò a battere per davvero…

    Quando io incontrai lui…

    Due occhi color smeraldo si accesero nell’oscurità.

    Mi fissavano così intensamente da penetrare sempre più a fondo nei miei pensieri.

    Era troppo buio per poter distinguere cosa si celasse dietro a quegli occhi.

    Mi avvicinai lentamente.

    Mossi una zampa e un’ombra si spostò velocemente attorno a me.

    Il mio pelo bianchissimo si rizzò, facendomi guizzare le orecchie in allerta, ma, appena mi voltai, quegli occhi smeraldo, seguiti da un enorme lupo nero, mi piombarono addosso.

    Uno …

    Due …

    Tre …

    Ogni piccolo rintocco volava leggero tra le grandi mura di quella casa terribilmente solitaria.

    Quattro …

    Ormai da troppo tempo affacciata allo specchio del lavandino del grande bagno color avorio, contemplavo stanca la mia agonia risaltata dall’abisso dei miei pensieri, fino a materializzarsi sul mio viso in pesanti occhiaie scavate sotto gli occhi vuoti, che ricambiavano il mio sguardo attraverso quella lastra fredda, simbolo di una notte tormentata dagli incubi.

    Cinque...

    Troppo veloci, troppo sicuri, scorrevano via i secondi di quell’odioso orologio da tavolo, appoggiato sulla mensola accanto allo specchio del lavandino, eppure ai miei occhi le lancette ormai risultavano così lente da far venire la nausea.

    L’acqua gelida scivolò veloce sulla mia pelle, allontanando il tenue tepore delle coperte e ravvivò i tratti del mio viso, reduce da una notte completamente insonne. Tutto quello che conoscevo era finito, le mie certezze erano crollate e il peso degli eventi mi aveva travolto senza lasciarmi nemmeno il tempo di reagire.

    La mia vita si era spezzata a metà tra due mondi completamente differenti.

    Il mondo umano e il mio, che ormai era svanito come sabbia tra le mie dita.

    Ed ora lì, affacciata di nuovo allo specchio, il mio viso era decisamente migliorato e i segni di quella notte di angoscia erano quantomeno sbiaditi, ma sapevo che, dietro allo sguardo apparentemente calmo che l’altra me oltre lo specchio ricambiava, nella mia mente una voce inquieta urlava disorientata, consapevole che tutto stava per iniziare in un nuovo turbine disastroso.

    Lo sguardo lento, preciso, scivolava su ognuno di quegli oggetti sconosciuti che mi circondavano, restituendomi ricordi dolorosi della mia terra.

    Erano così diversi da tutto ciò di cui mi servivo abitualmente che attraverso essi percepivo ancora più forte il senso di distacco dal mio mondo, prima di essere stata catapultata lì.

    Tamponai il viso con un asciugamano e la trama morbida del cotone scacciò le ultime gocce ribelli intrappolate fra le ciglia, poi affondai un’ultima volta lo sguardo sul mio riflesso nello specchio luminoso e ricurvo.

    Scrollai la testa allontanando definitivamente il mio sguardo da quella pallida copia di me stessa che quasi non riconoscevo.

    I piedi scalzi camminarono incerti sul legno tiepido del lungo corridoio chiaro fino al letto disordinato nella grande stanza vuota.

    Era cambiato tutto così velocemente.

    Un’ultima volta guardai le coperte immaginando la voce di Luke, il mio fratello maggiore, mentre saltava dispettoso sul letto, strappandomi dagli incubi della notte.

    Ora quella voce così calda e familiare era stata sostituita dall’aspro rumore di una terribile sveglia in quel paesino disperso lontano da casa, di cui io non conoscevo nulla.

    Pigramente raccolsi le valigie ancora fatte, disponendole con cura sul materasso.

    Le molle sotto il loro peso sprofondarono delicate con un piccolo sbuffo. Ero lì solamente da due giorni e tutto mi sembrava ancora così distante e irreale. Disfarle ora era impensabile, forse per la stanchezza o forse per l’emozione di un posto nuovo, oppure perché una parte di me sperava di ritornare indietro.

    Dopo tutto quella casa non era così male, ma la solitudine e la confusione avevano cambiato ogni mia percezione di quel posto perfetto, tramutandolo in un luogo che cominciavo quasi ad odiare.

    Quella non era casa mia!

    Un lungo tavolo con sei sedie e morbidi cuscini ricamati di pizzo rosso, coordinati con quelli che abbellivano il divano beige dell’enorme salotto dalle grandi vetrate, riempiva la cucina moderna.

    Le foglie autunnali riflettevano la luce mattutina sul parquet che riscaldava leggermente quella casa così chiara, ordinata ed elegante, come la maestosa scalinata di legno che portava al piano superiore, decorata con un corrimano ricamato accuratamente da petali lisci e ricurvi, che erano scolpiti nelle venature di legno di acacia chiaro e che dava un tocco più antico e imponente all’ambiente, aumentando ancora di più la sensazione di solitudine che mi trasmetteva quella grande casa vuota e perfetta.

    Esattamente l’opposto di come ora si presentava la mia anima: confusione, ansia e insicurezza l’avevano imprigionata in una grossa gabbia di oscurità.

    Ogni cosa in quell’appartamento era terribilmente perfetta, ma nella mia mente la vedevo anche vuota e incompleta, come lo era la mia anima in quella terra sconosciuta, in cui la solitudine aveva avvolto l’eccitazione in una morsa letale, ed ora mi afferrava le caviglie trascinandomi in un tunnel senza ossigeno.

    Stanca afferrai la pesante divisa: una gonna a scacchi grigia e nera decisamente troppo corta, era abbinata ad una cravatta dello stesso tessuto, legata al colletto di una camicetta bianca di cotone.

    La sigla AIS, Academy Illasy School, era incisa sulla piastrina dorata appuntata alla giacca nera con ricami bianchi sui bordi. Avrebbe risaltato eccessivamente le mie forme, almeno per quanto riguardava i miei standard. In dubbio sul da farsi, la osservai incerta attraverso lo specchio.

    Non metterla sarebbe però stato un errore ancora più grande: attirare l’attenzione al primo giorno non era proprio una bella idea, dovevo sembrare il più naturale possibile.

    Inspirai e respirai a fondo diverse volte mantenendo la calma. Un passo falso e mi sarei trasformata di fronte a tutta la scuola. Il nervosismo nelle vene graffiava la mia pelle, feroce.

    Non ero abituata a tutte quelle cose così umane e incomprensibili al mio mondo differente.

    Per un lupo stare a contatto con gli umani era un’azione terribilmente difficile da compiere, ma non avevo altra scelta.

    Costretta contro ogni mia volontà ero stata allontanata dal branco per sfuggire ai continui attacchi dei lupi nemici.

    Come ogni altro giovane lupo ero stata trasferita in luoghi completamente dimenticati e invisibili agli occhi dei Wolves Dark, lupi oscuri e pericolosi.

    Ormai la gente appartenente alla nostra razza, lentamente, insieme a ogni ricordo, si stava drasticamente decimando, sgretolandosi sempre più in una fine polvere spazzata dal vento. Ogni nostra rovina era causata dai loro continui attacchi. Negli ultimi anni la vita era diventata pericolosamente mutabile e i periodi di tranquillità erano continuamente interrotti da aggressioni dettate dalla pura follia, senza alcuna ragione, se non per desiderio di potere e dominio.

    Anche come figlia del capo branco non avevo potuto fare niente per impedire tutto questo, se non obbedire al volere del mio Alfa e degli anziani dominanti.

    E ora, così lontana da casa, rimpiangevo ogni mio tratto di debolezza ed obbedienza.

    Accanto alla divisa giaceva una piccola scatola dai colori vivaci. Mascara, ombretto, rossetti e altri mille strumenti di tortura erano collocati con cura al suo interno. Sapevo benissimo da dove arrivavano...

    "Primo giorno di scuola, no brutte figure. Sii carina. Eiren" citava il biglietto accanto alla scatola.

    «Scordatelo!» Bisbigliai tra me e me.

    Dolcemente sorrisi.

    Lei, così pura e magnifica, mi aveva accompagnata in quel viaggio di tortura. Lei, il mio Beta e mia migliore amica. Era l’unica cosa bella, l’unico punto fermo in quel mondo così pazzo e insicuro.

    Il mondo umano era sempre stato vietato a noi lupi, eppure a causa degli ultimi avvenimenti ora eravamo stati costretti a entrarvi dentro, stravolgendo ogni nostra natura e tradizione. Non avevo mai visto prima di allora gli umani così da vicino, non conoscevo le loro abitudini né le loro assurde fantasie.

    Soltanto alcune informazioni lette qua e là da alcuni libri mi avevano offerto una ristretta panoramica sui loro comportamenti.

    Solo due volte prima d’ora ero riuscita a vederli. Come quando, per esaudire il desiderio che avevo espresso per il mio compleanno, papà mi aveva portato ad assaggiare un pasticcino in una pasticceria umana che distava ore e ore dalla nostra radura.

    Un segreto tra me e lui, perché avere a che fare con gli umani era vietato.

    La brughiera dove il mio popolo viveva era lontana da ogni contatto umano, dispersa tra la fitta vegetazione dove nessuno, nemmeno per sbaglio, poteva trovarci. Portare umani o rendere pubblico il nostro villaggio era proibito, proprio come lo era interagire con loro. Ma tutto cambiò quando, sotto ordine dell’Alfa e degli anziani, i giovani lupi dovettero partire per nascondersi tra gli umani.

    Ricordo ancora il sapore di quel pasticcino, il suo profumo dolce di cioccolato.

    Fu la prima volta che li vidi.

    Me ne innamorai così tanto che durante le notti, qualche anno dopo, ritornai più e più volte in quel piccolo paesino sperduto percorrendo la lunga distanza, soltanto per vederli svegliarsi alle prime luci del mattino e partire per il lavoro nei campi. Erano così strani.

    Dopo tutto non eravamo così diversi, ma era proprio questo, quello che fin da cuccioli c’era stato vietato di pensare.

    Gli umani erano creature imprevedibili, cruente e instabili. Non erano come noi, eppure il mio cuore, a volte, di nascosto, scrutava il loro mondo e tutto in quel dolce tenue attimo sembrava bello, incantevole.

    Un lungo sospiro uscì frettoloso dai miei polmoni. Non potevo distrarmi, non ora che per la prima volta la mia vita si scontrava con una totalmente differente e inesplorata.

    Quella terribile sensazione di panico attanagliò un’altra volta la mia gola costringendomi a deglutire e a respirare con forza.

    Ce l’avrei fatta, mi ripetei con più entusiasmo, sebbene quelle parole mi risultassero terribilmente false.

    Incerta afferrai il piccolo cofanetto nero, forse avrei fatto uno sforzo, solo per Eiren.

    Solo per oggi.

    Lentamente ogni mia espressione cupa, dettata da una notte insonne, scomparve tra leggere pennellate di trucco. Dolcemente ravvivai i morbidi boccoli biondi che ricaddero sulla schiena impreziosendo la divisa di una confortante nota naturale. Anche truccata lievemente fui felice di constatare che, dopotutto, in quel corpo dalla pelle liscia, ci fossi sempre io e dovevo ammettere che quella divisa dallo stile elegante non era affatto male. Un particolare mix, un po’ da giapponesina e un po’ da studentessa britannica.

    "Primo giorno" ripensai ancora.

    In quel nuovo inizio mi sentivo spaesata, come se un abisso senza fondo mi avesse inghiottita lasciandomi appena un attimo per respirare un’ultima volta.

    Sicura deglutii con forza scendendo la lunga scalinata e uscii lungo il corridoio spazioso fuori dal mio appartamento, fino ad arrivare all’ingresso della mia casa vuota.

    Un ultimo respiro profondo uscì dai miei polmoni quando spinsi la dura porta di legno scuro e una ventata di aria tiepida investì il mio corpo nell’alba mattutina.

    I raggi tenui del sole abbellivano quella piccola oasi sperduta rasserenando per un attimo il mio cuore indurito all’agitazione.

    Era lunedì ventun settembre, il mio primissimo giorno di scuola umano.

    Respirai a fondo l’aria fresca del mattino per alleggerire la tensione che si era annidata nei miei muscoli, finché i miei occhi accolsero un giovane corpo, avvolto da una giacca nera con ricami bianchi ai lati, simili ai miei, con pantaloni neri e camicia bianca con cravatta a scacchi grigia, seduto su un ampio cofano lucente di una automobile sportiva. Non ne sapevo molto di auto, essendo un lupo non me ne ero mai occupata, ma quella di certo aveva l’aria di essere molto costosa.

    Il sorriso del ragazzo aumentò dolcemente mentre scendevo lentamente le scale di marmo ghiacciate, fulminandolo gelida con lo sguardo.

    «Avevo detto niente scorta, so benissimo arrivarci da sola a scuola!» Protestai calma avvicinandomi al ragazzo dal sorriso sicuro.

    Ciocche bionde leggere svolazzavano lente sulla fronte mosse dal vento, incorniciando perfettamente due occhi azzurrissimi. Axel, fiero, sicuro ed elegante appoggiato sulla sua auto aggressiva, sorrideva incantevole.

    Occhi azzurri, capelli biondi e corpo visibilmente scolpito: questo era Axel, insomma, madre matura dopo tutto era stata particolarmente generosa nei suoi confronti. E con quella divisa dovevo ammettere che stava davvero bene.

    Tanto bello quanto insopportabile.

    O forse quella era soltanto una mia idea.

    L’annuncio delle nozze con Axel imposto da mio padre era stato un brutto colpo. Una pratica comune tra i mutaforma. Certo, ma chi avrebbe immaginato che sarebbe stato proprio lui, un giorno, a diventare mio marito? Una realtà così incomprensibile e assurda da sembrare quasi irreale. Un lupo Alfa ha l’obbligo di un matrimonio combinato non appena compiuti i diciotto anni, la maggiore età per la mia terra. Una pratica così stupida e insensata che metteva le catene a ogni sfortunato lupo, figlio di un Alfa.

    Io la trovavo soltanto una barbara punizione dettata dalla responsabilità, come se la nostra vita non fosse stata già troppo complicata. Dopo tutto eravamo nel ventunesimo secolo.

    «E lasciar tutto il divertimento soltanto a te?» Scherzò lui aprendo elegante la portiera laterale.

    Alzai lenta un sopracciglio osservando la splendida auto grigio metallizzato prima di farlo ricadere su di lui… dovevo ammettere che con la divisa scolastica stava davvero bene.

    «E questa da dove spunta?» Chiesi allacciando le braccia al petto.

    «Regalo di mia madre!» Sorrise trionfante avvicinandosi lento.

    Divertita, sorrisi per quell’espressione.

    «Ehi, sono figlio unico, i miei genitori sono scomparsi, potrò godermi la vita ogni tanto. Dai sali, su!» Concluse.

    Un senso di nausea mi strinse lo stomaco.

    I genitori di Axel, come mia madre, erano morti durante le battaglie assieme a migliaia di altre vite innocenti. Ero troppo piccola quando mia madre perse la vita per ricordarmela, ma nella mia fantasia lei era davvero speciale.

    Debolmente rifiutai, ma il suo volto mutò indeciso in una smorfia divertita.

    «Vado a piedi, devo distendere i nervi». Dichiarai frettolosa, avevo bisogno di un po’ di tempo.

    «Insisto!» Disse lui osservandomi con più convinzione.

    «Ho detto di no, Axel!» Ringhiai, dandogli le spalle, continuando a camminare decisa, finché due forti braccia mi sollevarono.

    «Axel!» Urlai stordita.

    Sentivo l’asfalto irregolare della strada lontano dai miei piedi e il mio corpo sospeso da terra veniva trasportato veloce verso la macchina, mentre a testa in giù ringhiavo furiosa. I miei capelli ricaddero in avanti ostacolandomi la vista, mentre la milza, schiacciata contro la spalla di Axel protestava dal dolore. Provai a scalciare violentemente, ma in un attimo le sue mani mi afferrarono le caviglie, mentre ci dirigevamo con più velocità verso l’auto.

    «Non ti lascerò andare da sola a piedi il primo giorno!» Disse lui appoggiandomi sul sedile del passeggero e richiudendo la portiera. Il suo profumo, intenso e familiare, avvolse lo spazio intorno a me. Un odore così singolare e dolcissimo, lo stesso profumo che assume l’aria quando sta per piovere.

    Mi arresi aspettando che anche lui si fosse seduto al suo posto prima di vedere, con la coda dell’occhio, un grosso lupo grigio avanzare velocemente verso di noi.

    I passi leggeri avanzarono maestosi rallentando sempre di più. Il folto pelo chiaro dolcemente svanì lasciando il posto ad una candida pelle liscia. Di fronte a noi ora, una ragazza, camminava decisa. I magnetici occhi grigi lentamente mutarono in due occhi nocciola chiarissimi attirando ogni nostra attenzione.

    «Eiren!» La sgridai severa dal finestrino.

    I capelli castani scivolarono in avanti, mentre un lieve sorriso colpevole affiorò tra quelle labbra lucenti.

    In quei giorni mi era capitato spesso di richiamarla, ma non potevo biasimarla, abitudini così naturali non potevano essere cambiate così drasticamente. Ma come ogni altra cosa ora anche quella consuetudine naturale, come mostrare liberamente la mutazione del corpo, era destinata a cambiare. Non potevamo rivelarci agli umani, il nostro segreto doveva essere mantenuto saldamente nascosto per evitare il disastro.

    Ogni emozione, ogni istinto ora doveva essere mantenuto sotto controllo rigidamente, per poter evitare la trasformazione improvvisa. In una scuola piena di giovani umani la tranquillità era del tutto alterata, ma non potevamo rischiare di essere sopraffatti dalle emozioni o la mutazione si innescava istantaneamente.

    «Buongiorno, Lily!» Mi sorrise salendo in macchina fin troppo entusiasta.

    Eiren era stata sempre attratta dalla razza umana, ai suoi occhi era affascinante, bella e straordinariamente bizzarra.

    E dovevo ammetterlo, anch’io la pensavo in quel modo.

    Da piccola avevo sempre desiderato fuggire lontano, provare i brividi della vita degli uomini, assaggiare i loro cibi e vivere le loro tradizioni, come il Natale o la festa del Ringraziamento, usanze a noi sconosciute, usanze che noi non avevamo, ma ora, quando tutto si faceva così nitido e reale, ogni sensazione mi spaventava rendendomi terribilmente e disgustosamente fragile.

    Le mani di Axel scivolarono veloci sulle mie in un tenero contatto, mentre il motore si accendeva in un fragoroso rombo.

    Odiavo quando reagiva così, ma ora la solitudine divampava dentro di me assieme allo sconforto, costringendomi ad accettare quel calore.

    Li guardai per un attimo.

    Tutti e tre indossavamo la divisa della prestigiosa accademia.

    Sorrisi per un secondo, il fascino pericoloso di Axel e la bellezza intrigante di Eiren erano ancora di più percepibili e incantevoli. Io, invece, mi sentivo più o meno come un chihuahua con quei vestitini rossi in un video natalizio di "tanti auguri".

    «Mi hai seguita?» Sghignazzò Axel a Eiren guardandola dallo specchietto, mentre l’auto cominciava a scivolare lungo il paesaggio ricoperto di alberi.

    I dormitori all’accademia erano disposti in quattro grandi palazzoni a circa dieci minuti dalla scuola. Quello a sinistra era assegnato al genere umano femminile, mentre a destra quello maschile. Non ero ancora entrata nei palazzi, ma secondo i racconti di Axel le stanze erano disposte per mantenere dai due ai tre studenti, a seconda della grandezza e ogni piccolo alloggio era composto da circa tre stanze: la camera, il bagno e il salotto con una piccola cucina a fianco.

    L’Academy Illasy School era una scuola molto ambita e di alto livello, dove solo pochi studenti potevano entrarci con borse di studio, alti meriti o famiglie dal patrimonio molto prosperoso. La decisione della nostra partenza verso quel mondo era stata presa con ristrettissimo anticipo, così mio padre aveva chiesto al preside, nonché proprietario dell’accademia e suo grandissimo amico, di ospitarci.

    Con così poco preavviso Logan, il preside, aveva fatto del suo meglio per sistemarci nei dormitori ormai già pieni. Alla fine Axel aveva trovato un posto nel dormitorio maschile e Eiren in quello femminile con, a sentire loro, degli strani coinquilini. O forse semplicemente loro li ritenevano strani. D’altronde lupi e umani avevano abitudini e culture diverse.

    Io invece ero stata assegnata ad un’altra abitazione completamente a parte, a circa dieci minuti a piedi dai dormitori e una ventina di minuti dalla scuola. Era stato Arthur ad accompagnarmi, il guardiano delle strutture. Un piccolo uomo dai capelli bianchissimi e gli occhi corvini, il suo sorriso lucente e formale era abbinato a giacca e cravatta rigorosamente impeccabili che indossava fiero, mentre si reggeva duro sulla schiena sopra alle corte gambe. Avevo trovato subito buffa la sua statura minuta, ma allo stesso tempo una gran tenerezza verso i suoi confronti mi aveva spinta ad ogni attenzione nei suoi riguardi. Con il suo goffo modo di camminare, mi ricordava tanto un pinguino.

    Arthur mi aveva spiegato che quell’alloggio solitario in realtà era stato l’appartamento di Logan e di qualche altro insegnante poco prima dell’avviso del nostro arrivo. Si erano trasferiti in un altro poco più in là, lasciando il posto a me e a qualche altro studente ritardatario. Ma per ora nessun coinquilino si era ancora fatto vivo.

    A differenza dei dormitori, l’appartamento era molto grande e spazioso. L’accesso era in comune con un lungo corridoio che poi si divideva in due porte d’entrata dove all’interno vi erano due grandi appartamenti, uno a destra e l’altro a sinistra.

    Ero felice e allo stesso tempo malinconica di quella sistemazione. Starmene un po’ per conto mio, più lontano possibile da tutti gli altri mi avrebbe aiutata a restare qualche attimo tranquilla con me stessa. Allo stesso tempo però, quella casa così solitaria, forse, non faceva al caso mio, ma con così poco preavviso le ultime sistemazioni rimaste erano soltanto quelle. Ad Axel ed Eiren, intrappolati accanto ai dormitori comunali umani, era andata peggio, mentre a me era toccato un appartamento completamente isolato dove l’unica presenza, per ora, era la mia. Nessuno si era ancora fatto vivo nelle stanze accanto, ma forse quello non mi dispiaceva affatto. Convivere con qualcuno, ora, avrebbe reso tutto più difficile.

    In quell’oasi così quieta dovevamo ancora abituarci ai sentieri e agli indizi delle piante, rendendo gli spostamenti ancora incerti e traballanti. Ma Axel riusciva sempre a trovarmi ovunque, frantumando così ogni mio tentativo di stare sola. Sebbene ora, forse nelle profondità del mio cuore, avessi bisogno più che mai di una presenza forte. Forte come Axel.

    «Credo di essere in grado anch’io di riuscire a trovare la mia migliore amica». Ringhiò furiosa Eiren dai sedili posteriori.

    «Sappiamo tutti che il tuo fiuto non è così potente». La provocò Axel divertito, mentre con abilità scalava le marce dell’auto.

    «Sappiamo anche che il tuo cervello ormai ha le ragnatele». Ribatté veloce. «T’insegno come usarlo se vuoi!» Rise Eiren divertita,

    «Che vuoi dire?» Sghignazzò lui.

    «Nulla non preoccuparti, non stressare i tuoi neuroni, Axel». Rimbeccò fiera. «Il mio fiuto non è eccezionale come il tuo, ma almeno il cervello io ce l’ho!» Continuò Eiren.

    «Quindi ammetti di avermi seguito!» Trionfò Axel alzando un sopracciglio. Eiren si sistemò con forza di nuovo sui sedili posteriori incrociando le braccia al petto e sbuffando.

    «Sei impossibile!» Sfuriò acida.

    Le parole vagarono ancora a lungo nell’ultima oscurità del cielo che poco a poco lasciava spazio alla luce del sole tiepido. Ignorai ogni parola. I pensieri tormentarono la mia mente in un turbine di immagini confuse che assieme a loro crebbero in un intenso mal di testa.

    Indolenzita allontanai lo sguardo oltre il finestrino premendo la testa forte tra le mani in uno spasmo di dolore silenzioso.

    Un’ultima lacrima scivolò invisibile dagli occhi tormentati prima di impregnarsi tra la fredda giacca scura della divisa.

    "Ci siamo", sussurrai tra me sospirando a fondo un’ultima volta.

    Ormai la mia vita era cambiata all’improvviso, ma la paura di un mondo sconosciuto poco a poco cresceva indisturbata, annebbiando ogni mio pensiero forte, rendendolo pacato e impaurito, come un agnello di fronte ad un lupo. Era tutto così assurdo. Eravamo noi i predatori, eppure ora mi sentivo così docile.

    Lupi dalle sembianze umane, ecco ciò che eravamo veramente.

    Ma ora tutto ciò che conoscevo e tutto quello che avevo costruito attorno a me negli anni era svanito in un istante. Ogni sicurezza, ogni ragione era crollata davanti ai miei occhi come dei fiocchi di neve bianchi che si sciolgono tra le mani calde di un bambino stupito.

    La decisione della mia partenza era stata presa soltanto qualche giorno prima, e ora, in quella tranquilla cittadina dovevo imparare a convivere per la prima volta con gli esseri umani e con ogni mio rimpianto di non aver lottato abbastanza e non essere rimasta nella mia terra.

    Ero soltanto riuscita a dettare qualche condizione: niente regole assurde, niente controlli e soprattutto niente guardiani appiccicosi per sorvegliarci. Eiren e Axel sarebbero venuti con me, nessun altro.

    Avevo lottato a lungo in quei giorni per quelle uniche

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