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La Principessa e l'Orso
La Principessa e l'Orso
La Principessa e l'Orso
E-book326 pagine4 ore

La Principessa e l'Orso

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Info su questo ebook

Rebecca è ricca, viziata, sofisticata. Ha un loft a Milano  e vive di libri, non tanto perché è autrice di un  (discutibile) bestseller fantasy, quanto perché è un'accanita lettrice: cerca, nelle pagine che hanno scritto  i grandi autori del passato, quei sentimenti che non comprende e che teme di non riuscire a provare.
Berowalt fa l'apicoltore in alta quota. Un dramma personale ed uno smisurato orgoglio l'hanno spinto ad allontanarsi sempre più dalla famiglia, dagli amici, dal paese, salendo sempre più in alto sulle pendici dei monti.
Reb e Ber non potrebbero essere più diversi, eppure il caso decide di far incrociare le loro strade, in un cammino che li condurrà a scoprire se stessi, superando pregiudizi ed antichi dolori.
***
Lucrezia Monti torna, in questo suo terzo romanzo, a celebrare l'amore nella sua complessità. Reb e Ber non hanno vite perfette, le loro esistenze sono segnate da ciò che hanno vissuto in passato e dalle paure del presente, eppure la felicità è possibile.
***
Altri romanzi dell'autrice: "Come lampo" e "Vendetta sottobanco" (entrambi best seller IBS settembre e dicembre 2018, marzo 2019).
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2019
ISBN9788832569032
La Principessa e l'Orso

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    Anteprima del libro

    La Principessa e l'Orso - Lucrezia Monti

    Blixen

    1

    NEL LIMBO

    12 marzo

    Rebecca

    Bianco. È tutto bianco. La neve che copre il sentiero e gli abeti, quella che nasconde i pendii dei monti, quella che continua a cadere in larghi fiocchi dal cielo.

    Il cielo stesso sembra bianco, ora. Non vedo nulla, procedo a tentoni allungando le mani davanti a me, cercando di sentire sotto le dita i tronchi degli alberi.

    Tutto è bianco e silenzioso, sento solo il rumore dei miei piedi negli scarponcini che arrancano nella neve e, di tanto in tanto, il tonfo lontano di un ramo che cede sotto il peso di tutto questo candore.

    Con la coda dell'occhio vedo i fiocchi attaccarsi ai capelli che mi circondano il viso. Non è innocuo nevischio misto a pioggia, questa è neve vera, di quella che arriva per restare.

    Dannazione.

    Scuoto la testa e con le mani intorpidite allontano quei piccoli ghiaccioli dai miei riccioli, rabbiosa.

    I miei capelli saranno un disastro, così fradici e crespi, ma posso solo immaginarlo perché le dita hanno perso sensibilità.

    Non ho la minima idea di dove mi possa trovare. Spero solo che, continuando a camminare, possa raggiungere un sentiero battuto, una strada, magari trovare un rifugio.

    Ho le dita gelate. Non mi sento più la punta del naso. Credo che non riuscirei neppure a parlare, il viso rattrappito in una maschera ghiacciata. Comunque parlare non mi servirebbe: non c'è anima viva qui intorno.

    Mi maledico per la centesima volta per aver lasciato il cellulare in albergo, uscendo. E per quanto accidenti di tempo ho camminato nel bosco prima che iniziasse a nevicare?

    Non mi sembrava di essermi allontanata tanto dal paese, dannazione.

    Un fiocco mi cade sulla punta del naso, incrocio gli occhi osservandolo e maledicendolo al tempo stesso: sembra mi stia sfottendo e cerco d'incenerirlo con lo sguardo. O, almeno, di farlo sciogliere.

    Marco andrebbe su tutte le furie se sapesse che sono stata così avventata e disorganizzata.

    Sì, ecco, a destra, mi pare di ricordare che all'andata avevo svoltato a sinistra, quindi ora per tornare devo svoltare a destra. Tasto il tronco di una grossa pianta, mi convinco che sia l'imponente larice che avevo superato ore addietro. Sì, sono sulla buona strada, ne sono certa.

    La neve cede sotto il mio peso. Precipito.

    Rotolo giù, sempre più giù. Qualcosa di duro urta contro la mia testa.

    Scivolo in basso, incapace di arrestare la caduta. Sbatto contro un tronco, da qualche parte, ed un dolore sordo mi dilania il braccio sinistro.

    Cado. Rotolo. Poi, finalmente, mi fermo.

    No, non ero sulla buona strada.

    Sono sdraiata a terra nella neve fresca. Guardo in alto, verso il punto da cui credo di essere precipitata, ma non riesco a vedere nulla che non siano bianchi fiocchi cadere implacabili su di me.

    Mi giro su un fianco e provo a mettermi in piedi, ma la caviglia destra cede sotto il mio peso e mi sfugge un grido di dolore. Possibile che me la sia rotta?, mi chiedo mentre mi accascio al suolo. Tutto si fa nero.

    Che morte stupida.

    Qualcosa di caldo, umido e puzzolente mi tocca la guancia. Ancora. E ancora. Gli angeli possono essere nauseanti?

    Be', forse la mia vita non è stata tanto esemplare da farmi meritare il paradiso, penso mentre quella cosa calda e sgradevole si sfrega ancora contro il mio viso.

    Da bambina avevo tagliato i capelli alla bambola preferita di mia cugina, crescendo ho bigiato la scuola diverse volte, soprattutto per svignarmela da quelle terribili lezioni di chimica, e poi mi sono sbronzata in svariate occasioni. A ben pensarci, credo di aver dato non pochi grattacapi ai miei genitori, a cominciare dai tempi della scuola via via fino ad arrivare a quello che, citando Dante, con tono pomposo definirebbero il gran rifiuto . E di certo mi piacciono gli uomini, parecchio.

    Per non parlare poi di quel fattaccio brutto con Raffaele, il professore convivente e con prole con il quale da adulta mi ero divertita un bel po'... Be', quella però è una colpa da dividere a metà: aveva cominciato lui a starmi dietro e sempre lui aveva preso l'iniziativa nel baciarmi. Per il resto, si sa che da cosa nasce cosa... E comunque mica era sposato, che diamine! Non ho ordito intrighi per infrangere il sacro vincolo , suvvia: si sa che la convivenza è un impegno solo a metà. O sbaglio?

    Comunque no, non credo proprio che gli angeli possano puzzare. Non così tanto, almeno.

    Apro gli occhi a fatica e il mio sguardo incontra quello, scuro e profondo, di un lupo totalmente bianco. I contorni del suo muso si intuiscono appena, pelliccia immacolata nel candore circostante che va via via oscurandosi nella sera incombente. Si avvicina ancora, mi lecca nuovamente il viso. Mi sta assaggiando, penso.

    Cibo per lupi.

    Richiudo gli occhi, tutto torna nero.

    Che morte stupida.

    Ah, allora è così che succede. Quella faccenda dell'uscire dal proprio corpo, intendo. Mi sento sollevare in alto, ma non poi tanto. E non è che mi veda fluttuare sospesa sopra il mio corpo. No. Sento solo caldo sul lato destro, dalla spalla fino alla coscia. Il che è strano. Non mi risulta che in paradiso ci si possa andare solo per metà. Forse la mia vita è talmente incasinata che persino il Padreterno deve prendersi un po' di tempo per capire che deve farci, con me.

    Santa santa non sono mai stata... Ma all'inferno no, per favore, ché la dannazione eterna non credo mi si addica. Però, tutto sommato, se la compagnia fosse come quella descritta da Dante nella Commedia potrei farci un pensierino... Una capatina nel girone dei lussuriosi, ad esempio, ad incontrare Paolo e Francesca... li ho sempre ammirati tanto, fin dall'adolescenza... però mi piacerebbe incontrarli come ha fatto il Sommo Poeta: una salutino veloce e poi via, ecco. Stare con loro fino alla fine dei tempi mi sembrerebbe davvero eccessivo.

    È che qui, qualunque posto o non posto sia questo qui , il tempo non pare esistere. La sensazione di essere sollevata, quella del calore sul lato destro del mio corpo, tutto questo mio sproloquiare, da quanto tempo durano? Non saprei proprio dirlo.

    Oh, questa è bella! Sento le mie braccia muoversi da sole. Ehi, piano!, il braccio sinistro mi fa male! Male? Ma come? Se sono morta non dovrei sentire dolore. O no? Stai a vedere che sono davvero finita all'inferno... Il dolore credo vada a braccetto con la dannazione eterna. Ma dai, davvero sono stata così schifosa in vita da meritarmi una permanenza definitiva con Belzebù e soci?

    Adesso sono le gambe a muoversi per conto proprio. A cominciare dai piedi. La caviglia destra mi fa un male cane e credo di urlare, però non sento nessun grido, solo una specie di mugolio piagnucoloso che pare arrivare da molto, molto lontano.

    Ecco, penso di essere sospesa nel limbo. In fondo, se il Grande Capo deve decidere che farsene della mia anima, il limbo mi pare essere un posto accettabile per un'attesa. Sono sdraiata sulla schiena sopra qualcosa di morbido, che però non è la neve di prima e, anzi, è quasi tiepidino; c'è anche della luce, ma non quel fulgore abbagliante che viene descritto tanto spesso, no, è più un bagliore incerto e traballante.

    E sento della musica.

    Niente a che fare con i cori celestiali, però. Più che altro sembrano nacchere.

    Ehi, voi, angeli o lupi, sono nel limbo sbagliato! Non posso stare con le anime spagnole, non lo parlo nemmeno lo spagnolo io!

    Ah, no, aspetta, non sono nacchere... Sono io che batto i denti. Allora sono viva!

    Qualcosa di enorme, morbido eppure solido e piacevolmente caldo mi si adagia di fianco e qualcos'altro di soffice e profumato mi ricopre.

    Sì, mi piace proprio.

    13 marzo

    Travi. Grosse travi di legno. Sono loro la prima cosa che vedo quando apro gli occhi, il che mi convince definitivamente del fatto di non essere morta. È già una bella notizia.

    Ho un mal di testa feroce e, passandoci sopra le dita, scopro con orrore di avere un enorme bernoccolo sulla fronte: devo somigliare ad una specie di unicorno, penso sconfortata, girando la testa sul cuscino.

    Cuscino. Letto. Casa. Dove caspita mi trovo?

    Do una sbirciatina sotto il piumone: indosso solo slip e reggiseno.

    Calma Rebecca, ragiona. Come ci sei finita qui? Forse la prima cosa da fare sarebbe capire dove sia esattamente qui . Mi guardo attorno: una finestra da cui posso vedere sempre e solo quel noiosissimo bianco della neve che continua imperterrita a venire giù; più in basso, una cassapanca di legno con alcuni cuscini sopra; una porta, di legno, chiusa, con un fucile posato in un angolo; un tavolo con tre sedie, di legno pure quelle; un'altra porta di legno, più piccola, chiusa anch'essa; un lavello di pietra con uno scolapiatti in metallo accanto, qualche pentola e stoviglie scompagnate poggiate; un caminetto in pietra, con un bel fuoco scoppiettante; un'altra sedia, poco distante dal letto, con i miei vestiti ripiegati sopra e la giacca sistemata sullo schienale, rivolta verso il fuoco, così che possa asciugarsi.

    Niente. Non ho la più pallida idea di dove mi trovi né di come abbia fatto ad arrivare fino a qui.

    La porta si spalanca con un tonfo e, scuro contro la bianca luce del giorno, un enorme orso appare sulla soglia, ritto sulle zampe posteriori. Lancio un urlo e mi chino ad afferrare uno dei miei scarponi, scagliandoglielo contro. Il lancio è buono, ma il bestione è rapido a schivarlo spostandosi di lato e lo scarpone finisce tra la neve.

    Ma sei impazzita?, scopro così che l'orso parla.

    Si chiude la porta alle spalle con un calcio ed avanza a passi decisi verso il camino, accanto al quale deposita una buona quantità di ciocchi di legno, poi si china a ravvivare le braci.

    Vedo che stai meglio, Principessa, dice voltandosi a guardarmi, voce cavernosa proveniente da qualche parte oltre la barba lunga e scura, la r forte e le s che paiono quasi z nel gradevole accento locale, ma i suoi occhi rimangono molto brevemente sul mio viso e si spostano più in basso.

    Realizzo di essere rimasta scoperta dal piumone, dopo il mio sfortunato lancio dello scarpone, e subito lo afferro con entrambe le mani tirandomelo fino al mento.

    Ho ricordi molto confusi della notte appena trascorsa e, dopo un attimo d'esitazione, decido che voglio sapere la verità: Noi due abbiamo... Voglio dire... Sì, insomma..., balbetto, ricordando il qualcosa di enorme e caldo e solido al mio fianco la notte precedente.

    Mi conosco, so perfettamente che potrei essere stata capace di farlo. Ho fatto sesso da sbronza, potrei averlo fatto pure da semi incosciente, penso.

    Si alza in piedi, rimette a posto l'attizzatoio e mi guarda scuotendo la testa: No. Ma per chi mi hai preso? Le donne mi piacciono sveglie. Avevi freddo, ho evitato che ti congelassi. E questo è tutto. Sembra quasi offeso. Bella voce, comunque, oltre a quell'accento assolutamente delizioso, mi ritrovo a pensare senza alcuna logica. Si toglie la giacca ricoperta di neve e la poggia sullo schienale di una sedia, avvicinandola al fuoco.

    Come hai fatto a trovarmi?, chiedo, desiderosa di cambiare discorso.

    Ti ha trovata Wolf. Ed è venuto a chiamarmi. Sembrava impazzito, risponde. Voce profonda, calda. Una carezza di fuoco. Eppure rabbrividisco. Immagino sia colpa dello scampato pericolo.

    Wolf? Hai un lupo e l'hai chiamato Wolf?, domando stupita, ricordando all'improvviso la bestia che mi aveva assaggiata.

    Solleva un sopracciglio, continuando a guardarmi come se fossi un qualche strano animale: Avrei dovuto chiamarlo Fuffi? Le cose sono quello che sono, Principessa: inutile girarci intorno.

    Avrei qualcosa da obiettare, dal momento che io coi giri di parole ci campo alla grande, ma per il momento preferisco concentrarmi sull'essenziale. Anche perché la testa mi fa un male infame.

    A proposito di cose che sono quello che sono, io non sono una principessa, sono Rebecca, dico presentandomi, il piumone sempre tirato su fino al mento.

    Berowalt, ma puoi chiamarmi Ber - replica senza alcun calore nella voce, le braccia incrociate sul petto - Adesso alzati, dobbiamo preparare il pranzo.

    Ma io sono ferita..., piagnucolo sbattendo le ciglia.

    L'orso mi guarda impassibile: Proprio per questo dovresti mangiare. Ma chi non cucina non mangia. Decidi tu.

    Sbuffo, sollevando così col fiato un ricciolo che mi ricade subito sulla fronte: un trucchetto femminile e pluri collaudato con il quale sono sempre andata a segno, ma neppure questo funziona con l'orso, che rimane a guardarmi indifferente, immobile, le braccia sempre incrociate sul petto, perciò capitolo: Va bene, allora girati, così mi rivesto.

    Un mezzo sorriso gli increspa le labbra, sollevandogli la barba sul lato destro del viso mentre tengo ben stretto a me il piumone: Dimentichi che ti ho già vista nuda, Principessa. E non c'è niente lì sotto che possa sorprendermi.

    Questa poi!

    "Mi hai vista nuda solo perché tu mi hai spogliata!", sbotto indispettita.

    Il mezzo sorriso si trasforma in una risata e l'orso in camicia a quadri mi volta la schiena, così mi rivesto alla svelta, per quanto mi consentano ossa e muscoli indolenziti.

    È davvero imponente: sarà alto almeno un metro e novanta, ha spalle larghe e devo ammettere che pare avere un gran bel sedere dentro i jeans fuori moda e sdruciti. Mi chiedo che faccia possa avere sotto quella barba che gli ricopre il viso facendolo davvero sembrare peloso come un orso.

    Si volta nuovamente a guardarmi ed indica la porticina: Là ci sono dispensa e bagno, se ne hai bisogno. Puoi usare lo spazzolino da denti arancione, nuovo; il mio è quello verde. Troverai qualche asciugamano, ma niente accappatoio extra: non sono solito avere ospiti. Niente doccia né idromassaggio qui, Principessa, sono spiacente, ma ci sono turca, bidet e lavello; i miei occhi si spalancano un po' di più ad ogni parola, tanto che temo possano schizzarmi fuori e rotolare come biglie sul pavimento di legno, ma il colpo di grazia deve ancora arrivare: L'acqua si raccoglie in secchi, perciò, se pensi di averne bisogno, preparatela per tempo e se vuoi che sia calda porta il secchio vicino al fuoco. Adesso vieni qui e datti da fare, dice, senza pietà, chiudendo l'orrida descrizione del bagno.

    Un incubo. Sì, dev'essere un incubo. O una versione rivista e corretta dell'inferno.

    Posso vivere senza idromassaggio; non dico che sarebbe una bella vita, però potrei farcela.

    Ma senza vasca da bagno, doccia, water, acqua corrente proprio no!

    Sono scioccata e sto cercando di elaborare tutte queste drammatiche informazioni quando la voce dell'orso risuona prepotente: Muoviti Principessa!, ordina, battendo anche le mani con uno schiocco quasi di frusta, facendomi sussultare. Il suo accento mi pare molto meno adorabile, adesso.

    A piedi nudi, saltellando sul solo piede sinistro, raggiungo il tavolo e mi ci appoggio: Va bene, cosa devo fare?, chiedo col tono più scocciato possibile.

    Non ho mai cucinato in vita mia, se escludiamo il riscaldare piatti pronti al microonde: prima, a casa dei miei genitori, Maria cucinava per me, poi sono andata a vivere per conto mio, campando di panini imbottiti, yogurt e piatti precotti nel pieno rispetto della dieta da studentessa universitaria, e, più tardi ancora, quando il mio romanzo è balzato in vetta alle classifiche, non ho dovuto far altro che pensare a scriverne il seguito.

    Io scrivo, la rosticceria mi rifornisce di piatti squisiti che pago grazie ai proventi del mio primo best seller. E chi ha bisogno di cucinare?

    L'orso dal sedere sorprendente mi lancia un'occhiata, poi si allontana, sparendo ingoiato dalla porticina tanto piccola che lo costringe a chinarsi, e torna qualche istante dopo, poggiando sul tavolo una ciotola contenente del formaggio e delle patate: Scegli tu: o tagli il formaggio, o sbucci le patate.

    Sposto lo sguardo da una parte all'altra, poi mi rimiro le unghie fresche di manicure, a parte quella dell'indice sinistro che deve essersi rotta nella caduta; il formaggio puzza terribilmente e non esiste che tocchi quella roba; sospiro: Patate, dico rassegnata.

    La grande mano dell'orso si spinge sul tavolo fino ad afferrare la ciotola col formaggio e poco dopo mi porge un coltello: Datti da fare, Principessa, dice senza degnarmi di uno sguardo, cominciando a tagliare il formaggio.

    Afferro una patata con la sinistra, il coltello con la destra ed inizio a sbucciarla, ma l'operazione pare più complicata del previsto; lui mi lancia un'occhiata: Sono vere quelle?, chiede indicando con un cenno del capo le mie unghie.

    , rispondo secca, continuando a lottare con coltello e patata e, quando poggio a terra il piede destro alla ricerca di maggior equilibrio, un dolore sordo si tramuta in una smorfia sul mio viso.

    Così non mi servi a nulla, borbotta l'orso, mollando il formaggio e comparendomi di fianco; sposta una sedia e, premendomi una mano puzzolente sulla spalla, mi ci fa sedere sopra, poi si china a tastarmi la caviglia. È vicino. Molto, molto vicino. Ed io sono molto, molto nervosa.

    Ho quasi più paura di lui che del suo lupo bianco.

    Sposto lo sguardo, staccandolo dai suoi capelli scuri, ma la vista del fucile in un angolo della stanza non contribuisce certo a tranquillizzarmi.

    Il tocco delle sue dita è insospettabilmente delicato e questo profumo cosa sarà, shampoo o bagnoschiuma? I suoi capelli sono a pochi millimetri dal mio ginocchio, una vicinanza che mi imbarazza sebbene sappia di essere stata molto più vicina a lui soltanto la notte scorsa.

    Già, ma allora non ero cosciente, mi dico, e, anzi, pensavo di essere nel limbo o in paradiso.

    Ahi!, un suo movimento sulla mia caviglia mi fa sobbalzare.

    Buona Principessa, ho finito. Per fortuna non è rotta, ma è meglio che tu non la sforzi camminandoci sopra - dice rialzandosi - Resta seduta e pela le patate.

    Senza neppure darmi il tempo di rispondere, scompare nuovamente dietro la porticina e torna poco dopo portando con sé un barattolino e delle bende che poggia sul tavolo accanto alle patate - ne ho sbucciata una soltanto - poi prende una sedia e la sistema accanto alla mia; mi volta dalla sua parte senza il minimo sforzo, quasi io e la sedia in legno fossimo prive di peso, e si mette seduto a sua volta, sollevandomi il piede e posandoselo sulla gamba.

    Apre il barattolino, vi ci immerge due dita e comincia a spalmarmi quell'unguento dall'odore penetrante sulla caviglia, con movimenti leggeri che trovo poco adatti ad un orso della sua stazza, poi mi benda, rimette il mio piede a terra e volta di nuovo la sedia davanti al tavolo: Pela - dice - Ho fame.

    CONVIVENZA FORZATA

    13 marzo

    Ber

    Wolf è un buon cane. Non è un lupo, nonostante il suo aspetto, nonostante il nome che gli ho dato e nonostante quello che ho lasciato credere alla principessina per divertirmi un po': è un pastore svizzero bianco, un cane al cento percento. Tante volte si è rivelato utile: fa la guardia, tiene alla larga i cinghiali dall'orto, ho anche il sospetto che una volta o due abbia mantenuto a distanza un orso, di notte, ma questo scherzetto avrebbe potuto evitarmelo.

    Trovare una principessina nel bosco, che bell'affare!

    Mezza congelata, con una caviglia slogata, un bernoccolo in testa e persino incapace in cucina: ha unghie lunghe mezzo metro e ha impiegato venti minuti a sbucciare tre patate, tra l'atro sprecandone una buona parte.

    Rebecca, poi, che nome! Rebecca, come Becky Sharp, la protagonista de La fiera delle vanità: furba, arrivista, manipolatrice, pronta a tutto per ottenere ciò che vuole. Ma con me non attaccano i trucchetti di nessuna Rebecca, altro che occhiate languide e bronci sensuali.

    Una volta finito di tagliare a tocchetti il formaggio e messa l'acqua a bollire sul fuoco, ho aspettato seduto, braccia conserte, che lei finisse di pelare le patate: non esiste che sia io il solo a lavorare ed è bene che lo capisca da subito.

    Appena smetterà di nevicare scenderemo in paese e mi libererò di lei, ma per il momento siamo bloccati qui: non riesce a camminare sul pavimento di casa, figuriamoci in mezzo ad un bosco col sentiero coperto di neve!

    Stupidi turisti senza cervello: non hanno il minimo rispetto né della montagna, né di loro stessi, né delle persone che fin troppo spesso rischiano la vita per cercare di salvare la loro pellaccia.

    Dopo la scorsa notte, in cui ho dovuto fare di necessità virtù, non intendo certo dividere ancora il letto con lei: non che la cosa mi sia dispiaciuta, ben inteso, ma da una donna mi aspetto qualcosa in più del dormire rannicchiati insieme, così mi toccherà persino arrangiarmi e passare la notte di sopra, in quello che fino a non molto tempo addietro era il fienile.

    Grazie al cielo, dopo le insistenze di Alessia mi ero deciso a liberarmi delle capre e, di conseguenza, del fienile, che così alla fine avevo cominciato a riadattare: se non altro, avrò un posto decente in cui dormire.

    Lancio un'occhiata alla principessina, rimpiangendo il mio letto comodo e caldo, ma non ho molta scelta: lei di certo non riuscirebbe a salire e scendere dalla scala a pioli con quella caviglia malridotta.

    Proprio un bel regalo mi hai fatto, Wolf, accidenti a te!

    Si può sapere cosa ci facevi nel mezzo del bosco durante una nevicata?, chiedo di pessimo umore alla brunetta tutta ricci, infilzando con la forchetta una fetta di patata cosparsa di formaggio fuso.

    Ero uscita per una passeggiata, volevo solo fare un breve giretto, non pensavo che si sarebbe messo a nevicare... Non pensavo di essermi allontanata tanto dall'albergo..., risponde con vocina incerta.

    Una cosa giusta l'hai detta, Principessa: non pensavi - ribatto burbero - La montagna non è tutta piste da sci e ciaspolate al chiar di luna, bellezza, la montagna uccide.

    Annuisce ed abbassa lo sguardo sul suo piatto, in silenzio.

    Così torno all'attacco: Tra voi ricchi turisti non va più di moda consultare le previsioni del tempo prima di uscire per un'escursione?.

    Non pensavo di essermi allontanata tanto, ripete, la voce solo un sussurro, gli occhi fissi sul piatto che ha davanti.

    Dove volevi andare?, domando.

    Si stringe nelle spalle: All'inizio avevo imboccato il sentiero che porta alla cappella della Vergine Maria, ma non volevo arrivare fin là, solo fare un giretto nel bosco, vocina bassa, quasi a scusarsi.

    Perché eri da sola?, chiedo. Questa tizia ha violato tutte le più elementari regole della montagna in un colpo solo: è quasi vergognoso che sia ancora viva.

    Perché cercavo... qualcosa, dice dopo un attimo di esitazione.

    Le lancio un'occhiata veloce: jeans attillati all'ultima moda, maglione soffice come una nuvola, immagino di cachemire, a collo alto; poi indossava scarponcini da trekking, uno dei quali adesso è fuori dalla porta a riempirsi di neve, e, ancora sulla sedia, il giaccone bianco, ideale per finire dispersi in giornate come questa.

    E cosa cercavi? Funghi? Cinghiali? Pentole d'oro alla fine dell'arcobaleno?, chiedo sarcastico.

    Scuote la testa e finalmente solleva lo sguardo, puntandomi addosso occhi scuri e furenti: Cercavo gli affaracci miei!, sbotta.

    Che carattere del cavolo!

    "Almeno hai lasciato

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