Anche la nebbia serve
Di Luca Regina
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Anteprima del libro
Anche la nebbia serve - Luca Regina
INDICE
INDICE 5
Prefazione 6
Il bosco sotto casa 8
Anche la nebbia serve a qualcosa 16
Quel giorno sulla Piazza Rossa 25
Montagnole di neve 31
La mia macchina 38
Ridere a un funerale 49
La lepre e il cinghiale 58
In India everything is possible 64
L’amore illumina ogni cosa 75
Le calze conoscono il loro destino 79
Gran Museo delle Meraviglie della famiglia Cottini 85
Radici 94
Ringraziamenti 100
Prefazione
Quando Luca mi ha rivelato che stava scrivendo un libro di racconti, come prima reazione sono stato contento. Perché, avendo avuto modo di conoscerlo e frequentarlo, sia in ambito professionale che come amico, ho pensato che la sua visionarietà delicata, che manifesta nel lavoro come nella vita quotidiana, potesse essere un elemento narrativo potente e, soprattutto, veritiero, credibile. Luca è stato capace di condurre una carovana di circensi e musicisti (tra cui il sottoscritto) per i luoghi più incredibili del Mediterraneo, fra la Grecia e Cipro; di proporre a pubblici improbabili i suoi numeri da mago comico rischiando più volte l’incolumità; di farsi trovare all’interno della valigia, all’aeroporto di Salonicco, una pistola scacciacani dalla polizia di controllo ed essere quasi arrestato; di affidarsi a un promoter basco esule in Grecia (non abbiamo mai voluto sapere i motivi) per circuitare i nostri spettacoli; di essere disperatamente tifoso del Torino, cose così. Cose da visionari. Insomma, materiale per dei racconti ce n’era a sufficienza. Ma quando ho letto la prima stesura del libro sono rimasto ulteriormente sorpreso. Perché non si trattava di un’autobiografia o di una narrazione delle tante esperienze vissute in giro come clown, mago, entertainer, ma di un piccolo curioso romanzo in forma di racconti più o meno consequenziali in cui la sua visionarietà delicata, come l’ho definita prima, si manifesta attraverso una sorta di alter-ego, lontano come esistenza quotidiana dal Luca Regina reale, perché parliamo di un geometra, una persona come tante, un utile invisibile della società normale che, però, ha un mondo interiore molto particolare, ricco, fantasioso, avventuroso. E tutto questo mondo fuoriesce grazie a una camminata in un bosco. In che senso, chiederete? Mi fermo qui perché spoilerare non è mai bello. Vi dico solo che, uscito da quel bosco, mi è venuta subito voglia di farci un’altra camminata. Bel lavoro, amico!
Federico Sirianni
Il bosco sotto casa
Che ci facevo lungo disteso dolorante a terra in mezzo a un bosco? Un po’ di pazienza e lo saprete.
Sotto casa mia c’è un bosco. Tutto attorno, ci sono alcuni capannoni industriali grigi, un supermercato con l’insegna scolorita che sembra arrivare dall’Unione Sovietica degli anni settanta e alcune case moderne, tinteggiate di beige e amaranto, tra le quali, la mia.
Quando si entra per la prima volta in questo bosco, dopo una decina di passi, solitamente ci si inciampa. Sono i resti dei binari di una vecchia ferrovia che sbucano dalla terra come radici.
Se lo si potesse guardare dall’alto, questo bosco, sembrerebbe un serpente verde che striscia nel grigio. Per me, fino a poco tempo fa, è sempre stato niente più che lo sfondo alle mie passeggiate, con il mio cane Iside, un meticcio di piccola taglia col pelo nero lucido che sembra una foca.
Io e Iside ci andavamo ogni giorno al mattino presto e appena entravamo, ogni volta le toglievo il guinzaglio e lei iniziava a correre in ogni direzione, con l’esuberanza della sua giovane età e la nuvoletta di vapore che quando faceva freddo usciva dalla sua bocca e si mischiava alle gocce di rugiada sulle foglie. Le sue corse spesso poi si interrompevano all’improvviso, perché sentiva qualche rumore o perché scopriva le orme di qualche animale.
Io invece, camminavo e rimanevo chiuso in me stesso. Rapito da notifiche, messaggi in arrivo, telefonate e pensieri che mi trascinavano altrove.
Il bosco per me era solo uno sfondo alle mie camminate e non lo degnavo neanche di un fugace sguardo. Era un po’ come la tappezzeria logora di un corridoio di un vecchio hotel.
Ma poi un giorno è successa una cosa che ha cambiato il senso delle mie passeggiate e la mia definizione della parola bosco.
Era una mattina di fine ottobre di due anni fa e mi trovavo con Iside proprio nel centro del bosco, nella pancia del serpente. Dove il sentiero scende leggermente, tra rovi di rosa canina, ailanti che ricordano la foresta amazzonica e bacche di biancospino che si attorcigliano ai frassini.
Sto leggendo qualcosa sul telefono, un ronzio attira la mia attenzione. Alzo di scatto la testa dallo schermo. Fermo in volo davanti a me, a pochi centimetri dal mio naso, c’è un calabrone. Non mi muovo, lo guardo fisso negli occhi. Lui fa lo stesso. Sembra la scena di un film di Sergio Leone, gli istanti che precedono la sparatoria davanti a un saloon. Dopo alcuni interminabili secondi è lui a rompere gli indugi e