La Magistratura e L'Ordinamento Giudiziario nella lente della Costituzione: Tra nuovi e vecchi profili di illegittimità costituzionale
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- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5Una disamina davvero brillante ed originale. Interessanti sono soprattutto le conclusioni e la tecnica di indagine
Anteprima del libro
La Magistratura e L'Ordinamento Giudiziario nella lente della Costituzione - Francesco Lupia
L’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO E LA SUA RIFORMA NELLA
LENTE DELLA COSTITUZIONE: TRA NUOVI E VECCHI
PROFILI DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE
PARTE PRIMA
1. METODOLOGIA DI INDAGINE
Per raggiungere gli scopi che ci si è prefissi, appare necessario utilizzare rigorosamente i canoni ermeneutici propri della teoria generale del diritto, dando prioritario rilievo agli unici aventi fondamento legale: quello letterale e quello logico (art.12 delle disposizioni preliminari al codice civile)¹².
Con riguardo al secondo appare sin da ora opportuno rimarcare che, come noto, l’espressione "intenzione del legislatore" ex art.12 si presta a due diverse interpretazioni possibili: la teoria soggettiva e la teoria oggettiva dell’interpretazione .
Per la prima l’interprete deve ricercare l’intenzione del legislatore storico
e lo scopo che si è proposto di conseguire nel dettare quella determinata disposizione.
Per la teoria oggettiva, invece, ciò cha va ricercato non è quello che il legislatore ha voluto, ma quello che risulta dalla legge obbiettivamente considerata, dato che la legge, con la sua promulgazione, si stacca dalle persone che l’hanno redatta ed acquista un significato autonomo.
In questa sede viene accolta la teoria oggettiva, in quanto fatta propria a più riprese dalla Suprema Corte di Cassazione "La volontà emergente dai lavori preparatori non può sovrapporsi a quella obiettivamente espressa dalla legge, quale emerge dal suo dato letterale e logico. Peraltro agli stessi lavori preparatori può riconoscersi valore sussidiario ai fini ermeneutici, quando essi, unitamente ad altri canoni interpretativi ed elementi di valutazione emergenti dalla norma stessa, siano idonei a chiarire la portata di una disposizione legislativa di cui appaia ambigua la formulazione". (Cass. civ. sez. I 27-02-1995, n. 2230 e Cass Civ. Sez. III, sent. n. 3550 del 21-05-1988).
In primo luogo deve trovare applicazione, ancora secondo l’insegnamento della Suprema Corte, il canone letterale.
Con la sentenza n. 38596 del 6.12.2021 le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione hanno infatti confermato la centralità del dato letterale nell’ambito dell’attività interpretativa, ribadendo che "l'attività interpretativa giudiziale è segnata, anzitutto, dal limite di tolleranza ed elasticità dell'enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell'inveramento della norma nella concretezza dell'ordinamento ad opera della giurisprudenza stessa" (sul punto si richiama Cass., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144, nonché Cass. 22 giugno 2018,
n. 16957, Cass. 31 ottobre 2018, n. 27755 e Cass. 28 gennaio 2021, n. 2061)³. Identica posizione è stata assunta d’altronde dalla stessa Corte Costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 110 del 5.6.2023).
Successivamente ed al fine di gettare luce sulle eventuali incertezze che residuassero dai risultati dell’operazione ermenuetica svolta tramite i criteri di interpretazione letterale e logica, verranno utilizzati i criteri dell’interpretazione logica in chiave soggettiva (la volontà emergente dai lavori preparatori) e dell’interpretazione giurisprudenziale (emergente dalla sentenze della Consulta, analizzate in chiave critica) e dottrinale (tramite l’applicazione delle categorie proprie del diritto costituzionale ed amministrativo).
2. CATEGORIE DEFINITORIE
Appare utile sin da ora tracciare le categorie definitorie di matrice dottrinale che verranno maggiormente utilizzate nella presente indagine. Seguendo l’impostazione tradizionale consolidata⁴ si applicherà, trattando la materia della giustizia latu sensu, una tripartizione che si articola in tre macro-aree: la giurisdizione strettamente intesa, l’amministrazione della giurisdizione⁵ e la gestione dei servizi relativi alla giustizia. La prima ricomprende l’attività giurisdizionale strictu sensu, nell’accezione di iuris dicere, la seconda ricomprende l’organizzazione dell’apparato giurisdizionale intesa come gestione delle carriere, della collocazione e dello status giuridico dei Magistrati (trasferimento, attribuzione di funzioni ed incarichi, individuazione di sedi a copertura necessaria, formazione delle tabelle di organizzazione del lavoro dei Magistrati in seno ai singoli uffici giudiziari, etc), la terza ricomprende i servizi c.d. serventi all’esercizio della funzione giurisdizionale (personale di cancelleria, dotazioni degli uffici giudiziari, etc).
CAPITOLO I
INTERPRETAZIONE LETTERALE DELLA COSTITUZIONE ED ANALISI DEL SIGNIFICANTE TESTUALE
Assumono rilevanza in questa sede gli articoli 101, 102, 104, 105, 107, 110, 95 e 24 della Costituzione.
L’art.101 prevede "La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge".
La disposizione si presenta come astrattamente rilevante ai fini della presente analisi.
La dizione "I giudici sono soggetti soltanto alla legge" potrebbe infatti indurre a risolvere negativamente la questione relativa alla sussistenza di una competenza ministeriale ad incidere sullo status e sulla posizione del singoli Magistrati tramite l’esercizio di poteri conferiti sì dalla legge, ma includenti residui margini di discrezionalità.
Tuttavia questo tipo di interpretazione non può essere accolta e ciò per una pluralità di motivi.
In primo luogo pare evidente come, nell’affermare tale principio, la Costituzione non intenda riferirsi alla condizione del Magistrato quale membro dell’Ordine Giudiziario, ma a quella del Magistrato come amministratore della giustizia e cioè con riferimento al momento dell’esercizio della giurisdizione strettamente intesa.
La disposizione va infatti coordinata con la sua prima parte "La giustizia è amministrata in nome del popolo".
Orbene non vi è dubbio che quando la Costituzione utilizzi l’espressione amministrazione della giustizia
voglia riferirsi all’esercizio dell’attività giurisdizionale (la giurisdizione strettamente intesa)⁶.
In tal senso depone il successivo art.102, ove prevede "La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia".
Pare evidente che, riferendosi alla possibilità del popolo di partecipare all’amministrazione della giustizia, la Costituzione non possa che voler attribuire a tale concetto il significato appena esplicato, facendo parte della tradizione giuridica della nostra nazione la previsione (in talune fattispecie) di una componente popolare all’interno dell’organo giudicante⁷.
L’art.101 pertanto non è una disposizione che assume un concreto rilievo sotto il profilo letterale ai fini della risoluzione della questioni interpretative in esame.
L’art.102 prevede "La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia".
L’art.102 non presenta profili di particolare interesse, se non nella sua prima parte.
Sebbene la disposizione faccia ancora una volta riferimento (stavolta in modo esplicito) all’esercizio della funzione giurisdizionale (la giurisdizione strettamente intesa), è altrettanto vero che essa è suscettibile di essere suddivisa in due norme distinte:
1) "La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari";
2) I magistrati ordinari sono ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario
.
Tale ambivalenza della disposizione in esame è avallata dall’utilizzo di un termine diverso rispetto a quello espresso dal Costituzione nell’articolo appena precedente ove, come visto, intendeva riferirsi al solo esercizio della funzione giurisdizionale.
Alla parola Giudice
(art.101) viene sostituita la parola Magistrato
. La scelta non pare casuale.
L’art.105, infatti, allorché descrive le competenze "di amministrazione della giurisdizione" dei componenti dell’Ordine utilizza il termine Magistrati
("Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati").
Il termine viene riutilizzato in tutte le disposizioni che si riferiscono ai componenti dell’Ordine ancora in chiave di amministrazione della giurisdizione
degli stessi: l’art.104 (quando indica i componenti elettivi dell’organo di amministrazione della magistratura), l’art.106 (quando indica le modalità di accesso alla magistratura), l’art.107 (quando statuisce l’inamovibilità dei singoli componenti dell’Ordine e le condizioni per incidere sullo status amministrativo
degli stessi)⁸.
Questa soluzione risulta consona anche alla luce della diversa derivazione etimologica del termine Giudice e Magistrato.
L’espressione Magistrato infatti deriva da magister (capo, soprintendente). Nel linguaggio amministrativo e pubblicistico (nonché letterario) essa qualifica la persona, oppure l’organismo, che ricopre una importante carica pubblica. La funzione dell’ufficio dunque ha carattere di gestione ed amministrazione latu sensu, che nel caso della Magistratura assume la connotazione di l’amministrazione della giurisdizione nel senso sopra precisato (cioè di incidenza sullo status, posizioni, trasferimenti, conferimento di funzioni)
Al contrario la parola Giudice ha radice in jus e dicere e cioè pronunziare diritto, con riferimento dunque alla sola macro-area dell’esercizio della giurisdizione strettamente intesa.
In questo senso è certamente corretta la scelta effettuata dalla Costituzione di utilizzare nell’art.101, ove (come visto) intende riferirsi alla sola attività di iuris dicere, il termine Giudice.
Diversamente nell’art.102 viene utilizzata l’espressione più lata di Magistrato, che richiama le competenze relative alla seconda macro-area del componente dell’Ordine, tuttavia precisando nella prima parte come "la funzione giurisdizionale" è esercitata da questa particolare categoria di gestori del potere pubblico.
In questa prospettiva, dunque, il Magistrato assume nel linguaggio costituzionale una doppia funzione, poiché titolare uti singulus di due diversi e ben distinti poteri: il potere di iuris dicere (macro-area dell’esercizio della giurisdizione strettamente intesa) e il potere di amministrazione (macro-area dell’esercizio dell’amministrazione della giurisdizione).
Una duplice funzione che trova conferma nella stessa normazione primaria, in quanto non vi è dubbio che, se il Magistrato (giudicante o requirente) esercita normalmente la sola funzione giudiziaria, il Dirigente dell’Ufficio Giudiziario esercita altresì la funzione dell’amministrazione della giurisdizione (formazione delle tabelle, redazione dei pareri sui singoli magistrati, etc).
Pare dunque corretta l’interpretazione dell’art.102 nel senso che ad esso possa attribuirsi (anche) il seguente significato "I magistrati ordinari sono ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario", intesa nel senso di sottoporre l’esercizio della funzione dell’amministrazione della giurisdizione da parte dei Magistrati alla lettera della Legge.
Come vedremo la norma costituzionale ricavata non è in sé dirimente ai nostri fini, ma contribuisce sensibilmente a definire la questione in chiave di interpretazione logica.
E’ possibile infatti notare sin da ora come sia suggestivo il riferimento alla necessità che l’amministrazione dei Magistrati (cioè l’esercizio della funzione dell’amministrazione della giurisdizione) sia strettamente correlata in chiave linguistica al riferimento all’"ordinamento giudiziario"⁹.
L’art.104 prevede "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale"
Si tratta di una disposizione di eccezionale rilevanza in termini semantici¹⁰.
Deve anzitutto rilevarsi come ancora una volta la Costituzione utilizzi il termine Magistratura, in luogo di quello Giudici.
Un termine che, come già dimostrato, richiama una dimensione di amministrazione dell’Ordine e dei suoi singoli componenti.
Segue il termine costituire
che evoca sia in concetto di istituzione nuova
(quale certamente rappresentava la Magistratura che i Costituenti volevano forgiare rispetto a quella passata, quest’ultima connotata dalle forti ingerenze subite dal potere politico, specialmente durante il periodo fascista) e di durevolezza nel tempo
.
L’espressione ordine
è unica nella Costituzione. Una circostanza che in sé suggerisce come la Magistratura si avulsa dai meccanismi che caratterizzano gli altri organi costituzionali: legittimazione popolare (diretta o indiretta) e riconducibilità ad un circuito di responsabilità politica.
Etimologicamente l’espressione richiama ad un tempo la sacralità dell’istituzione, la sua ispirazione ad un principio piuttosto che ad un orientamento politico e la sua soggezione solo alla legge.
Nel primo senso si avvertono nel termine gli echi degli ordini cavallereschi o monastici e dunque la nobilità dello scopo assegnato e, al contempo, la pluralità dei suoi componenti.
Nel secondo senso, etimologicamente, la disposizione di cose secondo un concetto
.
Nel terzo senso, ancora etimologicamente, la disposizione delle cose nel mondo fatta dalla legge
.
Il termine autonomia
indica etimologicamente il potere di dar legge a sé stesso
e, nella sua declinazione giuridica, "la qualità, in genere, di un ente che sia dotato di propria vitalità per sé stante, per indicare la sua indipendenza, la sua libertà, la non ingerenza da parte di altri nella sfera di attività naturale propria di uomini singoli o di loro collettività, oppure nell'uso del diritto che a essi può competere. Rispetto alla forma più alta di autonomia, che è quella politica e che consiste nell’autodeterminazione da parte della collettività, l’autonomia giuridica si identifica con la capacità di determinati enti e organi di agire in campo giuridico per il raggiungimento delle proprie finalit๹".
Il termine indipendenza
, apparentemente un pleonasmo, ha in effetti una sua valenza nel contesto della disposizione in esame, avendo la funzione di evocare la non soggezione della Magistratura ad altri e l’assenza di vincoli nelle proprie determinazioni che siano diversi da quelli disegnati dall’ordinamento giudiziario¹².
L’espressione "da ogni altro potere" indica chiaramente la natura dell’Ordine, che, pur nella sua autonomia ed indipendenza, viene inteso come potere dello Stato
¹³ al pari di quello Legislativo (incarnato dalle Camere ) ed Esecutivo (rappresentato dal Governo)¹⁴, secondo la teoria della tripartizione dei poteri statuali¹⁵.
La restante parte della disposizione regolamenta la composizione del CSM, nei suoi membri di diritto (il Presidente della Repubblica, in qualità di Presidente del CSM, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione) ed elettivi (eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio)¹⁶¹⁷.
In questa disposizione compare per la prima volta la figura del Consiglio Superiore della Magistratura ed ancora sulla scelta lessicale adottata dalla Costituzione è necessario soffermarsi.
L’utilizzo del termine Consiglio etimologicamente richiama l’idea del ricongiungersi, del sedersi insieme (consilium) al fine di consultarsi e deliberare, mentre l’aggettivo che segue, Superiore (da superior, che sta sopra) evoca ad un tempo le idee di sovraordinazione, di autorità e di alterità.
L’espressione della Magistratura
, infine, vale a definire la dimensione operativa di tale nuovo organo, ma anche il soggetto a cui esso appartiene¹⁸.
Come già chiarito nel linguaggio costituzionale il termine vale a richiamare la macro-area dell’esercizio dell’amministrazione della giurisdizione e non quella dell’esercizio della funzione giudiziaria o quella della gestione dei servizi relativi alla giustizia.
Ne emerge linguisticamente il quadro del CSM come organo avente una sua soggettività sua propria (alterità), di confronto tra i propri membri, deliberante, con funzioni che si esauriscono nell’esercizio dell’amministrazione della giurisdizione (come meglio chiariranno gli articoli 105 e 107) connotate da autorità e sovraordinazione rispetto a quelle esercitate dai singoli Magistrati, appartenente alla Magistratura.
Una soluzione che trova conferma nella normazione primaria, nella quale gli atti di esercizio dell’amministrazione della giurisdizione posti in essere dai singoli Magistrati-Dirigenti degli Uffici Giudiziari (proposta di formazione delle tabelle, pareri attitudinali sui magistrati, etc) assumono la natura di atti endo-procedimentali, in quanto parte dell’iter che conduce alla delibazione definitiva assunta dal Consiglio¹⁹.
La collocazione del CSM subito dopo la dizione "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere" evidenzia linguisticamente e concettualmente il rapporto di contiguità tra la prima (nei suoi caratteri di autonomia ed indipendenza) ed il Consiglio.
Ne emerge così un quadro complessivo di alterità soggettiva del CSM rispetto all’Ordine, ma anche di contiguità rispetto allo stesso²⁰ e di funzionalità tesa a garantire, tramite il conferimento di poteri di autorità, i caratteri di autonomia ed indipendenza del secondo, al quale pure il primo appartiene.
Il CSM dunque appare in chiave letterale una pars con soggettività sua propria, munito di poteri autoritativi e connotato da funzione peculiare, perché tesa ad assicurare che l’Ordine goda effettivamente dei caratteri di autonomia e di indipendenza attribuiti della Costituzione.
L’art.105 prevede "Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati".
La disposizione si apre con il termine spettare
(dal latino "spectare, cioè essere rivolto verso), la cui accezione moderna è quella di
essere di specifica competenza e pertinenza, ma anche di
competere, essere dovuto per diritto".
Un vocabolo che pertanto già di per sé richiama ad un concetto di esclusività. L’espressione "secondo le norme dell'ordinamento giudiziario" ha una duplice valenza.
Da un lato ribadisce la norma già inferibile (come osservato) dalla disposizione dell’art.102: "I magistrati ordinari sono ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario", rimarcando come le competenze sull’amministrazione della giurisdizione che la parte successiva dell’art.105 attribuisce al CSM debbono comunque essere esercitate nel rispetto ed entro il quadro legislativo tracciato dall’ordinamento giudiziario.
Dall’altro, proprio in virtù del richiamo effettuato all’ordinamento giudiziario ed all’intima connessione esistente (come visto) tra quest’ultimo e le competenze sull’amministrazione della giurisdizione, vale a qualificare le attribuzioni elencate come espressioni di tale competenza.
Si pone dunque immediatamente l’interrogativo relativo alla natura dell’elenco che segue.
Occorre cioè chiedersi se essa sia tassativa (e dunque al CSM spettino solo le competenze sull’amministrazione della giurisdizione ivi incluse) o non tassativa (e dunque l’ordinamento giudiziario possa conferire al CSM ulteriori competenze nella suddetta materia).
Nella lente dell’interpretazione letterale che si sta utilizzando, depone per la seconda soluzione l’assenza dell’utilizzo di avverbi quali esclusivamente
o solamente
.
In chiave storica si potrebbe obiettare che, poiché le competenze conferite al neonato CSM dalla Costituzione andavano ad erodere quelle originarie (ante Costituzione) del Ministro della Giustizia, la disposizione debba intendersi come di stretta interpretazione.
Alla luce di tale ultima argomentazione si sarebbe dunque indotti a propendere per la prima soluzione.
Tuttavia, ancora chiave di interpretazione letterale, è necessario rimarcare che (come osservato) nel linguaggio della Costituzione si tracci una stretta connessione tra ordinamento giudiziario e competenze sull’amministrazione della giurisdizione.
Non si può allora omettere di notare sin da ora come in nessuna disposizione precedente o successiva l’espressione ordinamento giudiziario
sia legata alle competenze riconosciute dalla Costituzione al Ministro della Giustizia.
La sua figura infatti viene richiamata nel Titolo IV (rubricato La Magistratura) solo in due disposizioni:l’art.107 (Il Ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare) e l’art.110 (Ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia).
In nessuna delle due vi è un richiamo all’ordinamento giudiziario.
Appare dunque preferibile in termini di interpretazione letterale la soluzione che qualifica l’elenco contenuto nell’art.105 con non tassativo.
L’elenco suddetto ricomprende "le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati".
Il termine assunzione (dal latino assumptio) indica chiaramente l’attribuzione dell’ufficio (di Magistrato).
Il termine assegnazione (dal latino ad signum) si riferisce allo stabilire le specifiche funzioni ed incombenze attribuite al singolo Magistrato.
Il termine trasferimento (dal latino transferre) evoca lo spostamento da un luogo ad un altro ed dunque riferibile ai tramutamenti c.d. orizzontali o territoriali.
Il termine promozione (dal latino promotionem) indica l’atto di elevare una persona ad un ufficio superiore (nel caso dei Magistrati, ad una funzione superiore, quale una dirigenziale o di legittimità).
L’inclusione in questa disposizione anche dei provvedimenti disciplinari, costituisce invece il frutto di plurimi fattori:un retaggio storico, una tecnica di redazione del testo costituzionale e una scelta di opportunità.
E’ evidente infatti che, nonostante i richiami contenuti nella stessa disposizione al CSM, ai Magistrati ed all’ordinamento giudiziario, la competenza disciplinare non possa essere sussunta tra quelle costituenti espressione dell’amministrazione della giurisdizione²¹.
Dirimente è infatti la circostanza che il procedimento seguito per l’adozione della decisione assuma la forma processuale che culmina nella sentenza.
Tale connotazione processualistica ha radici storiche²² e di garanzia dello status del magistrato²³.
Pacifica tale connotazione storica del procedimento disciplinare come funzione di giurisdizione in senso stretto, la scelta della Costituzione di assegnarla comunque al CSM appare dunque dettata da ragioni di opportunità.
Non vi dubbio infatti che lo strumento disciplinare costituisca in senso lato anche un mezzo per assicurare (tramite l’effetto general-preventivo e special-preventivo della sanzione) il governo della giurisdizione (garantendone efficienza e correttezza). Così come è indubbio che esso sia anche un meccanismo atto ad incidere direttamente sullo status del magistrato (quest’ultimo pacificamente sussumibile nel plesso dell’amministrazione della giurisdizione).
L’attribuzione di tale competenza al CSM (pur eccentrica ed eccezionale rispetto a quelle generali di amministrazione delle giurisdizione) è apparsa dunque la più logica sia in termini di coerenza con le restanti funzioni (per i riflessi sullo status che il provvedimento disciplinare determina), sia per la vicinanza alla missione di tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della Magistratura propria del Consiglio.
La scelta di collocare tale competenza in seno all’art.105, poi, appare determinata da ragioni di tecnica legislativa (apparendo antieconomico dedicare un articolo separato a tale attribuzione in ragione della sua diversa natura).
Infine l’espressione "nei riguardi dei magistrati" pone il limite soggettivo delle competenze del CSM.
L’art.106 prevede "Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso. La legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli. Su designazione del Consiglio superiore della magistratura possono essere chiamati all'ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d'esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori".
L’espressione "Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso" evidenzia la circostanza della legittimazione tecnica e non democratica dei Magistrati e, dunque, rimarca l’esclusione degli stessi dal circuito politico di responsabilità.
La frase successiva (La legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari) evidenzia anche come la fase propedeutica alla nomina (sia essa di matrice elettiva o concorsuale) afferisce all’ordinamento giudiziario e, dunque, ricada nel plesso dell’amministrazione della giurisdizione.
In quanto tale, in virtù dell’interpretazione letterale qui sostenuta, essa deve parimenti essere rimessa al CSM, nel quadro delle regole disegnate dall’ordinamento giudiziario.
L’art.107 prevede "I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso. Il Ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare .I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni . Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario."
Nella prima parte della disposizione la Costituzione utilizza in termine inamovibilità in luogo di quello di intrasferibilità.
La scelta lessicale non è casuale, in quanto intende ricomprendere non solo i tramutamenti territoriali o orizzontali, ma altresì quelli relativi alle funzioni (come si evince dal prosieguo della disposizione).
La seconda parte della disposizione potrebbe apparire superflua alla luce del contenuto dell’art.105.
Essa infatti stabilisce delle regole (Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso), già desumibili dalle competenze che l’art.105 assegna al CSM.
Il suo valore allora deve apprezzarsi nel senso di chiarire il concetto di esclusività in capo al CSM di quelle competenze.
Esprimendosi in chiave negativa ("Non possono essere… se non in seguito a decisione del Consiglio) l’art.107 rimarca il principio che tali competenze dell’amministrazione della giurisdizione spettano esclusivamente al CSM.
La successiva parte della disposizione, ancora una volta, evidenzia la correlazione tra competenze dell’amministrazione della giurisdizione ed ordinamento giudiziario, stabilendo che le regole che disciplinano l’esercizio delle competenze proprie della prima debbano essere contenute nel secondo.
Nella parte in cui l’art.107 prevede il consenso prestato dal Magistrato come alternativo al rispetto delle regole, delle condizioni e delle garanzie dell’ordinamento giudiziario, la disposizione sembra legittimare un’interpretazione secondo la quale, ricorrendo il consenso del Magistrato, il CSM possa delibare anche al di fuori del plesso normativo dell’ordinamento giudiziario.
Tuttavia questa soluzione non può essere accolta, dovendo coordinarsi la disposizione con quella dell’art.105, che prevede per ogni decisione incidente sullo status del Magistrato (e dunque anche quelle assunte con il consenso o su istanza dello stesso) che il Consiglio operi nel rispetto di forme, modi e condizioni statuite dall’ordinamento giudiziario.
Nella statuire che "Il Ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare" la Costituzione riconosce al Ministro in modo espresso l’unica funzione non sussumibile nel plesso delle competenze dell’amministrazione della giurisdizione (l’azione disciplinare) e nessuna funzione riconducibile a tale plesso.
Tuttavia l’attribuzione avviene sotto forma non di giurisdizione attiva