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Tutor Magistralis. Ordinamento giudiziario e diritto pubblico per concorsi pubblici nel settore della Giustizia
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E-book332 pagine4 ore

Tutor Magistralis. Ordinamento giudiziario e diritto pubblico per concorsi pubblici nel settore della Giustizia

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Info su questo ebook

L'opera è un compendio di ordinamento giudiziario e di diritto pubblico. Consta di due parti distinte. La prima, si propone di illustrare in termini semplici e divulgativi le regole che disciplinano l'esercizio della funzione giurisdizionale, la struttura degli Uffici, la regolamentazione del Consiglio Speriore della magistratura, l'organo di autogoverno dei giudici.. La seconda parte è dedicata alla materia del diritto pubblico nella sua più ampia accezione. Comprende la trattazione dei principali istituti di diritto internazionale ed europeo, diritto costituzionale e diritto amministrativo; gli argomenti sono llustrati in maniera sintetica e chiara onde offrire una panomarica completa e riassuntiva del diritto pubblico.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2022
ISBN9791220380386
Tutor Magistralis. Ordinamento giudiziario e diritto pubblico per concorsi pubblici nel settore della Giustizia

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    Tutor Magistralis. Ordinamento giudiziario e diritto pubblico per concorsi pubblici nel settore della Giustizia - Maria Rosaria Sodano

    L’ordinamento giuridico

    Sommario: 1. La norma giuridica 2. Diritto oggettivo e soggettivo. 3. Diritti soggettivi ed interessi legittimi. 4. L’ordinamento giuridico. 5. Nozione di diritto pubblico..

    1. La norma giuridica

    L’uomo è un animale sociale, portato a vivere e a relazionarsi con gli altri suoi simili. Per questi motivi è necessario che la sua vita di relazione sia regolata sulla base di principi innati o codificati che noi chiamiamo di diritto e che impongono a tutti gli esseri umani di tenere alcuni comportamenti considerati fondamentali per ottenere un’ordinata convivenza civile.

    Ogni gruppo sociale necessita di un insieme di regole o, più precisamente, di norme che ne disciplinano il funzionamento e di organi preposti a garantire la loro osservanza; una società nella quale mancano regole imposte da un’organizzazione centrale sarebbe, infatti, destinata a dissolversi nell’anarchia (Trabucchi). Le norme giuridiche si differenziano dal complesso delle altre norme (sociali, morali, di cortesia, di deontologia professionale) in quanto il loro rispetto è garantito dall’apparato statale. La norma giuridica prescinde dal caso che in concreto si può determinare (astrattezza) e si rivolge alla generalità dei consociati Essa presenta due elementi: il precetto, ovvero il comando e la sanzione, vale a dire la conseguenza derivante dalla sua trasgressione. Le sanzioni possono essere di qualsivoglia natura, amministrative, civili e penali.

    Chi trasgredisce al comando imposto dalla norma commette un illecito che viene perseguito dagli organi dello Stato attraverso l’applicazione della sanzione indicata preventivamente dalla norma (principio di legalità). Per questi motivi esistono illeciti amministrativi, penali o civili a seconda di come la norma ne indichi specificamente la natura. La distinzione fra i vari tipi di illeciti è tipica, rimessa, cioè, alla scelta discrezionale del legislatore.

    2. Diritto oggettivo e soggettivo

    Spesso le regole sociali e le norme giuridiche si influenzano le une con le altre, determinando l’evoluzione della storia civile di uno Stato e costituendo il diritto in senso oggettivo, l’insieme, cioè, delle regole e dei principi che si traggono dal testo normativo attraverso l’attività di interpretazione e applicazione delle norme operata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

    Dal diritto oggettivo deve essere tenuto distinto il diritto in senso soggettivo, termine con il quale si indica il potere attribuito dalla legge agli uomini di agire per il soddisfacimento dei propri interessi invocando a tal fine le norme giuridiche codificate. Quando un soggetto giuridico interferisce con la pubblica amministrazione può essere titolare sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi

    3. Diritti soggettivi e interessi legittimi

    Il diritto soggettivo è la posizione giuridica di vantaggio che spetta ad un soggetto in ordine ad un bene; ad essa corrisponde una tutela giuridica piena ed immediata che si esercita erga omnes. L’interesse legittimo è una situazione giuridica di vantaggio che spetta ad un soggetto in ordine ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene. Perciò, quello che maggiormente distingue il diritto soggettivo dall’interesse legittimo è il carattere assoluto che l’ordinamento accorda al diritto soggettivo. L’interesse legittimo deve, al contrario, necessariamente rapportarsi all’esercizio del potere amministrativo rispetto al quale il soggetto titolare dell’interesse legittimo si pone in una posizione differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti; anche nel caso dell’interesse legittimo, la norma posta a disciplina dell’esercizio del potere della pubblica amministrazione per il perseguimento dell’interesse pubblico primario deve prevedere, seppure implicitamente, l’interesse sostanziale individuale connesso all’interesse pubblico. Gli interessi legittimi si distinguono in interessi legittimi pretensivi e interessi legittimi oppositivi. I primi si sostanziano nella pretesa del titolare a che l’amministrazione adotti un determinato provvedimento, i secondi legittimano il titolare a opporsi all’adozione di atti pregiudizievoli della propria sfera giuridica.

    La distinzione fra le due posizioni soggettive differenzia il riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo ai sensi dell’art, 103 c.p.a. Tale distinzione, in origine contrapposta fra la giurisprudenza amministrativa e quella ordinaria, è oggi pacificamente fondata sul tipo di pretesa che il privato può vantare nei confronti dell’autorità amministrativa. Molteplici sono i criteri adottati sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina per un discrimen fra le due posizioni. Se ne menzionano essenzialmente tre anche se la distinzione non sembra essere sul punto completamente esaustiva: a) diversità di struttura della norma attributiva del potere alla PA (di relazione se diritto soggettivo di azione se interesse illegittimo); b) distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale (presenza di interesse legittimo solo in quest’ultimo caso); c) diversa natura del vizio fatto valere dal privato (nel caso di interesse legittimo vi sarebbe un cattivo uso del potere, mentre negli altri casi vi sarebbe una carenza assoluta di potere anche se non sono mancati contrasti nell’ipotesi in cui l’uso del potere da parte della PA sia astrattamente concepibile e tuttavia la stessa abbia agito in assenza dei presupposti previsti dalla legge).

    Negli ultimi anni hanno assunto sempre maggiore rilevanza nello scenario degli interessi legittimi gli interessi collettivi, la cui tutela è attualmente al centro di un intenso dibattito interpretativo. Sul punto giova sin da subito chiarire che per interesse collettivo si intende l’interesse che fa capo non al singolo soggetto privato (come tale portatore di un interesse individuale) ma ad un ente giuridico rappresentativo degli interessi dei soggetti che in esso si riconoscono. In questo senso gli interessi collettivi vanno distinti dai cd. interessi diffusi, di norma privi di tutela e riferibili in modo indifferenziato alla collettività.

    In via di prima approssimazione, quindi, può dirsi che l’interesse collettivo è quello di cui è portatore il soggetto dell’ordinamento cui è attribuita la qualifica di ente esponenziale di una collettività (cd. ente collettivo), in ragione di una possibile individuazione di tali collettività, attraverso l’appartenenza – giuridicamente definita e persistente nel tempo – di coloro che le compongono e che insistono in un determinato territorio o appartengono ad una determinata categoria. Tali enti possono essere sia riconosciuti come tali dall’ordinamento giuridico (gli enti territoriali trovano il proprio riconoscimento negli articoli 5 e 114 Cost.; le organizzazioni sindacali nell’art. 39 Cost.), sia manifestarsi per effetto della libertà di associazione, espressamente riconosciuta dall’ordinamento (art. 18 Cost.).

    In quest’ultimo caso, tuttavia, perché la loro costituzione possa renderli titolari di interessi collettivi, occorre che i singoli associati si caratterizzino non già per essere una aggregazione meramente seriale ed occasionale, ma per essere identificabili in relazione ad un vincolo che, in quanto afferente ad una realtà territoriale o ad una medesima manifestazione non occasionale della vita di relazione, si presenti come concreto (quanto al suo oggetto) e temporalmente persistente (quanto alla sua durata).

    Gli enti collettivi – oltre ad avere caratteristiche diverse quanto alla personalità giuridica – possono quindi essere titolari sia (al pari dei soggetti singoli) di posizioni giuridiche proprie (diritti soggettivi ed interessi legittimi), sia di posizioni giuridiche collettive (appunto, interessi collettivi). 

    4. Nozione di diritto pubblico

    Qualunque organizzazione sociale costituisce un ordinamento giuridico. Infatti un’organizzazione per essere tale, ha bisogno di un complesso di regole che ne disciplinano la vita e l’attività. Le regole che costituiscono il diritto di una determinata organizzazione, considerate nel loro insieme, formano, appunto, un ordinamento giuridico che, nel caso in cui sia riferito allo Stato, è originario ed indipendente, tale cioè da non aver bisogno di alcun riconoscimento. La sua organizzazione non è infatti soggetta ad un controllo di validità da parte di un’altra.

    S’intende per diritto pubblico il complesso delle norme appartenenti a quel ramo dell'ordinamento giuridico che disciplina l'organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro azione ed impone ai privati un determinato comportamento cui sono tenuti per rispettare la vita associata e far reperire dei mezzi finanziari necessari per il perseguimento delle finalità pubbliche. In tali rapporti, lo Stato e gli altri enti pubblici, in quanto portatori di interessi generali e titolari di un potere di comando, si trovano quasi sempre in una posizione di supremazia rispetto ai cittadini. Fanno parte del diritto pubblico il diritto costituzionale (che contiene i principi fondamentali della vita e del funzionamento dello Stato), il diritto penale, il diritto tributario (che regola i rapporti tra privati e l’amministrazione in merito all’imposizione e alla riscossione dei tributi), il diritto processuale (che disciplina il funzionamento degli organi di giustizia regolando il processo civile, penale e amministrativo), il diritto ecclesiastico (che disciplina i rapporti tra Stato e Chiesa).

    Ordinamento giudiziario

    1 - Il sistema giudiziario italiano. Giurisdizione ordinaria e speciale (T.A.R., Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Commissioni tributarie, Giustizia militare) 2. I principi dell’ordinamento giudiziario. 3. Il Consiglio superiore della magistratura. 4. Il Ministro della giustizia. 5. Il Consiglio direttivo della Cassazione ed i Consigli giudiziari 6. L’organizzazione giudiziaria degli uffici giudiziari giudicanti civili e penali.Il sistema tabellare. 7. L’organizzazione giudiziaria degli uffici requirenti. 8. La dirigenza giudiziaria. 9. L’accesso in magistratura. 10. La Scuola Superiore della magistratura 11. Lo status giuridico della magistratura (requirente e giudicante) 12. Il codice deontologico. Gli illeciti disciplinari 13. La responsabilità civile dei magistrati- 14. La magistratura onoraria 15. Prospettive di riforma .

    1.Il sistema giudiziario italiano

    Per sistema giudiziario può intendersi l’insieme degli organi dello Stato chiamati allo ius dicere,ad assumere una decisione su una determinata controversia secondo le regole del diritto. Tali organi costituiscono, in funzione dell’assetto organizzativo e del tipo di materia sui quali sono chiamati a giudicare, la giurisdizione costituzionale, la giurisdizione ordinaria o le giurisdizioni speciali.

    Per Magistratura ordinaria si intende quella istituita e disciplinata dall’ordinamento giudiziario, mentre per giurisdizione speciale quella che si occupa esclusivamente di determinate materie. Per garantire l’applicazione uniforme della legge, la Costituzione, all’art. 102, demanda l’applicazione della legge alla sola giurisdizione ordinaria, vietando l’istituzione di giudici speciali, ad eccezione di quelli specificamente indicati all’art. 113 Cost.

    Le giurisdizioni speciali previste dalla Costituzione sono quella amministrativa, contabile e quella militare (art. 113 e VI disposizione transitoria Cost.)

    La giurisdizione amministrativa (demandata al Consiglio di Stato in secondo grado e ai Tribunali amministrativi regionali in primo grado) si occupa delle controversie in materia di interessi legittimi (e, in taluni casi, di diritti soggettivi) nei rapporti che coinvolgono la pubblica amministrazione, giudicando della legittimità degli atti amministrativi. L’organo di governo autonomo è il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa La ragione di tale ripartizione deriva da un’esigenza avvertita negli ordinamenti di civil law nell’ambito dei quali la pubblica amministrazione, quando agisce in veste autoritativa, si pone in una posizione differente rispetto a quella degli altri soggetti dell’ordinamento, per cui anche la tutela giurisdizionale deve essere attribuita a un giudice diverso da quello ordinario. Pertanto, tali sistemi hanno adottato il modello dualistico di giurisdizione sopra delineato. Diversa è la situazione negli ordinamenti di common law, che, infatti, hanno adottato un modello monistico di giurisdizione, nell’ambito del quale la pubblica amministrazione non assume una configurazione particolare rispetto agli altri soggetti e, di conseguenza, la tutela giurisdizionale è affidata a un giudice unico.

    La giurisdizione contabile (demandata alla Corte dei Conti e alle sue sezioni regionali) ha ad oggetto il controllo preventivo di legittimità su numerosi atti del Governo e di altri organi pubblici, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, la materia della contabilità pubblica, nonché la responsabilità degli impiegati e funzionari dello Stato o di altri enti pubblici. L’organo di governo autonomo è il Consiglio di presidenza della Corte dei Conti.

    Le Commissioni tributarie sono organi di giustizia tributaria e si dividono in Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali rispettivamente di primo e di secondo grado. Nel primo grado di giudizio vengono esaminati dei ricorsi presentati dai contribuenti che ritengono infondate le richieste dell'amministrazione finanziaria e di altri enti impositori. Nel secondo grado di giudizio vengono esaminati degli appelli presentati dai contribuenti o dall'amministrazione finanziaria e altri enti impositori che ritengono infondate le decisioni presenti nelle sentenze di primo grado. L’oggetto del contenzioso riguarda: a)• i tributi erariali e non erariali; b) il catasto e l'estimo; c) le sovrimposte, le addizionali, le sanzioni amministrative irrogate da Uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. Ogni Commissione Tributaria è costituita da una o più sezioni composte a loro volta da un presidente, un vice presidente e da non meno di 4 giudici. La sezione del collegio decide la controversia con l’ausilio di 3 giudici, salvo il caso del giudice monocratico nel giudizio di ottemperanza per le controversie di valore non superiore a ventimila euro e comunque per le spese di giudizio.

    Molto si è discusso sulla compatibilità delle Commissioni tributarie con l’attuale assetto costituzionale considerato che la nostra carta Costituzionale fa espresso divieto all’art. 102 dell’istituzione di giudici speciali ed ammette al successivo art. 113 soltanto gli organi di giustizia amministrativa, militare e contabile, prevedendo nella VI disposizione transitoria la revisione degli organi di giurisdizione speciale allora esistenti fatto salvo il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. La Corte Costituzionale, più volte investita della questione, ha ritenuto la natura giurisdizionale delle Commissioni ricomprendendole nella categoria degli organi giurisdizionali preesistenti all’entrata in vigore della Carta Costituzionale, come tali passibili di revisione.

    La giurisdizione militare è competente per i reati militari commessi dagli appartenenti alle forze armate. L’organo di governo autonomo è il Consiglio della magistratura militare.

    2. I principi dell’ordinamento giudiziario

    L’ordinamento giudiziario nel suo significato più ampio è formato dall’insieme delle norme che regolano la costituzione e il funzionamento di tutti gli organi che esercitano la funzione giurisdizionale. Nel suo significato più tecnico è l’insieme delle norme che regolano la costituzione ed il funzionamento della magistratura ordinaria.

    Nel linguaggio corrente si sente parlare indifferentemente di magistrati, giudici e pubblici ministeri (PM). In realtà il genereè costituito dai magistrati, che si differenziano a seconda delle funzioni che sono chiamati a svolgere: (i) funzione giudicante (applicazione del diritto), attribuita ai giudici; (ii) funzione inquirente (rispondente al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale), attribuita ai pubblici ministeri (PM), che sono magistrati e non giudici. Le due funzioni sono ricoperte da soggetti inseriti in una carriera unica, anche se a partire dal 2006 - in un’ottica di sempre più stringente di separazione delle funzioni - sono state adottate particolari norme di sbarramento che rendono difficoltoso il transito dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa. In particolare l’art. 13 del Decreto legislativo 2006 ha previsto che "Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non e' consentito all'interno dello stesso distretto (della Corte d’appello), ne' all'interno di altri distretti della stessa Regione, ne' con riferimento al capoluogo del distretto di Corte di appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma puo' essere richiesto dall'interessato, per non piu' di quattro volte nell'arco dell'intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed e' disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneita' allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario.

    I presupposti della funzione giurisdizionale sono: 1) L’esistenza di una controversia (o lite) tra due o più soggetti che assumono il nome di parti; 2) l’esistenza di un giudice imparziale in grado di risolvere la controversia; 3) l’applicazione del diritto attraverso una decisione del giudice che si denomina sentenza.

    Nell’esercizio della funzione giurisdizionale vengono in gioco delle questioni particolarmente delicate cui i padri costituenti hanno inteso dare una particolare protezione, dando loro una copertura costituzionale.

    1. Diritto d’azione e di difesa: E’ riconosciuto a tutti coloro che si trovano nel territorio italiano il diritto di azione (art. 24 Cost:) inteso come diritto che permette ad ogni soggetto di attivarsi (cioè di agire di fronte all’autorità giudiziaria, contro qualcuno) affinché siano tutelati i propri «diritti soggettivi e «interessi legittimi». Nella stessa norma la Costituzione afferma che la difesa è inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Tale ultima garanzia, unitamente al principio del giudice naturale precostituito per legge impone il rispetto del principio del contraddittorio, l’imparzialità e terzietà del giudice. Secondo il principio del giudice naturale non possono essere istituiti giudici straordinari (art. 102 II c. Cost.), cioè giudici che vengano istituiti dopo che il fatto illecito sia stato commesso e quindi appositamente per quel fatto o per quel soggetto. I cittadini, infatti, hanno il diritto di sapere in via preventiva quali sono i fatti illeciti, ed anche quale sarà il giudice competente per tipo di giurisdizione (civile, penale, amministrativa), per grado di gravità (giudice di pace, tribunale, corte d’assise), per territorio (dove è avvenuto il fatto); a tal proposito si parla di diritto di non essere distolti dal giudice naturale precostituito per legge, art. 25 Cost.).

    2. Giusto processo L’art 111 (introdotto con legge costituzionale modificato con la legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999) detta alcuni principi fondamentali nell’ambito della giustizia penale: Secondo il nuovo dettato costituzionale, il processo penale deve essere caratterizzato da: 1) riserva assoluta di legge (cioè, il principio secondo cui solamente le leggi approvate dal Parlamento possono disciplinare lo svolgimento dei processi); 2) decisione terza e imparziale (il magistrato deve essere del tutto neutrale); 3) ragionevole durata (un processo non deve essere protratto troppo a lungo); 4) concreta possibilità di difesa (all’accusato devono essere garantiti tutti i mezzi necessari a costruire la propria difesa); 5) adeguata informazione sulla natura delle accuse a carico dell’imputato; 6) effettiva parità fra accusa e difesa (alle parti in causa deve essere garantito il diritto a presentare tutte le prove ritenute pertinenti e rilevanti); 7) contraddittorio nel processo di formazione della prova (le dichiarazioni di un accusatore che rifiuta di essere interrogato dai legali di un imputato non possono essere utilizzate come prova).

    3. Principio di imparzialità: il giudice deve essere terzo, cioè neutrale, rispetto alle parti in causa ( non deve parteggiare né per l’accusa, né per la difesa). Da qui le varie disposizioni che troviamo nei Codici di Procedura a proposito dell’impossibilità del giudice a pronunciarsi quando una parte o l’avvocato di una parte sia suo parente, oppure quando egli stesso abbia un qualche interesse, anche indiretto alla causa (casi che impongono la ricusazione o l’astensione dalla decisione)

    4. Principio di indipendenza: l’art. 101 Cost. stabilisce che «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». Ciò significa che: a) nel prendere le loro decisioni devono tenere presente solo la legge (intesa in senso lato, non nel senso di mera legge formale, cioè, quella emanata dal Parlamento - cfr. potere normativo del Governo); b) che è esclusa qualsiasi altro tipo di soggezione. Al fine di raggiungere in modo efficace questi risultati, occorre trovare degli strumenti per garantire sia l’indipendenza interna, sia quella esterna dei magistrati. Quest’ultima è garantita dall’art. 104 Cost. a mente del quale la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. L’autonomia dell’ordine giudiziario è una garanzia destinata ad esplicare i suoi effetti anche all’interno dell’ordine giudiziario e fa sì che ciascun magistrato possa autodeterminarsi autonomamente senza ricevere alcun condizionamento da altri magistrati dell’ordine giudiziario. L’indipendenza della magistratura tutela ogni singolo magistrato nell’esercizio della sua funzione ed esclude l’istituzione di una magistratura gerarchizzata in quanto i magistrati, secondo il dettato costituzionale si distinguono solo per funzione L’art. 107 Cost, a maggiore garanzia di indipendenza, stabilisce l’inamovibilità dei magistrati, prevedendone l’intrasferibilità in una sede diversa da quella in cui esercitano la funzione se non con il loro consenso.

    Molto problematica appare la questione relativa ai rapporti fra magistratura e politica, sebbene la Corte Costituzionale fin dal 2009 abbia segnalato la posizione peculiare ricoperta dal magistrato nell’ambito dell’ordinamento costituzionale, dalla quale derivano speciali doveri di imparzialità e di indipendenza che necessariamente devono essere osservati dal magistrato in ogni suo comportamento (Corte cost., sent. n. 224/20096). A tutt’oggi i magistrati, pur permanendo all’interno dell’ordine giudiziario, possono assumere incarichi politici ed elettivi purchè vadano in aspettativa di fuori ruolo e al rientro, siano adibiti a svolgere la funzione giurisdizionale in diverso ambito territoriale. La legge di riforma della giustizia, prossima all’approvazione, ne prevede invece parziale l’incandidabilità e l’obbligo dell’aspettativa almeno sei mesi prima la decisione di partecipare alla competizione elettorale.

    5. Principio dell’obbligatorietà dell’azione penale: E’ tipico del processo penale (nel processo civile il potere giurisdizionale si attiva solo su iniziativa di parte); tale principio comporta l’obbligo per il pubblico ministero di attivarsi ogni qualvolta ritenga di essere in presenza di un illecito penale, cioè di un reato. Questo modello di azione si collega al principio accusatorio, secondo il quale il giudice si dovrà limitare a giudicare sulla base delle prove che gli vengono portate dalle parti. Modello diverso, invece, è quello del principio inquisitorio, in cui lo stesso giudice può andare alla ricerca delle prove rilevanti ai fini della risoluzione della controversia che è stata portata alla sua attenzione.

    6. Obbligo della motivazione: tutti i provvedimenti del giudice devono essere motivati (art. 111 Cost.) e la motivazione deve riguardare sia i fatti portati all’attenzione del giudice, sia il diritto, cioè il ragionamento giuridico fatto dal giudice per arrivare a prendere la decisione contenuta nella sentenza.

    7. Principio del ne bis in idem: non si può chiedere ad un giudice di ritornare a decidere su una questione su cui si è già pronunciato. Ciò per ovvie ragioni di economia processuale, ma anche per garantire la certezza del diritto.

    3. Il Consiglio superiore della magistratura

    Il CSM è organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ordinari. Ha rilevanza costituzionale in quanto espressamente previsto dalla Costituzione, che ne delinea la composizione (art. 104) e i compiti (art. 105). Esso adotta tutti i provvedimenti che incidono sullo status dei magistrati (dall’assunzione mediante concorso pubblico, alle procedure di assegnazione e trasferimento, alle promozioni, fino alla cessazione dal servizio). Provvede inoltre al reclutamento e alla gestione dell’attività dei magistrati onorari. Ha infine il compito di giudicare le condotte disciplinarmente rilevanti tenute dai magistrati. Quest’ultima competenza gli è attribuita dalla legge n. 195 del 1958

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