Figli destituenti: I gravi aspetti di criticità della RIFORMA COSTITUZIONALE
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Anteprima del libro
Figli destituenti - Giuseppe Palma
Costituzionale
PREFAZIONE
a cura dell’avv. Marco MORI
Con la sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale si è sostanzialmente scoperta l’acqua calda: il porcellum è dichiarato costituzionalmente illegittimo, e ciò sia in riferimento al premio di maggioranza (mancanza di una soglia minima oltre la quale avrebbe dovuto trovare applicazione il premio) che alla mancata possibilità per l’elettore di poter esercitare la facoltà di esprimere la propria preferenza in ordine ad uno specifico candidato.
L'illegittimità del Parlamento avrebbe dovuto condurre ad un ovvio reset istituzionale, con la restituzione della sovranità al popolo per l'immediato ripristino della rappresentatività democratica, ma ciò non è quello che è accaduto.
La Corte Costituzionale, dopo aver dichiarato l’incostituzionalità della legge, si è purtroppo anche così espressa:
"È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere. Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. retroattività
di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984) (n.d.s. - perché la Corte si è affannata a specificare questo concetto? Forse perché esso palesemente sovverte la naturale efficacia retroattiva delle sue sentenze? Quantomeno ambiguo: excusatio non petita, accusatio manifesta). Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti (n.d.s. - clamorosamente falso visto che l'art. 66 Cost. dispone: "ciascuna camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di illegittimità ed incompatibilità". Quale causa sopraggiunta di illegittimità è più grave di una pronuncia di incostituzionalità della legge elettorale? Non ne immagino alcuna). Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali. Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.)".
Ciò premesso, la Corte afferma chiaramente che la composizione attuale dei due rami del Parlamento costituisce situazione giuridica esaurita e che dunque la legittimazione delle Camere, anche a legiferare, ad oggi permane. Tuttavia la situazione è ben diversa rispetto a quanto prospettato nella citata sentenza che risulta affetta da gravi errori, sia sotto il profilo logico, sia sotto quello giuridico.
La Corte Costituzionale ha certamente commesso un errore rendendo lecito il dubbio che il porcellum stesso abbia demolito il suo ruolo di garanzia del rispetto della democrazia costituzionale, ruolo possibile ove l'indipendenza dei suoi componenti dagli altri poteri dello Stato sia assoluta. Per i giuristi è dunque venuto il momento di smettere di voltarsi dall’altra parte e dire le cose come stanno; le conseguenze, infatti, sono fin troppo gravi. Il fatto che siano magistrati in forza alla Corte Costituzionale a commettere certi errori non ci impone di stare in silenzio.
Il diritto di opinione resta. Ma andiamo con ordine.
In primo luogo, per capire il punto, occorre ovviamente chiedersi quali siano i poteri della Corte Costituzionale e se, conseguentemente, la stessa avesse o meno la possibilità di pronunciarsi, con gli effetti propri del giudicato, su qualcosa di diverso dalla mera declaratoria di incostituzionalità della norma oggetto del suo esame, o di quelle consequenziali ad essa. Effettivamente vi sono solidi argomenti giuridici per ritenere che la pronunzia in merito all’attuale legittimazione del Parlamento sia, oltre che palesemente errata, anche assolutamente incidentale e dunque non vincolante nel nostro ordinamento, e ciò in quanto la determinazione degli effetti dell’incostituzionalità di una norma non rientra affatto nei poteri che la Costituzione conferisce alla Corte medesima ai sensi dell’art. 134. In claris non fit interpretatio. A fondamento della propria presa di posizione circa la piena legittimazione dell’attuale Parlamento la Corte richiama due norme di legge. Tuttavia, proprio menzionando tali norme, la Corte stessa finisce per evidenziare compiutamente gli evidenti vizi del proprio ragionamento. Le norme richiamate, infatti, codificano gli effetti della declaratoria d’incostituzionalità sancendone la piena retroattività. Esaminiamole.
L’art. 136 Cost., a piena conferma del ragionamento dello scrivente, dispone:
"Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione".
Dunque è la Costituzione stessa a determinare quali siano gli effetti della declaratoria d’incostituzionalità e non la Corte Costituzionale. Secondo la Costituzione la norma dichiarata incostituzionale non viene abrogata ma perde di efficacia all’interno dell’ordinamento. La perdita di efficacia è qualcosa di ben più profondo di una semplice abrogazione in