Melaverde

Sorelle di latte

vrete sicuramente già sentito il termine “sorellanza”. Andando a curiosare tra i vocabolari della lingua italiana si trovano definizioni che spiegano questa parola come “il rapporto naturale tra due sorelle, il vincolo naturale che le unisce” o, in senso più ampio, “il sentimento di reciproca solidarietà tra donne”, come quando ad esempio utilizziamo. Pensate anche quante storie ha raccontato ad esempio il cinema con “sorelle” come protagoniste. Da a , da a , da fino a di Aldrich o di Bergman. E potrei aggiungerne molti altri. Storie di grandi legami positivi e potenti, ma anche di contrasti e incomprensioni. Storie belle, a volte fantastiche, oppure drammatiche e senza un lieto fine, cartine tornasole della fragilità e complessità dei rapporti umani, anche quando si è nati sotto uno stesso tetto. Una storia di “sorellanza positiva” è senz’altro quella di Marta e Sara, due sorelle che vivono a Sappada, paesino nell’estremità nord-orientale delle Dolomiti tra il Cadore e la Carnia, al confine tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Pur avendo avuto la possibilità di crearsi una nuova vita altrove, insieme hanno scelto di rimanere dove sono nate, lì dove il papà e prima ancora il nonno, hanno costruito la loro piccola attività, fatta, ancora oggi, di poche vacche da latte, un minuscolo laboratorio dove produrre qualche formaggio, un negozietto dove venderlo. Quando è arrivato qualche anno fa il momento di decidere se andare o restare, la voglia di entrambe era quella di rimanere. Alla domanda quale fossero i ricordi più belli della loro infanzia, mi rispondono che sono quelli legati ai momenti passati insieme al nonno, che le portava con sé a mungere e poi insieme si trasportava il poco latte raccolto al vecchio caseificio turnario del paese, attraversando i prati e i boschi della zona circondati da montagne incontaminate, tra profumi e silenzi che sono rimasti impressi in modo indelebile nella loro memoria. Ma c’era bisogno di un’idea nuova per restare. Qualcosa che possa dare una prospettiva su cui lavorare. E qui sono intervenute la forza della memoria, della tradizione e della sorellanza. L’idea è arrivata. Produrre un antico formaggio spalmabile che si produceva in tutte le case. Si chiama . In sappadino “ricotta acida”. È un latticino fresco, cremoso, spalmabile, insaporito con dragoncello di montagna, un’erba che non è mai mancata sui monti e negli orti della zona. Un tempo, il si produceva con il latte che rimaneva dalla produzione di altri formaggi: lo si lasciava 4 giorni in recipienti di ghisa sul bordo delle stufe a legna fino a ottenere la giusta consistenza; la cagliata veniva quindi fatta sgocciolare in sacchi di lino e, infine, la si mescolava al dragoncello per essere poi conservata in mastelli di legno. Oggi tutto naturalmente viene fatto rispettando le norme di legge. Un prodotto di nicchia che stava scomparendo e che oggi è diventato il 19° Presidio del Friuli-Venezia Giulia. .

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