Siediti, ti racconto Vermezzo
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Anteprima del libro
Siediti, ti racconto Vermezzo - Associazione Vivere Vermezzo
PREFAZIONE
Questo libro è nato per far incontrare la nuova e la vecchia Vermezzo, i neo residenti e gli abitanti storici del nostro paese. Immaginate un grande camino in mattoni rossi, dentro il fuoco acceso, fuori la nebbia unica della nostra pianura lombarda e … la voglia di raccontare.
Non è opera di un unico autore e neppure di un gruppo, si tratta piuttosto di un libro corale e la lunga lista dei ringraziamenti, posta in chiusura, lo dimostra. Alcuni si sono spesi di più, altri, per motivi contingenti, di meno, ma mai è apparsa la volontà di protagonismo di nessuno: perché il fine era costruire qualcosa che ci facesse sentire tutti parte di un'unica comunità.
Il libro si articola in sedici racconti frutto di interviste individuali o collettive, fatte ad alcuni protagonisti della Vermezzo del ‘900. Le interviste sono state fatte dal settembre 2012 al luglio 2014 e ogni racconto è una fotografia del momento nel quale è stata raccolta la testimonianza. I mutevoli accadimenti della vita occorsi agli intervistati da quella data non fanno parte del libro e non hanno intaccato l’immagine di quell’ attimo immutabile e speciale in cui ci hanno donato i loro ricordi.
L’utilizzo di frasi in milanese, nella maggior parte dei racconti, è stata una scelta obbligata per rispettare l’immagine degli intervistati, nonché delle persone e dei luoghi raccontati. Dove il significato non si evince dal testo, le note con la traduzione sono riportate a piè di pagina. Queste sono il più possibile letterali, cioè conformi al dialetto. Quindi, talvolta, l’espressione italiana non è delle più corrette, ma abbiamo privilegiato la comprensione del dialetto milanese da parte di quelle persone che non conoscono la parlata locale. Analogamente, abbiamo usato l’articolo davanti ai nomi propri: grammaticalmente scorretto in italiano, ma utile per rendere la suggestione del milanese nelle parole degli intervistati.
Laddove è stato possibile, l’Associazione ha cercato conferme documentali ai fatti riportati ma, dove ciò non è accaduto, si riserva la facoltà di manlevarsi da ogni responsabilità per quanto riportato nel libro, frutto di ricordi e pertanto sempre passibili di diversa interpretazione.
INTRODUZIONE
E’ curioso notare come, in due circostanze per molti versi simili, il comportamento umano possa differire. Se ci rechiamo da turisti in un posto nuovo, tra le prime curiosità c’è quella di conoscere il passato di quei luoghi: quale buona guida turistica non esordirebbe con i cenni storici
? Al contrario, se ci trasferiamo a vivere in un paese nuovo, indifferentemente se sia lontano o vicino a quello di provenienza, ci interessa solo il presente di quel luogo, la qualità di vita che ci offre: i servizi, le occasioni di incontro e di svago e che, magari, i nuovi vicini di casa siano almeno un po’ simpatici. La curiosità su che cosa sia accaduto in quel posto prima del nostro arrivo fa capolino solo col passare del tempo. Ad un tratto, inaspettatamente, notiamo un antico e bellissimo palazzo, il nome insolito di una via che onora un personaggio del luogo e ci incuriosiamo il giorno della festa del paese per le sue tradizione quasi perdute.
E allora incontriamo il passato di questi luoghi, a volte protagonisti della Storia ufficiale, altre solo comparse, ma tutti hanno una loro storia unica ed irripetibile: non una storia di eventi, di guerre, di personaggi, ma una storia fatta di uomini! Della nostra Vermezzo abbiamo voluto raccontare questa bella storia umana: storie di vita contadina, storie di artigiani preziosi e infaticabili, storie di amori e di amicizie durate più di un’intera vita. La Storia, quelle ufficiale, quella con la S maiuscola e la storia locale scritta negli annali e già diversamente narrata, fanno talvolta capolino nei nostri racconti, ma non tra le parole morte dei giornali o degli archivi, piuttosto nei volti vivi, negli occhi accesi, nelle voci rotte dalla nostalgia delle persone che l’hanno vissuta.
E’ questa la storia che abbiamo voluto raccontare ai tanti nuovi vermezzesi e ricordare ai nostri residenti storici. Una storia che è preziosa eredità da cui partire per mettere radici in un posto nuovo e continuare a costruirne la storia … umana.
1 - CASCINA GRANDE
C:\Users\Lenovo\AppData\Local\Microsoft\Windows\Temporary Internet Files\Content.Outlook\C6MZPXD6\1.jpgE’ l’autunno del 1941 e nel giorno di San Martino, la famiglia Tessera si accinge al San Michee
, il trasloco da cascina a cascina per un nuovo contratto di lavoro del capofamiglia: l’Ambrogio, trattorista specializzato.
L’Ernestina, la primogenita, ha nove anni e vive con preoccupazione l’evento: cosa troverà nel nuovo posto? Come sarà quel paese che le dicono chiamarsi Vermezzo? Che compagni troverà nella nuova scuola in cui dovrà frequentare la quarta elementare? Pensieri che non sfiorano la sorellina Lidia, di soli sei mesi. Nessuna delle due sa ancora che quel paese, Vermezz, sarà la loro dimora per tutti gli anni a venire e il luogo dove si svilupperà la loro intera esistenza.
La famiglia arriva, quindi, a Cascina Grande, non molto distante dal centro abitato: una strada dritta e bianca, che corre tra campi e rogge, li conduce a quell’ingresso imponente e merlato, oltre il quale sorgono splendidi edifici in stile sforzesco. La cascina è grandissima: ci vivono e lavorano un centinaio di anime. La mamma Erminia prepara e rassetta la nuova casa, il papà intanto prende confidenza col Landini
, il trattore sul quale passerà lunghe giornate per sfamare la famiglia.
Oggi, Ernestina è una splendida signora di ottant’anni, a cui luccicano gli occhi mentre i ricordi le si affollano tutti insieme nella mente. La Lidia, sempreverde sgarzulìna¹, l’aiuta a metterli in fila, a non confondere i nomi e le ricorrenze. Entrambe quasi incredule di come, aprendo lo scrigno dei ricordi, questi ne fuoriescano freschi e intatti a distanza di decenni.
Il fittavol² dell’epoca era il Ticozzi, una brava persona. In cascina risiedevano circa diciassette famiglie, alcune delle quali, ancora oggi, abitano in paese, come i Pastori, i Bragalini, i Tesa con due distinti nuclei, i Bonetti, i Passoni. E poi c’erano i Gardini, i Lattuada, i Gramegna, gli Andreoni, i Barani, i Giorgi e i Mariani e altri che adess me regordi nò
³.
L’Ernestina va a scuola fino alla quinta, "che poeu gh’era pù nient",⁴ e per proseguire gli studi occorreva andare fuori paese. Un giorno, mentre i braccianti si accingono ad andare nei campi, si rivolge al fattore e gli dice che anche lei vuole lavorare: che si sente pronta. Lui la guarda sorridendo e pronuncia parole che lei non dimenticherà mai più: "tosa⁵, se prendi in mano la zappa ora non la lascerai per tutta la vita!". Ma la assume come bracciante e oggi è lei a sorridere, constatando che quella era una profonda verità per quei tempi ma non per quelli che seguiranno da li à poco.
La dura vita contadina a Cascina Grande è scandita, raramente, da momenti di riposo e divertimento. Uno di questi è il giorno dell’Ascensione, el Dì de l’Ascénsa
, che rappresenta un momento di festa grande in cascina, con cerimonia davanti al dipinto della Madonna e il Don Silvestro (Beneggi) che benedice le campagne. La tavola è un po’ più ricca del solito e, dopo pranzo, si balla accompagnati dalla fisarmonica dell’Ernesto Pastori, che el sonava a oreggia ma l’era bravo weh
⁶. Più avanti arriverà il progresso e la fisarmonica verrà sostituita dal grammofono della Giovannina Lattuada e sotta a ballà!
⁷. Un altro momento di festa cade in inverno, nel periodo dell’uccisione del maiale, quando tutte le famiglie a turno si passano il trespolo su cui appendere l’animale e si adoperano nella preparazione delle carni per la conservazione e l’insaccamento. Il duro lavoro è ricompensato dall’immancabile cena finale presso ciascuna famiglia in cui tutti, grandi e piccoli, sono chiamati a godere della momentanea abbondanza.
La stagione invernale vede le donne ferme col lavoro nei campi, mentre per gli uomini ,i salariaa
⁸, si riducono le ore di occupazione in conformità con quelle di luce della giornata: faseven la romanella, ona tirada unica dai noef de la mattina ai trè del posdisnaa
⁹. E così anche il pasto del mezzogiorno diventa un tutt’uno con la cena, inscì gh’éra un poo de risparmi
¹⁰. Nel tardo pomeriggio, si lascia spegnere la stufa nelle case contadine perché la legna l’era minga tanta de trasà
¹¹. Ci si ritrova tutti nella stalla: l’unico posto