La Carambola
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Anteprima del libro
La Carambola - Maria D'Alessandro
Maria D’Alessandro
La Carambola
© 2023 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-3588-7
I edizione marzo 2023
Finito di stampare nel mese di marzo 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
La Carambola
La Carambola
Se pensiamo al suo significato metaforico, la carambola è una perfetta rappresentazione della mia vita: carambolavo, balzando da una parte all’altra, da un impegno all’altro, proprio come una palla da biliardo sin da bambina.
Mi trovavo spesso nel corso della giornata a districarmi tra impegni molto diversi tra loro, a fare avanti e indietro per diversi chilometri, a cimentarmi nelle occupazioni più disparate.
Ma è soprattutto il frutto che meglio rappresenta la mia personalità.
La carambola è un frutto originario dell’Asia. Ha le dimensioni di una grossa prugna, ma un sapore asprigno come il mio carattere. Un caro amico e collega, parlando con una mia nipote, una volta mi ha definito senza filtri
. Sono diretta, all’apparenza dura, burbera quando è il caso ed estremamente istintiva: sono quello che sono e mi mostro senza fronzoli o abbellimenti. Sono un tutt’uno, proprio come la carambola, che ha una buccia molto sottile, impossibile da togliere e quindi interamente commestibile.
Nel lavoro, nel tempo libero, nel rapporto con i miei amici e con la mia famiglia sono stata a volte pignola, perfezionista, ma non ho mai fatto nulla senza passione. Tutti dicono che io ho un cuore grande, ma che molto spesso mordo. Quando mi sento attaccata so essere molto rude, eppure non negherei mai il mio aiuto a qualcuno che ne abbia bisogno. Non è da me utilizzare parole vuote senza costrutto, alle quali ho sempre anteposto i fatti. Per questo, mi si potrebbe forse definire agrodolce.
I fiori bianchi o rossi della carambola, legati a grappolo tra loro, ma ognuno indipendente e con una forte identità, mi sono sempre piaciuti tantissimo. Però, quello che trovo più affascinante di questo frutto è la sua forma. Infatti, non solo quando è maturo è di colore giallo e arancio, ma si caratterizza soprattutto per cinque creste rialzate che si alternano a scanalature, per cui, una volta tagliato a fettine, il frutto diventa una vera e propria stella a cinque punte.
Una stella. La mia guida, la mia meta sempre.
Quando undici anni fa mi sono trasferita in collina, nella periferia di Salerno, accanto al portone di casa, sulla targa che porta il nome, un bel medaglione barocco metrese, ho fatto scrivere un proverbio africano: "Bisogna saper annodare una stella all’aratro".
Le persone si fermavano a leggere, incuriosite, chiedendosi cosa c’entrasse l’aratro con me, una dottoressa, che cosa mai avessi voluto dire.
È un proverbio che ho tenuto presente tutta la vita.
Ho sempre tenuto d’occhio la mia stella perché so che la vita può essere persino più gravosa di un aratro.
Ma, con una luce da seguire, che sia una meta, un progetto, una speranza, che sia anche solo un’illusione, il trainare diventa più semplice e il nostro aratro ci pare più leggero.
È per questo che mi piace tanto la carambola: mi ricorda la mia vita e la mia essenza.
Capitolo 1
Sono nata a Tramonti, in Costiera Amalfitana, da mamma tramontina e papà lucano, ma cresciuto a Tramonti. Le nostre origini, in un certo senso, potrebbero spiegare sia la storia della mia famiglia, sia le ragioni della mia tempra, del mio carattere.
Dalle mie parti si usa dire: "Quella è costaiola!", per definire una donna dal carattere forte o dalla testa dura.
Oggi, pensando alla Divina Costiera, per prima cosa vengono in mente i meravigliosi panorami, le testimonianze storico-artistiche divenute patrimoni dell’Unesco e le incredibili bellezze naturali, ma non è necessario un grande sforzo di immaginazione per capire che bisogna essere dotati di una certa tempra per vivere e lavorare tra quei monti. Basti pensare alla fatica che ci vuole per coltivare gli stretti campi terrazzati, strappati alla montagna; a quanto sudore c’è dietro quei meravigliosi alberi di limoni, a quanto costa, a chi lavora lì, salire e scendere, ogni giorno, le scale alte e diroccate. Ricordo quando ero bambina e andavo a trovare mia nonna e osservavo, ammirata, le donne salire e scendere centinaia di gradini, trasportando pesanti ceste di legno intrecciato colme di limoni.
Quella di chi in costiera ci vive e ci lavora è una vita dura persino adesso perché, nonostante il progresso tecnologico e i nuovi mezzi di trasporto, ancora ci sono posti in cui è possibile arrivare solo tramite scale, e anche portare un paio di buste con la spesa può diventare difficile.
Ancora meno agiata era la vita dei contadini di un tempo che, privi di macchine, di autobus, di ascensori, potevano contare solo sulle loro gambe per salire e scendere da quelle montagne. Per questo, abituati a una vita più difficile, gli abitanti delle zone costiere sono famosi per il loro carattere tenace.
Vivendo arroccati sui monti, i costaioli
hanno sviluppato un temperamento schivo e sospettoso. Sono molto legati ai loro usi e alle loro origini e amano starsene chiusi nei loro ambienti. Tuttavia, da quei monti hanno sempre visto il mare.
E così, hanno due anime: una da montanaro e una da marinaio. Legando a una forte tradizionalità, una mentalità più aperta, hanno sviluppato spirito di avventura e una maggiore capacità di adattamento al nuovo.
Mio padre, Pasquale, aveva in sé questo dualismo.
Era un pastore di origini molto umili, ancorato alle tradizioni, prediligeva un’educazione rigida basata sul rispetto a tutti i costi, aveva una visione della famiglia un po’ all’antica e sosteneva, come molti nell’ambiente in cui sono cresciuta, che i figli si baciano nel sonno, altrimenti se ne approfittano e diventano scostumati
. Si preoccupava spesso di cosa pensasse la gente e aveva a cuore che tutti noi mantenessimo un comportamento che non desse adito a pettegolezzi.
D’altra parte, però, c’erano cose in cui si mostrava aperto e lungimirante, come quando prese, insieme a mia madre, la decisione di spostarsi a Salerno per provare a migliorare la nostra condizione economica e permettere a noi figli, in futuro, di studiare.
Ha dimostrato di essere privo di pregiudizi, investendo moltissimo nella mia istruzione in un’epoca in cui la scolarizzazione femminile era ancora considerata una perdita di tempo e non ha mai avuto niente da ridire quando, a diciott’anni, scelsi di iscrivermi a Medicina. All’epoca non era assolutamente comune, per una donna, andare all’università, ancora meno iscriversi ad una facoltà scientifica. Eppure, mio padre non batté ciglio. Si limitò a dirmi: «Io ti compro i libri, ma tu devi leggerli».
Mia madre Rosalia era più aperta. Era una donna molto avanti per l’epoca in cui ha vissuto e aveva una mentalità che poteva risultare esagerata, se non strana.
I miei genitori sono sempre stati una coppia unita. Si sono fidanzati che avevano tredici o quattordici anni, si sono sposati giovanissimi e sono rimasti insieme per sessant’anni. Non ricordo una sola volta in cui mio padre sia uscito senza mia madre, se non per andare a lavorare. Non andava neanche a prendere un caffè al bar senza di lei. Per lui, la famiglia veniva prima di ogni altra cosa. Agli occhi di tutti erano una coppia unita e affiatata. Mia madre diceva spesso: «È venuto ad abitare vicino casa mia che aveva sette anni e già gli volevo bene».
Sono cresciuti insieme e questo li ha portati a vivere in simbiosi. Mio padre non aveva un carattere semplice, era molto severo, a volte brusco, ma mia madre lo tollerava perché era una persona onesta e sapeva che non l’avrebbe mai tradita.
Erano una squadra sia nella vita che nel lavoro. Mio madre collaborava nella gestione dei pascoli e alla lavorazione del latte.
Fu lei ad avere l’idea di non vendere più il latte ai caseifici e di iniziare a lavorarlo in casa, per provare a trarne un maggiore profitto. Così, quando avevo pochi mesi, ci trasferimmo a Salerno, dove mamma imparò a lavorare formaggi e ricotta; iniziarono a produrre a filiera corta. Mamma riuscì a creare una sua piccola catena di distribuzione privata e ogni giorno aveva uno o due palazzi da rifornire.
La famiglia iniziava a crescere pian piano. Un anno e mezzo dopo di me nacque mio fratello Luigi, poi Gerardo… fino a Teresa, la settima.
Trasferirsi a Salerno non significò lasciarsi alle spalle la vita a Tramonti. Casa nostra è sempre stata frequentata da parenti e vecchi amici dei miei genitori che, se si trovavano in città per un servizio o una commissione, inevitabilmente passavano a trovarci.
«Agg passat a salutà!», dicevano e ogni volta era una festa. Anche se erano arrivati inaspettati, non potevano andare via senza fermarsi a pranzo o a cena.
I miei genitori erano nel cuore di tutti.
Quando papà morì, nel Duemila, venne a trovarlo un suo vecchio amico che anni prima, dopo essersi sposato, si era trasferito a Cava dei Tirreni.
Era il figlio di un uomo con il quale mio padre aveva lavorato da ragazzino come garzone. Erano passati anni, ma il ricordo e l’affetto non erano svaniti.
Tanto voleva bene a mio padre che si era fatto accompagnare in macchina, poiché non guidava, lo stesso giorno in cui aveva perso sua moglie.
Non poteva sopportare l’idea di non dirgli addio.
Nella vita siamo abituati