Melaverde

Dolci tradizioni

Un tempo era considerato il “pane dei poveri” mentre oggi è una prelibatezza apprezzata in tutta Italia: da millenni il fico bianco del Cilento viene essiccato al sole della Campania che gli regala il suo gusto inconfondibilmente zuccherino

Quanto vale un fico secco? Praticamente nulla, se dobbiamo dar retta ai modi di dire. Nulla di più sbagliato! “Più di un altare scintillante”, secondo il poeta francese Francis Ponge, che eleva alberi e frutti di fico a emblema dell’arte poetica, dedicando loro la raccolta , purtroppo non ancora tradotta in italiano. È possibile Dottato, conosciuta sin dai tempi dell’antica Roma come , dicitura che allude alla Caria – regione storica dell’Asia Minore che ha dato i natali ai fichi – e che oggi è il nome scientifico della specie. La pianta si distingue dalle altre varietà per le grandi foglie trilobate di colore verde intenso nella parte superiore e verde pallido in quella inferiore, dove inoltre sono presenti nervature molto pronunciate. Anche il frutto fresco è chiaramente distinguibile grazie alla particolare lucentezza della buccia, che con la maturazione tende a diventare di colore giallo chiaro. Già Catone, Varriale e Columella – gli autori dei tre testi di agronomia della letteratura latina a noi pervenuti – tra II secolo a.C. e I secolo d.C. riportano la pratica contadina di essiccare i fichi al sole per ottenere un cibo che fornisse energia sufficiente al lavoro dei campi e che fosse disponibile tutto l’anno. È tuttavia probabile che le radici di questa prelibatezza vadano ricercate in epoche ancora più remote. Si ritiene infatti probabile che il fico Dottato sia presente nel Cilento almeno dal VI secolo a.C., quando venne importato dai coloni greci: le brezze marine e la barriera posta dagli Appennini alle fredde correnti provenienti da nordest hanno infatti creato le condizioni ideali per una produzione abbondante e di ottima qualità, e questo ha consentito una commercializzazione abbastanza precoce del fico essiccato. Col passare del tempo gli umili fichi secchi acquisirono uno ben diverso: la prima testimonianza in tal senso risale al 1486 ed è il , documento che ci lascia intravedere un mercato molto distante dalle origini contadine del prodotto, che nel XV sec veniva avviato sui principali mercati italiani come alimento di pregio. La metà dell’Ottocento segna un punto di svolta: nacquero infatti le prime ditte di prodotti gastronomici tipici, che commercializzarono i fichi del Cilento in tutta Europa e negli Stati Uniti, dove era alta la domanda da parte degli emigrati italiani, desiderosi di gustare i sapori della madrepatria, soprattutto durante il periodo natalizio. Dal 2006 questa specialità locale ha ottenuto la Denominazione di Origine Protetta, pertanto la sua produzione è regolata da un disciplinare: la raccolta dei fichi – che inizia in genere nel mese di agosto e può protrarsi fino a ottobre – si svolge in un’area geografica ben delimitata che comprende solo 68 comuni, all’interno della quale devono svolgersi anche le fasi di essiccazione e lavorazione. A seconda del tipo di seccagione, cambia l’aspetto: se il fico è fatto essiccare in forni ad aria calda diventa di colore bruno-dorato, mentre lasciato al sole assume il caratteristico colore chiaro che gli è valso il nome. Inoltre, è possibile privare i fichi della buccia ottenendo così i pregiati , dal colore che tende al bianco puro e dal sapore prelibato, purtroppo sempre più rari a causa della laboriosa preparazione necessaria. Esistono anche versioni che prevedono la farcitura del frutto una volta essiccato; in questo caso si parla di fichi , ossia spaccati e riempiti con mandorle, noci, nocciole, semi di finocchietto oppure bucce di agrumi candite. Attenzione, però: gli ingredienti aggiunti devono provenire esclusivamente dalla zona di produzione del fico e l’insieme della farcitura non deve superare il 10% del prodotto finito.

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