Melaverde

La regina delle sagre

almente tenera da sciogliersi in bocca ma croccante; saporita e speziata, ma al contempo delicata al palato; ottima con il vino rosso, ma anche con il bianco e deliziosa se accompagnata con le bollicine… Sembra impossibile, eppure da secoli esiste un prodotto in cui convivono in armonia tutti questi opposti: è la porchetta! Tipico delle regioni centrali e di parte dell’Emilia-Romagna, questo preparato di carne si ottiene dalla lunga cottura in forno a legna di maiali giovani (al massimo di 80 kg) che vengono privati delle interiora, farciti e ci tramanda ben due ricette di , e Macrobio nei , narrando di un banchetto, descrive il cosiddetto , un maiale arrosto farcito di altri animali così chiamato per lo spassoso parallelismo con il cavallo di Troia. Per secoli, la porchetta ha continuato a essere la protagonista delle tavole aristocratiche, spesso con farciture oggi inimmaginabili: celebri nel corso del Rinascimento, i ripieni di anguilla, maccheroni o “alla corradina” (con vitello, uova e tartufo). Eppure in questo piatto rimaneva, invincibile, l’anima popolare come testimoniava la festa di San Bartolomeo di Bologna: nata nel 1254 per celebrare la cacciata di Re Enzo, durante l’evento si svolgeva un palio per i cavalieri in cui, al secondo classificato, veniva regalata una porchetta. Questa poi, coronata d’alloro, veniva gettata dalla ringhiera del Palazzo degli Anziani al popolo, che se ne disputava i brandelli. Nel 1950 si perfeziona il “rituale” della porchetta come fattore di aggregazione sociale con la prima Sagra della Porchetta di Ariccia che, grazie a una ricetta del lontano 1896 che si è via via trasformata in un disciplinare di produzione, ha conquistato nel 2011 il prestigioso traguardo di Indicazione Geografica Protetta (IGP). La tradizione locale sembra avere origine ai tempi dell’antica Roma, quando il maiale si trovò al centro di un curioso intreccio tra sacro e profano: gli dei oggetto di culto nella zona (in particolare la dea Maia e Giove, cui era intitolato un tempio nei pressi del vicino Monte Cavo) gradivano molto i sacrifici di suini. Anche l’aristocrazia senatoria che trascorreva l’estate ad Ariccia amava questa carne! Fu così che nacquero e si perfezionarono nei secoli le maestranze che, ancora oggi, ci consentono di apprezzare uno dei prodotti più amati della cucina italiana.

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