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La cucina pugliese
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E-book409 pagine3 ore

La cucina pugliese

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Info su questo ebook

In oltre 400 ricette

Un autentico vademecum, dai piatti della tradizione ai “nuovi” gustosi sapori

Dagli antipasti alle zuppe e alla pastasciutta, dai gustosi piatti di carne al pesce, spesso accompagnati da colorate composizioni di verdure, fino ai dolci tipici e al buon vino, ecco una guida dettagliata, approfondita e fantasiosa ai segreti di una delle cucine più solari d’Italia, che ha saputo, come poche altre tradizioni gastronomiche, sfruttare nel modo più completo, vario e intelligente le risorse alimentari della terra. Innanzitutto l’olio, che non verrà mai sostituito dal burro se ci si abituerà al suo sapore forte e alla sua densità caratteristica. E poi il grano, da sempre presente sulla tavola dei pugliesi, in tutte le sue varietà più o meno raffinate. Il pane in questa regione viene quasi idolatrato. E sono proprio le preziose ricchezze naturali che compongono e arricchiscono le pietanze pugliesi, eredi di tradizioni antiche e mai dimenticate: come il celebre rito dell’uccisione del maiale, che coinvolge intere comunità nella spartizione e nell’utilizzo diversificato di tutte le sue parti. Un autentico costume popolare, questo, che rivive nel volume accanto a tanti altri descritti da un grande storico della gastronomia come Luigi Sada.

Luigi Sada

tarantino di nascita e barese di adozione, ha dato un notevole contributo alla conoscenza della Puglia, e in particolare di Bari, sotto il profilo storico, demologico e linguistico. Particolare attenzione ha dedicato alla gastronomia della sua terra, divenendo emulo di Vincenzo Corrado. Ha pubblicato articoli e saggi su riviste di diffusione nazionale ed è stato spesso ospite in trasmissioni televisive e radiofoniche. È autore inoltre di numerosi volumi sugli aspetti più vari della storia e delle tradizioni pugliesi.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854146112
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    Anteprima del libro

    La cucina pugliese - Luigi Sada

    110

    Prima edizione ebook: ottobre 2012

    © 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4611-2

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Luigi Sada

    La cucina pugliese

    Un autentico vademecum della tradizione culinaria pugliese.

    Dalle antiche ricette, riscoperte dal noto storico

    della gastronomia, ai nuovi ghiotti e gustosi sapori

    Presentazione di Francesco Gabrieli

    A mia moglie Lena

    cuciniera di classe

    Presentazione

    L'autore di questo libro è uno studioso e docente pugliese in cui si incontrano e fondono nel modo più felice gli interessi dello storico e del demopsicologo e indagatore del costume, riflesso specialmente nella gastronomia. Dai grandi conviti del Rinascimento alle odierne attività e attrattive culinarie della nostra terra, l'epopea di questo Apicio o Artusi barese spazia per i tesori della storia e del folklore pugliese: ci si può assidere sotto la sua guida al pantagruelico banchetto nuziale di Bona Sforza, duchessa di Bari e regina di Polonia, come ai fasti di qualche onorata taberna dei nostri giorni; e il vasto campo è da lui percorso ora sul filo cronologico ora su quello della gastronomica materia, come i trionfi dell'olio, del grano, del vino, pezzi forti di ogni fasto culinario pugliese.

    Un non pugliese di nascita, ma di sangue, sente risorgere in queste pagine ricordi e sapori della lontanissima infanzia, specie, nel proprio caso, nelle specialità dolciarie del paterno e materno Salento: la cotognata, i mostaccioli, i fruttoni, delizia dei nostri giovani anni che ci ha accompagnato un po' per tutta la vita. E come lo storico di Roma, trattando dei suoi tempi più antichi, sentiva rifarsi antico l'animo, così in un «anziano» carico d'anni Sada risuscita le care leccornìe dell'infanzia, i cari volti che ce le fornirono, l'incanto insomma dell'età favolosa. Ne sia ringraziato l'esperto evocatore. Beviamo e gustiamo, con parca misura di saggezza, dal patrimonio secolare dei padri.

    Roma, luglio 1994

    FRANCESCO GABRIELI

    Accademico dei Lincei

    Avvertenze

    1. Per quanto attiene ai termini dialettali è da tenere presente una semplice norma per la e delle due sole aree vernacolari la barese e la foggiana; quella salentina non conosce il fenomeno di questa vocale.

    La e con accento grave (è) va pronunziata aperta; quella con l'accento acuto (é) è chiusa. Le e senza accento, interne o finali, sono mute; la e isolata è congiunzione e ha suono chiuso.

    2. Le dosi valgono per 4-6 persone e qualche volta per 2. Molte ricette non riportano la quantità degli ingredienti; si sa che non è possibile indicarla, giacché per molti componenti la vivanda, come ad esempio i pesci, gli animali, gli ortaggi quali la rapa, il cavolo, ecc. bisognerebbe sapere, prima dell'acquisto, quale sarà il peso netto, in quanto si opereranno lo svuotamento dei visceri agli uni e lo sfoltimento dei torsoli e delle foglie agli altri. Ciascuna massaia sa queste cose e si regolerà come ritiene opportuno.

    3. Per non appesantire la lettura non ho indicato - come era nelle intenzioni - alla fine di ciascuna ricetta o la sigla della provincia o la città o il paese in cui si attua la vivanda, ma di tanto in tanto ho menzionato in qualche frase lapidaria la località.

    Ringraziamenti

    Rivolgo un sentito ringraziamento a quanti, nelle proprie capacità e professionalità, mi hanno profferito consigli o procurato alcune ricette tradizionali. In particolare voglio ricordare i seguenti amici, che indico con una sigla alla fine della ricetta:

    Leonardo Altomare di Molfetta, studioso di gastronomia (Al); Professoressa Gigliola Blandamura di Taranto, critico d'arte (Bl); Dottoressa Alba Bucci di Lecce, scrittrice (Bu); Dottoressa Maria Teresa Fuiano Masullo di Foggia, scrittrice (Fu); Dottoressa Nunzia Maria Jurlaro Ditonno, di Brindisi, scrittrice (Ju); Rosa e Filippo Carella, proprietari de La Taberna di Carbonara di Bari e lo chef Pietro Abbaticchio (Ab).

    Introduzione

    La cucina pugliese ha quel respiro mediterraneo che forse manca in altre tradizioni gastronomiche del Sud.

    La valorizzazione delle risorse alimentari, ancora autentiche «enclaves» popolari, offerta al turista curioso di esperienze, consente il recupero di energie economiche, oggi marginali. Si cominci con l'olio e il grano, pilastri della cucina pugliese. Il primo, insostituibile, non verrà mai surrogato dal burro se ci assueferemo al suo sapore forte, alla densità, al colore; è poi panacea universale. Multiforme all'infinito il discorso sul grano.

    Il saragolle dà farina per le paste industriali ma anche per una lunga serie di caserecce, prodotti di raffinata attività rinnovantisi da secoli nelle case degli umili.

    Strascenate, orecchiette, lagone, triddhi, capunti, stacchjodde e sorelle sono la sublimazione del pane e rappresentano il bisogno, mai soddisfatto, di estinguere la sete nel sugo, il desiderio ancestrale di inzuppare il pane, il riscatto della sete sofferta dal grano per le grandi siccità. Fame di zuppa, onirica attesa dei bambini contadini, ma anche ricerca strenua del companatico, voluttà del sapore compagno, amalgama del palato, miracolo della pentola. Sono entrate nei cosiddetti menù di prestigio. Il condimento? Festa pirica, esclusi i «brodini» dispeptici.

    Il poema è il ragù del macellaio, singolare, perché richiede cura amorosa, pazienza giobbesca, carne di cavallo (pollo e piccione banditi) e salsa imbottigliata e azzimata con basilico. Si spiegano così anche l'acquasale con le «frise» o ciallèdde e il pancotto con i seccherelli, definiti cibo degli dèi. Il pane poi, nelle sue svariate forme e del peso sino a 15 kg (la ruota campeggia) viene idolatrato e concepito come miracoloso. Segno della fine delle vicende dolorose è il rito della uccisione del maiale (ab antiquo: Ulisse-Eumeo, Enea-porco-città, Oreste-madre-Delfi). Capocolli, salsicce e sanguinaccio sono entrati nella leggenda. I tordi al soldo se ne stanno ancora in gelosa cattività. Relax! Mussolini curava la sua ulcera allo stomaco giornalmente con le fresche provole di bufala della Capitanata. Pecorino con la lacrima, bocconcini, manteche, buttata: nomi, sibillini per i più, di latticini che hanno conservato il loro prestigio, perché fatto di vigore nutritivo. Sèguito col pesce? E allora, primo quello «azzurro», poco costoso, ricco di lisina; i nostri avi non sapevano che questo amminoacido concorre ad abbassare il tasso di colesterolo. Federico II ordinava, per la sua mensa, pesce di Lesina e Varano preparato in askipecia (scapece, cioè marinato), trovata pugliese, ma di derivazione araba, come le squisite bottarghe (provate a dimostrare che sono documentate anteriormente al secolo IX e fuori della Puglia!). Invoco la storia. Sergio Flavio muta il nome in Orata per aver fatto strepito a Roma con l'allevamento nel lago di Lucrino di orate e ostriche, tecnica appresa a Brindisi e a Taranto, patria d'origine, questa, del quattrocentesco tarantelle). Dal ciambotte (diverso da questo è quell'intruglio marinaro detto cacciucco) al pesce... fuggito (sì, venite a provarlo: profumo di mare senza mare, prova solare della genialità di chi è misero) e alla lunga serie di cefalopodi, avannotti (merosche) e frutti di mare: crudo da preistorici, che sta coinvolgendo i forestieri. Spira la tregua. S'affaccia il sopratavola, senza cazzimperio bastardo! Il pusigno pugliese è fatto di ortaggi freschi: altro crudo. Discorso a parte, per una «retrocarica», sul macco e cicorielle (varietà selvatiche): è la capriata, che può essere sposata a peperoni fritti o a cipolla rossa cruda o a lambascioni lessi: odore d'infanzia, di scuola, d'inverno. Se convinci in anticipo, fatti preparare dalla massaia qualche dolce nostrano: la Puglia, tra colline e pianure, è avvolta da una nube zuccherina. Fatti infine descrivere dagli esperti le decine di varietà di succo d'uva, ma sei tu che devi cogliere le intime suggestioni. Di saldo impianto e larga beva, il vino pugliese è chiamato ancora mìere, da merum, cioè puro, non battezzato, i cui cantori, Fineo e Rendella, nessuno conosce.

    Se volessimo sintetizzare la cucina di Puglia con un solo aggettivo, unico, esclusivo, totale: solare si dovrebbe esclamare! Raggi di sole i serpeggianti vermicelli, raggi di sole i fili fragili della burrata, raggi di sole i tentacoli dei polipetti arricciati, solare, imitazione del sole, sole fatto piatto, la pizza. Solare tutta questa cucina, che però non ha trovato ancora dei mèntori provetti e specchiati che si adoperino per salvarne qualità e presenza, per mantenerla aderente alla tradizione sociale e culturale da cui è derivata. E qui mi fermo.

    Dimenticavo una significante imbeccata. Molte lacune troverai nella elencazione delle ricette, le cui versioni sono innumerevoli e cambiano da campanile a campanile. Ho scelto quelle più caratteristiche che appartengono soltanto e soprattutto alla Puglia; anche così avrò lasciato fuori tante altre meraviglie.

    LUIGI SADA

    La cucina pugliese

    Il preludio: pane e pasta

    Il grano, in particolare il triticum durum (grano duro), ha da sempre segnato con la sua costante presenza la civiltà contadina pugliese. Quod triticum conferan Apulo?, scrisse Vairone.

    La regione, con i suoi terreni friabili è adatta a coltivare intensamente il grano, tanto da essere importante scalo di granaglie, sin dall'antichità.

    Le 300 specie di frumento coltivate si dividono in tre classi: «dure», che danno molta semola; «tenere», dai chicchi farinosi, porgono farina bianca; «semidure», le più adoperate.

    I grani duri si conservano meglio, il pane viene meno bianco ma più saporito, e inoltre essi sono più convenienti per la fabbricazione delle paste alimentari.

    Forme di pane pugliese

    Non posso fare a meno di riportare l'elenco senza commenti, sia pure incompleto, di alcuni formati di pane.

    Sbalorditivo!

    Abledda (Corigliano): panino d'orzo.

    Afsèplasti (Zollino): pane d'orzo di forma schiacciata.

    Bbrusckata (Alessano): pane d'orzo molto cotto.

    Cacchjate (Bari): panetti a picce.

    Catìbbele (Minervino Murge): pagnotta di pane, fatta con farina di grano tenero. Ha forma bislunga.

    Cazzata (Brindisino e Tarantino): grossa pagnotta di pane, «schiacciata».

    Cazzatèdda (Ceglie Messapico): piccolo pane cotto nella cenere.

    Chjanedda (Galatina): piccolo pane d'orzo. A Soleto e a Zollino è chiamato jannedda.

    Cippa (Corigliano): pane d'orzo biscottato.

    Ciuarì e ciuvarì (Sternatia), ciuvarèa (Soleto): piccolo pane schiacciato di farina d'orzo.

    Ciufarì (Zollino): pane di cruschello.

    Clicèddi (Soleto), cricèddi (Martignano, Soleto, Zollino): ciambella di pane.

    Cotte (Altamura): piccolo pane di pasta residuata che la massaia dà al fornaio come ricompensa in natura per la «cottura» del pane casalingo.

    Cucuzzara (Bagnolo): pagnotta di farina impastata con zucca, peperone e olio.

    Cuddura (Alessano, Galatina, Maglie, Parabita), cudduri (Lecce): panetto di forma rotonda, biscottato. Si consuma nel brodo, s'inzuppa nel caffè.

    Cuja (Martano): piccolo pane schiacciato, fatto con farina d'orzo.

    Felòne (Barese), pì.felùne: grosso pane a forma di fuso. Diminutivofelongìne.

    Frangòlle (a) (Polignano a Mare): pane di circa 2 kg, ha forma di corona. La superficie, contenente alcune mandorle (pelate dopo essere state lessate), viene resa lucida, dopo una prima cottura, con un panno bagnato.

    Suole essere confezionato a Natale e a Pasqua. Prima di essere spartito tra i convitati, che, consumandolo, recitano un Pater noster, viene benedetto dal capofamiglia o dal più anziano con acqua prelevata dal fonte della chiesa, per mezzo di un rametto di ulivo.

    Fresèdde (Barese), fresèlla (Foggiano), frasèdda, frisèdda e frisa (Salento), frisoccula (Cellino San Marco): piccolo pane, tagliato in due prima di biscottarlo. Un tempo si facevano con farina di farro, oggi con farina integrale. Le migliori sono quelle della Provincia di Lecce e di Manduria, dove vengono confezionate con farina di grano duro. Ottime per cialde.

    Fsomàci, fsomàgi (Lecce), fsomài (Calimera, Martano, Zollino), zzomàci (Sternatia): panino in genere.

    Fsomì crìsino, fzomi, ssomì, zzomì (Paesi neogreci): pane di farina di orzo.

    Furiere (Minervino Murge): pane fatto con farina di grano tenero. Ha forma bislunga e pesa circa 1 kg.

    Fuselìcchje (Minervino Murge): panino «affusolato», di 200 g circa.

    Granza (Calimera): pane di forma grossa, fatto con farina d'orzo. Diminutivo granzed-da.

    Latèdda (Leccese): panino piatto, fatto con residui della pasta.

    Leftì (Castrignano dei Greci, Corigliano, Zollino), letti (Melpignano, Soleto): piccolo pane confezionato con farina d'orzo e molta acqua.

    Mbarcatu, mbiscu (Lecce): pane inferigno, di qualunque forma, fatto con farina e cruschello.

    Mmarcata (Alessano): pane di farina d'orzo, di circa 2 kg. Diminutivo marcatedda. A Santa Cesarea di Lecce è invece pane di cruschello.

    Mmummu (Lucugnano, Miggiano, Taviano): panino fatto coi residui della pasta per il pane.

    É chiamato così per la forma che gli vien data: di figura umana, di bambino. Serve come trastullo per i piccoli che sono impazienti nel voler intervenire nella confezione del pane casalingo.

    Muletidde (Taranto), mulitieddu (Lizzanello): panino fatto con i residui della pasta per il pane, che si dà come trastullo ai bambini, per distrarli quando vogliono intervenire nella confezione del pane casalingo.

    Murtettu (S. Cesarea di Lecce): pane fatto di cruschello e molta acqua.

    Ndacciatéure (Minervino Murge): fette di pane comune sovrapposte e contenenti salame, formaggio e altro.

    Pace (estremo Salento): pane a forma di bambola con le braccia incrociate, che le ragazze offrono agli innamorati il giorno delle Palme. Il nome deriva dallo scopo del dono.

    Pagnotte (Barese): pagnotta. A Volturino è detta pagnocche, a Brindisi pagnòccula, a Taranto pagnòcchele.

    Pandascke (Minervino Murge, Trani): nome generico dato a un grosso pezzo di pane (o di carne o di formaggio).

    Pane a cazzemarre (Taranto): pane a forma di grosso involtino, attorcigliato. Può raggiungere il peso di 3 kg.

    Pane cafone (Bari): pane di farina di grano duro, lievitato, di forma tonda e schiacciata, dal peso di 2-5 kg. É così chiamato perché non è di creazione locale ma provinciale.

    Pane de patane (Barese): ha forma ovale e a punta, pesa 500-1000 g. Per ogni kg di farina bianca van messi 200-250 g di patate sbucciate, lessate e schiacciate, e lievito.

    Panedda (Brindisi e Taranto): piccolo pane a picce.

    Panédde (Altamura): panini di farina bianca per titolati.

    Panédde (Grumo Appula): panetti per devozione a San Giuseppe, a Sant'Antonio di Padova. Si mettono ai piedi dell'altarino eretto dai devoti in onore del santo, la vigilia della festa. Si distribuiscono parte ai parenti, parte ai poveri. A cura del comitato della festa estiva in Mellitto (in luglio) vengono confezionati per essere distribuiti a tutti i partecipanti.

    Panedduzze (Minervino Murge): pagnottina di farina di grano tenero, sulla cui superficie si conficcano pezzettini di mandorle sgusciate. Si consuma la vigilia dell'Immacolata.

    Pane de ràdeche (Barese): tipo di pane che si confezionava in tempo di carestia con farina ricavata dal rizoma dello gicaro torrefatto al forno.

    Pane (u) de sand'Andonie (Taranto): pane azzimo, di forma grossa e rotonda, con le iniziali del santo di Padova, S.A. Si distribuisce ai poveri dopo la benedizione nel giorno della festa. Pagnòcchele (a) de sand'Andonie: pagnottina azzima, tonda, benedetta e distribuita in chiesa il giorno della festa del santo, e adoperata anche per scongiurare i temporali.

    In Provincia (Monteparano) col medesimo scopo si prepara u pane de Sande Geséppe con le iniziali del santo in rilievo, S.G.

    Pane mbiscu (Lecce): pane di farina e cruschello, di forme varie. Mbiscu o mmiscu significa «misto».

    Pane puddicasciu (Mesagne, Squizzano, San Vito dei Normanni, Lecce, Manduria): piccolo pane di forma rotonda con farina impastata con salsa a base di olio, cipolla e pomodoro.

    Panétt-a bur sètte (Gargano): pane a forma di borsetta, e i seguenti: panétt-a carciofele (a forma di carciofo), panétt-a curne (a forma di corno), panétt-a palombe (a forma di colombo), panétt-a panarìdde (a forma di paniere); raggiungono il peso sino a 15 kg e vengono adoperati dai braccianti e dai pastori costretti dal lavoro a stare lontani più giorni dalla loro abitazione.

    Panétte (Altamura): il pezzo intero di pane. A Carbonara di Bari è pane di 1-2 kg.

    Panétte (Monte Sant'Angelo, Mattinata): termine generico per designare due tipi di pane confezionati durante la settimana santa: ucelatìdde, se piccoli, per bambini; e scara-scèdde, se ha forma di cuore o di panierino, ed è cosparso di giallo d'uovo, con infisse mandorle e fronde di ulivo benedette.

    Panettudde (Bari): piccolo pane, confezionato per essere dato in elemosina.

    Parruòzze (Capitanata): piccolo pane, «parrozzo» o pane nerastro, di forma bislunga o schiacciata e generalmente del peso di 1 kg consumato dai pastori o dai contadini di masseria ingaggiati per un anno (annarulé). Il diminutivo parruzzìelle (Ascoli Satriano) è il panetto dato come compenso giornaliero al garzone del forno. A Minervino Murge è chiamato parrùezze e ad Andria parrùuzze. Tali tipi di pane sono in uso da molti secoli.

    Passulata (Brindisi, Lecce, Otranto, Taranto): pagnotta di farina, ripiena di uva passa.

    Pastèdda (Castrignano del Capo, Castrignano dei Greci, Cursi, Parabita, Poggiardo): pane di farina d'orzo, impastata con molta acqua.

    Pestale (Alberobello, Noci): sfilatino, filoncino che si riempie di ricotta fortigna (asc-kuànde), pepe e prezzemolo; al posto del pepe si mette il peperoncino forte (diauìcch-je). È così chiamato perché viene farcito di companatici eccitanti e pruriginosi, che danno, così, «carica» allo stomaco e invitano a bere.

    Pirilla (Castro, Otranto, Spognano): pane di farina d'orzo, non lievitato, a forma di trottola schiacciata.

    In altri paesi del Salento è chiamato pitilla (San Cesario di Lecce, Poggiardo), pilla (Bagnolo, Cursi, Cutrofiano, Melendugno, Melpignano, Otranto),

    Pirruèzzulu (Cellino San Marco): pezzo di pane piccolo, a forma di «trottola», che si confeziona per donarlo agli amici e ai parenti.

    Piscittéddre (Noci): panini benedetti, che si distribuiscono alla fine della festa di San Rocco (prima domenica di settembre); vengono conservati per devozione.

    Pittar ài (Calimera, Martano): panino di farina d'orzo per bambini.

    Pizzàimi (Volturino): pane azzimo, di qualunque forma.

    Pizzìtieddi (Castri): panini per bambini.

    Pizzo (Lecce): panino a forma di spola.

    Plamma (Sternatia): panino schiacciato, che si confeziona coi residui della pasta del pane comune.

    Ppan-a presutte (Canosa): con due impasti separati, di cui uno di farina comune e l'altro di farina di grane iàrse (grano spigolato nelle ristoppie bruciate e macinato in casa), si fa un intreccio, che, tagliato a fette, risulta di due colori e di due sapori (come il prosciutto).

    Ppéne suttile (Monte Sant'Angelo, Mattinata): pane bianco (perché quello comune è bruno), di forma grossissima, circolare, convessa e del peso fino a 9 kg. Ciascun pezzo è chiamato uceddéte. Si prepara a Natale. Un pezzo viene conservato per devozione sino al 17 gennaio, festa di Sant'Antonio Abate (Sant'Antune); poi viene consumato per farne pancotto.

    Pucceddate (Taranto): pane comune di varie forme: tondo, a cerchio, bislungo e a grosso involtino (cazzemarre). Può raggiungere il peso di 3 kg.

    In tutto il Salento è chiamato picciddatu, a Martina Franca pucceddète, a Trani veceddate.

    Puccelatédde (Martina Franca): pane a forma di ciambella, di pasta semplice contenente semi di anice; viene passato nell'olio bollente prima di essere infornato.

    Puccia (Mesagne, Oria; Leccese; Avetrana, Lizzano): pane di farina di secondo velo o di cruschello, impastata a molta acqua; spesso non viene lievitato. Infarinato, si cuoce per qualche minuto alla fiamma del forno. Sovente si riempie di olive nere leccesi o di uva passa; in tal caso diventa pane rituale. A Palagiano è chiamato pucce ed è fatto con solo cruschello. I diminutivi pacciarèdda (Melpignano) e puccèdda (Calimera e Sternatia) sono pagnotte.

    Puccia cu Vaulìe (Ladano, Mesagne, Oria; Leccese; Avetrana, Lizzano). Pane tanto decantato per la fragranza, la sofficità, la morbidezza. Raramente si confeziona oggi in casa; continuano la distribuzione i fornai, che soltanto qualche volta adoperano le olive nere da inserire nella massa. Alimento popolare; a Brindisi e in tutto il Salento si usa il giorno dell'Immacolata.

    Puccia rustica (Marino): pagnotte fatte con farina impastata a molta acqua. Si aggiungono olive nere snocciolate, un po' di cipolla finemente tritata, prezzemolo tritato, un po' di peperoncino piccante, lievito. Le pagnotte ottenute s'infarinano e s'infornano nel forno possibilmente a legna.

    Pucciatèdde (Taranto): ciambella con semi di anice. Può essere adoperata come pane votivo.

    Puddacasciu (Aradeo): piccolo pane di farina d'orzo.

    Puddìche (Taranto): pane di farina, dalla forma tonda.

    Pulèdda (Vernole): piccolo pane di forma tonda.

    Ranonchje (Monte Sant'Angelo): piccolo pane, dalla forma di «ranocchio», per bambini. Si prepara per Natale.

    Ròccia (Leccese e paesi

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