Magni bene e spenni poco
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Anteprima del libro
Magni bene e spenni poco - Federico Bardanzellu
Federico Bardanzellu
Magni bene e spenni poco
391 luoghi a buon mercato della Roma magnereccia
Cavinato Editore International
© Copyright 2016 Cavinato Editore International
ISBN: 978-88-6982-224-7
I edizione 2016
Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
© Cavinato Editore International
Vicolo dell’Inganno, 8 - 25122 Brescia - Italy
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info@cavinatoeditore.com
www.cavinatoeditore.com
Le foto prive di indicazione sono state scattate da Federico Bardanzellu
Progetto grafico, copertina e impaginazione a cura di Simone Pifferi
Indice
Leggere attentamente prima dell’uso
La materia
I luoghi
La terminologia
Centro Storico
Navona
Campo de’ Fiori
Ghetto
Trastevere
Borgo
Prati
Spagna
Pantheon
Trevi
Boncompagni-Ludovisi
Termini
Esquilino
Monti
Fori-Colosseo
Testaccio
Quartieri
Flaminio-Parioli
Salario
Monte Sacro e dintorni
Nomentano
Pietralata-San Basilio
San Lorenzo
Pigneto
Centocelle
Appio Tuscolano
Tor Pignatara-Quadraro
Cinecittà
Appio Latino
Colombo
Garbatella
Ostiense
EUR e dintorni
Portuense-Magliana
Monteverde Vecchio e Nuovo
Pisana-Bravetta
Aurelio
Boccea-Primavalle
Trionfale
Monte Mario
Mazzini
Ponte Milvio
Litorale
Ostia
Fiumicino
Fregene
Hinterland
Tutta Roma
Leggere attentamente prima dell’uso
La materia
Il luogo comune, che nei ristoranti romani si mangi male, lascia il tempo che trova. Probabilmente ciò è dovuto al giudizio soggettivo che molta stampa ha della cucina tradizionale romana. Fortunatamente ai romani e ai ristoratori locali tale giudizio entra da un orecchio ed esce dall’altro e così anche ai milioni di avventori di ogni razza e religione che affollano giorno e notte i luoghi della pappatoria
. E’ certo infatti che agli eredi di Romolo è sempre piaciuto mangiar bene e ciò è una garanzia. Nel XXI secolo, poi, la globalizzazione ha integrato la cucina locale con menu di scuole differenti, provenienti da tutte le regioni d’Italia e dal resto del Mondo. Quindi, ce n’è per tutti i gusti. Nella presente guida si vuole dimostrare che nella Capitale si può non solo mangiar bene ma anche a buon mercato.
Base della gastronomia romana sono sempre stati i prodotti del territorio. La transumanza ha fornito la città di carne ovina e di cacio pecorino, in entrambi i casi oggi compresi nei prodotti DOP o IGT; le paludi e i boschi circostanti l’hanno provveduta di bovini e di suini allevati allo stato brado e di cacciagione (ora quasi del tutto estinta). Il vino proveniva principalmente dai Castelli romani e l’olio d’oliva dalla Sabina o dai colli vulcanici della Tuscia. Tali ingredienti hanno consentito la formazione di una scuola culinaria gustosa e varia, che ancora oggi resiste egregiamente all’assalto dei grandi chef dell’Italian Cuisine.
Tre sono i primi piatti principali della cucina romana, tutti abbondantemente conditi con pecorino romano: i bucatini all’amatriciana (con pomodoro, pancetta o guanciale e pecorino), gli spaghetti (o meglio, i rigatoni
) alla carbonara (pancetta, uovo, pecorino, pepe) e gli spaghetti cacio e pepe (con parmigiano, pecorino e pepe in abbondanza). I primi due piatti sono debitori alla scuola dei panettieri medioevali, detti grici
, dal colore grigio del loro grembiule tradizionale, inventori del condimento alla gricia
(solo pancetta e pecorino) tuttora presente nei vari menu locali. A questi piatti possiamo aggiungere le penne all’arrabbiata (con aglio, olio, pomodoro, prezzemolo e abbondante peperoncino) per un primo più leggero ma forse ancora più gustoso, essendo particolarmente piccante. E’ evidente l’influenza culinaria dei pastori della transumanza appenninica, tranne nel caso delle penne all’arrabbiata, elaborate con il peperoncino forse introdotto dagli immigrati dalla Calabria. I bucatini all’amatriciana (o Matriciana
), provengono da Amatrice, paese appenninico compreso, fino agli anni venti, nei confini abruzzesi e, prima del 1860, in quelli del Regno delle Due Sicilie. I romani, però hanno variato la ricetta originaria, preferendo i bucatini agli spaghetti e non formalizzandosi se, al posto del prescritto guanciale, si utilizzi la più volgare pancetta. Non dimentichiamoci, infine, della pasta all’uovo o fatta in casa, introdotta – forse – dall’Emilia-Romagna grazie alla disponibilità di uova delle galline che ruspavano libere nei vicoli della città papalina o tra i campi circostanti. La versione locale delle tagliatelle emiliane sono le fettuccine
. Altre versioni di pasta fatta in casa: i tonnarelli
, spaghettoni in pasta di acqua e farina e gli strozzapreti
(grossi cannelli lunghi un pollice).
La pastorizia ha fornito per millenni i romani di carne di agnello e di abbacchio, anch’essa oggi compresa tra i prodotti DOP. Il consumo di carne bovina ha invece avuto diffusione grazie a una straordinaria istituzione dell’Italia Unita: il mattatoio
di Testaccio, in funzione sino al 1975. La vendita al minuto dei prodotti della macellazione – soprattutto quelli di scarto – ha avuto come conseguenza l’elaborazione di una serie di piatti di taglio povero, che sono alla base della cucina romana: la coda alla vaccinara, i rigatoni alla pajata (sugo preparato utilizzando l’intestino dell’agnello da latte), la coratella e l’immancabile trippa, il bollito alla Picchiapò (bollito di manzo con patate, cipolla, pomodoro, aromi vari), gli involtini (di vitello o vitellone, ripieni di manzo tritato e con sugo) senza dimenticare i più pregiati saltimbocca (fettina di vitella, salvia, prosciutto e farina) alla romana. La ricetta dell’ossobuco, di scuola milanese, è rivisitata alla romana (con piselli, carote, sedano e cipolla). Il pollame è altresì cucinato alla romana (con aglio, pomodoro, prosciutto, aromi e poi sfumato nel vino), con i peperoni o alla cacciatora (con cipolla, sedano, carote, pomodoro e sfumato nel vino); quest’ultima ricetta è attinente anche al coniglio.
Il rifornimento di verdura e frutta fresca era garantito dai carrettini a mano che provenivano giornalmente dalla campagna e stanziavano in piazza
, dove si faceva la spesa. Con l’avvento dell’amministrazione comunale civile furono realizzati i mercatini rionali che ancor oggi rappresentano una fonte di approvvigionamento economico e genuino, nonché il Mercato generale all’ingrosso di Via Ostiense, da alcuni anni trasferito in comune di Guidonia. Specialità romane sono il cazzimperio
(misto di ortaggi crudi con salsa a pinzimonio) e le puntarelle in salsa d'alici; dalle campagne attorno a Sezze e a Ladispoli provengono i carciofi romaneschi DOP, da lessare con aglio e mentuccia cosparsi di limone e poi conditi con olio, sale e pepe (alla romana). Attualmente, nei menu, sta prendendo piede un trittico di verdure cotte composto da spinaci, cicoria e broccoletti.
Il pesce del Tevere era smerciato alla Pescheria in Ghetto, da tempo scomparsa. Successivamente la città veniva approvvigionata del prodotto tramite i barconi che risalivano il fiume sino al Porto di Ripetta. Specialità locale è il baccalà in guazzetto (pinoli, uvetta e pomodoro fresco). Oggi i commercianti e i ristoratori si riforniscono a Fiumicino o al Centro Ingrosso Pesce, anch’esso trasferito da Via Ostiense a Guidonia. La cittadina alla foce del Tevere inoltre è, soprattutto, meta per grandi abbuffate di pesce da parte dei romani di oggi (senza trascurare il Lido di Ostia o altre località del litorale).
Abbiamo già citato il contributo dato dai prodotti della transumanza alla cucina romanesca e i piatti da ciò derivati; è, sostanzialmente, un contributo abruzzese e laziale-appenninico. L’immigrazione interna che, tra il 1900 e il 1970 ha accresciuto la popolazione residente da 500.000 a 2.700.000, ha importato anche altre specialità gastronomiche della cucina regionale, in particolare siciliana, sarda, calabrese e pugliese. I ristoratori forestieri
, tuttavia, si sono quasi completamente convertiti alla cucina romana o genericamente nazionale, introducendovi qualche prodotto tipico della loro terra d’origine ma inserendo pochi piatti regionali nel menu; in tal caso li segnaliamo in grassetto. Tra i prodotti principali introdotti dal resto d’Italia, sono citabili la mozzarella di bufala campana (o della pianura pontina), i pomodorini pachino e i salumi calabresi, tutti utilizzati soprattutto nelle pizzerie.
La tradizione pizzaiola romana proviene, naturalmente, da Napoli. Tuttavia, il tipo di pizza che a Roma è detta Napoletana
(con pomodoro, mozzarella e acciughe) a Napoli è detta Romana
. La differenza principale tra le due scuole è che a Roma la pizza è bassa e croccante mentre a Napoli ha il bordo alto e, forse, maggiormente condita. Per chi preferisce quest’ultima, comunque, le pizzerie specializzate
, anche a Roma, non mancano. Gli altri tipi di pizza che non mancano mai sono la margherita
(pomodoro, mozzarella), la marinara
(pomodoro, aglio, origano), la capricciosa
(pomodoro, mozzarella, funghi, carciofini, uovo e prosciutto) e ai funghi (pomodoro, mozzarella, funghi). I butteri
della Tolfa o della Maremma, inoltre, hanno introdotto il consumo della carne bovina alla brace, oggi possibile in numerose griglierie che si sono anche aperte all’importazione di carni danesi, argentine ecc. Altre specialità regionali, soprattutto emiliane e pseudo-milanesi, sono entrate a far parte della cucina nazionale italiana e, quindi, recepite anche nell’offerta culinaria romana.
Cucina etnica. A Roma sono presenti comunità provenienti da tutto il mondo, in omaggio al suo carattere ecumenico
. La scuola gastronomica più antica è quella di tradizione ebraica, con centro nell’antico Ghetto. Oltre alle specialità tradizionali, gli ebrei romani hanno introdotto nella cucina locale soprattutto le fritture, come i carciofi alla Giudia o i filetti di baccalà. La scuola cinese è ampiamente rappresentata ma da alcuni anni, per non cedere alla concorrenza, ha dovuto inserire nel menu i piatti della arrembante cucina giapponese e di quella thailandese.
Negli ultimi trent’anni, anche l’India ha guadagnato numerosi spazi, per poi stabilizzarsi. Il Far West nordamericano è presente nelle griglierie e nelle bracerie con le tipiche T-bone beef steaks. Non mancano gli esercizi latino americani (soprattutto peruviani o le churrascarie brasiliane), arabi, medio-orientali e dell’Europa mediterranea (Spagna e Grecia). Completamente assente – purtroppo – è la scuola francese, quanto meno a livello di cucina economica.
Nel 1864, la Peroni di Vigevano impiantò uno stabilimento di birra in Via Brescia, che ha prodotto birra per oltre cent’anni. Ciò ha favorito l’apertura di numerose birrerie, di cui alcune ancora in funzione. Nelle birrerie romane non hanno mai prevalso i menu bavaresi o genericamente anglo-sassoni. Anche qui, ieri come oggi è forte l’offerta di pietanze della cucina romana e, in molti casi, è previsto il reparto pizzeria. Le osterie di una volta, si sono trasformate in enoteche (solo degustazione) e poi in wine bar (anche sfizi e pietanze calde e fredde, spesso di raffinata fattura).
Ultimi arrivati nella Babilonia della Capitale, sono stati i fast food anglo-sassoni. Molto economici, li abbiamo però scartati, in questa rassegna, non considerandoli idonei sotto il profilo qualitativo. Recentissimamente, però, la gastronomia romana ha reagito a questa degenarzione culturale, applicando il concetto di cibo da consumare velocemente
ad alcune specialità locali ed anche etniche afro-mediterranee. Tale moda va incoraggiata e, per questo motivo, li abbiamo inseriti. Né abbiamo trascurato le catene di esercizi in franchising, operanti in tutta Roma, se interessanti sotto il profilo quali/quantitativo.
E’ evidente, quindi, che la cucina economica sia una cucina popolare. In queste poche righe ci sono frequenti richiami alla cultura e alle tradizioni di quando Roma aveva un popolo
, senza trascurare di menzionare alcuni eventi dell’ultima grande epopea vissuta dal popolo romano: i nove mesi di resistenza all’occupazione tedesca. La cultura popolare romanesca, per nulla intaccata dal ventennio fascista, è andata sbiadendo e in parte scomparendo con gli anni del boom economico. Fortunatamente, come già accennato, l’immigrazione centro-meridionale prima ed extracomunitaria poi, ha provveduto e sta provvedendo ad irrobustirla, anche sotto il profilo gastronomico.
Al lettore di questa guida, vogliamo infine far presente che le bellezze di Roma si apprezzano meglio seduti a una buona tavola; in particolare, se si ha la fortuna di trovare un tavolino all’esterno. Soprattutto, però, siamo assolutamente convinti che in nessun altro luogo come nelle trattorie si può conoscere la straordinaria vitalità della gente di Roma.
I luoghi
Quando gli Etruschi di Re Tarquinio Prisco si insediarono in quello che poi fu chiamato il Vicus Tuscus, la città era già divisa in sette colli (o meglio: villaggi), tre occupati dai Latini e tre dai Sabini, con il settimo (il Campidoglio), in eterna contesa. Poi venne la suddivisione in regiones (Rioni); in seguito furono costruiti i quartieri (alti e bassi), le borgate, infine la città si espanse sul litorale e nell’agro romano. Insomma, da sempre, Roma è stata una summa di insediamenti e di esperienze diverse che hanno contribuito alla formazione di variegate atmosfere, culturali ma anche gastronomiche, che si trascinano tuttora. Da secoli non c’è più un solo centro storico
, con la sua piazza principale (quello che un tempo era il Foro) ma, dal secondo dopoguerra, vi sono anche tante periferie, con la loro storia e le loro culture.
Non si è potuto rinunciare, perciò, alla differenziazione degli esercizi in base alla loro localizzazione, anche perché, data l’estensione ormai raggiunta dall’abitato, la domanda: cosa vogliamo mangiare?
oggi, è preceduta da quella, forse più appropriata: dove si va a mangiare?
Gioco forza, quindi, si è dovuto procedere ad una suddivisione geografica degli esercizi. Non si è seguita, però, la toponomastica ufficiale, risalente all’età liberale ma la terminologia attualmente più comune, condizionata dalle realizzazioni stradali e architettoniche operate dalle amministrazioni piemontesi
(1870-1915), nel ventennio fascista e nel secondo dopoguerra. In molti casi, per miglior comprensione dell’avventore profano o forestiero, è stata specificata la delimitazione dell’area. Talvolta le zone sono state accoppiate, per comodità di lettura, specificando – se necessario – la loro differenzazione socio-culturale.
Regola principale, però, è quella di affidarsi alla saggezza della folla
: se vedete locali vuoti o semivuoti, non vi ci avvicinate. Preferite, al contrario quelli affollati, anche restando qualche minuto in attesa o magari prenotando in anticipo, perché il loro affollamento è sicuramente dovuto all’ottimo rapporto qualità/prezzo.
Nella descrizione degli esercizi si segue il senso orario, a partire, grosso modo, dal Vaticano, come segue:
Centro Storico: Navona; Campo de' Fiori; Ghetto; Trastevere; Borgo; Prati; Spagna; Pantheon; Trevi; Boncompagni-Ludovisi; Termini; Esquilino; Monti; Fori-Colosseo; Testaccio.
Quartieri: Flaminio-Parioli; Salario; Monte Sacro e dintorni; Nomentano; Pietralata-San Basilio; San Lorenzo; Pigneto; Centocelle; Alessandrino; Appio-Tuscolano; Tor Pignatara; Quadraro; Cinecittà; Appio Latino; Colombo; Garbatella; Ostiense; EUR; Portuense-Magliana; Monteverde Vecchio e Nuovo; Pisana-Bravetta; Aurelio; Boccea-Primavalle; Trionfale; Monte Mario; Mazzini; Ponte Milvio.
Litorale: Ostia; Fiumicino; Maccarese-Fregene.
Hinterland: Settebagni; Lunghezzina; Romanina; Tor Pagnotta; Tor di Valle; Ponte Galeria; Casalotti; Selva Nera; Palmarola; Giustiniana-La Storta; Isola Farnese.
Tutta Roma: i singoli esercizi delle catene gastronomiche che operano in tutta Roma, anche se citati nelle zone di appartenenza, rinviano a tale voce per un’unica descrizione generale.
La terminologia
Tipologia degli esercizi
Ristorante: Dizione generica che indica il luogo ove è possibile ristorarsi con specialità mangerecce e bevande, dietro pagamento di una mercede, a Roma detta volgarmente conto
. Il ristorante deve rispettare alcuni standard di igiene e pulizia. Nella guida si specifica se specializzato in cucina di pesce o vegetariana e, comunque, se il menu prevede anche pesce o soltanto molluschi, baccalà, crudo, ecc.
Trattoria: Versione alternativa della dizione precedente che implica la presenza della maggior parte delle caratteristiche seguenti: gestione familiare, cucina locale e/o tradizionale, standard più bassi di igiene e pulizia, servizio non particolarmente curato. Anche in tal caso si specifica la specializzazione e/o la presenza di menu a base di pesce. E’ il luogo principale di formazione della gastronomia romana.
Etnico: Versione delle tipologie precedenti con menu della cucina straniera; in taluni casi ad integrazione del menu principale. Data la particolarità dei menu si è ritenuto inopportuno specificare se a base di pesce, sempre presente, tranne rari casi.
Pizzeria: Luogo ove si serve principalmente una particolare schiacciata di pasta di farina condita e cotta al forno (detta pizza
) e specialità affini. Generalmente, a Roma, quasi tutti i ristoranti ed alcune trattorie sono anche pizzerie.
Griglieria: Esercizio caratterizzato principalmente da offerta di carne alla griglia.
Birreria: Commercia principalmente birra, con una notevole offerta di etichette. Le pietanze sono tradizionalmente omogenee al consumo della bevande; spesso, sono rappresentate da un robusto reparto pizzeria.
Wine Bar: Una volta erano detti osteria e cucina
ma tale specie, anziché estinguersi del tutto, ha subito una mutazione genetica. Vi si consuma principalmente vino in bottiglia etichettata o altri tipi di alcoolici; il menu, inizialmente scelto in funzione integrativa degli alcoolici, ha preso poi spazio, in risposta alla crescente domanda di pietanze mordi e fuggi
della pausa pranzo lavorativa.
Snack Bar: La crescita esponenziale della pausa pranzo ha imposto anche ai bar-caffè di trasformarsi negli anglosassoni snack
, dove è possibile anche consumare uno spuntino, con il passare degli anni sempre più consistente e vario.
Fast Food: E’ l’ultima tipologia arrivata d’oltre oceano che fornisce per la quasi totalità panini all’olio contenenti hamburger, conditi con ketchup, cipolla e spezie di vario tipo. La percentuale di grasso e la qualità dei prodotti sono stati criticati ampiamenti dalla stampa specializzata e dalle autorità sanitarie. Di conseguenza, nella presente guida, tale tipologia è stata inserita, soprattutto, con riferimento alla letterale dizione cibo veloce
, estendendola alle tipologie più originali ma senz’altro più sane..
Vegetariano: Per chi non gradisce di mangiare carne o pesce. La tipologia non riscuote particolare successo nella Capitale, ma è presente.
Si è inoltre diffuso, a partire dalla fine degli anni ottanta, il fenomeno del franchising e delle catene gastronomiche. Per la descrizione dei primi abbiamo individuato l’esercizio principale, al quale i suoi satelliti fanno rinvio; le catene, invece – come già detto – sono descritte alla voce Tutta Roma
, pur essendo citati i singoli esercizi nei loro luoghi di appartenenza.
Riposo settimanale
E’ indicato con l’iniziale maiuscola del giorno in cui l’esercizio è chiuso (Me=mercoledì). Quando l’indicazione è seguita dalla lettera c (minuscola), significa che il locale è chiuso a cena; se è seguita dalla p, è chiuso a ora di pranzo. Il segno – indica che il locale è aperto sette giorni su sette.
Votazioni
Dovendo riassumere in un’unica cifra le caratteristiche principali dei locali e onde evitare l’influenza delle impressioni soggettive, sono stati individuati parametri standard, al fine di ottenere il risultato il più possibile vicino alla realtà, con strumenti che definiamo scientifici
.
Voto Prezzo:
Dovendo esprimere un’unica votazione, la presenza di differenti tipologie di menu può comportare l’espressione di un voto medio con numero decimale. Non sono però ammessi esercizi con voto inferiore a 6, tranne alcuni con votazione 5,67 citati solo se la somma prezzo e qualità è almeno pari a 12. Il