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A qualcuno piace fredda

Rigorosamente al dente se non “al chiodo”, come amano servirla alcuni chef. Solo da grani italiani, che per qualcuno sono sempre e comunque i migliori (anche se di certo, evitare lunghi trasporti e stoccaggi garantisce salubrità oltre che sostenibilità). Da trafila al bronzo, o niente. Cremosa a tutti i costi, a prescindere dal condimento. Da portare in tavola fumante e da mangiare subito, altrimenti si rovina (spoiler: non è detto che accada, se la pasta è di altissima qualità tende anzi a “riacquistare” il dente).

Prodotto emblema della cucina italiana, amato e consumato nelle sue mille declinazioni e combinazioni in ogni angolo dello Stivale, la pasta resta probabilmente l’ultimo avamposto di irriducibile conservatorismo gastronomico del nostro Paese, trincerato dietro usanze e credenze consolidate o slogan dal facile appeal, rendendo difficile farne oggetto di sperimentazione.

Questo vale tanto riguardo ai condimenti e alle preparazioni di cucina – ricordate le infinite polemiche sull’amatriciana di Carlo Cracco, con l’uso di aglio, come quelle sulle origini e sugli ingredienti della carbonara o sulla cottura a fuoco spento per il risparmio energetico? – quanto per la produzione in sé: che, se di certo ha spesso origini antiche e romantici legami con la tradizione, non può prescindere da innovazioni tecnologiche e accortezze moderne che devono avere come fine ultimo quello di garantire una “forchettata” appagante a tutti. «Un altro prodotto altrettanto identitario, come la pizza, negli ultimi anni si è smarcato da dogmi troppo rigidi. E anche se oggi forse le categorizzazioni geografiche, legate al territorialismo e pseudo-nazionalismo che avvelena gran parte della nostra cultura gastronomica, sono sempre più determinanti, ormai da diverso tempo ci si è aperti alle tante interpretazioni possibili, da Napoli a Roma fino ad altre zone d’Italia e del mondo, e alle diverse occasioni di fruizione. Perché con la pasta questo non succede?», nota Riccardo Felicetti, ceo del pastificio di Predazzo (Trento) fondato nel 1908 da Valentino Felicetti. «Per esempio abbiamo il chiodo fisso della cottura “al dente”, ma in realtà si tratta di qualcosa di molto soggettivo e facilmente influenzabile. Anche una pasta morbida può avere delle suggestioni, una sua piacevolezza: in un ristorante in Val di Non, una cuoca romana mi ha chiesto scusa perché aveva scotto i fusilli. Ma, servita con una dadolata di Granny Smith, avere una pasta più morbida che contrastava la nota croccante e acida della mela era perfetto! Così come una tagliatella al dente, con il ragù, non sarebbe piacevole. Bisogna sempre valutare l’insieme di pasta e condimento, altrimenti si rischia di perdere la sua straordinaria eterogeneità e renderla monocorde». L’unico, in Europa, situato sopra i mille metri di altitudine, il Pastificio Felicetti non è certo nuovo al concetto di innovazione legato alla pasta, che sia dal punto di vista delle materie prime, della tecnologia produttiva e della fruizione: dal 2009 sostiene la giornata Identità di Pasta che, all’interno del congresso milanese di Identità Golose, indaga le tante possibilità di utilizzo di questo versatile prodotto in un rapporto di sollecitazione reciproca con gli chef.

La pasta può essere un formidabile oggetto di innovazione e sperimentazione

Ma Felicetti non vuole restare

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