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elogio della carota

ÈL’ORTAGGIO ARANCIONE PER ECCELLENZA, e copre insieme a zucca e agrumi i toni arancio dell’"arcobaleno alimentare" raccomandato dai nutrizionisti grazie all’importante contenuto di betacarotene – responsabile appunto del colore acceso – ma anche di altre sostanze preziose. Eppure le carote non nascono (solo) arancioni: il loro attuale colore è frutto del lavoro di selezione e incrocio dei coltivatori olandesi che, alla fine del Seicento, riuscirono a ottenere una varietà dal gusto più delicato e soprattutto dal colore unico e intenso, in omaggio alla dinastia degli Orange che ancora oggi regna – come Casa d'Orange-Nassau – nei Paesi Bassi.

Questo successo botanico, tuttavia, ha in parte contribuito a relegare le carote a ingrediente complementare e poco valorizzato in cucina: immancabili in soffritti, estratti e fondi di cottura al servizio di altre preparazioni, usate anche in pasticceria, sono spesso considerate un po’ troppo blande per diventare protagoniste assolute delle ricette. Nemmeno la cucina popolare delle regioni dove crescono le varietà più pregiate riserva ad esse qualche piatto emblema, al pari di quanto avviene ad esempio per melanzane o peperoni. A guardare nei menu più attuali, tuttavia, qualcosa sta cambiando. Sono diversi gli chef che stanno esplorando – insieme alle infinite potenzialità culinarie del mondo vegetale nel suo complesso – le caratteristiche delle varietà nostrane di carota, mettendole in evidenza per creare piatti di cui siano le star assolute: dolcezza più o meno accentuata, croccantezza pronta a farsi cremosità con la cottura, freschezza e mineralità (e anche una buona versatilità, senza tralasciare la fotogenia del colore) sono infatti le doti più apprezzate.

In occasione della rassegna gastronomica estiva Ein Prosit sulle montagne friulane del Tarvisiano, Fabio Curreli – resident chef dell’AlpiNN di Norbert Niederkofler in cima al Plan de Corones, in Alto Adige – ha preparato un piatto (servito anche al ristorante) tautologicamente chiamato Carota, ma per nulla monocorde: «Ho voluto ricreare e proporre agli ospiti la sensazione unica che si ha assaggiando una carota “vera”, appena colta dal campo, croccante e dal sapore intenso», spiega Curreli che, come per tutti i suoi piatti, si rivolge a fornitori locali e attenti al rispetto dell’ambiente. Così, cuoce velocemente le carote più tenere e non troppo grandi, con buccia e foglie, in vasocottura con un estratto di carota, per intensificarne il sapore ma mantenerne la croccantezza, e poi le glassa al Verjus, succo acido ottenuto dalla spremitura dell'uva ancora non pienamente matura. Per le foglie invece, prende ispirazione dalle abitudini dei coltivatori che le restituiscono al terreno come concime: le taglia e le inserisce in un “terriccio” ricavato con schüttelbrot sfarinato e cenere vegetale e bagnato da un estratto di rabarbaro (che cresce accanto alle carote) a ricreare il suolo scuro e umido dei campi altoatesini.

In Abruzzo, nel grande bacino di origine alluvionale trasformato dalla bonifica di fine Ottocento in un’enorme piana coltivata, nascono le Carote dell’Altopiano del Fucino Igp. «Sono buonissime grazie al terreno estremamente fertile, che per milioni di anni ha assimilato nutrimento e oggi è sabbioso, privo di sassi, dunque ideale per tuberi e radici come le patate e appunto le carote, che assumono anche, chef patron di Mammaròssa ad Avezzano e interprete delle diverse altimetrie regionali con il progetto Quote. Non poteva mancare nel suo menu un piatto a base di carote, quelle che crescono nel suo orto. E, in omaggio pure alla sapienza culinaria rurale di queste zone, fatta di gesti antichi, ha deciso di cuocere le Carote al "coppo" e poi arrosto (ricetta a pag. 85), vale a dire in teglia sulla brace con il coperchio ricoperto di cenere: «Si tratta di una cottura lenta, per un paio d’ore, a circa 130°C (niente termometro in questo caso, ndr), in olio extravergine d’oliva, succo d’arance della Costa dei Trabocchi e zenzero.

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