Angeli E Demoni Di Hainan
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Anteprima del libro
Angeli E Demoni Di Hainan - Alessandro Brunelli
ALESSANDRO BRUNELLI
ANGELI E DEMONI DI HAINAN
Diario semiserio di un viaggiatore non per caso
Dedicato a mio figlio Stefano.
PRESENTAZIONE
Immaginate fine ottobre in una giornata della pianura padana ancora calda ma dal sole velato e due persone che sorseggiano un cappuccino sedute all’aperto, godendosi la vista di Piazza Maggiore. Sono amici di vecchia data, lo si intuisce da piccoli gesti che tradiscono una confidenza lunga di anni. Chiacchierano di figli adolescenti, sfortune della vita, politici corrotti. Poi lui, con un gesto leggero, tira una manica del cappottino arancio di lei e confida, quasi imbarazzato: Vale, l’ho finito, sai?
Per un breve attimo, lei pare non capire il senso della frase, ma è solo un istante e l’incomprensione cede il posto al sorriso: Bene.
Annuisce con la testa più volte e ripete, quasi fra sé: Bene. Bene.
Poi lo guarda, sorniona, e butta lì: Quando lo leggo?
. Crede di spiazzarlo, pensa che lui non starà al gioco fino in fondo, che sono passati troppi anni e troppa vita, forse, per mantenere una promessa di gioventù. Invece Alessandro, con imbarazzo sempre più evidente, sfila un cd-rom dalla tasca della giacca e glielo allunga serio: Anche subito, se vuoi. E’ qui.
poi aggiunge Avevamo fatto un patto, no? Mi vergogno da morire, però, lo ammetto… la
secchiona che corregge il somaro… non ci sono più abituato.
Lei sorride di nuovo, fa sparire il cd nella borsa prima che lui ci ripensi e commenta Mi vergognerei anch’io, al posto tuo! Vent’anni e più per scrivere di un viaggio! Beh…diciamo che posso presentare il tuo lavoro come frutto di un’ attenta elaborazione esperienziale dell’autore
. Ridono, salutandosi con un abbraccio. L’argomento libro è subito accantonato, sono bastate poche frasi per capirsi, anni di convivenza nello stesso liceo hanno raffinato la sottile arte del comprendersi al volo. Lui si incammina a piedi attraverso la piazza e lei lo guarda allontanarsi, l’attenzione già divisa fra la curiosità verso il lavoro dell’amico ed il pensiero di cosa cucinare a cena. Giorni dopo, mentre cerca di spiegare l’inconscio freudiano ad un gruppo di ragazzi assonnati, lei riceve un sms: Ti ricordo i nostri accordi: leggere il manoscritto, correggere ortografia e sintassi, scrivere presentazione dell’autore –possibilmente facendolo passare per un gran figo. Io il mio pezzo l’ho fatto, ora tocca a te lavorare, Prof!
.
Ecco, se dovessi semplicemente raccontare come e quando Alessandro mi ha incaricata di scrivere l’introduzione al suo libro, potrei forse fermarmi qui. Invece, per onorare sino in fondo un patto siglato l’estate della mia maturità, devo continuare. E devo anche ammettere che, continuando, non mi si chiede di introdurre semplicemente un autore che scrive di viaggi e che vive viaggiando anche quando non si allontana dalla sua città. Mi si spinge a fare i conti con una scommessa fra ragazzi che oggi ha il sapore nostalgico delle avventure terminate, delle parentesi che si chiudono, ma anche dei sogni che -per fortuna- ogni tanto si realizzano.
Allora eccomi a cercare le vecchie foto del liceo e dell’università, per ricordare quell’Alessandro ragazzo che un po’ ho dimenticato, sostituendolo anno dopo anno con l’uomo di oggi. Siamo lì, leggermente sbiaditi, ritratti nel giardino della sua casa al mare insieme a tutto il gruppo di amici, come sempre Alessandro ed Alberto più alti degli altri. Me lo ricordo, quel giorno. Festeggiavamo la patente di Giada, conquistata dopo numerose bocciature; una festa alla buona dove ognuno portava qualcosa. Sullo sfondo della foto c’è persino nonna Laura ed io mi intenerisco perché, di quel nipote bello ma ancora senza grande ambizione, lei diceva, con tenerezza: Non è un cattivo ragazzo o uno scavezzacollo, anzi, tutt’altro: è sensibile, romantico, affettuoso e pieno di buoni principi, solo un po’ fannullone a scuola, questo sì!
E nella parola fannullone, termine che ormai fa quasi sorridere tanto sembra desueto, lei racchiudeva tutte le caratteristiche più negative che riusciva ad attribuire al suo Alessandro. A dire il vero, io ero meno clemente di nonna Laura ed a volte giudicavo il mio amico come un esempio da non seguire. Infatti, eccettuato il vago interesse per la politica -spentosi con la fine del liceo- e bilanciato da un forte interesse per il gentil sesso, l’Ale del tempo non dava ancora segno di tutte le qualità che avrebbe mostrato in futuro. Direi che dirigeva i suoi sforzi maggiori alla conquista di quei quattro soldi che servivano per la broda
(a Bologna, la benzina) ed un pacchetto di paglie
( sempre a Bologna, le sigarette) che finiva poi per distribuire generosamente.
Scorro le foto sino a trovarne una in bianco e nero. Siamo a cena al ristorante, un grande tavolo rotondo con la mia e la sua famiglia al completo, tutti in posa dietro le insistenze del fotografo e molto eleganti. Chissà, forse era il compleanno di qualcuno, non ricordo. Io ho i capelli lunghissimi e ricci di permanente, con frangia gonfiata in perfetto stile anni ottanta. Un orrore, direi oggi. Ale, in giacca e cravatta, siede accanto al padre e guarda dritto verso l’obiettivo della macchina fotografica, con quell’aria un po’ sfrontata e intelligente che oggi rivedo negli occhi di suo figlio Stefano. Mi sorprendo nel vedere papà Benito e figlio vicini, erano gli anni della guerra fredda tra i due, quelli. Il genitore, stimatissimo professore alla facoltà di Ingegneria, non aveva accettato serenamente la decisione presa da Alessandro di cambiare indirizzo universitario in quanto questi aveva già sostenuto, peraltro brillantemente, dieci esami nella sua stessa facoltà. Lasciare lo studio matto e disperatissimo di ingegneria per dedicarsi ad Economia e Commercio era, per quell’uomo così tradizionalista ed appassionato di calcoli, qualcosa di inaccettabile. Così, quando una sera a cena aveva chiesto: Quale esame stai preparando, Alessandro?
la risposta fintamente tranquilla: Ragioneria Uno, papà
aveva deluso a tal punto il docente da indurlo a non rivolgergli più la parola