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Tu prepara il filtro
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E-book188 pagine2 ore

Tu prepara il filtro

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Info su questo ebook

La tortura del passaggio alla vita adulta raccontata dal ventinovenne Matteo, che, dai gradini di un cimitero, ripercorre i suoi ultimi dieci anni, vissuti con un perenne senso d’inadeguatezza e dal timore di aver compromesso il proprio futuro.

Amicizia, precariato e valori non riconosciuti come tali, vengono trattati in Tu prepara il filtro, ironico romanzo di formazione ambientato in un piccolo paese del sud Italia nei primi anni Duemila.  
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2021
ISBN9791220233163
Tu prepara il filtro

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    Anteprima del libro

    Tu prepara il filtro - Francesco De Giorgi

    Silvestri

    Capitolo 1

    Il cimitero li aveva fregati tutti. Me ne rendevo conto solo in quel momento, mentre scendevo quei gradini. Da lì, infatti, si poteva vedere tutto il mio paese e da quei gradini si potevano capire tante cose sulla gente che lo abitava. 

    Quel paese era una specie di grande sala d’attesa dove la maggior parte degli abitanti nasceva, cresceva e lavorava, soltanto in attesa della morte che li avrebbe portati, si dice, a miglior vita. Nessun sussulto, nessuna ribellione, nessun gesto inconsulto. La loro esistenza si limitava a far passare i giorni, a far scivolare il tempo sulla propria pelle, al massimo con qualche escamotage come una casa più spaziosa da acquistare, un paio di figli da crescere, una puntata al lotto grazie ai numeri che la nonna morta pronunciava in un sogno, un animale domestico da accudire, un’iscrizione in palestra dopo le abbuffate natalizie. Dubbi, domande, esigenze, neanche a parlarne…

    Lo so, sembra la storia di tanti paesi, infatti il mio paese non ha nome perché potrebbe essere uno qualunque e non ha alcuna esclusiva su questo tipo di vita passiva. I posti nei quali si svolgerà questa storia sono situati tra il mar Ionio e il mar Adriatico, e questo può bastare per darvi un’idea di queste zone che d’estate ardono, dalla troppa attenzione, e d’inverno gelano ripiegate su sé stesse, dalla troppa solitudine. 

    Nemmeno io sono escluso da questa fregatura di massa. Ultimamente mi rendo conto che molte delle mie azioni e delle mie parole non sono il frutto della mia espressione, ma sono azioni e frasi tremendamente predefinite. 

    A questo punto posso anche presentarmi. Mi chiamo Matteo Fabbri, ho 29 anni e sulla mia professione stenderei un velo pietoso, perché negli ultimi tempi ho fatto qualunque lavoretto in grado di portarmi in tasca qualche soldo per poter sopravvivere. Da cinque anni sono laureato in Scienze della comunicazione e credo che sia meglio partire dalla fine dei miei anni universitari per arrivare a dire cosa ci faccio ora, sulle scale di un cimitero, con questi pensieri che mi bloccano la mente. Stanno lì come le auto nel centro intasato di una grande città all’ora di punta, strombazzanti, che cercano ugualmente di superarsi l’un l’altra, da sinistra ma anche da destra. Pura anarchia. Prima di dormire, nel silenzio della mia stanza, sento i colpi di clacson, i vaffanculo e i gestacci plateali che si scambiano gli automobilisti furenti per il forte ritardo. Ogni tanto gli rispondo anche: «Tranquilli ragazzi, tanto sono sempre qui, magari ci vediamo domani…».

    Capitolo 2

    All’università ci sono finito quasi per caso, per una decisione presa all’ultimo momento. Del resto, a quell’età, raramente si è in grado di ponderare qualche decisione. Io scelsi una facoltà con la stessa superficialità con la quale si va a un appuntamento al buio. Una scelta affatto giudiziosa, figlia dei tempi agiati, da far rabbrividire i più raffinati conoscitori del nostro tempo. 

    Ero conscio del fatto che studiare non fosse il mio forte. Provavo fastidio anche e solo a stare seduto per ore davanti a una scrivania, con la testa china su libri. Le giornate di sole, che dalle mie parti non mancavano di rado, mi avevano sempre spinto fuori casa, e quando questo non accadeva, erano i miei pensieri a farsi un giro fuori. Però, allo stesso tempo, sapevo quanto fosse necessario farlo. 

    Durante i miei primi giorni universitari a Siena, mi capitava di osservare stranito i tanti ragazzi convintissimi della strada imboccata per raggiungere la propria meta, ovvero un futuro radioso, mentre io ero dubbioso anche sull’alzarmi dal letto per andare al cesso, restare sotto le coperte qualche minuto in più, oppure non alzarmi per l’intera mattinata. Erano tutti preparatissimi su quello che avrebbero fatto negli anni a venire. Alcuni di loro, addirittura, si trasformavano in incubi: una serie di ragazzi in fila, davanti al rettorato, che mi si presentavano nel sonno con le loro ambizioni già realizzate. 

    «Ciao, mi chiamo Fabrizio, ho 18 anni, sono un professore di italiano e storia presso un istituto superiore di Reggio Calabria. Ho una moglie che, nonostante i nostri dieci anni di matrimonio, è ancora innamoratissima di me e ho due figlie che mi adorano. Sono anche un consigliere comunale e nel tempo libero mi piace fare attività subacquea.» Beh, spero che durante la prossima immersione uno squalo ti divori, Mr. Perfezione. Lo spero solo per il gusto di vedere la tua meravigliosa famiglia del Mulino Bianco in lutto per l’unica cosa che non avresti potuto preventivare. 

    «Io sono Allegra, ho 22 anni e sono una neo-laureata in Medicina. Tra due mesi mi sposerò con Oscar, imprenditore trentacinquenne di Varese, conosciuto in discoteca tre anni fa, con il quale già convivo in un appartamento nel centro di Milano. La nostra storia è fatta di alti e bassi perché lui è quasi sempre fuori per lavoro e non fa nulla per non farmi essere gelosa, ma devo anche ammettere che riesce a trasmettermi sicurezza nei miei mezzi come nessun altro, per questo sono convinta della mia scelta.» Allegra, che cazzo di nome è? Vorrei sentire il tuo tono di voce mentre confermi come ti chiami all’agente di polizia venuto a informarti del grave incidente automobilistico che ha coinvolto tua famiglia: «Vede signorina, la sua famiglia stava percorrendo la statale per andare al mare quando un ragazzo a bordo di una Mercedes CLS 63 AMS, che era davanti a loro, ha frenato all’improvviso cogliendo di sorpresa suo padre, il quale non è riuscito a evitare l’impatto. L’auto si è completamente distrutta e purtroppo hanno perso la vita i suoi genitori, suo fratello e sua nonna. Si è salvato solo il suo cagnolino che però ha perso le due zampette davanti», «Oh, mio Dio! Ma è terribile», «Ah, c’è un’altra cosa che deve sapere signorina Allegra, lo stronzo che ha frenato all’improvviso era il suo fidanzato Oscar, il quale, molto probabilmente, ha frenato per leggere il messaggino che la sua migliore amica Valeria gli ha inviato. Il messaggino diceva: INVENTA UNA SCUSA AD ALLEGRA E VIENI A CASA MIA CHE HO VOGLIA DI FARE L’AMORE CON TE. TVB. UN BACIO, VALE», «Non è possibile!», «Oh, sì, lo è! Comunque signorina, il suo Oscar è ricoverato in ospedale. Ha un braccio ingessato, due denti rotti e ha parecchie ferite lungo tutto il corpo. Se per caso ha intenzione di cambiare il suo supponente nome da Allegra in un più semplice Chiara, la posso capire». Buona fortuna Allè! 

    «Sono Alessandro, 19 anni, commercialista. Lavoro a Milano, ma sono pugliese. Mi piace andare in palestra e viaggiare. Sono single per scelta, perché adesso non mi va di avere una relazione seria, ma intendo sposarmi prima dei quaranta.» Anch’io vorrei iniziare una relazione seria poco prima dei quaranta, se non fossi già sicuro di trovarmi stempiato e con la pancia, magari anche disoccupato visti i tempi. Se soltanto provassi a scegliermi una donna verso i quarant’anni mi ritroverei di fronte a una schiera di disagiate o di perseguitrici dei loro ex, magari con un figlio a carico avuto da una precedente storia con qualche camionista che le pestava a sangue e le tradiva ripetutamente. Forse perché un paesino non è Milano, perché io non faccio il commercialista, perché il divano non sviluppa gli addominali e la briscola se ne frega dei bicipiti. 

    «Ciao, sono Candida, ho 24 anni e lavoro nel mondo della moda, più precisamente disegno abiti femminili per un noto marchio che porta il nome di due stilisti. Un lavoro che richiede passione e meticolosità. In questo momento mi sto concentrando molto sulla carriera, trascurando un pochino la mia vita privata, ma del resto non si può avere tutto, giusto?» Giusto! Ma infatti io non vorrei avere tutto, mi basterebbe qualche certezza in più. Comunque credo di aver capito di quale marchio parli. Credo sia quello di quei due omosessuali che fanno sempre quelle pubblicità scandalose. Proprio ieri ho visto un loro spot in cui due energumeni di colore violentavano una donna bianca. Ho pensato che quei due stilisti sono persone sensibilissime anche se non ho capito bene la morale dello spot, ma sicuramente dipenderà da un mio deficit. Comunque mi ha colpito molto il vestito, probabilmente disegnato da te, strappato a morsi dal corpo della donna. Devi essere orgogliosa di lavorare in un’azienda del genere…

    «Ciao, mi chiamo Danilo, ho 20 anni e lavoro in banca, a Milano, nel ruolo di Credit Risk Analyst, occupandomi nello specifico di derivatives control e credit risk. Malgrado senta spesso la nostalgia di casa, essendo molisano, sono molto contento del lavoro che faccio e della mia vita in generale. Ah, a proposito, tra un mese mi sposo con Camilla e spero che presto arrivi anche un figlio.» Danì, sarai pure contento del tuo lavoro, ma non provare vergogna nel dirlo in italiano. Non è mica da questi particolari che si giudica un provinciale.

    Questi erano i miei incubi. C’era chi aveva mostri alati, dittatori feroci, killer spietati, spiriti malvagi. Io avevo dei ragazzi che, di fronte al rettorato, si presentavano sicuri e impettiti, come fossero a un provino per un ruolo, con le idee riguardanti il loro futuro talmente chiare da esserci già dentro. Ma quelli non erano provini e io non potevo nemmeno liquidarli con un le faremo sapere, perché questi ragazzi sapevano già di essere stati presi. Mi svegliavo stordito da tutte quelle certezze snocciolate. 

    Se, viceversa, loro avessero sognato il sottoscritto, di sicuro avrebbero visto un ragazzo a corto di chiacchiere, vacillante già sul nome e l’età, e balbettante su tutto il resto. Dove per resto non s’intende il futuro, ma il presente.

    Comunque, io mi stabilii a Siena insieme a due amici, Carlo e Bruno. La scelta superficiale di proseguire gli studi è dipesa soprattutto da loro. La facoltà l’abbiamo scelta facendo testa o croce, escludendo ingegneria, economia, medicina e tutte quelle più rognose. L’idea di base non era quella di studiare, ma quella di stare in casa insieme e divertirci quanto più possibile. Eravamo dei cretini, ma a diciotto anni ci può anche stare. 

    Il primo si può definire, in maniera semplice ma efficace, un playboy biondo che frequentava il mondo scolastico da diversi anni solo per conoscere nuove ragazze. Certo, questo forse lo facevamo un po’ tutti, solo che a lui le cose andavano particolarmente bene, e, soprattutto, lui lo faceva in maniera spudorata. Per intenderci, in tanti anni non l’ho mai visto con un libro in mano. In compenso, l’ho visto limonare con un centinaio di tipe. Alle superiori riuscì a far innamorare di sé le professoresse della classe: sguardi languidi, bigliettini romantici lasciati nei compiti in classe, complimenti durante le interrogazioni e doppi sensi come se piovessero dal cielo; cose del tipo «…usarono un cavallo per penetrare Troia. Uh, mi scusi per entrare a Troia», e il gioco era fatto, anche perché il suo corpo docente era tutto al femminile e, a quanto pare, era parecchio insoddisfatto sessualmente. 

    Di Bruno cosa si può dire per definirlo? Quasi due metri di altezza per centoventi chili, oppure centoventi chili di bontà in un corpo che potrebbe contenerne anche centocinquanta. Posso dire di conoscerlo dalla prima elementare visto che mi salvò il culo mentre due tamarri più grandi di me iniziarono a picchiarmi nel bagno della scuola per fottersi le duemila lire che avevo in tasca. Lui, che all’epoca faceva la terza elementare e pesava già quanto tre quarti di Pavarotti, gli arrivò da dietro, fece un cenno spazientito come a dire Devo fare tutto io in questo mondo e tirò una manata in faccia a uno dei due. La manata non solo colorò di rosso il volto di quel tipo, che comunque aveva già una faccia da stronzo tanto da sembrare quasi abbellita da quelle cinque dita, ma fece un rumore talmente forte e rimbombante da far fare una smorfia di dolore anche all’altro, il quale decise prontamente di andarsene lasciando il suo compare accasciato a terra con le mani sulla faccia devastata. Praticamente rimase a terra per cinque minuti con la bocca aperta. Di tanto in tanto girava la testa a destra e a sinistra cercando con lo sguardo qualcuno che gli spiegasse cosa fosse accaduto. Evidentemente il dolore gli annebbiò i ricordi. 

    Ma tu gli hai fatto qualcosa a questi? mi disse Bruno mentre uscivamo dal bagno.

    No, volevano prendersi i miei soldi 

    Quanto? 

    Duemila lire. 

    Certo che sei un morto di fame. Per duemila lire… sentenziò il ciccione, come se la colpa fosse mia. 

    In prima elementare duemila lire erano un capitale non indifferente per le mie finanze. E lo sarebbero anche adesso, se non fossimo passati all’euro. Sono sempre stato un gran risparmiatore, anche da piccolo, forse prevedevo già un futuro da precario. Comunque non

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