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La notte delle ciliegie
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E-book247 pagine3 ore

La notte delle ciliegie

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Info su questo ebook

Gus, romanziere scanzonato inaridito da una vita superficiale, arriva dalla Sardegna a Barcellona per scrivere il suo secondo romanzo. Susana, argentina figlia di desaparecidos, si trova nella capitale catalana per vendicare i propri genitori, vittime senza sepoltura della cruenta dittatura militare di fine anni Settanta. Le strade dei due si incrociano sullo sfondo di una città immersa in un'atmosfera romantica e al tempo stesso grottesca. L'amore per la ragazza travolgerà lo scrittore al punto tale da aiutarla nella sua missione, ma nonostante ciò Susana non riuscirà a porre fine alla sua storia di dolore.
LinguaItaliano
Data di uscita8 lug 2019
ISBN9788893432580
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    Anteprima del libro

    La notte delle ciliegie - Daniele Occhioni

    Céline)

    Prologo

    Avevo la canna della pistola puntata alla tempia. Sentivo il metallo affondare nella pelle, entrarmi dentro con cattiveria. Per un istante mi chiesi ancora una volta che cazzo ci facessi in quella situazione. La risposta la sapevo, era bellissima, a pochi passi da me, ma non potevo pronunciarmi. Nella posizione in cui versavo era impossibile parlare. Toccavo, respiravo e masticavo terra. Era forse arrivato il mio momento?

    In tanti romanzi un uomo in punto di morte si trova al cospetto della vita che ha vissuto. Nei suoi occhi scorrono immagini indimenticabili. Attimi che l’hanno visto crescere. Passi di un percorso, a volte memorabile, che l’hanno portato al punto in cui si trova. La prima pedalata. Il primo bacio con la lingua. La prima volta con il primo amore. I primi passi di suo figlio.

    Per me non fu così. Quel che stavo vivendo non era un romanzo ma solo un non lieto fine. Come avrei potuto in quel momento pensare al mio passato?

    Il mio viso spiaccicato a terra era compresso in una morsa di terra e rabbia. Quel dolore fisico, l’impotenza, la paura, mi scaraventavano in avanti. Il futuro era l’unico motivo che mi teneva aggrappato alla vita. Ero giovane, così tante erano le cose che dovevo ancora fare. Imparare ad amare. Mettere su casa insieme a Susana, oppure ognuno a casa propria ma insieme. Viaggiare con lei. Un figlio, forse due, magari tre. Un altro scrittore da invidiare. Una nuotata a Cala Spinosa. La vecchiaia tra gli olivastri a Caresi.

    No. Non potevo morire. Dovevo vivere per quello che ancora poteva accadere. Lottare con tutte le mie forze e trovare in fretta una maniera per liberarmi. Portare a termine la nostra missione.

    No. Non era ancora tempo di invocare la morte.

    1

    Qualche mese prima

    C’è una donna su un taxi giallo e nero. Il suo sguardo inespressivo vaga oltre il finestrino, perdendosi nel vuoto. Buenos Aires le scorre davanti come se non ci fosse mai stata. Niente della Gran Capital le porge un ricordo, non in quel momento. I pensieri grigi che affollano la sua mente la spingono a cercare sulla strada un appiglio che non c’è. È sola, come non lo è mai stata.

    «La vendetta non disseta. Promettimi che non la cercherai. Cerca invece la felicità e vedrai che allora, della vendetta, non ne avrai bisogno…» le aveva detto sua nonna quasi implorandola, qualche giorno prima, dal letto su cui poche ore dopo l’aveva vista morire.

    Susana aveva abbassato lo sguardo e non aveva risposto, non sarebbe riuscita a mentirle. Perché quella decisione l’aveva già presa nel momento in cui aveva scoperto di non essere quella che credeva di essere.

    E nemmeno sua nonna, che aveva lottato tutta la vita per ritrovarla, sarebbe stata capace di farle cambiare idea.

    Il tassista guida silenzioso. Di tanto in tanto impreca a bassa voce contro gli altri automobilisti. Punti di vista. Punti di guida. Los Fabulosos Cadillacs riempiono quel silenzio teso con Vasos Vacíos. Susana non sente il ritmo di quella canzone che mille volte ha intonato nella sua stanza. Non la sente perché è già in volo.

    L’auto corre sull’autopista A002 Pablo Ricchieri. Ezeiza si avvicina. Una torre di controllo cattura per qualche secondo il suo sguardo mettendo a freno i suoi pensieri. Prende dalla borsa uno specchietto, entra in contatto con le pupille nere, perlustra rapidamente la pelle del viso, come sempre senza trucco. È una di quelle donne consce della propria bellezza. Sistema delicatamente i capelli e quando la macchina si ferma di fronte all’entrata delle partenze internazionali mette gli occhiali da sole, paga, esce dal taxi e impugnando le valigie si dirige verso la sua meta.

    Gli uomini non possono fare a meno di girarsi al suo passaggio. La seguono con lo sguardo mentre sfila davanti a loro con passo deciso senza degnarli di attenzione. Pullover turchese attillato che mette in risalto il seno. Capelli lisci e lunghi sino alle spalle. Pelle bianca sottile. Ginocchia a punta e gambe fini, scolpite da un’attività fisica mirata. Da mesi si prepara per quella missione.

    L’altoparlante risuona nella hall: «Ultima chiamata per il volo Aerolíneas Argentinas per Barcellona, i signori passeggeri sono pregati di raggiungere il gate 7».

    2

    Mercedes slk, ultimo modello, comprata la sera prima. Lucidissima. Coupé Cabrio a due posti, perfetta per un uomo che non ha amici.

    Al polso sinistro un Rolex Daytona, cinturino in acciaio, vetro zaffiro. Quattromila euro. Minuti che passano nella stessa maniera di un Casio da dieci euro comprato dai senegalesi in spiaggia. Camicia rosa Ralph Lauren. Pantaloni blu Versace. Collana e bracciale in oro. Scarpe Dolce & Gabbana. Composto. Apparentemente in ordine.

    A molti sarebbe potuta sembrare una persona perbene. A me no. Sapevo che sotto quella patina di superbia si celava un uomo equivoco. Il proprietario della mia casa editrice. Un poco di buono. Un coglione.

    «Eccomi!» esclamò sorridente dirigendosi verso di me.

    Dalla vettura, a tutto volume, una melodia che senza dubbio meritava.

    "Ti regalerà dentro il Cammino Dell’Età

    una spiaggia dove il sole il giorno dopo arriverà

    e ti stringerà d’inverno dentro un cinema in città

    e all’uscita della scuola tutti i giorni aspetterà".

    Non era la mattina più fortunata della mia vita. Quella specie di cantante mi faceva venire le convulsioni. Gigi, che testo di cazzo. Potevo tollerare tutto, ma non quell’oltraggio. «Spegni per favore, ho mal di testa» dissi scocciato.

    «Certo, Agustinu mio». Spense lo stereo e si diresse verso il chiosco sculettando.

    «Come mai da queste parti?».

    «Ho una proposta da farti» disse sfiorandomi il braccio e guardandomi dritto negli occhi, come se volesse osservare la mia anima. Come se volesse possedere il mio corpo.

    Avevo più volte rifiutato le sue avance. Già dal nostro primo incontro, quando timido e impaurito mi ero presentato alla sua porta con il mio manoscritto tra le mani. Per lui era stato un colpo di fulmine. Per me no. Ed era questo il motivo per cui mi stava alle calcagna. Dino possedeva di tutto. Un partito politico, un’emittente televisiva, una squadra di calcio dilettantistica, un giornale e ville sparse per tutta la Gallura. Quelli come lui comprano tutto ciò che vogliono. Ma io non ero in vendita.

    Ad ogni modo, la Funti Editrice aveva pubblicato il mio primo romanzo. Per un debuttante è quasi impossibile emergere, ma quella piccola casa editrice aveva scommesso su di me. Mi avevano detto che avevano trovato la mia penna originale facendo esplodere il mio ego. Mi avevano garantito una buona pubblicità e un discreto guadagno. E non volevano nemmeno modificare il contenuto del mio manoscritto. Insomma, gli ero debitore. Purtroppo.

    Il libro narrava la storia di un adolescente gay nato e cresciuto in un piccolo borgo della Sardegna settentrionale. Un tema caldo e difficile. Una verità assoluta. Per un omosessuale, abitare in un paesino gallurese nel 1990 era come vivere negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, quando essere gay era reato.

    Forse le mie parole avevano toccato alcune corde nascoste nel suo cuore. Forse da giovane aveva avuto difficoltà a calibrare la sua sessualità e a mostrarsi così com’era: un bisessuale in cerca di emozioni. E sin qui non ci sarebbero stati problemi, perché ognuno è libero di amare chiunque voglia. Ma lui era un bisex particolare. Uno stronzo.

    «L’omosessuale che non si vede: un capolavoro. Mai letto un libro così vibrante».

    Così diceva sempre. Ma io sapevo che non lo aveva nemmeno aperto e si era accontentato della quarta di copertina. Non era di certo rinomato per essere un intellettuale. La sua cultura era di facciata, di marca, di prestigio.

    Era abile a mentire, un amabile affabulatore più interessato a me che ai miei scritti. Era me che voleva sfogliare sino in fondo.

    Squillò il telefonino. La suoneria aveva la voce di Nino D’Angelo. No, anche Nino D’Angelo no, pensai.

    «Sì, pronto, cosa c’è? Ti ho detto che non mi devi disturbare quando sono in riunione. Dimmi velocemente. Il rumeno? Ma chi, coso, il giardiniere? Ah, si lamenta per lo stipendio? Ma guarda un po’… Allora sai che gli dici? Che se non gli va bene lo faccio tornare a Bucarest a calci in culo! Sai quanti ne trovo di morti di fame come lui. Anzi, digli che non mi serve più! Non lo voglio più vedere!».

    Mise giù. Sorrise. «Scusami, era la mia segretaria» mi informò portandosi gli occhiali sopra la stempiatura.

    Era il classico uomo che odiavo. Ricco, prepotente, immemore di tutta la strada che aveva fatto per arrivare a essere quel che era. Un paraculo con giacca e cravatta. «Ti commissiono un libro» disse poi cambiando argomento.

    «Un libro? Non so se sono capace. Non ho mai scritto su commissione» risposi veloce, poco convinto dei miei mezzi. Dubitare di se stessi ammortizza le cadute.

    «Tu tesoro mio saresti capace di tutto, ogni storia tra le tue dita diventerebbe magia… Ah, ti propongo una location da urlo».

    «Non lo so, Dino, nessuna città mi ispirerebbe in questo momento della stagione. Dammi del tempo per pensarci».

    «Guslindo mio, come sei complicato. Accetta senza pensarci e vedrai che presto non avrai più bisogno di gestire questo baretto del cazzo».

    «Guarda che io amo il mio lavoro, amo dove lavoro e questo baretto del cazzo».

    Non vivevo certo di scrittura. Avevo un chiosco in gestione. In uno dei luoghi più incantevoli al mondo. In quella penisola scolpita dal maestrale il Mediterraneo assume la sua migliore bellezza. Rocce di granito imponenti si tuffano a capofitto in un’acqua dalle molteplici sfumature. Smeraldo. Avventurina. Crisocolla. Cala Spinosa è il mare.

    Di fronte a quella baia io, Teo e Federico avevamo passato intere estati della nostra infanzia.

    «Ma tu hai talento, tu sei destinato a sfondare! Sei come me. È dal nulla che sono diventato quel che sono».

    Cominciava a darmi sui nervi. Quel posto non meritava uno così.

    «E quale sarebbe questa location da urlo?» dissi mettendo zucchine e melanzane sulla piastra.

    «Barcelona de Cataluña! Provaci! Potresti ambientare lì quel giallo di cui mi dicevi tempo fa. Barcellona è lo scenario giusto per la tua storia! Donne, vino, architettura, mare…».

    «Dino, ogni giorno ho una nuova trama per la testa. Quella già non la ricordo più, svanita come tutte le storie che racconto prima di trascriverle».

    Quell’ultima frase non la sentì, aveva abbandonato la conversazione per seguire con lo sguardo un ragazzo a petto nudo che si dirigeva verso la spiaggia.

    Mentre lui si deliziava alla vista di quelle cosce pelose, soppesai le sue parole e per un attimo dimenticai il personaggio che avevo di fronte. Barcellona. L’idea non mi dispiaceva affatto. E non ci dovevo mica andare con lui. Si girò verso di me, scrutò i miei occhi e consapevole di avere colto nel segno cercò di affondare la presa.

    «E ti dirò di più, ho un attico con vista sulla Barceloneta. Ci vado spesso d’inverno. Ti metto a disposizione tutte le comodità che vuoi. Maggiordomo incluso».

    Ecco perché mi voleva nella capitale catalana! Feci finta di niente. Non sarei mai andato a vivere a casa sua. A Barcellona avevo due amici che non avrebbero esitato un istante ad aiutarmi a trovare un alloggio.

    «Vieni a cena con me? Nella villa a Conca Verde, così parliamo dell’aspetto economico» disse avvicinandosi ondeggiando.

    «Dino, a cena non vengo. Quante volte te lo devo dire che a me piacciono le donne? Solo le donne. Sono e-t-e-r-o-s-e-s-s-u-a-l-e».

    «Anche a me, vedi sono sposato» fece mostrandomi la fede.

    «Dino, cerca di capire questo. Non sono omosessuale. Ho solo scritto un libro che parla di un omosessuale».

    «Ma se lo hai scritto così bene, vuol dire che un po’ lo sei, amore mio».

    «Va bene, ho capito! Lasciamo perdere. Comunque accetto, vado a Barcellona, basta che ti levi di torno» dissi sfinito.

    In effetti era un’idea grandiosa. Aveva deciso per me in una fase dell’anno confusa dandomi la possibilità di frequentare Marica e Federico in una città che amavo.

    «Lo sapevo! Informo subito il mio maggiordomo».

    «Mettiamo subito in chiaro alcune cose: non ho bisogno della tua ospitalità, non voglio nessun anticipo e mi paghi le spese solo se riesco a scrivere qualcosa di interessante. Altrimenti ognuno per la propria strada. Intesi?».

    «Cierto mi amor…».

    La scelta non era stata poi così difficile.

    Il letargo di Lungoni o Barcellona? Monti Maltinu o il Tibidabo?

    3

    Susana è seduta sul bordo di una fioriera, in attesa. Di fronte a lei Plaça d’Espanya e un tramonto che svanisce rapidamente, lasciando spazio alla fontana in musica di Montjuïc. Il suo volo è appena atterrato, non ha mangiato granché e la tensione le ha permesso solo qualche sporadico pisolino.

    Non ci sarebbe impatto di migliore auspicio della fontana magica se fosse in vacanza come tutti gli altri turisti, ma la sua non è una gita di piacere e non è del loro stesso umore. Si trova lì per un dovere che sente nei confronti di se stessa, dei suoi genitori e di sua nonna. Deve essere una trovata di Juan, detto Rojo. Deve avere pensato che forse quel luogo, a quell’ora, avrebbe potuto quietare almeno in parte il suo stato d’animo.

    I Queen cantano We Are The Champions. Un oceano di macchine fotografiche e alcuni telefoni di ultima generazione si innalzano sopra le teste degli umani ammaliati. Lo spettacolo è assaporato attraverso il filtro, non si guarda per beneficiare dello show in diretta ma per vederlo in differita. Cogli l’attimo, ma non subito, fallo a casa, che sei più comodo.

    I getti dell’acqua si muovono a ritmo. Come una cinepresa fa con un ballerino che non sa ballare, le luci donano movimento all’acqua impreziosendone il passo.

    Si guarda attorno. Che ci faccio qui?, si chiede stordita dalle ore di volo, le valigie ai piedi e di fronte l’inquietudine di un luogo nuovo. Di una storia che non sa come andrà a finire.

    Non sono passati nemmeno cinque minuti da quando è scesa dal bus che l’ha portata lì. Ma il tempo è un macigno quando si è soli e non si sta bene, ti sembra di invecchiare come se a passare fossero millenni, anziché minuti.

    Ha bisogno di Rojo. Ha trattenuto per intere giornate le lacrime che avrebbe voluto versare, se solo ci fosse stata una spalla su cui piangere. Sua nonna è morta da pochi giorni. A parte Rojo non le rimane nessuno al mondo, sa già che abbracciarlo e condividere la sua sofferenza con lui sarà come liberarsi, almeno in parte.

    «Scusa il ritardo» dice lui sbucando dal nulla.

    Susana lo abbraccia, lasciando scorrere le lacrime, iniziando così la digestione di quel lutto. Rojo la stringe forte a sé e le accarezza i capelli. Rimangono abbracciati per qualche minuto, sino a quando non è lei a dire: «Mi sei mancato!».

    «Mi dispiace non esserci stato al suo funerale, ma stavo organizzando il tuo arrivo».

    «Non ti devi scusare. Ti sono debitrice» sussurra lei passandogli la mano sulla nuca.

    «Non ti piace lo spettacolo?» chiede lui indicando le fontane.

    «Amo i Queen, l’acqua e l’umanità quando inventa qualcosa di così poetico. Ma non è il momento. Non riesco più a riconoscere la bellezza».

    «Hai voglia di camminare o prendiamo un taxi?».

    «Preferisco camminare, dopo tredici ore di volo è un obbligo».

    «Stanotte dormi da me. Non mi va di lasciarti sola. Abbiamo tante cose da raccontarci».

    «L’hai già trovato?» chiede mordendosi il labbro superiore.

    «Non ancora, ma per stasera non se ne parla. Ambientati prima. Nei prossimi giorni ti dirò tutto quello che so. Intesi?». Le sorride. Lei annuisce, continuano a camminare.

    «Ti ho trovato la casa a Gràcia. Dentro troverai una bellissima sorpresa».

    «Non puoi mettermi la pulce… dimmi di cosa si tratta, ti prego…». Sorride per la prima volta da giorni.

    «Ti dico solo che l’ho scelta per via della sorpresa. Domani la vedrai! Tieniti stretta la pulce!».

    «Non muovo un passo se non me lo dici subito. Non mi piacciono le sorprese!» esclama impuntandosi come una bambina capricciosa.

    «E va bene, nenita. La sorpresa è che dentro la casa c’è un piano…».

    Lei fa due passi e lo riabbraccia come una bambina viziata che è stata appena accontentata.

    «La prossima settimana inizi a lavorare. Papu, un amico di Mar del Plata, gestisce un locale al Born. È una vecchia pescheria trasformata in bar. Ti troverai bene».

    «Grazie…» dice lei con le lacrime agli occhi.

    «Non mi ringraziare più. Però piangi quanto vuoi» ribatte lui appoggiando le valigie davanti a un portone all’angolo tra Carrer de Sepúlveda e Viladomat. «Siamo arrivati».

    4

    Conoscevo Barcellona, c’ero già stato. La prima volta in gita scolastica, a diciotto anni. Nel viaggio delle prime tentazioni. Il viaggio in cui avevo dato inizio alla mia carriera sessuale.

    Con Rachele era stato un amore platonico. Gli amori peggiori, quelli che possono creare i primi problemi alla prostata. Fu proprio grazie a Barcellona che riuscii finalmente a possederla. Dopo anni di massaggi ai capelli, parole non dette, sguardi e voglie che sfumavano al suono della campanella.

    Quando ci trovammo in intimità fu drammatico. Il mio pene aveva sopportato per troppo tempo il peso di quel desiderio. Entrai dentro di lei ed

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