Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Seguo i miei passi
Seguo i miei passi
Seguo i miei passi
E-book161 pagine2 ore

Seguo i miei passi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nuorese di nascita, tonarese di origini, a quasi quindici anni dagli eventi raccontati in queste pagine tra verità e fantasia, l’autore è stato il primo trapiantato di rene da donatore vivente in Sardegna. All’epoca fece molto scalpore nell’isola e diede il via ad altri interventi che hanno salvato la vita a numerosi pazienti emodializzati. Il rene nuovo, donato nel 1989 con grande generosità e serenità dal padre, Vittorio, gli ha permesso di avere una famiglia alla quale ha saputo trasmettere con amore e divertimento, tra nostalgia e risate, gli insegnamenti derivati dalle sue esperienze giovanili, tra le quali quelle vissute con gli scout e con coloro che sono stati i suoi amici di una vita. A 59 anni la malattia ha avuto il sopravvento. Qui è narrato un racconto, un inno alla vita e all’amicizia, uno scrigno di ricordi dove si possono ritrovare i protagonisti della storia e dove qualche adolescente può 
specchiarsi nella poesia che ciascuno di noi ha nell’anima.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2019
ISBN9788855087414
Seguo i miei passi

Correlato a Seguo i miei passi

Ebook correlati

Biografie e memorie per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Seguo i miei passi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Seguo i miei passi - Alessandro Tore

    Libri

    Prefazione

    È estremamente duro e difficile per me pronunciare, anzi, solo pensare la parola morto quando parlo di Sandro. Lo sento sempre al mio fianco e la parola morto non gli si addice. Ma tecnicamente è il termine corretto. Possiamo dire che non c’è più, che se ne è andato. Sì, possiamo dire così, ma questa è una menzogna, perché c’è ancora, e ci sarà sempre. Almeno per me, per Maria Luisa, per Giulia e, credo per i suoi amici più cari, alcuni dei quali si ritroveranno in queste pagine.

    A Sandro è sempre piaciuto scrivere e tenere i suoi diari di viaggio. Negli ultimi mesi della sua fantastica e travagliata vita, spesso si attardava davanti al computer a scrivere, oppure prendeva appunti a mano su un bel quaderno rilegato che gli avevo regalato molti Natali fa, dove c’è inciso il suo nome. Stava fantasticando e mettendo insieme i ricordi della route estiva che aveva vissuto con il suo gruppo scout Nuoro 1 dal 5 al 16 luglio 1975, ricordi che aveva già buttato giù in un vero e proprio diario, estremamente minuzioso, scritto sul campo e sul momento. Mi aveva dato da leggere una prima bozza, io avevo iniziato a farlo e poi l’avevo messa da parte perché dovevo finire in fretta dei lavori. E poi mi veniva automatico correggere piccoli refusi, sostituire qualche parola. Questo non gli andava, gli seccava che lo facessi. Gli dicevo che bisognava farlo se avesse voluto pubblicarlo, ma Sandro sosteneva di non volerlo pubblicare: «Lo faccio per me, non perché lo leggano altri».

    Poi un giorno se lo è ripreso e ha cominciato a rileggerlo, ad arricchirlo di particolari, a correggere i piccoli refusi.

    Quando se ne è andato, ho ripreso quei fogli che aveva stampato su carta riciclata e ho cominciato a rileggerli. Erano completamente cambiati dalla prima versione, erano stati arricchiti anche di flash sul suo passato che non avevano nulla a che fare con la route, di pensieri e riflessioni ai quali aveva saputo trovare una collocazione, di personaggi – che suppongo essere inesistenti - che rappresentano dei caratteri, delle personalità con cui aveva avuto a che fare nella vita e che ha voluto ricordare. E poi aveva cambiato tutti i nomi dei protagonisti, a partire dal suo, diventato F.

    Perché cambiare i nomi se non voleva pubblicarlo? Perché fare in modo che solo gli amici potessero riconoscersi nel racconto?

    Ha lasciato un pezzetto di carta tra le pagine per segnare dove era arrivato nella correzione sul pc. A mano, con la penna rossa, è riuscito a correggere solo fino al capitolo XXVIII escluso.

    Poi ci ha lasciato. Attoniti e pieni di dolore, con una voragine nel cuore.

    Ho deciso di pubblicarlo così, apportando solo le correzioni che lui aveva segnato con la penna rossa, fin dove ha fatto in tempo a farlo. Credo che sia un piccolo regalo che posso fare alla sua memoria piena di malinconia e rimpianti nonostante le risate sguaiate, ai suoi sentimenti e alla sua storia. E anche ai suoi amici, ai quali mi lega un affetto profondo e sincero, che gli sono stati vicini fino a quando non ha chiuso la porta dietro le sue spalle.

    Le sue pagine scritte, le poesie, le canzoni, le riflessioni, sono ciò che di più importante Sandro ci ha lasciato, insieme al suo grande amore e alla lezione di vita che ha dato a tutti noi.

    Spulciando tra i vari quaderni, ho trovato un foglio un po’ ingiallito, senza data, doveva essere di qualche anno fa. Non credo che si sentisse male allora, ma aveva sempre la sensazione di quanto fosse precaria la sua vita e di quanto ogni giorno per lui fosse un dono. Concludo, quindi, questa prefazione con le sue stesse parole: «I miei anni non sono volati, non scorrono tra le dita come sabbia, ma cadono lenti, come lente sono le gocce di rugiada nel cadere da una foglia. Li posso contare uno ad uno senza rischio di svegliarmi domani e chiedermi dove sono finiti. Posso quasi contare le ore ed accorgermi che tante si sono perdute o smarrite, ma sempre con la coscienza dello smarrimento e della loro perdita. Eppure non mi pesano gli anni che passano, almeno ora. Forse sono come il grande Eduardo che interpretava sempre parti da vecchio per non farsi superare dallo scorrere del tempo. Forse è la malattia, sopita ma non sconfitta, forse il dover sempre inventare il grazie, scarso, del domani, che impedisce la frenesia del tempo. Però mi stupisco quando i giovani mi salutano dandomi del lei come se i miei capelli tinti di bianco e la mia pancetta potessero essere richiesta di rispetto. Sapessero quanto poco vecchio mi sento anche se non più giovane».

    con infinito amore, Natalia

    I

    Nuoro. La città si estende su un altopiano granitico, a circa 550 metri s.l.m., ai piedi del monte Ortobene, ed è il settimo capoluogo di provincia più elevato d’Italia. La città ha avuto, a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, un forte fermento culturale che ha visto nascere e svilupparsi il talento di tanti artisti e personalità che attirarono l’attenzione nazionale e internazionale, uscendo perciò dal ristretto ambito locale e facendo nascere per Nuoro l’appellativo di Atene Sarda. Il fermento culturale che avrebbe dato vita alla importante avanguardia artistica sarda si giovò del notevole miglioramento dei trasporti per la comunicazione con il Continente, anzi, prese proprio questa a suo obiettivo; pian piano, si fecero conoscere oltremare le opere di Grazia Deledda, dei pittori, dei poeti. Celebri per il loro notevole pregio le sculture di Francesco Ciusa. Nuoro divenne un centro culturale di grande rilievo. Con l’allargamento dei servizi e dei posti di lavoro amministrativi, iniziarono a trasferirsi nel capoluogo molti abitanti dei paesi vicini e fra questi anche alcuni artisti. A metà degli Anni ‘60 la bellissima piazza Sebastiano Satta fu sistemata dallo scultore Costantino Nivola, che la arricchì con le sue pregiate opere.

    5 luglio. Dalla finestra aperta il miagolio di un gatto in amore si infilò nel sogno di F., strappandogli il lenzuolo. Fu così che si svegliò infastidito, aprendo gli occhi sulle linee di luce che filtravano dalla finestra. Ma erano solo un equivoco, una macchina di passaggio. La notte era ancora profonda e il gatto non la smetteva. Le sberle di quel miagolio malefico lo trascinarono fuori dai suoi sogni, nei quali cercò ancora di tuffarsi. Si girò e si rigirò. Il caldo della notte di luglio giocava a rimpiattino con le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. Poi il silenzio si racchiuse, colpendogli le orecchie sospettose. Rimase ad aspettare, incredulo che il supplizio fosse finito. Senza che se ne rendesse conto le palpebre calarono sugli occhi per un secondo e subito dopo suo padre entrò senza bussare, come la luce nella stanza: «F., sono le nove!». La sveglia non aveva suonato e per un secondo sentì il cuore in gola al pensiero di fare tardi a scuola. Poi la coscienza di essere in vacanza lo colse come un fulmine, strappandogli un sorriso ancora impastato. La stanza, con i suoi manifesti colorati e i mobili conosciuti, lo cullò ancora un poco nella penombra del mattino tenuto fuori dalla serranda socchiusa. Lentamente prese coscienza che era tardi e che doveva alzarsi. Pipì, sciacquettio sulla faccia e via di corsa a vestirsi. Guardò distrattamente la divisa che lo attendeva sulla sedia: camiciotto grigio chiaro, fazzolettone bicolore già arrotolato, calzoncini di velluto grigio scuro a righe in rilievo, calzettoni e scarponi da battaglia. Di fianco, il cappellone, anche lui grigio, fece finta di niente. Al lato della finestra, lo zaino già pronto dalla sera prima: un sacco militare, di tela grezza color topo di fogna, con due tasche esterne e due cinghie flosce e strette. Occorreva essere dei maghi per riuscire a riempirlo senza sbilanciarlo, evitando di caricarlo troppo per non rompersi la schiena o segarsi le spalle con quelle cinghie che avevano la triste abitudine di arrotolarsi e infilarsi nelle spalle fino a segarle. Ma non c’erano alternative: per una route di dieci giorni l’unico antidoto era farsi il segno della croce e sperare nel Signore, che avesse pietà di quei poveretti tra le tende schierati a salutar il dì che muore. Ripensò solo per un attimo a quanto sarebbe stato comodo avere uno zaino con la struttura di alluminio, quelli leggeri che aveva visto nei film americani, ma si riprese subito, abbandonando quel sogno irraggiungibile. «E poi gli scout non si lamentano» - sospirò.

    Sapeva di dover attendere fino al tardo pomeriggio per prepararsi alla partenza. L’appuntamento era stato fissato per le 19 presso la sede e l’aspettava un lungo pomeriggio da riempire di nulla nell’attesa. Ma quella mattina aveva impegni più che urgenti, per cui si affrettò a uscire dalla camera vestito di tutto punto, giusto in tempo per incontrare suo padre che veniva fuori dal bagno, rasato, profumato e con il panciotto allacciato. «Dai, sbrigati» lo sentì dire «mamma è di sotto che prepara la colazione». Si sorrisero complici. Suo padre gli infondeva sicurezza, con il suo viso calmo e sereno, anche appena alzato. Sembrava sempre in procinto di dirgli: «Stai tranquillo, va tutto bene!», anche se poi non gliel’aveva mai sentito pronunciare. Poche volte l’aveva visto arrabbiato, a memoria, e anche quelle volte non aveva sprecato parole: uno schiaffo, un ammonimento e la cosa finiva lì. Al confronto, le sfuriate di sua madre, capace di inseguirlo intorno al tavolo, erano il diluvio universale. Ma in quella mattina di inizio luglio non c’era motivo di preoccuparsi perché nessuna nuvola era all’orizzonte e l’inaspettata frescura notturna aveva acquietato gli animi. Scese le scale guardandosi intorno alla ricerca di Camillo che però, ligio al dovere, era già uscito per raggiungere gli altri capi scout del gruppo per definire le ultime questioni organizzative prima della partenza che li attendeva. A ripensarci, F. e Camillo non si filavano molto. Troppa distanza di età e differenza di carattere: introverso F., esuberante e sicuro di sé Camillo, che aveva da tempo lasciato alle spalle il guazzabuglio adolescenziale nel quale F. si dibatteva quotidianamente per non affogare. Entrò in cucina e baciò sua madre sulla guancia. Sul tavolo, al centro della stanza, il caffè latte fumava. «Stai attento alla panna» gli disse «lo so che non ti piace». La pellicola sul latte che si raffreddava venne via attaccata al cucchiaino, colando, e F. la buttò sul piattino un poco schifato. Il pane, croccante sotto i denti, scivolò piano nello stomaco. Dopo il terzo morso si sentì pronto per affrontare la giornata. Il sole alto lo chiamava. Si fermò un attimo nello studio per scegliere alcuni LP per la trasmissione e aspettò ancora un poco prima di uscire, perdendo tempo nell’andito. Infine aprì la porta, immergendosi nella mattinata assolata. Nuoro l’accolse come se fosse un figlio prediletto. Gli alberi lo salutarono complici e lui rimase ad assaporare l’aria del mattino, socchiudendo un poco gli occhi per vedere più in là, fino alla scalinata della stazione ferroviaria. Il mondo sembrava immobile. Solo in prossimità dell’edicola, all’inizio del viale, un anziano caracollava con un passo lento e stanco, pronto a fermarsi per prendere il giornale e scambiare due chiacchiere con l’edicolante annoiato. Rimase a osservarlo finché non lo vide piegare il quotidiano e metterselo sotto braccio, poi decise di andare.

    Non dovette fare molta strada. In pratica, fece soltanto il giro dell’isolato e il percorso si rivelò così piacevolmente breve e ombreggiato che non riuscì neanche a sudare. La sua meta era una palazzina ancora in ombra quando aprì il portone, senza bisogno di suonare al citofono. Salì le sei rampe di scale e bussò alla porta della soffitta. Tonino gli aprì senza salutarlo e lui entrò senza dire niente, sedendosi in un angolo, in attesa. La musica si diffondeva per la stanza mentre un ragazzo che non conosceva si dimenava tenendo il ritmo con la testa e battendo il piedino sul pavimento, ammaliato dai Pink Floyd. Al termine del pezzo, che lentamente andò in sottofondo, la voce del ragazzo salutò gli ascoltatori prima di avviare il brano conclusivo della sua trasmissione. Sulla musica di Bennato si alzò dalla consolle, lasciando a F. il posto vicino al microfono, prima di presentarsi con fare distratto e di uscire in tutta fretta. Tonino, dietro il vetro della regia ricavata in un angolo della stanza, continuava a controllare il livello dell’emissione e annunciò soddisfatto che sulla banda 95.5 dell’FM la radio copriva tutta Nuoro, come gli aveva confermato un amico che abitava a Furreddu e un altro alla Solitudine. «Questo nuovo trasmettitore è una bomba. Adesso voglio vedere se non

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1