Il codice dell'apprendimento
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Il codice dell'apprendimento - Mauro Morretta
DELL’APPRENDIMENTO
Parte I
Aspetti Scientifici
I
LA COMUNICAZIONE
1.1 LA COMUNICAZIONE VERBALE
La funzione principale di una lingua è di trasmettere informazioni cioè di svolgere una funzionecomunicativa. La comunicazione in senso psicologico è lo scambio di stimoli e risposte (detti anche feedback o messaggi) tra due o più soggetti. Perché avvenga una comunicazione verbale è indispensabile la presenza di una persona che parli o che scriva che chiameremo Emittente
ossia la fonte stessa dell'atto linguistico, il creatore del messaggio. Quello che la fonte emittente dice o scrive sarà il Messaggio
o discorso.
La persona cui il messaggio è destinato sarà il destinatario oRicevente.
Si distinguono diversi elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo:
Il processo comunicativo ha un’intrinseca natura bidirezionale nel senso che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi dei messaggi. Per esempio:
Supponiamo che il soggetto riceva un messaggio che viaggia con un codice non suo ossia il codice linguistico inglese. Ipotizziamo inoltre che questa persona non conosca la lingua in questione. Il messaggio probabilmente sarà scartato poichè elaborato dalla mente come non valido, non credibile, non utilizzabile e non riconducibile a nessuna esperienza visiva, uditiva, motoria e tattile precedente.
Spesso si notano studenti che conoscono molti vocaboli inglesi ma al momento di comunicare hanno difficoltà a comprendere e parlare cioè non decodificano oppure la decodifica avviene attraverso la traduzione, processo lento e totalmente inefficace nella comunicazione verbale.
Perché il messaggio abbia efficacia di risposta e si istauri una comunicazione la sua codifica deve avvenire in tempo reale, deve viaggiare con lo stesso codice linguistico.
Una lenta decodifica (la traduzione) crea un accumulo di messaggi e la comunicazione basata su un continuo, contestuale ed ininterrotto scambio tra emittente e ricevente si blocca sul nascere e diventa impossibile capirsi.
Per decodificare il messaggio in tempo reale è necessario bypassare il processo della traduzione: Perché questo si realizzi bisogna creare un fatto, una esperienza, occorre acquisire il codice della lingua o messaggio.
Spesso si usa il termine memorizzazione
. Nella lingua straniera la memorizzazione non crea l’assimilazione del contenuto. Si può memorizzare con la continua ripetizione senza per questo capire il messaggio.
Ad esempio: Proviamo a pronunciare un termine di uso comune in modo da renderlo incomprensibile (sedia=sodia) nonostante abbiamo modificato solo una lettera, la parola non risulta appartenere al nostro codice linguistico e viene decodificata come errore semantico e quindi scartata da quella parte del cervello che filtra le informazioni in base alla loro rilevanza. Più ascoltiamo questa incomprensibile parola più aumenta lo stress nel cercare di decifrare questo termine alieno. Sodia per la nostra mente non ha alcun significato, non è un termine valido non è né credibile né utilizzabile.
Ipotizziamo che sodia
sia un modello di sedia ad esempio in pietra lavica, la vediamo in negozio, la tocchiamo ci sediamo sopra facciamo una esperienza creiamo un fatto.
Adesso riascoltiamo lo stesso termine ed ecco che improvvisamente ci suona molto familiare, non avvertiamo stress o forzatura perché ormai è entrato nel nostro codice linguistico e ci evoca immediatamente immagini, esperienze e sensazioni. Non c’è bisogno di alcuna forma di traduzione, infatti, la decodifica è immediata come se il termine/messaggio viaggiasse con un codice linguistico di cui abbiamo la password.
La stessa cosa avviene con termini appartenenti ad altre lingue, tutti sono come la specie di sedia che si chiamava "sodia". Per bypassare il processo della traduzione e decodificare in tempo reale si deve realizzare una forma di esperienza. Ogni termine spagnolo, francese, inglese o giapponese deve risultare valido, credibile e utilizzabile affinché venga inserito nel nostro codice linguistico.
1.2 LA COMUNICAZIONE IN L2
Quando comunichiamo in una lingua straniera, sentiamo dunque la necessità di tradurre le parole sia quelle prodotte (output) dall’emittente che quelle ricevute (input) dal ricevente o destinatario.
Nella comunicazione gli individui coinvolti sono al tempo stesso emittenti e riceventi dei messaggi, infatti, occorre sia codificare e creare il messaggio per il ricevente che decodificare e creare il messaggio per l’emittente che diventerà a sua volta ricevente realizzando una comunicazione di natura bidirezionale.
Se utilizziamo la traduzione letterale (tipico della forma scritta) riusciremo a intercettare una o due parole (una minima parte del messaggio) e dopo un lungo e stressante processo di elaborazione cercheremo di dare un feedback all’interlocutore. A un certo punto il nostro interlocutore ha finito di parlare. Ci rendiamo conto che non abbiamo capito il senso della frase avendo decodificato soltanto una parola su dieci e che siamo incapaci di produrre una risposta.
Come fare per evitare questo lungo, inefficace e penoso processo?
Occorre utilizzare opportune strategie di apprendimento (come accennato nel paragrafo 1.1 di questo capitolo).
Come mai lo studio della grammatica non ci aiuta nella comprensione e nella comunicazione?
La grammatica con i suoi esercizi e le sue regole aiuta senz’altro a migliorare la comunicazione ma perché essa si realizzi deve esserci già una comunicazione di base su cui lavorare ed è proprio questa che in genere manca allo studente. Coniugare i verbi nella forma passata, passato prossimo, remoto, trapassato, le varie forme passive, dirette e indirette, femminile/maschile, singolare/plurale, non aiuta a comunicare al contrario rende questo processo complicato e improduttivo. E’ come frequentare un corso di guida veloce quando ancora non si sa guidare. Il corso di guida veloce migliorerà certamente la capacità di condurre un’auto ma solo se si sappia già guidare con una certa disinvoltura.
Perché chi va all’estero dopo qualche mese riesce a parlare la lingua? E’ possibile ricreare le stesse condizioni in classe?
Chi impara una lingua recandosi all’estero si trova ad apprendere in un ambiente reale e in situazioni pratiche. L’ambiente reale
e la praticità in cui si opera sono uno stimolo fondamentale per l’assimilazione e quindi per un veloce ed efficace apprendimento (come accennato precedentemente, il messaggio deve essere credibile
, valido
, utilizzabile
) ed è la combinazione di questi elementi uniti ad ore ed ore di immersione linguistica che fa si che la permanenza all’estero in un contesto monolingue riesca a farci comunicare efficacemente dopo qualche mese.
1.3 LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE
In questo paragrafo analizzeremo il linguaggio verbale nei suoi aspetti principali.
Come è ben noto, il linguaggio verbale si distingue da ogni altra forma di comunicazione per l'utilizzazione di un canale vocale-uditivo: La doppia articolazione.
Il canale vocale-uditivo consiste nella codifica e produzione dell'output linguistico (Emittente) e nella comprensione e decodifica dell'input linguistico (Ricevente).
La codifica concerne la trasformazione dei pensieri in sistemi simbolici come ad esempio il linguaggio parlato, il linguaggio dei segni e la scrittura; la decodifica consiste nella derivazione di significati da qualsiasi sistema simbolico.
Un’altra caratteristica essenziale del linguaggio è la doppia articolazione la quale indica che il piano di espressione o significato di un segno linguistico è articolato a due livelli differenti.
Primo piano o prima articolazione e Secondo piano o seconda articolazione.
Il primo piano
si riferisce al fatto che le lingue sono formate da unità linguistiche dotate di significato, i morfemi, cioè parole che possono combinarsi tra di loro per formare un numero quasi infinito di frasi. Il secondo piano
si basa invece sulla constatazione che ogni lingua ha un numero limitato di suoni chiamati fonemi che combinandosi fra loro permettono di formare tutte le parole di una data lingua.
Dunque, la frase la mamma cucina è costituita da sei morfemi, l-a mamm-a cucin-a, unità minime di prima articolazione, e da tredici fonemi, l-a m-a-m-m-a c-u-c-i-n-a, unità minime di seconda articolazione. I morfemi possono essere liberi o legati: I morfemi liberi come per esempio ora (avverbio), non si legano ad altri morfemi, ma costituiscono parola a sé; I morfemi legati come per esempio port- e -a, sono morfemi che, per formare una parola, hanno bisogno di essere legati ad altri morfemi liberi (port- + -a = porta). L'italiano è una lingua con numerosi morfemi legati. I pronomi, gli aggettivi e i sostantivi concordano tra di loro per genere e numero mentre i verbi concordano per genere, numero e tempo.
I fonemi acquistano significato solo nel contesto di una parola. La dualità di strutturazione del linguaggio fa sì che partendo da un numero finito di suoni e parole, i parlanti di qualsiasi lingua possano produrre un numero illimitato di frasi e testi. Il Fonema è la rappresentazione astratta di un suono che distingue due parole. E' stato osservato che nessuna delle lingue fino ad ora studiate (attualmente nel mondo se ne contano più di seimila) ha più di 150 fonemi (il 70% delle lingue contiene in media tra 20 e 37 fonemi) che sarebbe il numero limite che il cervello umano possa gestire. Le capacità motorie, percettive e mnesiche dei parlanti umani pongono quindi un limite al numero massimo di fonemi che può avere una lingua.
La doppia articolazione costituisce una proprietà fondamentale del linguaggio verbale umano poiché consente alla lingua una grande economicità di funzionamento: con un numero limitato di unità minime di seconda articolazione è infatti possibile dar vita a un numero grandissimo, pressoché illimitato, di unità dotate di significato che rende il sistema linguistico infinito: in italiano, per esempio, attraverso un numero finito di elementi, quali 30 fonemi con i quali costituiamo circa 250 morfemi derivazionali è possibile creare un numero infinito di frasi.
Il linguaggio è studiato e analizzato dai linguisti anche nei suoi aspetti lessicali, sintattici e semantici.
La Sintassi: Si riferisce all'ordinamento delle parole all'interno di una frase. Una frase comprende almeno un sostantivo (in genere il soggetto) e un verbo.
Esempio: La frase Ho giocato a calcio
presenta una corretta disposizione degli elementi nella frase; invece, la frase a giocato calcio ho
presenta una errata disposizione degli elementi in quanto la loro disposizione non dà alla frase un senso logico (errore di sintassi).
La Semantica: È quella parte della linguistica che si occupa dei fenomeni del linguaggio non dal punto di vista fonetico e morfologico, ma guardando al loro significato. (parole, frasi, insiemi di singole lettere, testi.)
Le parole non hanno quasi mai un significato semplice, fisso e univoco, ma piuttosto complesso, nel senso che a ogni segno corrispondono più significati, spesso simili, qualche volta totalmente diversi.
Ad esempio la parola "cavallo" ha diversi significati in base al contesto della frase e del discorso: 1. Animale equino; 2. Inforcatura dei pantaloni; 3. Attrezzo ginnico; 4. Unità di misura di potenza per motori.
Per questo motivo l’autentico significato di una parola si può cogliere soltanto all’interno di un sistema di relazioni che lo condizionano a partire dai diversi contesti.
Il Lessico o vocabolario: È l'insieme dei morfemi o parole di una data lingua o del repertorio linguistico di una data persona (ad esempio, il lessico italiano, il lessico inglese).
Per mezzo della combinazione delle parole o morfemi la maggior parte dei parlanti adulti arriva a possedere un vocabolario di migliaia di parole.
In generale basta un lessico ristretto dalle 400 alle 800 parole per far fronte alle esigenze comunicative della lingua quotidiana. Per comprendere messaggi più complessi (articoli di riviste, giornali o letture di classici) sono necessarie dalle 4.000 alle 5.000 parole, mentre in casi eccezionali, come in Dante Alighieri o in James Joyce, è richiesto un bagaglio lessicale di 80.000-100.000 parole.
Negli ultimi tempi si sta osservando la costruzione di nuovi contesti di comunicazione (Chat, SMS), nei quali si utilizza un lessico ancora più ristretto e impoverito che va dalle 100 alle 200 parole.
1.4 LESSICO E COMUNICAZIONE
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, per comunicare non occorre necessariamente una grande conoscenza lessicale e grammaticale; una comunicazione verbale si può istaurare anche con l’utilizzo di semplicissimi termini opportunamente combinati fra loro al fine di dare un senso compiuto alla frase e ricevere un feedback positivo. E’ il caso dei bambini che a 12 mesi producono in media 8 parole, a 16 mesi 32 parole, a 17-18 mesi 54 parole, a 19-21 mesi circa 130 a 2 anni e mezzo circa 400, un bambino in ingresso a scuola circa 4000/5000 + 1000 parole annue. Un adulto colto dovrebbe conoscere dai 30.000 ai 50.000 vocaboli.
Il patrimonio lessicale italiano è compreso tra le 215.000 e le 270.000 unità lessicali. Considerando che la maggior parte dei sostantivi presenta due uscite singolare e plurale (casa/case; abito/ abiti) che molti aggettivi hanno quattro uscite (bello/bella//belli/belle), nel 2004 Lorenzetti stimava in più di due milioni «il numero delle parole dicibili e scrivibili in italiano». La lingua Inglese è invece composta di circa 490.000 parole + 300 mila di linguaggio tecnico. Sono dati sorprendenti se si considera che il vocabolario cui si fa ricorso abitualmente per comunicare non superi in media le 8.000 parole. Un bimbo di due anni e mezzo riesce a comunicare e a comprendere l’adulto con solo 400 vocaboli pertanto non è la limitatezza della conoscenza lessicale e grammaticale a ostacolare la comunicazione verbale.
Che cosa succede ai nostri studenti?
Di certo non riescono a comunicare per il vocabolario limitato dato che gli studenti del quinto anno di scuola superiore hanno alle spalle oltre 1500 ore di lezioni d’inglese e dovrebbero conoscere qualche migliaio di vocaboli considerando anche la conoscenza avanzata della grammatica inglese.
Un aspetto interessante che consente di dare una risposta a questo interrogativo è la correlazione tra comprensione e produzione.
La comprensione anticipa e consolida la produzione; in quantità e in qualità essa precede sempre il parlato.
Non si può comunicare con termini che non si capiscono, occorre che ogni parola sia assimilata e che il significato sia ben chiaro. Quando s’impara una poesia a memoria e si ripete senza comprenderne il significato la si dimentica molto velocemente (memoria a breve termine).
Perché si istauri un dialogo ed un confronto con il professore o con gli altri studenti sulla poesia è fondamentale che ogni parola o verso acquisti significato cosicché la poesia viene assimilata e ricordata negli anni in quanto memorizzata a lungo termine.
Il bambino comunica con un linguaggio assai limitato ma comunica e tutti lo capiscono; via via che i bambini proseguono nella conquista della lingua materna (attraverso gli scambi verbali con gli adulti e con i pari, l’ascolto e la rielaborazione di testi, filastrocche, ecc.), imparano parole nuove e soprattutto imparano a riflettere sui meccanismi di formazione delle parole e sulla costruzione degli enunciati.
L’incremento lessicale avviene sia a livello quantitativo sia qualitativo; attraverso una parola vengono veicolate molteplici conoscenze: Quelle inerenti la sua forma fonica, la sua forma grafica, la sua morfologia, il significato singolo, il significato plurimo, le relazioni con altre parole ecc. Successivamente verso i cinque anni con l’ingresso nella scuola elementare il bambino inizia a studiare la grammatica e a scrivere sebbene, comunicasse già da cinque anni e capisse perfettamente e in tempo reale interi discorsi.
Il lessico è per sua natura vasto, illimitato, aperto e indeterminabile. Per osservarne lo sviluppo a livello individuale e programmare le linee di sviluppo e di potenziamento occorre circoscriverlo, delimitarlo in modo da evidenziare le forze che agiscono al suo interno.
1.5 AMBIENTE NATURALE ED AMBIENTE SCOLASTICO
La parte più difficile dell’apprendimento sia per i bambini sia per gli adulti potrebbe essere il tentativo di acquisire una seconda lingua a scuola. Questa affermazione è supportata dal tasso di abbandono degli studenti che seguono i corsi di lingua straniera.
John Lawson (1971) un supervisore scolastico in Shaker Heights Ohio rilevò che il tasso di abbandono al terzo anno era oltre l’85% ed oltre il 95% al quarto anno. Pochi studenti meno del 5% che iniziavano lo studio della seconda lingua continuavano gli studi a livello avanzato. Scoperte simili furono documentate in California (Wollintzer 1983).
Attualmente la situazione non è