Il lessico dell’italiano burocratico. Una ricognizione sul grande dizionario italiano dell'uso.: Studi di linguistica, letteratura e filologia
Di F. Casadei, A. Serra e G. Sommariva
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Anteprima del libro
Il lessico dell’italiano burocratico. Una ricognizione sul grande dizionario italiano dell'uso. - F. Casadei
diritto.
Il lessico dell’italiano burocratico. Una ricognizione sul Grande dizionario italiano dell’uso.
di Federica Casadei
Egregiamente
Tu parlerai se ad ogni passo ne le
Favole conte un ellenismo piova,
Ed una doppia e pur di greca stirpe
Vocetta nuova. Né oggimai più tonda
Ma ciclica per te sia la padella
Ed elliptico l’uovo e microcosmo
L' uomo; (…)
(Giosuè Carducci, Storia del Giorno
di Giuseppe Parini, Zanichelli, Bologna, 1892, p. 172,
traducendo un ironico sermone latino di Giulio Cesare Cordara)
1. Caratteristiche generali del lessico burocratico
Le denominazioni linguaggio burocratico e italiano burocratico si riferiscono alla varietà di lingua usata dalle amministrazioni pubbliche sia nella comunicazione interna, cioè tra uffici, sia nella comunicazione esterna, rivolta ai cittadini. Si tratta, cioè, della varietà di lingua prevalentemente scritta – si parla perciò anche di scrittura burocratica (Raso 2005), scrittura amministrativa (Franceschini e Gigli 2003), scrittura istituzionale (Cortelazzo e Pellegrino 2003), scrittura burocratico-amministrativa (Proietti 2010) – tramite la quale si realizza la cosiddetta comunicazione pubblica o istituzionale, intesa in senso ampio come quella proveniente non solo dalle istituzioni pubbliche vere e proprie (ministeri, regioni, province, comuni) e dagli enti pubblici (di previdenza, ricerca ecc., dall’ISTAT all’INPS alla Croce Rossa) ma anche da enti con finalità pubbliche o che gestiscono servizi pubblici (società di telecomunicazioni, società erogatrici di energia e gas, ferrovie, poste, ASL, scuole e università) e da soggetti privati che hanno come destinatari i cittadini nel loro insieme o comunque ampie porzioni di cittadinanza (banche, assicurazioni, sindacati, partiti, associazioni di categoria).
Si tratta dunque di una realtà composita, che coinvolge ambiti, soggetti e scopi comunicativi diversi e che si realizza in una grande varietà di forme testuali. In linea generale è utile distinguere, come propongono Cortelazzo e Pellegrino (2003: 4), tra testi di carattere normativo da un lato (leggi, decreti, delibere, ordinanze, regolamenti), più direttamente influenzati dal linguaggio giuridico e dalle sue forme di organizzazione testuale, e dall’altro le comunicazioni libere
ai cittadini; ma la distinzione tra queste due classi testuali non è sempre netta, e comunque anche all’interno dei testi non normativi si ha un’ampia gamma di generi molto diversi tra loro, dalla circolare all’avviso, dal modulo alla lettera, dalla bolletta al formulario.
In tutte queste forme testuali ricorrono, tuttavia, fenomeni lessicali, sintattici e testuali peculiari, sui quali nel corso degli ultimi decenni si sono moltiplicate le indagini anche a sostegno dell’auspicata, e ancora in gran parte irrealizzata, semplificazione e trasparenza linguistica della comunicazione della pubblica amministrazione[1]. Possiamo riunire questi fenomeni intorno a due macrotratti che caratterizzano l’italiano burocratico nel suo insieme: da un lato la bassa specializzazione lessicale, dall’altro il ricorso a un registro molto formale e lontano dall’uso linguistico comune.
La bassa specializzazione lessicale è la caratteristica che in pressoché tutti gli studi viene considerata definitoria del linguaggio burocratico e distintiva rispetto ad altri usi specializzati della lingua. A differenza dei linguaggi specialistici di ambito sia tecnico-scientifico che umanistico (fisica, matematica, informatica, linguistica, diritto), e tanto più a differenza di quei linguaggi scientifici in cui sono più forti le esigenze di nomenclatura (biologia, chimica, botanica, medicina), il linguaggio burocratico disporrebbe di pochi tecnicismi propri, e attingerebbe semmai al lessico di altri linguaggi specialistici: quello giuridico, anzitutto, quello amministrativo, quello economico-finanziario, ma anche quelli dei molti settori particolari nei quali può essere e viene utilizzato – istruzione, sanità, comunicazioni, trasporti, esercito ecc. Perciò, stando alla distinzione proposta di Berruto (1987), il linguaggio burocratico appare più una lingua speciale in senso lato che un sottodice o una lingua speciale in senso stretto; e Sobrero (1993) lo classifica come una lingua settoriale, al pari del linguaggio giornalistico o della lingua della pubblicità, anziché come una lingua specialistica vera e propria[2].
Secondo una posizione più estrema, anzi, il linguaggio burocratico non possiede nessun tecnicismo proprio, limitandosi a usare quelli di altri settori. Così per Raso (2005: 126) «una delle specificità del linguaggio della burocrazia è proprio quella di non possedere dei veri tecnicismi specifici. Semmai il linguaggio burocratico usa i tecnicismi specifici dei settori che si trova a disciplinare (…). Invece esso possiede una enorme quantità di tecnicismi collaterali». La distinzione richiamata da Raso tra tecnicismi specifici e tecnicismi collaterali (per cui v. Serianni 1989, 2003, 2005), così come quella tra tecnicismi e pseudotecnicismi usata da Cortelazzo e Pellegrino (2003: 122-125), mette a fuoco la presenza massiccia nel lessico burocratico di finti tecnicismi
, ovvero vocaboli estranei alla lingua corrente, usati (e percepiti) come se fossero termini specialistici, ma che a differenza dei veri tecnicismi non hanno la caratteristica di individuare in modo univoco entità o concetti per i quali non esiste altra possibile denominazione se non quella specialistica; vocaboli come, ad esempio, compiegare, espletare, istanza, latistante, previo, ubicativo, tutti ben sostituibili con sinonimi più correnti e il cui uso non risponde a un’esigenza di precisione lessicale ma è dettato solo dall’intento di allontanarsi dalla lingua comune.
Con questi ultimi esempi arriviamo al secondo dei macrotratti caratteristici del linguaggio burocratico, cioè il ricorso sistematico a un registro il più possibile alto, formale e perciò lontano dall’uso linguistico comune. Questa caratteristica si mostra a tutti i livelli: sia nelle scelte lessicali, sia nella sintassi, sia al livello testuale (ad esempio nella selezione e nell’organizzazione delle informazioni), il linguaggio burocratico preferisce, dove possibile, la variante più complessa e meno comprensibile. La sintassi si caratterizza per frasi lunghe e non lineari, dove l’ipotassi prevale sulla paratassi e c’è grande uso di subordinazione implicita con gerundi e participi (Risultando iscritto nelle liste, Effettuato il pagamento), di incisi e di relative (L'imposta, che dev'essere corrisposta mediante apposito modulo che viene distribuito negli uffici postali e negli istituti di credito che hanno una convenzione con l'amministrazione); prevale la spersonalizzazione, realizzata con l’impersonale o il passivo (Si comunica, Il certificato viene rilasciato) e con l’uso di formule impersonali (E’ fatto obbligo) e di soggetti astratti o generici (Lo scrivente, Il predetto ufficio); massiccio il ricorso alla nominalizzazione, con l’uso sistematico di sostantivi deverbali al posto dei verbi corrispondenti (conseguimento, presentazione, rilascio ecc.), il cui esito è da un lato quello di aumentare il grado di astrazione e spersonalizzazione della frase soprattutto per la scomparsa, insieme al verbo, dell’agente (Il pagamento dell’imposta anziché X paga l’imposta), dall’altro quello di accrescerne la densità semantica a causa del cumulo dei nominali (La sussistenza di certificazione medica attestante la protrazione della condizione di malattia, Regolamento sulle modalità di espletamento delle procedure di valutazione comparativa per il reclutamento dei professori). Per quanto riguarda il lessico, invece, possiamo organizzare i fenomeni tipici dell’italiano burocratico in tre grandi gruppi:
• parole difficili: in generale il linguaggio burocratico preferisce sistematicamente, l’alternativa lessicale meno basica (di basso uso, obsoleta o aulico-letteraria) a quella più comune: recarsi anziché andare, effettuare anziché fare, detenere anziché avere, comprovare anziché provare, esperire anziché fare, apporre anziché mettere, diniego anziché rifiuto, emolumenti anziché retribuzione; due casi particolari sono quello che riguarda i pronomi (codesto, alcuno, ella) e quello relativo a preposizioni, congiunzioni e avverbi: altresì, nonché anche, e, inoltre
, pertanto quindi
, ancorché anche se
, testé poco fa, appena
, onde per
, ove e qualora se
, all’uopo perciò
, avverso contro
, giusta secondo, in base a
; rientrano in questo gruppo anche i latinismi, quando non siano tecnicismi giuridici e dunque abbiano un perfetto equivalente italiano (de facto di fatto
, pro capite a testa
) e le formule solenni del tipo la Signoria Vostra; possiamo menzionare qui, infine, anche i casi in cui il verbo denominale sostituisce la più comune perifrasi con il sostantivo corrispondente: ospedalizzare ricoverare in ospedale
, bollinare mettere un bollino
, ruolizzare immettere in ruolo
, peritare fare una perizia
, efficientare "rendere (più) efficiente;
• parole inutili: rientrano in questo gruppo da un lato i casi di pleonasmo e ridondanza (tra i quali è tipica la precisazione inutile, dovuta all’uso di aggettivi e avverbi superflui: debitamente compilato, severamente vietato, applicazione puntuale, netto rifiuto, scrupoloso adempimento, termine tassativo), dall’altro vari fenomeni dovuti alla preferenza per la perifrasi o il lessema complesso al posto dell’alternativa monolessicale; rientrano in questo secondo caso l’uso di preposizioni e congiunzioni complesse al posto di quelle semplici (al fine di, allo scopo di per
, nel caso in cui, a condizione che se
, nei confronti di a, verso
, per il tramite di con, tramite
), l’uso delle strutture Verbo + Nome Deverbale al posto del verbo semplice (effettuare un versamento anziché versare, procedere alla verifica anziché verificare ecc.), che è una delle ricadute lessicali della nominalizzazione sintattica, e infine l’uso di perifrasi nominali al posto del sostantivo semplice (nucleo familiare anziché famiglia, corpo docente anziché insegnanti, personale di controlleria anziché controllori), dove la perifrasi è uno pseudotecnicismo che ha solo la funzione di rendere più alto il registro (evento franoso frana
, spazio cortilizio cortile
)[3];
• parole astratte: un caso particolare della preferenza del linguaggio burocratico per la formulazione lessicale più difficile è costituito dall’uso di lessemi astratti al posto dei corrispettivi concreti: clientela anziché clienti, segnaletica anziché segnali, problematica anziché problema, tipologia anziché tipo, utilizzazione anziché uso; possiamo citare qui anche l’alta presenza di femminili astratti deaggettivali (derogabilità, disabilità, ottenibilità, sinistrosità, vedovilità) e, di nuovo, di tutte le forme di sostantivi deverbali prodotti dalla nominalizzazione sintattica tramite suffissazione (parametrazione, dimissionamento, adempienza, siglatura), conversione (annullo, autentica) o sostantivizzazione dei modi non finiti (il richiedente, l’estradando, gli amministrati).
Il cumulo dei fenomeni lessicali e sintattici sopra elencati conferisce al linguaggio burocratico quell’aspetto verboso e astruso per il quale Calvino (1965) coniò la famosa espressione antilingua, cioè una lingua che fallisce la sua funzione comunicativa a causa del «terrore semantico», del rigetto delle parole comuni, quali fossero parolacce, in favore di «una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente». Connotazione altrettanto spregiativa nell’etichetta burocratese, con cui si intende, come per gli analoghi politichese, sindacalese, medichese ecc., l’effetto gergale e l’uso inutilmente complicato della lingua che accomuna tutte le varietà di difficilese.
2. Quantità di tecnicismi burocratici nel lessico italiano
Rispetto ad altre fonti lessicografiche italiane, il Grande Dizionario Italiano dell’Uso (d’ora in poi Gradit) offre due vantaggi all’analisi dei lessici specialistici. Il primo è dato dal fatto che registra in modo sistematico anche i lessemi complessi, che costituiscono una parte essenziale del vocabolario dei linguaggi specialistici; il lemmario del Gradit include infatti circa 260.000 parole singole e circa 130.000 polirematiche, cioè unità lessicali formate da più parole, gran parte delle quali appartengono appunto ai linguaggi tecnico-scientifici. Il secondo vantaggio è che il dizionario riporta per ciascun lessema (e per ciascuna delle sue accezioni, se è polisemico), una marca che ne segnala l’ambito d’uso. Le marche d’uso usate dal Gradit possono essere ripartite in quattro classi, relative a:
- il vocabolario di base, cioè l’insieme dei circa 7000 lessemi di più alta frequenza