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Gli Studi Culturali
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E-book115 pagine1 ora

Gli Studi Culturali

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Gli studi culturali designano una serie di discipline – denominate cultural studies - che analizzano e descrivono i rapporti tra la cultura e i fenomeni sociali e comunicativi. I cultural studies nascono nel dopoguerra dalla sociologia letteraria britannica e si affermano come fenomeno di moda nelle università americane tra gli anni Ottanta e Novanta. Attualmente ai cultural studies internazionali fanno riferimento alcuni ambiti (studi di genere e post-coloniali, discorsi di minoranza, nuove forme della comunicazione di massa), che si incontrano in vario modo con l’antropologia, la letteratura, gli studi sociali contemporanei. Il volume è una sintetica introduzione agli studi culturali e alle questioni oggi più dibattute in questo settore della ricerca umanistica e fornisce le nozioni indispensabili alla comprensione del metodo culturalista.
LinguaItaliano
Data di uscita11 gen 2014
ISBN9788878535015
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    Anteprima del libro

    Gli Studi Culturali - Valentino Cecchetti

    Bibliografia

    ​Capitolo 1

    Le origini e i temi

    1.1. Le origini

    Gli studi culturali descrivono il funzionamento della cultura, mostrano come viene prodotta, come partecipa alla costruzione delle identità individuali e di gruppo, quale rapporto c’è tra la cultura e le comunità sociali, le organizzazioni statali, le industrie dei media, in generale cosa collega la cultura ad ogni altra forma di realtà. Gli studi culturali nascono dall’incontro di due correnti critiche: a) lo strutturalismo francese e le sue applicazioni più radicali (post-strutturalismo); b) la sociologia letteraria britannica e le ricerche del Centre for Contemporary Cultural Studies di Birmingham sulla cultura popolare.

    Lo strutturalismo considera la cultura come una serie organica e unitaria di pratiche di cui bisogna descrivere le regole e le convenzioni. Più precisamente la parola strutturalismo indica un gruppo di intellettuali che, negli anni Cinquanta e Sessanta, influenzati dalle teorie sul linguaggio di Ferdinand de Saussure, si servono dei concetti della linguistica strutturale per lo studio dei fenomeni sociali e culturali. Lo strutturalismo si sviluppa nell’antropologia (Claude Levy-Strauss), negli studi letterari (Roman Jakobson, Roland Barthes, Claude Genette), nella psicanalisi (Jacques Lacan), nella storia (Michel Foucault), nella teoria marxista (Louis Althusser), diffondendosi in seguito soprattutto negli Stati Uniti. Gli strutturalisti (che non formano un movimento, o una scuola) pongono al centro delle loro teorie l’idea che esista un’unità organica dei fenomeni culturali (la struttura). Tuttavia essi respingono l’idea che tale unità possa essere descritta e codificata, riconoscendo l’impossibiltà di fornire un sistema di significazione completo e coerente della realtà. Alcuni strutturalisti, come Barthes, Derrida e Foucault sottolineano con più forza la rigidità del concetto di struttura e per questa ragione vengono definiti post-strutturalisti. In realtà tale denominazione indica lo sviluppo di alcune premesse fondamentali dello strutturalismo. Gran parte delle tesi post-strutturaliste, infatti, sono già presenti nella critica strutturalista alla congruenza tra la teoria e i fenomeni che essa tenta di analizzare. Il post-strutturalismo – che non rileva le inadeguatezze e gli errori dello strutturalismo, piuttosto ne contesta l’allontanamento dal progetto iniziale di elaborare, a partire dalla linguistica, un modello di comprensione della totalità dei fenomeni culturali - pone l’accento su una critica del soggetto conoscitivo. Nel post-strutturalismo le strutture dei sistemi di significazione non esistono indipendentemente dai soggetti, come forme della conoscenza, ma sono struttureche appartengono ai soggetti e sono strettamente collegati alle forze che li producono. Per questa ragione si può affermare che il termine post-strutturalismo indica una serie di teorie di derivazione strutturalista in cui sono più spiccate la critica delle nozioni di conoscenza oggettiva e la critica del soggetto come ente in grado di conoscere se stesso. Anche se sono soprattutto le teorie post-strutturaliste a fornire un modello agli studi culturali, indicando la possibilità di creare un discorso complessivo sulla cultura, ma soltanto a partire dai sistemi di significazione e di descrizione inevitabilmente contingenti e provvisori, perché collegati strettamente (come la lingua al suo codice) ai fenomeni descritti.

    La prima opera basata su un metodo simile a quello degli studi culturali è stato Mythologies (1957) di Roland Barthes. Con questo libro Barthes crea una disciplina, la semiologia, che descrive la cultura come un sistema organico di fenomeni comunicativi (i segni) - anche se Barthes diviene sempre più critico nei confronti della legittimità teorica delle interpretazioni complessive delle realtà culturali.

    Roland Barthes nasce a Cherbourg (Normandia) nel 1915, ma l’anno dopo perde il padre e va a vivere a Bayonne, dove trascorre l’infanzia. Nel 1924 frequenta il liceo a Parigi, viene colpito dalla tubercolosi e passa gli anni successivi in sanatorio (sui Pirenei e in Svizzera). Rinuncia a seguire carriere ambiziose e lavora come professore di liceo e come lettore di francese in Ungheria. Nel 1947 rientra a Parigi dove pubblica i primi articoli, studia le opere dello storico Jules Michelet, si interessa della situazione letteraria contemporanea. Soggiorna per due anni a Bucarest (1949-51) come bibliotecario dell’Istituto francese di cultura, poi ad Alessandria d’Egitto, dove è lettore di francese. Ad Alessandria conosce Algirdas J. Greimas, che lo introduce alla linguistica strutturale di Saussure. Rientra a Parigi nel 1950, come impiegato al ministero degli Esteri e poi come borsista del CNSR. Nel 1953 esce presso Seuil (editore di tutte le opere di Barthes) il suo primo libro, Le degré zéro de l’écriture che, con il successivo libro su Michelet (1954), suscita polemiche e scandalo negli ambienti accademici. Gli anni Sessanta sono un periodo di attività intensa. Barthes si occupa di critica letteraria, di critica militante (a favore del nouveau roman di Alain Robbe-Grillet e Michel Butor) e di critica teatrale per la rivista «théâtre populaire» (che gli fa conoscere da vicino l’opera di Brecht e il teatro epico). In particolare egli analizza con gli strumenti della nuova linguistica i fenomeni culturali e di costume della società di massa (il cinema, le automobili, la plastica, la pubblicità), pubblicando nel 1957 Mythologies (Miti d’oggi). Barthes si dedica prevalentemente a lavori di argomento letterario e semiologico, che coinvolgono tutti gli aspetti della comunicazione culturale: la fotografia, la moda, la pittura, il cinema. Nei suoi interventi utilizza forme brevi, il saggio (Essais critiques, 1964), la nota, l’articolo, il trattato divulgativo (Élements de sémiologie, 1964), la lezione seminariale sperimentale (S/Z, 1970, analisi di un racconto di Balzac), svolta all’École Pratique des Hautes Études, dove conduce ricerche sulla sociologia dei segni, dei simboli, delle rappresentazioni. Nel 1977 (dopo anni di accuse di dilettantismo) Barthes viene chiamato a tenere l’insegnamento di semiologia letteraria al Collège de France. Ma con il passar del tempo egli accentua la propria separatezza e indipendenza dalle istituzioni culturali, accantonando le ricerche sistematiche e la teoria a vantaggio di forme di scrittura e di intervento libere, in cui convivono aspetti saggistici e scrittura creativa. Muore improvvisamente nel 1980 in un incidente stradale.

    In Mythologies Barthes esamina un’ampia serie di fenomeni, dalla lotta libera, alla pubblicità delle macchine e dei detersivi, ad alcuni oggetti dalla forte risonanza mitica, come il vino francese e il cervello di Einstein. Barthes è interessato a decodificare ciò che in una cultura è fondato su costruzioni contingenti e storiche. Nell’analizzare le pratiche culturali, identifica le convenzioni che ne sono alla base e le loro implicazioni sociali. Confrontando la lotta libera con il pugilato mostra come anche nei fenomeni sportivi siano presenti precise convenzioni culturali. Quando i pugili vengono colpiti, nota Barthes, tendono a comportarsi con stoicismo. I lottatori invece si contraggono tra gli spasimi ed agiscono in modo vistosamente stereotipato. Nel pugilato le regole del combattimento sono esterne all’incontro e indicano dei limiti che non possono essere violati. Nella lotta le regole sono interne alla contesa e accrescono la portata di un significato che viene prodotto per mezzo di una precisa strategia comunicativa. Nella lotta le regole esistono per essere trasgredite in modo flagrante, perché colui che le trasgredisce possa essere indicato come cattivo e non sportivo. Lo scopo del combattimento è suscitare deliberatamente l’indignazione e la furia del pubblico, contrapponendo il bene e il male con chiarezza e offrendo la possibilità di comprendere facilmente il meccanismo culturale implicito nel codice. Indagando con questa metodo (in questo caso individuare la differenza tra due produzioni di segni molto simili: il pugilato e la lotta) tutte le pratiche della cultura (l’alta letteratura, la moda, il cibo), Barthes inaugura una forma di interpretazione del funzionamento dei fenomeni sociali che è tipica degli studi culturali.

    Nel corredo teorico degli studi culturali (soprattutto nella sua fase più recente) intervengono anche le complesse analisi del decostruzionismo, la corrente post-strutturalista che conduce più a fondo la contestazione della nozione di struttura. Il decostruzionismo viene elaborato negli anni Settanta dal filosofo francese Jacques Derrida e si diffonde soprattutto negli Stati Uniti dove, attraverso il pensiero femminista radicale e la critica letteraria, diviene una delle tecniche più praticate nell’analisi del discorso culturale.

    Jacques Derrida nasce in Algeria nel 1930 (muore a Parigi nel 2004). Studia filosofia all’École Normale Superieure di Parigi, dove diventa professore nel 1965. In seguito è tra i direttori degli studi all’École des Hautes Études e trascorre lunghi periodi di insegnamento negli Stati Uniti. Raccogliendo l’eredità di grandi filosofi (Nietzsche, Heidegger), ma anche di pensatori ribelli e originali (Artaud, Bataille, Genet, Ponge, Celan), nelle sue opere sottopone la filosofia occidentale ad un drastico

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