Verbi e punteggiatura
Di Laila Cresta
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Scrittura creativa - manuale (59 pagine) - Un agile manuale da avere sempre a portata di mano, corredato da pratici esempi ed esercizi
Come può, uno scrittore, non conoscere a fondo i verbi e la punteggiatura? Sarebbe come per un ingegnere non conoscere la matematica! Ecco dunque un rapido e pratico manuale per avere sempre a portata di mano tutto ciò che serve sapere sui verbi e sulla punteggiatura, che sono le basi di qualsiasi testo di narrativa. Con esempi pratici ed esercizi per prendere confidenza con questi straordinari strumenti della nostra scrittura.
Laila Cresta è redattrice della rivista Writers Magazine Italia, insegnante di italiano e autrice di libri bestsellers sulla buona scrittura, a partire da La grammatica fondamentale, per arrivare a Mondo Haiku, passando per un agile manuale per chi ama esprimersi in versi: Scrivere poesia.
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Anteprima del libro
Verbi e punteggiatura - Laila Cresta
9788867756988
Prefazione
Presto, mettiamoci a studiare la nostra lingua, per approfittare in pieno delle sue grandi possibilità comunicative ed espressive, e della sua bellezza! Mettiamoci a studiarla, prima che ci scippino di tutto quello che è profondità e pensiero logico, e ci appiccichino nel cervello solo qualche nozione mnemonica! Questo processo di semplificazione
della lingua va avanti da decenni e il livello di ignoranza (= di non conoscenza) è diventato incredibile: all’Università, una ragazza ha chiesto al prof perché i Cicladici non abbiano comprato le barche da chi ce le aveva (e ha ridacchiato di quegli stupidi selvaggi
), una giovane prof di letteratura latina ha detto agli studenti, che la criticavano per la qualità della sua lingua parlata, che il congiuntivo non serve
(immagino che la signorina proponga traduzioni dal latino univoche e già pronte, e che non capisca niente di filosofia), in rete vendono dispositivi che i ladri vanno a odiare
, le olive, in televisione, vengono schiacciate fino al nocciòlo
… Quanto andiamo avanti, ancora? Dovesse insegnare a dei bambini, certa gente, uno dei due finirebbe per sbranare
l’altro (e a volte, in effetti, si sentono cose…). E perché dare informazioni con due nozioni, senza neanche spiegarle? Non è rispettoso neanche coi più piccoli. E se non c’è rielaborazione critica, il risultato è l’ignoranza. Forse però è il ragionamento che sta diventando obsoleto o inutile, e magari pericoloso…
Conoscere una lingua
Be’, che ci vuole? C’è chi, in pochissimo tempo (vediamo la pubblicità in rete) impara cinque o sei lingue, con caschetti pieni di fili che sembrano quelli degli elettroencefalogrammi. Se servissero davvero, io li regalerei a quei tizi che scrivono pubblicità e articoletti in rete (e non li firmano: a parte il problema del copyright, avrebbero certo ragione di vergognarsi, a scrivere in quel modo). Lo farei al fine di far loro imparare l’italiano, naturalmente. A volte, è così evidente il lavoro
del traduttore di Google, da chiudere gli occhi e sospirare. Viene da chiedersi cosa voglia dire imparare una lingua
. Certo non significa imparare un po’ di vocabolario e le frasi più usate. Una lingua è formata di parole legate fra di loro da ben precisi rapporti, con nessi logici e una forma anche estetica. Conoscere una lingua non vuol dire impararne a memoria le parole, come una filastrocca, ma capire qual è il significato di quelle parole nel paese d’origine, nella sua storia: questo aspetto è una conseguenza della cultura locale, non di un rapporto fra vocaboli (casa= house= maison= shtëpi= σπίτι= …). Pensate all’incredibile numero di parole che hanno gli Inuit per indicare la neve: una per ogni tipo di neve che devono discriminare per sopravvivere nel loro mondo bianco e gelido.
Per un madrelingua
non dovrebbe essere così difficile imparare le regole della lingua parlata nel proprio Paese. Basta conoscere le regole fondamentali, al resto dovrebbe bastare l’orecchio
, ma non è affatto così. In Italia c’è un grande numero di realtà dialettali e spesso la gente non sa neppure che lo siano. Io che sono ligure, ad esempio, se non sto attenta mangio molte doppie, quasi come i veneti. Una volta, pensavo persino che la parola attilato
fosse corretta anche in italiano… Povera, bellissima lingua nostra.
La frase è un arcobaleno
La grammatica è la disciplina che riflette sulla traduzione in parole del pensiero dell’uomo, sul modo di estrinsecarlo e di chiarirlo. Oppure di mascherarlo. La Punteggiatura (come le pause nel parlato) è ciò di cui la lingua ha bisogno non solo per essere più chiara sulla funzione logica delle parole nella frase, ma anche più capace di tener conto del loro valore cinestesico e armonico. Persino scritture come il giapponese e il cinese (che non sono alfabetiche) hanno qualcosa di simile alla punteggiatura. Solo brevi poesie possono farne a meno, come gli haiku e certe poesie moderne:
Sa tutto di tutti
Quel gomitolo di gatto
Accanto al forno.
(Tamiyasu Fusei)
Soldati
Si sta come d’autunno
Sugli alberi le foglie.
(Giuseppe Ungaretti)
Quest’ultima bellissima e sconsolata poesia del celebre poeta, non è ovviamente in kanji, e la difficoltà a ricordare gli a capo
stabiliti da Ungaretti, e non ricordati da una punteggiatura, è un po’ di tutti. Io sono certa che non si tratti di due soli versi (tra l’altro, come spesso in Ungaretti, si tratta di due versi classici, due settenari, che sono stati spezzettatati dagli a capo
). A me comunque (Ungaretti mi perdoni) piace così, e non ho voglia di cercare quale sia il loro spezzettamento ufficiale, anche se ne capisco il motivo: cosa c’è di armonico in soldati stanchi di guerra?
Specie in una comunicazione in prosa, le parole sono davvero troppo numerose per permettere loro di affollarsi, di far ressa senza un minimo di ordine che ci dica cosa sono, e qual è il loro ruolo nella frase. La luce del sole è certamente bella, ma lo è ancora di più quando riusciamo a discriminare nell’arcobaleno i colori di cui è composta. Così, una lingua è più affascinante e comprensibile quando riusciamo a discriminarne le componenti, proprio come fossero i colori nell’iride. Che questi colori siano sette come scrisse Isaac Newton, o siano solo sei come vogliono i moderni studiosi che non considerano più l’indaco come un