Mai più indifesa
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Anteprima del libro
Mai più indifesa - Chiara Gambino
Chiara Gambino
Giampaolo Salvatore
Mai più indifesa
Prefazione Giancarlo Dimaggio
Postfazione Lorena Bianchetti
www.altrimediaedizioni.com
facebook.com/altrimediaedizioni
@Altrimediaediz
Immagine di copertina: Michele Morelli
Titolo dell’opera:
Mai più indifesa
© 2019 by Chiara Gambino - Giampaolo Salvatore
ISBN: 9788869600425
© Altrimedia Edizioni è un marchio di
Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria
www.altrimediaedizioni.com
Prima edizione digitale: Ottobre 2019
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
PREFAZIONE
Giancarlo Dimaggio
Scrivere un libro al femminile sulle relazioni affettive è necessario. Viviamo negli strascichi di una società maschilista, e forse se leggiamo alcune proposte di legge sono più che strascichi: nell’immaginario collettivo italiano striscia ancora l’immagine mitica della donna angelo del focolare, fertile e devota. Se leggiamo le cronache su abusi, violenze e omicidi che hanno oggetto le donne ci vengono i brividi. E allora un libro che aiuti le donne a sfuggire agli stereotipi, ai ruoli definiti dall’esterno e fatti propri, a proteggersi dai rischi di maltrattamenti reali ci voleva.
Scrivere un libro al femminile sulle relazioni affettive è un’operazione scivolosa. Il rischio principale è di attribuire il problema all’esterno. Intendiamoci: la fonte esterna del problema esiste!
Nasce da strutture culturali arcaiche, così cristallizzate che le vediamo anche nell’immaginario collettivo. Basti ascoltare il patriarca del clan Levante nella quarta stagione di Gomorra: l’idea che Patrizia sia un capo-clan e che il figlio Michelangelo debba sposarla e riconoscerle lo status è inaccettabile. «Il mondo cambia, ma noi rimaniamo sempre gli stessi.» Un manifesto al maschilismo.
Nasce da comportamenti reali di disprezzo, svalutazione, aggressione alla donna, perpetrati tra le mura domestiche e sul lavoro. Gli stipendi delle donne sono più bassi, è un fatto.
Ma i problemi sociali vanno affrontati a livello sociale. Dove invece è presente una richiesta di aiuto psicologico da parte di una donna, bisogna rivolgersi a un’altra fonte: la natura interna.
Perché è scivolosa? Perché la cosa più dannosa che possiamo fare è attribuire tutto il problema al di fuori e da lì non se ne esce. Si rischia di rinforzare visioni di uomini che dominano, trascurano, svalutano, tradiscono, abbandonano, laddove la relazione reale non è davvero compromessa. E se è davvero compromessa non porteremo mai quella donna a farsi la domanda generativa: se è così terribile, ti maltratta, ti picchia, ti disprezza, ti tradisce… cosa ti porta a restarci?
Uno degli errori che più trovo irritanti negli psicoterapeuti è quando portano le loro pazienti a convincersi che sono in una relazione disfunzionale e dovrebbero liberarsi dell’altro. Il punto è che nella maggior parte dei casi, quell’altro non esiste, è solo nella testa della paziente. In quel modo i terapeuti fomentano solo una rabbia sterile, che contribuisce solo a deteriorare la relazione.
D’altra parte, anche quando il curante riesce ad aiutare la donna in difficoltà a formulare quella domanda, si può scivolare su un altro pavimento sdrucciolevole: portare quella donna a dirsi: «Allora è colpa mia».
Strettoie e pericoli sono quindi tanti nello scrivere un libro del genere.
Chiara Gambino e Giampaolo Salvatore li hanno evitati uno a uno. Sono riusciti nell’unica operazione possibile: portare le donne in difficoltà a formularsi la domanda generativa: «Gli strumenti per uscirne sono dentro di te. Dobbiamo solo cercarli». La chiave è il recupero del potere sul mondo interno. Dell’acquisire consapevolezza che restare coinvolte in relazioni disfunzionali o a leggere problemi laddove non ce ne sono di drammatici dipende soprattutto da una visione del proprio ruolo nelle relazioni che è ormai fatta propria e creduta vera. A quel punto il curante porta quella donna a leggere il mondo con lenti diverse e a sperimentarsi in nuovi modi di stare in relazione.
Come affrontano il problema gli autori? Raccontando storie di donne: perfezioniste o bisognose o indifese davvero, anche fisicamente. E mostrando l’entrata nella sofferenza e l’uscita dalla sofferenza. Un percorso che passa dalla mente, ma attraversa il corpo. Un laboratorio collettivo, in cui le partecipanti praticano esercizi tratti dalle tradizioni meditative, dallo yoga, dalle arti marziali, muovono il corpo in modo diverso e le porta a sperimentare un senso di sé nuovo, solido, forte, in cui imparano a pensarsi attive. Capaci di scelta.
INTRODUZIONE
Gli obiettivi di questo libro: 1) analizzare in modo semplice e accessibile i meccanismi psicologici che spingono inconsapevolmente molte donne a costruire e mantenere relazioni fonte di sofferenza o vittimizzanti; 2) fornire una guida verso le possibili soluzioni al problema.
La tesi principale che sosteniamo è che una delle cause fondamentali per cui entri, spesso ripetutamente, in una relazione che genera sofferenza o vittimizzante, o non riesci a uscirne, è la carenza di agency o agentività. L’agency è la capacità di mettere a fuoco emozioni, bisogni e desideri, e di considerare se stessi in diritto di tentare di realizzarli concretamente cercando di modificare lo stato delle cose, facendo valere i propri punti di vista e facendo rispettare i propri confini. Avere una agency carente significa aver grande difficoltà nel comprendere a fondo le proprie emozioni e i propri desideri, per poi utilizzare il frutto di questa comprensione per compiere scelte a breve e lungo termine. La persona con scarsa agency è spesso torturata dall’indecisione. Su quesiti semplici, come mi piace questo film? Come su problemi complessi e densi di implicazioni, come voglio davvero continuare a stare in questo rapporto? Questo può portarla a vivere con il pilota automatico, senza essere veramente presente a se stessa. Con la sensazione, difficile da mettere in parole, di essere manovrata dagli eventi esterni.
L’agency è come un muscolo. Se non viene allenata, non si sviluppa e non è funzionale. La persona con scarsa agency non ha mai allenato questo muscolo; si potrebbe quasi dire che non è nemmeno pienamente consapevole della sua esistenza.
Capita spesso che la persona con scarsa agency tenda ad attribuire la mancata realizzazione dei propri piani o la paralisi delle scelte alla cattiva sorte, o ad altre persone. Ed è probabile che di conseguenza alberghi nel proprio animo un malessere sordo che non sa spiegarsi. Che il più delle volte è senso cronico di costrizione, vuoto, mancata realizzazione, povertà esistenziale. Non sa interrogarsi sulle ragioni che hanno dotato gli impedimenti della vita, la sfortuna
o gli altri di tanto potere da paralizzare le proprie scelte. Ragioni che sono prima di tutto interne, e sono da ricercare nel funzionamento psicologico di livello profondo dell’individuo. Negli schemi di personalità.
Uno schema è un’aspettativa inconsapevole di come le persone, la vita, risponderanno ai nostri bisogni e desideri, che ci guida al di fuori della nostra consapevolezza nel dare significato alle cose che ci capitano e nel muoverci nelle relazioni intime. Quando desidero che sia favorita la mia autonomia, mi aspetto che gli altri mi ostacoleranno, o che mi incoraggeranno? Quando desidero essere apprezzata, mi aspetto che gli altri mi daranno apprezzamento, o non vedranno l’ora di criticarmi o umiliarmi? Quando desidero essere amata, mi aspetto che l’altro mi amerà, o mi rifiuterà, criticherà, abbandonerà? Quando desidero ardentemente essere compresa, l’altro saprà darmi la giusta attenzione e comprensione, saprà leggere la sofferenza che si dipinge sull’espressione del mio viso? O mi aspetto che proprio nel momento in cui avrò più bisogno del suo sguardo, quello sguardo sarà fatalmente calamitato da altro? O peggio ancora, da qualcun altro.
L’origine dei nostri schemi è nella nostra storia. Gli schemi sono il prodotto di ripetute esperienze di relazione a partire dai primi anni di vita. Gli schemi sono muri invisibili i cui mattoni sono le numerose esperienze relazionali in cui un nostro bisogno ha incontrato un certo tipo di risposta. Sono l’eco del passato che tratteggia momento per momento il futuro atteso sullo schermo della nostra mente. Gli schemi guidano il comportamento mimetizzandosi per ingannare la nostra consapevolezza, e generano pensieri e stati d’animo in risposta alle situazioni di vita e alle sollecitazioni dei rapporti. Nascendo da esperienze di relazioni negative, essi fanno in modo che la persona abbia un’immagine di sé negativa e dolorosa sempre incombente, sotto traccia.
Immaginiamo una persona che nella sua crescita ha avuto ripetute esperienze in cui il suo bisogno di essere amata e riconosciuta ha trovato come risposta dai genitori disprezzo. Svilupperà nell’intimo un’immagine di sé come non amabile. La sua vita sarà spesa a cercare di smentire questa verità interna indicibile. È facile che si legherà agli altri, soprattutto ai partner della sua vita, focalizzando tutte le proprie energie sul tentare di evitare che essi scoprano questa verità. Che compirà sforzi sovrumani per smentirla. Lo ripetiamo, schemi del genere inibiscono l’agentività con una forza invisibile che ha una provenienza remota. Questa persona potrebbe cercare di fare in modo di essere costantemente presente nella mente dell’altro, di essere nella mente dell’altro il pensiero sempre più importante degli altri. L’unico modo per parare meglio possibile il colpo del dolore legato all’immagine di sé negativa. Dedicherà tutte le proprie energie a evitare di sparire
dalla mente dell’altro, perché questo confermerebbe la visione di sé come non amabile
. Questo le impedirà di essere centrata sulle proprie emozioni, sui propri desideri e sui piani di vita. Le impedirà di allenare il muscolo dell’agency. Verrà a mancare la propulsione a mettere a fuoco e a realizzare i propri obiettivi, che deriva dal sentirci di fondo persone degne e amabili.
Non è tutto. Gli schemi sono profondamente radicati nella nostra identità, nel nostro organismo. Nel corpo. Una sensazione di vuoto nello stomaco che si attiva quando scorgiamo nel partner un’espressione corrucciata può essere il modo in cui il corpo ricorda, del tutto automaticamente e senza che ne siamo consapevoli, il rifiuto e la disapprovazione di un genitore quando non mostravamo un comportamento che a lui piaceva. La disapprovazione che arrivava puntuale al posto dell’apprezzamento desiderato. Quella sensazione di vuoto spingerà automaticamente la persona a non scegliere azioni che potrebbero incontrare la disapprovazione del partner.
La stretta di mano indecisa, lo sguardo basso, le spalle incurvate quando salutiamo un conoscente per strada possono indicare che ci aspettiamo un giudizio umiliante dall’altro in risposta al nostro desiderio di sentirci accettati. Quegli atteggiamenti automatici potrebbero ostacolarci nell’approfondire la conoscenza di qualcuno che ci piace. Ancora una volta, la scelta, il senso di aver diritto di usare i propri desideri per tentare di cambiare lo stato delle cose, in una parola, l’agentività, sono tristemente ostacolati. E lo ricordiamo, a complicare tutto ciò sta il fatto che gli schemi sono molto difficili da individuare e modificare, perché sono radicati nel corpo e automatici, autoinganni invisibili che fanno parte della nostra identità corporea e psicologica, a cui siamo assuefatti, e che agiscono al di fuori della nostra consapevolezza.
Questo libro permetterà al lettore di avvicinarsi a comprendere i propri schemi. Offrirà inoltre una serie di strategie emotive, cognitive, corporee e meditative per rimodellare questi schemi e incrementare l’agentività. Utilizziamo abitualmente queste strategie nella nostra pratica clinica. Daremo un esempio concreto di questo utilizzo clinico nell’ultimo capitolo, che racconterà sinteticamente il laboratorio esperienziale Mai più indifese, rivolto a un gruppo di donne la cui storia o attuale situazione di vita era segnata da relazioni fonte di sofferenza. Questo non sarà l’unico momento in cui la nostra esperienza umana e professionale come terapeuti verrà condivisa con il lettore. Il libro raccoglie una serie di storie tratte da quell’esperienza, descritte (sempre tutelando la privacy delle protagoniste reali attraverso nomi fittizi e camuffando i contesti) con il linguaggio della narrazione. Numerose ricerche confermano che le narrazioni calamitano la nostra attenzione e si imprimono nella nostra memoria. Le narrazioni sono molto più efficaci del linguaggio saggistico per aiutarci a mettere ordine nelle nostre esperienze interiori e comprenderle meglio, come per capire il significato delle azioni degli altri. Ascoltare o leggere storie ci fa essere presenti in esse. Le ricerche mostrano come una storia in cui si muovano personaggi che provano emozioni attiva nell’ascoltatore o lettore le aree cerebrali che si attivano di solito in lui quando vive quell’esperienza corporea ed emotiva in prima persona. Le storie mettono il nostro organismo in condizione di simulare esperienze che per questo, pur non essendolo, sentiamo nostre. Ci aprono a mondi possibili, che per le nostre paure non esploriamo, e ci preparano a esplorarli direttamente. La storia di una persona che soffre di gelosia per il partner cattura la nostra attenzione, si imprime nella nostra memoria, ci fa comprendere come può essere sottile – e spesso mascherata – la nostra gelosia. Ci regala un senso di condivisione, e forse possibili soluzioni, molto più di un saggio sulla gelosia.
Non è improbabile che il linguaggio incisivo delle storie farà esclamare al lettore i suoi è proprio quello che capita a me
. Gli farà vivere quel momento di profonda intuizione dell’ora capisco finalmente perché, e la determinazione del da ora in poi so cosa fare. Sarà utile a dare un senso alla voragine che si apre dietro al petto appena svegli, all’irritazione che fa sembrare le voci attorno sempre troppo acute, alla rabbia che esplode continuamente contro chi si ama, ai dubbi su se si ama ancora, all’imbarazzo che fa avvampare il volto anche davanti agli amici stretti, alla stanchezza che non sa trovare sollievo, all’incapacità di provare entusiasmo per più di dieci secondi, anche quando tutti dicono che ci sarebbero tutti i motivi per provarlo, all’insoddisfazione cronica per il proprio viso, il proprio corpo, il proprio lavoro, la propria vita. Ma noi lo dichiariamo da subito: questa sensazione di capirci finalmente qualcosa, di aver trovato le parole per esprimere ciò che fino a poco fa era inesprimibile, non basterà affatto a cambiare la sua vita. Per cambiare la propria via bisogna fare un altro passaggio. Utilizzare la consapevolezza acquisita per scegliere opportunamente la direzione verso la quale muoversi, e poi muoversi.
Capire le cose, soprattutto la più difficile, la ragione per cui c’è qualcosa che proprio non va nella propria vita, nelle relazioni significative o intime, non genera cambiamento. Il cambiamento è generato dall’azione. La comprensione delle cose serve solo a scegliere la linea d’azione. La comprensione dei meccanismi fisiologici in base ai quali fumare venti sigarette al giorno mi fa avere il fiato corto non mi allungherà il fiato, ma potrà guidare la scelta attiva e durevole di smettere di fumare.
Sembra banale. E lo è.
Ma c’è qualcosa di meno banale tra le righe. Diciamo che ho smesso di fumare da qualche giorno. Prima di smettere immaginavo che avrei sofferto le pene dell’inferno per l’astinenza. Infatti è così. Tanto che per alleviare quelle pene inizio a cercare tiramisù e pizza al taglio con il fiuto di un pointer. Ma succedere un’altra cosa che non mi aspettavo. Faccio una rampa di scale e mi ritrovo a osservare che il fiatone è meno intenso dell’ultima volta che ho fatto uno sforzo simile. Un vigore nuovo, che il mio corpo aveva dimenticato di possedere. E provo un senso di soddisfazione e piacere. Quindi, la consapevolezza delle ragioni della sofferenza getta luce sulle zone scomode verso cui devo dirigermi per superare o attenuare quella sofferenza. Andare nelle zone scomode è molto… scomodo, ma rivela sorprese, piaceri inaspettati, che molto probabilmente invoglieranno a continuare; e continuare renderà quelle zone progressivamente meno scomode.
La prima parte di questo libro guida il lettore verso la conoscenza approfondita del problema. Descriveremo una serie di storie desunte dalla nostra esperienza clinica che permetteranno di comprendere a fondo il concetto di schema e i diversi tipi di schema che possono compromettere l’agency e favorire l’assunzione del ruolo di vittima in un rapporto sentimentale disfunzionale.
Il primo capitolo è incentrato sulla storia di Laura, che aveva uno schema basato sul perfezionismo, ossia la tendenza a vivere le relazioni e la vita come un compito nel quale è necessario essere sempre perfetti.
Il secondo capitolo narra la storia di Federica, la cui agency era inibita da uno schema basato sulla dipendenza psicologica dal partner.
Il terzo capitolo, attraverso la storia di Eleonora, mostra come l’agency possa essere gravemente ostacolata da uno degli schemi tipici del narcisismo, che imponeva alla paziente di essere sempre speciale, sempre la migliore, portandola a sperimentare il rapporto sentimentale come una logorante performance.
Il quarto e il quinto capitolo, attraverso le appassionanti storie di Giuseppina e Ginevra, approfondiscono il problema, purtroppo molto diffuso, del nucleo borderline. Si tratta di uno schema profondo che permea la personalità e porta la persona a sentirsi niente, inesistente, vuota. La persona vive un senso cronico di dolorosissima frammentazione e caos interni, e questo genera gravi conseguenze non solo sull’agency ma anche sull’equilibrio psicologico generale, sul senso di coerenza della propria identità.
In tutti questi casi verrà mostrato come l’assunzione del ruolo di vittima all’interno di un rapporto sentimentale disfunzionale sia favorito dall’incastro tra lo schema alla base del funzionamento psicologico della vittima e le caratteristiche di personalità e i comportamenti del partner che assume il ruolo di aggressore. Tale ruolo, come risulterà evidente