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I fiori del male
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E-book389 pagine2 ore

I fiori del male

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Provato da una vita travagliata e disordinata, Charles Baudelaire tende a realizzare una poesia che dell’uomo, delle sue cadute e dei suoi disperati tentativi di rialzarsi, della sua sublimità e delle sue bassezze, della ininterrotta altalena tra ennui e idéal, tra disgusto di sé, noia esistenziale da un lato e aspirazioni ideali dall’altro, sia la cronaca e l’epos insieme, l’analisi inclemente e la celebrazione commossa e pietosa. Diviso tra il bisogno di elevarsi e il bisogno di assaporare i forti liquori del peccato; attratto di volta in volta, talora al tempo stesso, e respinto dagli estremi – l’amore che invoca l’odio e se ne nutre – Baudelaire era in preda a una crudele ambivalenza affettiva. Il punto di partenza dal quale muovono tanti atteggiamenti del Poeta è la sua coscienza di esiliato, di angelo caduto e quindi di estraneità al mondo in cui vive. Questa coscienza di diversità ed estraneità approda o alla cupa accidia, a una stanchezza che è insieme disgusto o a un atteggiamento di rivolta cui subentra la frustrazione. Le plaghe da cui si è esiliati (l’infanzia e l’immagine della madre, la fede cattolica nella quale era stato educato, la realizzazione di una ideale integrità e pienezza del vivere) non sono però raggiungibili benché continuamente sentite e cercate: non restano che l’aspirazione alla bellezza e all’arte perseguita con religiosa dedizione, l’oblio disperata condizione, il sogno di nuovi paradisi che ripaghino almeno di ciò da cui si è esiliati. E quindi i paradisi artificiali della droga o di qualsiasi altra sollecitazione che permetta di abbandonarsi a nuove sensazioni di colori, di musiche, di profumi. Oppure – altra soluzione – il vagheggiamento di partire (in senso proprio sì come simbolico, allusivo) di andare verso ciò che è diverso, insolito, sottraendosi così alla triste trama dei giorni già scontati in partenza. Un mondo interiore così complesso necessita di una poesia ricca di nuances, cioè di sfumature, di suggestioni, di accordi più suggeriti che definiti, la parola cercata più in base al potenziale di musicalità che alla sua capacità definitoria e di classificazione. Queste suggestioni e questi accordi, questo crollo dei confini dei cinque sensi per cui un suono può evocare un colore o un profumo suggerire un paesaggio: compito del poeta è scoprire il senso riposto, l’essenza che si cela oltre l’apparenza: un invito a servirsi liberamente delle parole e delle immagini e ad associarle non tanto secondo l’uso della logica pura, quanto a seconda della loro risonanza psicologica e della legge misteriosa dell’analogia universale.
LinguaItaliano
Data di uscita1 gen 2018
ISBN9788832920444
I fiori del male
Autore

Charles Baudelaire

Charles Baudelaire (1821-1867) was a French poet. Born in Paris, Baudelaire lost his father at a young age. Raised by his mother, he was sent to boarding school in Lyon and completed his education at the Lycée Louis-le-Grand in Paris, where he gained a reputation for frivolous spending and likely contracted several sexually transmitted diseases through his frequent contact with prostitutes. After journeying by sea to Calcutta, India at the behest of his stepfather, Baudelaire returned to Paris and began working on the lyric poems that would eventually become The Flowers of Evil (1857), his most famous work. Around this time, his family placed a hold on his inheritance, hoping to protect Baudelaire from his worst impulses. His mistress Jeanne Duval, a woman of mixed French and African ancestry, was rejected by the poet’s mother, likely leading to Baudelaire’s first known suicide attempt. During the Revolutions of 1848, Baudelaire worked as a journalist for a revolutionary newspaper, but soon abandoned his political interests to focus on his poetry and translations of the works of Thomas De Quincey and Edgar Allan Poe. As an arts critic, he promoted the works of Romantic painter Eugène Delacroix, composer Richard Wagner, poet Théophile Gautier, and painter Édouard Manet. Recognized for his pioneering philosophical and aesthetic views, Baudelaire has earned praise from such artists as Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé, Marcel Proust, and T. S. Eliot. An embittered recorder of modern decay, Baudelaire was an essential force in revolutionizing poetry, shaping the outlook that would drive the next generation of artists away from Romanticism towards Symbolism, and beyond. Paris Spleen (1869), a posthumous collection of prose poems, is considered one of the nineteenth century’s greatest works of literature.

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    Anteprima del libro

    I fiori del male - Charles Baudelaire

    viaggio

    Tu mi hai dato il tuo fango e io ne ho fatto oro

    Questo libro, il cui titolo Les fleurs du mal dice tutto, è rivestito di una bellezza sinistra e fredda […] è stato fatto con furore e pazienza, scriveva Charles Baudelaire in una lettera alla madre.

    Pubblicato per la prima volta nel 1857, suscitò grande scalpore, principalmente a causa dei contenuti di alcune liriche, considerate indecenti e scabrose per la mentalità dell’epoca. Baudelaire fu addirittura processato per oltraggio al pudore, esattamente come Gustave Flaubert accusato, con il suo romanzo Madame Bovary, di incitare all’adulterio. Se l’opera di Flaubert superò indenne la censura, Baudelaire fu invece condannato a pagare una multa e alla soppressione di sei liriche ritenute immorali. Nel 1861 uscì una seconda edizione rivista, Baudelaire rimosse le liriche accusate, ne aggiunse trentacinque di nuove e rimaneggiò la struttura inserendo la sezione Tableaux Parisiens. La raccolta nella sua forma definitiva presenta una struttura rigorosa, divisa in sei parti.

    A detta dello stesso Baudelaire l’opera va intesa come un viaggio immaginario che il poeta compie verso l’inferno che è la vita. La prima riassume nel titolo, Spleen e ideale, la dualità profonda di tutte le esperienze umane: dualità dell’esperienza dell’artista, diviso tra il volto divino e infernale della bellezza; dualità dell’amore, carnale e maledetto o sublime e spirituale; dualità perfino nell’esperienza della solitudine, nel doloroso colloquio con se stesso. In un crescendo terribile, il poeta si scopre vittima e carnefice. Nella seconda, Quadri parigini, compare il tema della folla, della città: uno specchio che moltiplica la sofferenza dell’autore, un luogo fantasmatico in cui perdersi e ritrovarsi. Nella terza sezione, Il vino, appare la tentazione dei paradisi artificiali, che si prolunga nella quarta, intitolata significativamente come l’intera raccolta, I fiori del male, estremi tentativi di fuggire lo Spleen che il poeta compie rifugiandosi nell’alcool e nell’alterazione delle percezioni ma la dissolutezza, il vizio, il peccato non sanno placare il terrore e la disperazione. La quinta, Rivolta, è un grido blasfemo contro Dio, un’invocazione a Satana che tuttavia non si rivela utile alla sua fuga. La sesta, "La morte, rappresenta l’ultimo tentativo, la suprema speranza e insieme l’ultima illusione di trovare nell’ignoto qualcosa di nuovo, di diverso dall’onnipresente angoscia.

    Al di là dell’evento rilevante della condanna per offesa al pubblico pudore, I fiori del male sono un’opera poetica fondamentale non solo per la poesia francese dell’Ottocento ma anche per buona parte della poesia del Novecento, tanto che Baudelaire è spesso indicato come il primo poeta moderno. I Fiori del male mescolano e uniscono alla cura formale e alla raffinatezza dell’espressione – il verso è spesso l’alessandrino, la misura più alta e nobile della metrica francese – un contenuto basso e volgare, spesso scandaloso o moralmente ambiguo per i costumi borghesi dell’epoca. Questa commistione esplicita tra alto e basso, tra sublime e volgare, tra raffinatezza e comico è diretta conseguenza di un’antitesi fondamentale per la poesia baudelairiana: quella tra spleen e idéal. Il primo termine definisce quel complesso sentimento di noia, disgusto e malinconia di qualcosa di indefinito e indefinibile che costituisce una malattia esistenziale di molti poeti romantici prima e decadenti poi; lo spleen di Baudelaire è la chiave per descrivere gli scenari urbani della Parigi del Diciannovesimo secolo, in cui convivono lusso e miseria, squallore e bellezza, gioia e disperazione. La solitudine del poeta, il conflitto con la realtà e con l’ipocrisia borghese, la sua vita sregolata e autodistruttiva, il rifugio nei paradisi artificiali della droga e dell’alcol hanno nello spleen la loro motivazione principale; nell’appello Al lettore Baudelaire chiude indicando nella noia il mostro che tormenta tutti. Se l’esito di questo processo termina nella morte – così si intitola appunto l’ultima sezione della silloge – tuttavia a fare da contraltare allo spleen c’è la tensione all’idéal, ovvero l’aspirazione a un mondo puro e incontaminato dalla corruzione e dalle meschinità del mondo. L’idéal è una condizione costante della poesia baudelairiana che, attraverso le risorse dell’immaginazione, supera la superficie delle cose per elevarsi verso una realtà superiore, sconosciuta alla maggior parte degli uomini.

    Il conflitto tra spleen e idéal definisce la condizione di scissione del poeta e dell’uomo moderno che Baudelaire sviluppa in un celebre componimento, L’albatros. Qui Baudelaire affida il testimone della propria condizione di esule in mezzo ai suoi simili, che non comprendono e accettano i suoi versi, a un albatro, il maestoso uccello marittimo che, una volta a terra, risulta goffo e impacciato. Il testo, strutturato in quattro quartine a rime alternate, prende spunto da un episodio a cui Baudelaire ha assistito – probabilmente mentre viaggiava verso l’India nel 1842 – e racconta delle angherie subite dall’uccello dopo essere stato catturato dai marinai di una nave.

    L’albatro, che per sua natura vola maestoso sopra i mari, sul ponte della nave si muove goffamente, impedito dalle grosse ali che in questo contesto risultano solo un peso. I marinai si divertono dei suoi sforzi, lo vestono come un uomo e lo deridono per la sua inadeguatezza. Tale è la condizione esistenziale del poeta, precipitato a terra dalle alte sfere dell’idéal e costretto a vivere in un universo borghese e ipocrita, che finge di rispettarlo ma in realtà si fa beffe di lui e della sua arte, considerata un lusso superfluo in un’epoca di trionfo dei beni pratici e materiali.

    La sensibilità poetica della silloge e la sua tensione alla poesia pura anticipa anche soluzioni e scelte stilistiche di poeti e correnti dei decenni successivi: su tutte, c’è la convinzione radicale che l’arte, per sondare gli aspetti più reconditi dell’inconscio umano, non possa procedere per schemi razionali, ma debba privilegiare le associazioni implicite e analogiche tra le cose, secondo un procedimento a-razionale (che ritroveremo anche in D’Annunzio e Pascoli, oltre che in Verlaine, Rimbaud e Mallarmé) che sfrutta il potere evocativo delle parole e delle immagini. Manifesto di questa poetica è la poesia Corrispondenze in cui lo sguardo del poeta individua misteriosi punti di contatto tra la Natura e la sua coscienza. Le corrispondenze individuate dalla poesia sono così il punto di partenza per l’ascensione verticale dalla realtà concreta a un mondo ideale e superiore.

    Il sonetto descrive la Natura – da intendersi come la realtà che ci circonda e di cui con i nostri sensi siamo parte attiva – come una foresta di simboli, un tempio in cui le parole risuonano misteriose e si lasciano scoprire solo da chi sa comprenderle davvero. Tra i suoni, i profumi, i dati sensoriali si instaurano connessioni profonde, che il poeta interpreta come all’interno di un dialogo prezioso ed esclusivo con il mondo naturale, da cui l’uomo comune è escluso. Il contenuto della poesia diventa anche la forma della sua espressione: Baudelaire gioca con le corrispondenze fin dal primo verso, costruendo un’atmosfera misteriosa ed evocativa attraverso il sapiente utilizzo dell’analogia (v. 1: È un tempio la Natura) e della sinestesia (vv. 9-10: Profumi freschi[...] dolci[...] verdi).

    La ricerca del poeta di ciò che vi è di sconosciuto attraversa il resto della silloge fino all’ultimo testo, intitolato Il viaggio, il cui ultimo verso riafferma la funzione della poesia per Baudelaire, ovvero quella di scendere nel fondo dell’ignoto per trovare ciò che non è mai stato detto prima: Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau!

    Nient’altro che la morte, dunque, alla fine del lungo itinerario dell’uomo. Baudelaire deride rabbiosamente le false promesse di liberazione, il progresso, la democrazia, l’industria. Il paradiso perduto sulla Terra, identificato con l’infanzia, può essere soltanto intravisto, evocato. Solo la poesia conduce alla riconciliazione, alla pienezza del vivere, e consente all’anima di intravedere gli splendori che brillano dietro la tomba. A questo scopo la poesia si fonda sull’immaginazione, regina delle facoltà. Nel saggio Notes nouvelles sur Edgar Poe del 1857, egli afferma che l’immaginazione è altro dalla fantasia e dalla sensibilità; è una facoltà quasi divina che penetra all’istante, al di fuori dei metodi filosofici, i rapporti intimi e segreti delle cose, le corrispondenze e le analogie.

    Descrivendo il poeta come il decifratore dell’armonia universale, Baudelaire non si accosta all’ideale romantico dell’ispirazione o addirittura dell’inconsapevolezza del genio. Tutt’altro: Baudelaire polemizza aspramente contro la fiducia nella spontaneità. La poesia si conquista attraverso un faticoso dominio della forma, un duro lavoro di affinamento dei mezzi espressivi. La sua poesia utilizza i procedimenti retorici della poesia classica: per esempio, l’uso dell’alessandrino, quasi sempre privo di spezzature, o l’importanza della rima. In questo senso la poesia rappresenta il fiore nato dal male, non qualcosa di diverso dal male, ma la materia stessa riscattata attraverso la forma. In un progetto di epilogo per I fiori del male Baudelaire sintetizzava perfettamente il suo percorso umano ed estetico: il poeta è un’anima santa e un perfetto chimico, che raggiunge alfine la consapevolezza di aver compiuto il proprio dovere: tu mi hai dato il tuo fango e io ne ho fatto oro.

    La fortuna critica di Baudelaire è stata immensa. Idolo dei decadenti, maestro dei simbolisti, ammirato da Rimbaud, Breton e Valéry, egli sembra possedere molteplici volti e quindi incarnare figure diverse. La sua opera si situa al confine di due epoche: sintesi e superamento dell’esperienza romantica, annuncia i futuri sviluppi del simbolismo e della poesia moderna. Anche la sua influenza si esercita in una duplice direzione: poesia come intuizione mistica, che coglie l’essenza profonda della realtà, e poesia come mestiere, linguaggio, rigoroso percorso verso la creazione perfetta. Di grande importanza poi la sua decisa affermazione della specificità della poesia; essa non è al servizio dell’utile, né della morale, né della verità: la poesia non ha altro scopo che se stessa.

    Les fleurs du mal

    I fiori del male

    Au poëte impeccable

    au parfait magicien ès lettres fran çaises

    à mon très - cher et très - vénéré

    maître et ami

    Théophile Gautier

    avec les sentiments

    de la plus profonde humilité

    je dédie

    ces fleurs maladives.

    C. B.

    Al poeta impeccabile

    al mago perfetto in lettere francesi

    al mio molto caro, molto venerato

    maestro e amico

    Théophile Gautier

    con i sensi

    della più profonda umiltà

    dedico

    questi fiori malsani.

    C. B.

    Au lecteur

    La sottise, l’erreur, le péché, la lésine,

    occupent nos esprits et travaillent nos corps,

    et nous alimentons nos aimables remords,

    comme les mendiants nourrissent leur vermine.

    Nos péchés sont têtus, nos repentirs sont lâches;

    nous nous faisons payer grassement nos aveux,

    et nous rentrons gaiement dans le chemin bourbeux,

    croyant par de vils pleurs laver toutes nos taches.

    Sur l’oreiller du mal c’est Satan Trismégiste

    qui berce longuement notre esprit enchanté,

    et le riche métal de notre volonté

    est tout vaporisé par ce savant chimiste.

    C’est le Diable qui tient les fils qui nous remuent!

    Aux objets répugnants nous trouvons des appas;

    chaque jour vers l’Enfer nous descendons d’un pas,

    sans horreur, à travers des ténèbres qui puent.

    Ainsi qu’un débauché pauvre qui baise et mange

    le sein martyrisé d’une antique catin,

    nous volons au passage un plaisir clandestin

    que nous pressons bien fort comme une vieille orange.

    Serré, fourmillant, comme un million d’helminthes,

    dans nos cerveaux ribote un peuple de Démons,

    et, quand nous respirons, la Mort dans nos poumons

    descend, fleuve invisible, avec de sourdes plaintes.

    Si le viol, le poison, le poignard, l’incendie,

    n’ont pas encor brodé de leurs plaisants dessins

    le canevas banal de nos piteux destins,

    c’est que notre âme, hélas! n’est pas assez hardie.

    Mais parmi les chacals, les panthères, les lices,

    les singes, les scorpions, les vautours, les serpents,

    les monstres glapissants, hurlants, grognants, rampants,

    dans la ménagerie infâme de nos vices,

    iI en est un plus laid, plus méchant, plus immonde!

    Quoiqu’il ne pousse ni grands gestes ni grands cris,

    il ferait volontiers de la terre un débris

    et dans un bâillement avalerait le monde;

    C’est l’Ennui! L’oeil chargé d’un pleur involontaire,

    iI rêve d’échafauds en fumant son houka.

    Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat,

    -Hypocrite lecteur, -mon semblable, -mon frère!

    Al lettore

    La stoltezza, l’errore, l’avarizia, i peccati,

    ci occupano gli spiriti e tormentano i corpi

    e noi alimentiamo i nostri amabili rimorsi

    come i mendicanti nutrono i loro parassiti.

    Testardi nel peccato, vili nel pentimento

    vendiamo le confessioni a prezzo esoso

    e rientriamo allegri nel sentiero melmoso,

    certi di lavare ogni macchia con vil pianto.

    Sul cuscino del Male, Satana Trismegisto

    culla lungamente il nostro spirito incantato,

    e della volontà nostra viene vaporizzato

    il ricco metallo da quel dotto alchimista.

    È il Diavolo che tiene i fili che ci muovono!

    In cose ripugnanti troviamo il nostro spasso;

    nell’Inferno ogni giorno scendiamo giù di un passo,

    senza orrore attraverso tenebre che ammorbano.

    Simili a un debosciato misero che bacia e mangia

    a una vecchia baldracca il seno martoriato,

    noi rubiamo, passando, un piacere celato

    che spremiamo con forza come una vecchia arancia.

    Fitto, formicolante, pari a milioni d’elminti,

    dentro i nostri cervelli un popolo di Demoni

    festeggia, e, se respiri, la Morte nei polmoni

    scende, fiume invisibile, con dei sordi lamenti.

    Se lo stupro, il veleno, l’incendio, il pugnale

    non hanno ricamato di lor disegni carini

    la trama banale dei nostri pietosi destini,

    è che, ahimè! Il nostro animo è fin troppo vile.

    Ma in mezzo agli sciacalli, le pantere, le cagne,

    le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti,

    ai mostri urlanti, latranti, ruggenti, striscianti

    nell’infame serraglio che i nostri vizi contiene,

    ce n’è uno più orrendo, più crudele, più immondo!

    Che sebbene non faccia grandi gesti o gridi,

    ridurrebbe volentieri l’Universo in detriti

    e in uno sbadiglio ingoierebbe il mondo;

    la Noia! D’un pianto casuale carico il ciglio,

    sogna di patiboli, mentre fuma il narghilè.

    Conosci, tu, lettore, quel mostro sensibile,

    -lettore ipocrita, -mio simile, -mio fratello!

    Spleen et Idéal

    Spleen e Ideale

    Bénédiction

    Lorsque, par un décret des puissances suprêmes,

    le Poète apparaît en ce monde ennuyé,

    sa mère épouvantée et pleine de blasphèmes

    crispe ses poings vers Dieu, qui la prend en pitié:

    "Ah! que n’ai je mis bas tout un noeud de vipères,

    plutôt que de nourrir cette dérision!

    Maudite soit la nuit aux plaisirs éphémères

    où mon ventre a conçu mon expiation!

    Puisque tu m’as choisie entre toutes les femmes

    pour être le dégoût de mon triste mari,

    et que je ne puis pas rejeter dans les flammes,

    comme un billet d’amour, ce monstre rabougri,

    je ferai rejaillir ta haine qui m’accable

    sur l’instrument maudit de tes méchancetés,

    et je tordrai si bien cet arbre misérable,

    qu’il ne pourra pousser ses boutons empestés!"

    Elle ravale ainsi l’écume de sa haine,

    et, ne comprenant pas les desseins éternels,

    elle-même

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