Dialoghi con mia Madre 1
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Anteprima del libro
Dialoghi con mia Madre 1 - Gabriella Tomasetto
633/1941.
Premessa
Prima di iniziare è necessario che spieghi a chi non mi conosce con il nomignolo di Ges, perché ho scelto questo soprannome.
L’evoluzione spirituale ha una fase determinante, che è il superamento dell’identificazione terrena. E’ l’opposto dell’attuale convincimento umano e io non posso spiegare me stesso riconfermando l’identificazione che mi è stata data con tutta una serie di nomi. Vorrei far notare che anche la diversità dei nomi che mi sono stati assegnati, dividono i vari credo e non è da me riconfermare le divisioni con qualche cosa già esistente. Perciò, dovendomi assegnare un nome, soprattutto per praticità nella scrittura, qualche anno fa negli ascolti di mia Madre mi sono definito Amico Ges
.
Ecco, chiamatemi Amico Ges
e io sarò pronto a farvi sentire i miei pensieri nella vostra consapevolezza. In ogni caso, l’identificazione che più mi si addice nella vicinanza terrena è Amico
, ma se volete identificarmi con il nome della mia Anima, io sono il Divin Amore
.
Pace, fratelli, figli dello stesso Padre. Buona lettura.
Vostro Divin Amore
La condivisione trinitaria
Voce del Divin Amore
Cara Madre diventata Gabriella, oggi mi racconto facendoti scrivere con un inchiostro a te inusuale. Combattendo la tua riluttanza, ho insistito affinché tu abbandonassi la penna verde per prendere quella viola. In ascolti passati ti è stato riferito che il colore viola significa uno squilibrio mentale, ma se ben ricordi rappresenta anche l’incarnazione. E ho scelto questo colore per iniziare un racconto che ha la pretesa di unire il tuo presente al nostro passato e la mia eternità al tuo tempo.
Giocando con i ricordi di ciò che non ha tempo, in quanto è eternamente valido, ti faccio ritornare ad un’antica mensa dove noi due, complici di Dio, gustavamo una zuppa fatta di semi ed erbe che tu sapientemente avevi raccolto.
Com’era di abitudine in quel tempo, avevi racimolato le granaglie in compagnia di altre donne, setacciando dei campi già mietuti. A chi avesse voluto cercare le spighe sfuggite alla cupidigia, i padroni di quei campi ne concedevano il raccolto. Così il chiacchiericcio delle donne aleggiava dove il lavoro aveva già finito di fare incetta ed era proprio quel vocio a fare giustizia a Dio, che in questo modo poteva regalare un po’ di saporita sazietà a chi sapeva godere di quel poco rimasto.
Il valore di quella zuppa era nel gioco beffardo che Dio faceva all’uomo mai sazio del risultato del suo lavoro. Il regalo del sapore della bollitura di una così fatale misticanza, era la gioia di quei palati che nell’umiltà sapevano ringraziare il Creatore. Noi due, coscienti che la mano di Dio ci aveva guidati a rendere Trinitaria la nostra condivisione, ci accingevamo a fare comunione
con il cibo che avrebbe nutrito il corpo e saziato l’Anima.
In quella stanza la mia voce predominava sulla tua, che invece taceva per arricchirsi di consapevolezza. Ma in realtà, cara Madre, la tua semplicità era la ricchezza che mi concedeva, almeno con te, il privilegio di essere me stesso. Tu non avevi bisogno di imparare, ma solo di riconoscere in Terra quello che era già tutto in te. Con te potevo risvegliare una memoria assopita senza lottare contro delle difese, senza deludere o appagare delle aspettative, senza vendermi in cambio di attenzione. Potevo parlare senza avere la terribile speranza di essere capito. Con te potevo parlare senza giustificarmi e non era certo necessario che ti dimostrassi la mia eccezionalità moltiplicando il pane che tu stessa preparavi in alleanza con Dio per nutrirmi giustamente. Non serviva che sanassi il tuo corpo per insegnare alla tua Anima, eri tu che sanavi me nutrendomi con quell’Amore che io tentavo di predicare.
Cara Madre, io insegnavo ciò che mi aveva partorito e cresciuto. Dal momento che ero incarnato, non poteva che essere così. Anch’io come tutti potevo insegnare solo quello che la Maternità mi aveva concesso di imparare. Perciò la mia eccezionalità fu frutto della tua completa donazione di libertà a Dio e la preghiera che accompagnava ogni tua azione recitava:
"Padre, sia fatta la tua volontà d’Amore, libera dalla mia volontà d’amare.
Padre, guida la mia Fede in modo che sappia compiacere la tua volontà.
Pace."
Era proprio l’ubbidienza a quella guida che non ti faceva sbagliare nel ruolo di Madre e solo ora posso dirti che i nostri dialoghi erano l’anticipazione di ogni mio gesto o di ogni mia parola pubblica. Così, quella sera ci accingevamo a condividere con Dio il giusto cibo e ridendo per la gioia che regala la Fede, il nostro confabulare si svolse in questo modo.
Ges.: Madre, quale novità ti hanno raccontato le donne nella discrezione da altre orecchie che i campi regalano?
Maria.: Figlio, se le distanze salvano da chi origlia, per quale motivo ora dovrei accorciarle riportandoti i segreti?
G.: "Madre, ti ho sempre usata come orecchio con la bocca e come occhi che oltre che vedere sanno anche mostrare, perché ora dovrei privarmi di un così prezioso consigliere?
Dunque, c’è qualche segreto che proprio non devo venire a sapere o forse è stata la tua bocca che ha riportato ad altri orecchi dei segreti che sarebbe stato meglio fossero taciuti?
Ah, è così! Allora, cosa hai detto questa volta?"
M.: Ma niente Figlio!
G.: "Credo proprio che tu debba raccontarmi quel segreto, altrimenti come faccio a confermare le tue dicerie se non le conosco?
Su dai, non fare la ritrosa. Raccontami cosa hai detto a quelle povere donne, stanche e dolenti per dover camminare con la schiena curva per scovare delle spighe anche dove non ce n'erano?"
M.: "In effetti, erano sconcertate dai miei racconti e qualcuna si è dovuta sedere per riprendere un po’ di forza. Ma mi spieghi perché quello che a noi riempie di gioia, agli altri terrorizza?
Figlio, non capisco perché la stessa realtà noi la riconosciamo buona e piena di speranza e invece gli altri, con un grande spavento, la allontanano."
G.: "Ho capito a cosa ti riferisci. Oggi hai raccontato dell’eventualità che una morte improvvisa o violenta interrompa la vita di chi non è in linea con Dio in quanto non ascolta l’Anima, ma che in realtà la giustizia a cui è sottoposto gli regala la libertà da un errore per ritentare di non ripeterlo in una nuova vita.
Cara Madre, in un mondo dove nessuno vede le proprie responsabilità nelle reazioni degli altri, come puoi pensare che ti capiscano?"
M.: Figlio, cosa manca a loro che noi abbiamo che ci fa capire cosa richiama una reazione violenta?
G.: Madre, a loro manca l’umiltà, ma posso affermare questo solo alle tue
orecchie mute", perché con questa affermazione giudico loro indegni e io mi eleggo superiore. Solo per aver fatto questa affermazione, domani potrei incontrare qualcuno che mi umilia per mettere alla prova la mia umiltà. Allora posso solo ricordarti il percorso che ho fatto e che anche tu hai fatto tuo, per imparare ad evitare che qualcuno ci metta alla prova.
Cara Madre, nel deserto, quando mi sono ritirato per quaranta giorni dalla tua mensa, ho imparato a fare i conti con me stesso. Dove avevo bisogno di rafforzarmi nella dedizione al Padre, c’era un tarlo grande come un drago che non mi concedeva pace nella mia mente. Questo fino a quando in me vinceva il