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Nient'altro che la verità
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Nient'altro che la verità
E-book164 pagine2 ore

Nient'altro che la verità

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Info su questo ebook

"Com'è crescere sul set? Quanto di te metti nei ruoli che interpreti? Riesci a dividerti bene fra realtà e finzione? Ma soprattutto, come e perché hai iniziato? Lo hai voluto tu? "Eccole qui, la maggior parte delle domande che spesso mi vengono poste da giornalisti, amici, parenti... Nessuno sa, però, che spesso anche io le pongo a me stessa. Queste righe, dunque, nascono dal bisogno di capirmi fino in fondo, e dall'umile speranza di mostrarmi così come sono. Prima di tutto, infatti, non sono solo un'attrice, ma una donna che custodisce dentro di sé quella semplicità che mi ha sempre contraddistinta. Sono stata una bambina da sempre un po' donna, e ora sono una donna ancora un po' bambina; segnata da molti eventi che mi hanno fatta crescere prima dei miei coetanei, ma sempre con dentro quel desiderio di spensieratezza che avevo quando saltellavo tra i banchi di scuola, fregandomene delle prese in giro dei miei compagni di classe, che mi dicevano: sei troppo felice". Ludovica Gargari, per la prima volta, ci parla della sua storia. E lo fa mettendosi a nudo. Raccontando davvero tutta la verità.
LinguaItaliano
Data di uscita26 giu 2020
ISBN9788835855569
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    Anteprima del libro

    Nient'altro che la verità - Ludovica Gargari

    1

    La prima cosa bella

    La prima cosa bella, Nicola Di Bari

    Ludovica, ha cominciato a lavorare nel cinema già da giovanissima, com’è crescere sul set? Quanto di te metti nei ruoli che interpreti, riesci a diverti bene fra realtà e finzione? Ma soprattutto, come e perché hai iniziato? Lo hai voluto tu?

    Eccole qui, la maggior parte delle domande che spesso e volentieri mi vengono poste da giornalisti, amici, a volte anche parenti…

    Perché chi può dire di conoscere fino in fondo qualcuno? A volte neanche noi ci conosciamo davvero; siamo una meraviglia in continua evoluzione.

    Non vi capita mai di guardarvi allo specchio e dire l’ho fatto davvero, sono stato/a proprio io?. A me succede spesso, e me ne stupisco ancora oggi.

    Questo libro nasce dall’intenzione di trovare la soluzione proprio a queste domande, perché a volte sono io stessa a farle a me. Queste righe, dunque, nascono dal bisogno di capirmi fino in fondo, e dalla umile speranza di mostrarmi così come sono a tutti: a chi mi conosce, e a chi no.

    Prima di tutto, infatti, non sono solo un’attrice, ma una donna che custodisce dentro di sé quella semplicità che mi ha sempre contraddistinta. La chiamo bambitudine.

    Sono stata una bambina da sempre un po’ donna, e ora sono una donna ancora un po’ bambina; segnata da molti eventi che mi hanno fatta crescere prima dei miei coetanei, ma sempre con dentro quel desiderio di spensieratezza che avevo quando saltellavo tra i banchi di scuola, fregandomene delle prese in giro dei miei compagni di classe che alle elementari mi dicevano: sei troppo felice.

    Sono Ludovica Gargari, sono nata a Roma il 20.12.97 e mi piace sognare ovunque, soprattutto quando sono sola: sul letto, in doccia quando si appanna il vetro, mentre passeggio assieme alle mie fragilità. Mi commuovo spesso. Ho sentito dire che il vero pianto dura dodici minuti massimo, il resto è una tristezza inutile che a volte scompare da sé.

    Quando sono sola penso a chi sono davvero, ma soprattutto, a chi sarò tra qualche anno? Mi domando se sono giuste le basi che ho posto per il castello che ho voglia di costruire.

    In quei momenti riparto da lì, da quella fatidica domanda alla quale, quando da bambina ero ospite in qualche trasmissione, non sapevo mai cosa rispondere: Come hai cominciato?.

    Chiedevo a mamma e lei mi sorrideva e allora io la imitavo, agitata, con la stessa che faccia che ho quando alle fototessere mi dicono volto rilassaaato….

    Non ho mai amato essere messa alla prova, infatti prima di ogni gara (sportiva, scolastica, o altro) mi sentivo male, costretta a soddisfare gli altri.

    Io però ho sempre voluto volare come piace a me.

    Molti di voi mi conoscono come Livietta, il ruolo che interpreto dall’età di sette anni nella serie televisiva Provaci ancora prof. su Rai 1.

    Tutto però ebbe inizio due anni prima.

    Mia sorella, poco più grande di me, aveva già cominciato da qualche anno. Come? Per caso.

    È questo che raccontiamo a chiunque ce lo chieda. Forse per proteggerci, o forse anche un po’ per scaramanzia, perché credo che la durata di un amore, di un lavoro, di qualsiasi cosa, sia inversamente proporzionale al tempo speso a parlare.

    E così, davanti alle persone, fino a poco tempo fa, quando ancora credevo con tutta me stessa nel lavoro che stavo facendo, mi limitavo a dire: Ho cominciato per caso. Una foto, una pubblicità e non ho più smesso.

    Andai al mio primo provino all’età di cinque anni. Il destino aveva voluto che a contenderci il ruolo fossimo proprio io e mia sorella.

    Fra noi non c’è mai stata invidia di nessun tipo, anzi. Abbiamo sempre vissuto in simbiosi e quel giorno giocavamo a mi chiamo Enzo Lorenzo, sciuga mano asciuga luglio agosto poi poi, poi con tanto di balletto. Fu quello a colpire il regista, ne sono quasi certa. Io e Benny eravamo perfino vestite nello stesso modo: gonna lunga da fanatiche quali eravamo, (e siamo tutt’ora), camicetta di seta, capelli lunghi fino ai piedi, tipo figlie dei fiori… l’unica cosa che ci distingueva era il sorriso: il mio sdentatissimo. Scelsero me, ma solo per una questione d’età, avevano bisogno di una bambina più piccola.

    È cominciato così il mio viaggio verso l’isola che non c’è: Il cinema italiano. Un’isola trasparente, bella, desiderabile, affascinante, come un’amante, che nello stesso istante in cui pensi di averla conquistata, si allontana un po’, facendoti sentire quella mancanza che può trasformarsi in un’ossessione pericolosa.

    Quell’anno interpretai la figlia di due attori così splendidi da far invidia a chiunque. Io però non sapevo nemmeno chi fossero.

    Ricordo come fosse ieri il primo giorno sul set: ricordo che mi sono ritrovata a salire le scale di un palazzo mai visto prima, ricordo il mio passo saltellato che difficilmente tenevo a freno in momenti del genere, ricordo il Mi raccomando, saluta tutti di mamma, cinque minuti prima che io, alta non più di un metro e venti, saltassi con uno stacco più grande di me al collo di un signore molto anziano che non era nessuno del mestiere.

    Bella de nonno, ma tu, chi sei?

    Lui probabilmente viveva lì, ed io, dovevo ancora imparare come sopravviverci.

    Di quel lavoro non riesco a ricordare molto se non che per imparare le battute ho dovuto imparare a leggere, ripetere e memorizzare.

    Ciò che maggiormente conservo è tutto l’affetto delle persone che avevo attorno, che mi scaldava in quelle giornate uggiose, e lo ritrovo ancora quando guardo la bambola che la produzione mi aveva regalato a fine riprese. Tutti mi volevano bene e io mi sentivo speciale, dentro una famiglia. Come in ogni famiglia anche lì si litiga qualche volta. Il set è anche questo, e lì ho imparato tante cose: le prime parolacce, le bestemmie, il silenzioooo urlato a tutti e a nessuno, la fame prima di quella pausa pranzo che non arriva mai, il caldo dei vestiti di lana il 30 agosto, il freddo del bagno in una piscina all’aperto con meno dieci gradi fuori.

    E poi mi tornano in mente gli odori del set, i ciambelloni alle mele, le crostate ricotta e cioccolato di mamma che spacciavo per mie, la pizza bianca a metà mattina (e l’impegno nello sceglierne dal cartone unto d’olio, un pezzetto solo, senza toccare gli altri, come a sorteggio, con la manina sollevata e la speranza di averlo preso croccante al punto giusto), la mensa di Cinecittà, le pere caramellate con cui mia nonna faceva il bis quando mi accompagnava per dare il cambio a mia madre, i pranzi pre-cotti. Spesso capitava che le scene della cena venissero registrare alle otto del mattino, e così in un attimo si passava dalle coperte di casa con the e biscotti, al brasato di carne.

    Mastica! Altrimenti si vede che fai finta! mi dicevano. Mordere la forchetta non ha mai ingannato nessuno.

    Ho pagato eccome le conseguenze di far finta di mangiare in scena.

    Ricordo una mattina di luglio alla Garbatella.

    Io e Federico, un bambino che come me faceva l’attore, nascosti sotto pesanti vestiti invernali, il mio era lilla (odiavo il lilla). A stento riuscivamo a tenere il cono gelato in mano, a stento riuscivamo a portarlo alla bocca, ma in qualche modo, scena dopo scena, quel gelato avrebbe dovuto finire, no?

    Allora colsi l’attrezzista mentre lo leccava a nostra insaputa, per poi ridarcelo. Da quel giorno ho sempre mangiato IO le MIE cose di scena per evitare che lo facesse anche qualcun altro.

    Comunque, non è tutto oro quello che luccica.

    L’odore del set è speciale nel bene e nel male. Sapete cosa vuol dire stare otto ore in una stanza con venti persone vestite con indumenti invernali, ma in piena estate?

    Ad ogni modo la mia prima esperienza fu fantastica, così tanto che non la dimenticherò mai.

    Qualche anno dopo, ebbi l’opportunità di lavorare ancora con quel regista su una fiction di cui non ricordo bene il nome.

    Forse fu una delle esperienze più belle. Non solo perché per la prima e unica volta recitai con mia sorella, ma anche perché per qualche giorno ci trasferimmo insieme vicino Perugia, ed io ho felicemente e golosamente perso il conto di quanti cioccolatini ci siamo mangiate quell’anno.

    Un giorno frugando negli armadi ho trovato dei vecchi diari segreti di quando ero piccola, amavo scrivere, inventare storie, e credere che fossero vere, mi piaceva chiamarli per nome questi diari tipo ciao becky, a volte però me ne dimenticavo e tornavo dopo mesi cominciando la pagina così mi dispiace non averti più scritto … in realtà non ero dispiaciuta, solo che un giorno avevo sbirciato il diario di mia sorella che il più delle volte cominciava in questo modo; pensando fosse giusto la cominciai a copiare, e funzionava, perchè mi sentivo meno in colpa. Il diario segreto più bello mai avuto era tutto rosa e viola, che si apriva con i comandi vocali e ci si scriveva su con una di quelle penne trasparenti leggibili solo con la lucetta viola… Ora restano solo pagine bianche, tranne una…

    Caro diario oggi sono appena arrivata a Mondello, vicino Palermo per girare la fiction Giovanni Falcone io son la figlia di Ninni Cassarà, non so chi sia, ma so che lui poi, muore e io dovrò piangere, spero mi mettano qualche goccia di mentolo, mi piace quando la truccatrice mi soffia negli occhi, sento una brezza fresca, sa di menta, come quella che ho in giardino.

    Lo so è tardissimo le 11 passate, questo perché non abbiamo potuto prendere l’aereo giusto delle 16 … o meglio, non so cosa sia successo davvero, ma una volta salite sull’aereo Seccaroni e Gargari devono scendere mi sono sentita spodestata, e presa in giro ancora oggi non me lo spiego

    Una signora diceva di avere i nostri posti…. Così, cacciate, siamo rimaste ad aspettare il volo successivo fino alla sera, e ci siamo consolate con un bel panino alla cotoletta.

    Ora stanche, andiamo a dormire che domani devo svegliarmi presto, la cosa bella è che mamma mi ha promesso che se domani finisco presto di girare mi comprerà un astuccio nuovo per scuola."

    Quell’astuccio, a forma di scimmia, che ancora mi tiene compagnia sul banco dell’università…

    Tre anni fa sono finita, in un modo o in un altro, a fare il provino per Tale e quale, un programma dove gli attori imitano i cantanti (trucco, parrucca, e voce). Non mi sono mai stupita di me stessa così tanto: ho preso lezioni di canto una settimana per due ore al

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