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chi l'avrebbe mai detto!
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E-book184 pagine2 ore

chi l'avrebbe mai detto!

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Info su questo ebook

il racconto di una vita, una strana vita!
LinguaItaliano
Editoreecolev
Data di uscita2 ago 2018
ISBN9788828368465
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    Anteprima del libro

    chi l'avrebbe mai detto! - marco ardia

    sicuro!

    Capitolo Zero

    Un libro

    Di chi è?

    Mio.

    Ma no, intendevo chi l’ha scritto…!

    Allora chiedimi chi l’ha scritto, non di chi è..!

    E di che parla?

    Mai visto un libro parlare

    Si, insomma, di cosa tratta, quale argomento. E’ un romanzo? Un saggio?

    Ecco, questo è quanto di solito accade quando si è di fronte ad un libro. Sono le prime valutazioni che si fanno. Chi lo ha già letto ostenta, nei confronti dell’altro, una certa spavalderia. Non ha bisogno di sfogliarlo perché sa cosa contiene. Gli è familiare il colore della copertina e le eventuali immagini stampate perché lo ha tenuto sul comodino per molte sere, oppure in borsa durante un viaggio, o sul tavolo del soggiorno. Lui sa cosa c’è scritto dentro e il fatto di saperlo lo fa sentire privilegiato rispetto all’altro. E se ne vanta. L’altro invece, quello che non lo ha letto, si trova in posizione di svantaggio. Può reagire in vari modi. Il più frequente è quello di dire: l’ho comprato (oppure me lo hanno regalato) ma non ho ancora avuto il tempo di iniziarlo perché ne sto finendo un altro. O qualcosa del genere. Questo comportamento riporta subito una certa situazione di equilibrio tra i due: conoscenza del testo, interesse per il genere o l’argomento, più in generale la predisposizione alla lettura. Ma spesso capita anche di cadere dalle nuvole. Spiazzamento completo. E allora bisogna agire d’astuzia, bleffare. io non leggo quella roba, oppure sono troppo occupato per avere tempo da dedicare alla lettura, o infine l’ho letto ma non mi è piaciuto, anzi non l’ho neanche finito. Quest’ultima è la più pericolosa perché può dare inizio ad una discussione infinita dalla quale se ne esce sicuramente sconfitti. E’ un comportamento aggressivo che mira a liquidare l’argomento solo perché non si è in grado di affrontarlo. Un miserabile tentativo di porsi ad un livello uguale o superiore ma che in realtà, rispetto a quel libro, lo fa uscire a brandelli nel confronto con l’atro, con quello che sa.

    Di questo, più o meno, parlano gli utenti finali del libro, quelli che lo scelgono, lo acquistano, lo leggono, ne parlano con gli altri, lo prestano ad altri (che a dire il vero sono pochi). Ma è il momento di introdurre un altro elemento importante (anzi fondamentale) del libro: l’autore.

    Ti sei mai chiesto: chi scrive i libri? Che faccia hanno, dove stanno, cosa facevano prima di scrivere i libri? Oppure: cosa fanno, oltre che scrivere libri? E ancora: quanto ci vuole a scrivere un libro? C’è un sistema, un metodo per farlo? Ma soprattutto: perché si decide di scrivere un libro? E perché proprio quello, su quell’argomento e no su di un altro? Io queste domande me le sono sempre fatte ogni volta che ho preso un libro in mano. Quasi mai ho cercato poi la risposta approfondita, ma l’istinto è sempre stato quello di andare a leggere subito il risvolto della copertina dietro al libro, quella dove di solito c’è scritta una sintetica biografia dell’autore. Per vedere chi è, cosa fa, quanti anni ha. Nella sola Italia si pubblicano oltre trentacinquemila nuovi libri ogni anno, escludendo naturalmente le ristampe. Prova a pensare di moltiplicare il numero trentacinquemila per un numero tot. di anni. Che so, la tua età o la vita media di una persona, una generazione. Ne risulta un esercito immane di scrittori che sfornano miliardi di tonnellate (perché i libri pesano) di carta scritta. Di questi, quanti ne conosci? Sono tutti famosi? Alcuni vincono premi letterari e si vedono in televisione o sui giornali. Molti scrivono per professione, su commissione, cavalcano un genere letterario e su quello pubblicano un libro ogni anno, mettendo all’opera schiere di collaboratori che lavorano in equipe per produrre un elaborato a fini commerciali. Poi ci sono i giornalisti di grido che arrotondano raccogliendo le loro esperienze in uno o più libri. Vanno forte anche i personaggi dello spettacolo, cantanti, comici, attori ma anche quelli dello sport, del mondo scientifico e della ricerca. I politici, non si sa dove trovano il tempo di farlo, ma pare che se non hanno firmato almeno un libro non abbiano fatto il loro dovere. E così via. Ma quanti ne conosci di nome o di faccia? Dieci? Cento? Mille? E gli altri trentaquattromila (ogni anno) chi sono? Sono tutti professionisti che vivono di libri e ne scrivono in continuazione? In ogni caso, visto i numeri, pare proprio di essere davanti ad una categoria di lavoratori, di un settore di produzione e commercializzazione che rende chissà quanto. Se ai nuovi libri aggiungi le ristampe, sempre all’anno, solo in Italia escono oltre sessantamila libri che ad un prezzo medio di copertina (stimando basso) di circa quindici euro per una media di circa cinquemila copie per ogni pubblicazione, anche qui stimando basso, risulta un movimento di quattro miliardi e mezzo di euro, ma sono molti di più. Solo in Italia. Ogni anno. Un vero business! Una industria colossale! Ma con una semplice ricerca ed approfondimento sui costi, si capisce poi che non sono tutte rose e fiori. I costi di produzione, commercializzazione e vendita sono altissimi e la parte dei diritti d’autore è la più risicata: cinque per cento per i più, dieci per cento per una ristretta elite, per quelli famosi. Quindi la maggior parte degli autori, quelli che non hanno un editore che li protegge e che quindi devono pagarsi (anticipando le spese) la stampa e la commercializzazione, devono sperare, dopo avere lavorato chissà quanto tempo sul testo, di trovare quattro-cinquemila persone che acquistano il suo libro, che credono in lui e che sono disposti a spendere tempo e denaro e dedicarlo al suo scritto. Per la maggior parte degli scrittori, ma anche degli editori che si lasciano convincere ad anticipare le spese, è un salto nel buio. Tempo fa un addetto ai lavori, un rappresentante di libri di testo per le scuole, mi ha detto che: Ci sono tre modi per perdere i soldi: il gioco d’azzardo è il più veloce, le donne sono il più divertente, l’editoria è il più sicuro. Ma allora io mi chiedo, e ti chiedo: perché così tanta gente scrive libri? Capisco i professionisti del settore. Quelli che, oltre al ritorno diretto dei diritti d’autore, lo fanno per promuovere la loro immagine e sfruttarla nei loro ambiti professionali. Comprendo i letterati, gli animi poetici, i ricchi annoiati (i quali spesso assumono qualcuno per farseli scrivere), gli scienziati, i docenti e così via. Ma la gente comune? Quello della porta accanto? Mica sono tutti professori gli autori dei libri! Anzi, direi che la maggior parte sono dilettanti allo sbaraglio, persone che per anni coltivano un sogno nel cassetto e che solo una volta nella vita trovano il coraggio di realizzarlo, magari a sue spese. Molti sono costretti a girovagare per le librerie o circoli culturali di mezza Italia (sempre a loro spese) a fare presentazioni delle loro opere cercando di piazzare qualche copia e raggranellare qualche spicciolo. Già, perché i libri si vendono (e si comprano) in libreria. E qui introduco l’elemento che chiude il cerchio: le librerie, appunto. Alcuni libri si trovano anche in edicola ma si tratta quasi sempre di operazioni di marketing studiate a tavolino operate da grandi editori con grandi firme e grandi investimenti. Roba a puntate, in serie o a fascicoli da rilegare. Per me non fanno testo e non mi piacciono. Ci sono anche le biblioteche, quelle comunali, di quartiere. Lì non circola denaro, la scelta è limitata, il libro che prendi in prestito non è e non sarà mai tuo. Fatta eccezione per quelle dedicate agli studenti, la frequentazione è del tutto marginale e non fanno la differenza. Tutto si svolge dentro e attraverso le librerie. Cosa ti piace di più delle librerie? A me l’odore. Inconfondibile! Non so cos’è, se la carta, l’inchiostro, la colla delle rilegature, ma l’odore delle librerie per me è un profumo. Tutti i negozi hanno un odore. La concentrazione di una grande quantità di oggetti della stessa specie ne amplifica l’odore fino ad impregnarne i muri, gli arredi. Quelli inconfondibili sono gli odori del salumiere, del vinaio, delle sartorie, farmacie. Un odore forte ce l’anno anche i negozi di computer e di elettronica in genere, il fruttivendolo, il macellaio e via dicendo. Ma quello delle librerie, per me è il migliore. Se poi lo accompagni all’acustica ovattata che regna nelle librerie (i libri sono fonoassorbenti), ne esce un’atmosfera che attrae e seduce. Adesso che poi la maggior parte delle librerie ha messo su i divanetti, i salottini di consultazione (che poi diventano di lettura perché c’è gente che ci schiaccia pomeriggi interi), la libreria ha assunto un volto nuovo, un luogo dove trascorrere del tempo libero, incontrarsi, discutere (a bassa voce). C’è solo un elemento che in queste moderne librerie mi disturba un po’: l’odore del caffè. E si perché adesso in ogni libreria che si rispetti ci deve essere l’angolo bar. E per quanto l’odore del caffè (italiano) sia una delle sette meraviglie del mondo, nel contesto libreria lo trovo poco consono. Ciò nonostante il fenomeno dilaga e pare abbia un gran successo. Specialmente nei giorni festivi, la domenica pomeriggio o la sera per l’aperitivo, c’è gente che trascorre ore e ore tra un libro e l’altro sorseggiando spritz e sgranocchiando noccioline, oppure schizzando con il cappuccino un sacro testo di letteratura e sbriciolando la brioche tra le pagine di una guida turistica. E poi le librerie vendono anche riviste, calendari, magliette, musica, gadget e chi più ne ha più ne metta. Insomma un tempio della cultura, un crogiuolo di letteratura, poesia, scienza, divertimento, aperto, accessibile e fruibile a tutti. Geniale!

    E adesso arriva il domandone: io perché scrivo un libro? Questo libro che stai leggendo?

    Ho due risposte immediate da darti:

    uno) Lo fanno tutti, e io chi sono? Risposta banale che di certo non mi metterà in buona luce. Ma a questo proposito voglio raccontarti un episodio. Nel corso degli anni ho avuto modo di entrare in contatto con una società che si occupava di turismo, un tour operator, e per quanto ne so, nonostante il tempo trascorso (una cinquantina di anni dalla fondazione) gode ancora di ottima salute. Ad un certo punto della sua fiorente attività, per ragioni commerciali si trovò a rilevare una casa editrice sull’orlo del baratro. E visto che era stata acquisita, fu tentato anche di farla lavorare, rivivere. Non so se il progetto fu poi portato a termine. So però che per trovare linfa vitale per la casa editrice, ovvero materiale da pubblicare (e quindi vendere), fu dato spazio e voce alla considerevole rete dei collaboratori esterni (direi due, tremila persone sparse su tutto il territorio nazionale) e, per loro tramite, anche ai clienti, amici e così via a macchia d’olio, coinvolgendo di conseguenza molte migliaia di persone. Fu chiesto loro di inviare, qualora ne fossero in possesso, eventuali manoscritti e bozze di loro romanzi, poesie, cronache, racconti di ogni tipo. Qualunque cosa da loro scritta che ritenessero degna di essere letta da qualcuno. Magari un plico abbandonato in un cassetto per mancanza di tempo, denaro o coraggio di divulgarlo, di farlo pubblicare e quindi di farlo leggere a qualcuno. Il risultato fu a dir poco inaspettato: in pochi giorni arrivò nella sede della società una valanga di carta, una pioggia di manoscritti di ogni tipo. Sembrò che tutti non aspettassero altro che un’offerta del genere. Tutti con la convinzione di avere prodotto qualcosa di interessante o esclusivo e comunque di utile. Tutti che chiedevano quando e dove sarebbe stato pubblicato, senza che fossero neanche sfiorati dal pensiero che per la stragrande maggioranza si trattava di letture improponibili, in qualche caso proprio non si potevano leggere. Furono nominate varie commissioni di lettura sparse per l’Italia con il compito di vagliare l’enorme quantità di materiale pervenuto e ne fu fatta un’accurata e, ovviamente, ristretta selezione. Poi, come dicevo, non so quanti e quali arrivarono in libreria, ma di certo l’esperienza servì a stanare una folta categoria di persone comuni che ambivano a vedere il loro nome sulla copertina di un libro che avrebbe dovuto fare bella mostra sugli scaffali delle librerie e magari anche nelle case degli amici e conoscenti. Forse io mi sono ritrovato ad essere uno di quelli.

    Due) Ho una storia da raccontare. Una storia lunga quasi una vita. Una vita normale che poi si è trasformata in un’avventura strabiliante, di quelle che, appunto, accadono una volta nella vita, almeno a persone comuni come io sono, o lo sono stato fino a quando non è successo …… e poi ti dirò cosa è successo. Non sarà uno scoop, non vincerò nessun premio letterario e forse sarò stato costretto ad autofinanziarmi per la pubblicazione, ma questo a te poco importa. Quello che importa è che leggendo questo sudato lavoro, potrai condividere con me la mia incredibile esperienza. Alla fine, se riterrai di arrivarci, potrai comprendere, come l’ho compreso io mio malgrado, che nulla è come sembra, che una vita intera non basta e ce ne vorrebbe un’altra per non rifare le stesse scelte e vedere come sarebbe andata. E che quando accade ciò che accade, quasi mai è per puro caso.

    E adesso non mi resta che iniziare il racconto. Non posso e non voglio dirti se è una storia vera o no, se è la mia storia o quella di qualcun altro. Posso solo augurarti che il tempo che trascorrerai in mia compagnia non sia inutile o, peggio ancora, sgradevole. E per quanto riguarda me, spero di ritrovarti all’ultima pagina.

    Capitolo Uno

    Oggi ho poco più di sessant’anni. E quasi dieci li ho fatti in galera. Non posso essere più preciso circa l’età perché mi manca una informazione fondamentale: la mia data di nascita. L’unica certezza è che Azelio si è accorto di me un mattino, verso le nove del diciassette dicembre del millenocentocinquantacinque. Da quando era rimasto vedovo andava tutti i sabati mattina a fare spesa al mercato di Mons, in Vallonia. Abitava fuori dal paese in una vecchia casa con altri immigrati italiani e si era assunto lui l’onere di fare spesa per tutti. Da quando era morta Rosetta non voleva più stare solo, aveva lasciato la stanza che la compagnia mineraria aveva messo a disposizione della giovane coppia e si era trasferito dagli amici. E siccome la sua donna lo aveva abituato a partecipare ai lavori domestici, fu subito assunto dai compagni come uomo di casa e gli toccava

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