Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Pensiero stocastico. Cinquanta sfumature di dissenso
Pensiero stocastico. Cinquanta sfumature di dissenso
Pensiero stocastico. Cinquanta sfumature di dissenso
E-book563 pagine8 ore

Pensiero stocastico. Cinquanta sfumature di dissenso

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Filosofia - saggio (527 pagine) - Questo libro raccoglie cinquantuno brillanti, strabilianti articoli pubblicati nell'ormai leggendaria rubrica Pensiero Stocastico. Leggerlo può essere un’ottima occasione per cambiare la propria visione del mondo.

Il contenuto di questo libro è vera e propria ricerca: ricerca dell’uscita, l’uscita dal luogo comune, dal modo normale di vedere le cose, l’uscita dai preconcetti, dai modelli di ragionamento imposti dalla cultura o dai media. Un flusso libero di pensieri che seguono le linee della speculazione più tipica della migliore fantascienza, conditi col gusto per il bizzarro e il curioso. Alcuni passi possono far rabbrividire o scandalizzare. Nulla di strano; il gioco è quello di uscire dagli schemi, di cercare di porsi da punti di vista diversi, da prospettive nuove, quasi aliene. E guardare cosa ne viene fuori. E spesso, attraverso divagazioni e ragionamenti strani e a volte apparentemente inconcludenti, salta fuori la gemma, l’idea illuminante, quella trovata che ti fa rileggere la frase per capirla meglio, sollevare gli occhi dal libro e dire: «wow!». Questo libro raccoglie cinquantuno articoli pubblicati tra il 1995 e il 2004 sulla rivista Delos Science Fiction nella rubrica Pensiero Stocastico. Leggerlo può essere un’ottima occasione per cambiare la propria visione del mondo.
Robert Sheckley diceva che per troppo tempo Roberto Quaglia non è stato famoso. Non è ancora troppo tardi per cambiare questo stato di cose.
Con una prefazione di Silvio Sosio.

Roberto Quaglia è autore di opere considerevolmente diverse fra loro. Dalla narrativa di fantascienza surreale, all’umorismo, al teatro, alla saggistica di controinformazione. La sua opera Il Mito dell’11 settembre è ormai un classico, con edizioni anche in traduzioni inglese e rumena. Ha inoltre scritto un libro in inglese a quattro mani con lo scrittore britannico Ian Watson, The Beloved of My Beloved, una raccolta di storie deliranti e paradossalmente sexy, con una delle quali ha vinto in Inghilterra il prestigioso premio BSFA.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2020
ISBN9788825412673
Pensiero stocastico. Cinquanta sfumature di dissenso

Leggi altro di Roberto Quaglia

Correlato a Pensiero stocastico. Cinquanta sfumature di dissenso

Ebook correlati

Filosofia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Pensiero stocastico. Cinquanta sfumature di dissenso

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Pensiero stocastico. Cinquanta sfumature di dissenso - Roberto Quaglia

    BSFA.

    Nuova introduzione dell'autore (2020)

    Quando negli anni novanta scrissi il libro che ora reggete in mano, non solo ero del tutto inconsapevole di stare scrivendo un libro, ma mi rammaricavo che in quel periodo della mia vita non stessi scrivendo alcun libro. Tanto meno sospettavo che il libro che nella mia testa non stavo affatto scrivendo sarebbe un giorno addirittura divenuto oggetto di culto in certi luoghi e ambienti. E che ad un editore sarebbe parsa cosa buona e giusta pubblicare quelle che per me erano stravaganti estrapolazioni estemporanee in una collana di opere di filosofia.

    Tutto questo ci ricorda quanto distorto possa essere il racconto che noi stessi facciamo delle nostre vite rispetto alla narrazione che ne fanno altri. Oppure, ricordando una delle frasi più significative di John Lennon, che la vita è ciò che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti – e a volte – aggiungo io – i libri sono dei cascami delle nostre vite più che un frutto delle nostre intenzioni.

    Questo libro raccoglie i testi che a cavallo fra i più recenti millenni (1995-2004) scrissi mensilmente nella mia rubrica Pensiero Stocastico sulla rivista Delos su Fantascienza.com. Neppure lontanamente sospettavo che sarebbero in seguito diventati un libro, eppure avrei dovuto insospettirmi quando la rubrica di Umberto Eco La Bustina di Minerva proprio in quegli anni trasmutò in un libro. A volte le rubriche fanno questo scherzetto ed i testi estemporanei che esse contengono vengono promossi sul campo ed insigniti del grado di libri, un titolo che può addirittura condurre ad un posticino in biblioteca.

    Una prima edizione italiana di Pensiero Stocastico apparve nel 2002, a cura di Solid. Si trattava tuttavia di una edizione a bassa tiratura che andò rapidamente esaurita, la quale comprendeva solo metà circa dei testi contenuti in questo volume. Ragione per cui il volume che reggete in mano non è una semplice riedizione, ma una vera e propria prima edizione integrale italiana (in effetti quasi integrale, dato che alcuni pezzi sono stati esclusi per varie ragioni). Nel 2004 ci fu in Romania un’edizione in rumeno ad opera di Nemira, uno dei principali editori del paese. Vlad Popescu, all’epoca curatore di Nemira, si imbatté nei testi online e decise che si trattava di filosofia e con il titolo di Gândirea Stocastică pubblicò il libro nella collana Totem di filosofia, evento che mi sorprese parecchio. Credo che sorprese pure molti rumeni.

    Il primo Pensiero Stocastico vide la luce nel 1995, agli albori del World Wide Web. Quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario, occasione perfetta per una edizione-riedizione. Ma il vero motivo per cui ci è voluto un quarto di secolo è che in tutto questo tempo non ho mai avuto voglia di rileggermi ciò che a suo tempo scrissi, e quindi, come potevo sapere se valesse la pena di ripresentarlo al pubblico? In effetti, anche all’epoca delle prime edizioni io ero abbastanza ignaro di ciò che veniva pubblicato, con l’aggravante di essere anche ignaro di esserne ignaro. Me ne dovetti accorgere con un certo imbarazzo quando in occasione dell’edizione rumena venni intervistato alla radio da un amico giornalista, Lucian Merisca, dopo una presentazione del libro nella ridente città universitaria di Iasi. Il buon giornalista faceva domande precise, chiedendomi dettagli circa i vari capitoli, nominandoli uno ad uno. Con mia totale sorpresa mi scoprii del tutto impreparato a riguardo. Mi accorsi di non avere proprio la minima idea di ciò che i vari pezzi dicessero. Al primo impasse pensai ad un’eccezione, e scusandomi gli chiesi di passare alla prossima domanda, tuttavia mi dovetti ben presto rendere conto che ero del tutto ignaro di ciò che fosse scritto in qualsiasi dei pezzi che componevano il mio libro. Riconoscevo solo i titoli, il che mi dava l’illusione di conoscere il mio libro. In realtà, a parte i titoli ignoravo tutto. Mi toccò fare scena muta, balbettando per di più qualcosa circa la mia sorpresa di non sapere nulla del mio libro appena pubblicato. Ad un esame universitario ove mi avessero interrogato sul mio stesso testo sarei stato implacabilmente bocciato con voto zero e meritata ramanzina. Ce lo vedo il professore apostrofarmi con disprezzo: La prossima volta che vuole dare un’esame sull’opera di Quaglia si degni almeno di dare un’occhiata al libro che lei stesso ha scelto di dibattere, signor Quaglia! E non speri di impietosirmi con il suo cognome!

    La situazione non migliorò nei successivi decenni, durante i quali, per spirito di perfezione mi dimenticai anche gran parte dei titoli degli articoli, e pure il fatto che ce ne fossero così tanti. Sempre più arduo che ti venga in mente di pubblicare un libro di cui sei sempre meno consapevole. Finalmente, nel 2020, un po’ che il 2020 è l’anagramma di 2002 – primo anno di pubblicazione, un po’ che si compie il quarto di secolo dal primissimo Pensiero Stocastico, ma soprattutto dato che con la quarantena da Covid-19 uno si deve pur inventare qualcosa da fare a casa, ecco che finalmente la pigrizia viene messa all’angolo ed io mi rileggo tutto e finalmente sono in grado di procedere alla pubblicazione. Poiché è passato un quarto di secolo e nel frattempo sia la realtà che io stesso siamo sensibilmente mutati, al termine di parecchi pezzi, ove l’ho sentito opportuno, ho aggiunto un commento dal mio punto di vista di oggi. Dopotutto il libro lo sto firmando soprattutto io in versione odierna, mica solo quello là che decine di anni fa lo ha scritto senza neppure accorgersene e che in seguito si è fatto da parte, dissolvendosi a rate con la scusa dell’entropia e lasciando a me l’ingrato compito di gestire ciò che è avanzato.

    Al titolo originale Pensiero Stocastico ho aggiunto per questa edizione il sottotitolo Cinquanta sfumature di dissenso. Meglio fare il possibile per avvisare il lettore di ciò che lo attende. Inoltre, ciò che distingue la quasi totalità dei pezzi, è il fatto di estrapolare liberamente, uscendo quasi sempre dai binari dei concetti di moda rispetto ad un dato tema. In altre parole, uscendo dai binari del consenso comune. Credo che questo già si possa chiamare dissenso. A ben pensarci, il dissenso è un polo obbligato di qualsiasi dialettica. Senza dissenso c’è solo pensiero unico e dove c’è pensiero unico non c’è pensiero. Ricordiamo a riguardo le parole di Walter Lippmann, quando tutti pensano la stessa cosa, nessuno pensa molto.

    Ovviamente, c’è modo e modo di intendere il dissenso, così come c’è modo e modo di intendere il pensiero. Per me, sono tutte sempre e solo rappresentazioni. La mia fede nella realtà è sempre stata inferiore ai minimi sindacali. Qualsiasi dialettica, considerata alla stregua di rappresentazione, può venire elaborata internamente, nella propria mente, senza che si venga risucchiati da una delle parti in contesa. Quindi si può essere artefici di una dialettica interiore da contenere e con cui giocare – oppure schiavi di una dialettica esteriore da cui essere contenuti e venire giocati. Quando posso io scelgo sempre il primo modo. Per me è importante comprendere che il dissenso, prima che uno stato mentale, è innanzitutto una rappresentazione. Quando si perde di vista questo aspetto e consenso e dissenso sono esclusivamente degli stati mentali – ecco che facilmente sorge il fanatismo della cecità ideologica.

    Volendo andare a cercare il pelo nell’uomo (le uova sono poco interessanti) possiamo aggiungere che un valido dissenso non è soltanto un dissenso verso i concetti più in voga e di moda, ma anche verso le differenti istanze di sé. Dissentire da se stessi è anche più importante che dissentire da altri ed è la logica conseguenza del contenere i processi dialettici anziché essere da essi contenuti. Se poi si rinuncia a considerare la dialettica una faccenda binaria, ecco che i conflitti interiori possono aumentare e davvero partire per la tangente e trasformarti in una persona interessante (se ti va bene) oppure uno schizofrenico (se ti va male).

    Perdonatemi se visibilmente le sto tentando tutte per provare a scrivere un’introduzione che suoni intelligente – ma sullo sfondo c’è il fantasma del me stesso dei tempi in cui egli scrisse il libro – voi non lo vedete, ma fra le pieghe del tempo mi sta sbeffeggiando. Con lo sguardo insinua che io non sarei più al suo livello, e forse il mascalzone ha pure ragione. Ma allora consentitemi la ripicca di rimarcare che anche lui è suscettibile di critiche da parte mia. Rileggendolo ora, ho osservato che nella sua smania di non formulare mai, neanche per errore, una frase che qualcun altro avesse già formulato, a volte ha forse ecceduto nell’indulgenza a funambolismi linguistici che di certo non rendono sempre facile la lettura. D’altra parte, attingendo ai suoi ricordi, posso rivelarvi che altrimenti lui non si sarebbe divertito, e mi tocca scusarlo. Voi fate un po’ come vi pare.

    Per manifestare dissenso si finisce per esprimere opinioni. In questo caso, un male necessario. Sia ben chiara una cosa: il mio rispetto per le opinioni è zero. Lo so cosa state pensando – già magari vi preoccupate dell’incolumità delle opinioni vostre, ma io non mi riferivo solo a quelle, mi riferisco a tutte le opinioni – comprese le mie. Tuttavia, anche se il mio rispetto per le opinioni è zero, ci tengo ad aggiungere che invece nutro un’elevata tolleranza alle opinioni. In effetti in genere tollero qualsiasi opinione, anche le opinioni intollerabili. Non ci capite più niente? Male. C’è molta differenza tra il rispetto e la tolleranza e se tutti capissero questa differenza vivremmo in un mondo migliore. L’umanità invece ha oggi il vizio buonista di avere rispetto per le opinioni degli altri, senza però tollerarle. Forse è per questo che si usa la parola buonista al posto di buono. Ancora non avete capito la differenza fra il rispetto delle opinioni e la tolleranza delle opinioni? Vi darò un piccolo aiutino: il rispetto è molto facile da simulare, basta una comune dotazione di ipocrisia, la tolleranza invece è molto più ardua da simulare – l'ipocrisia qui non è di alcun aiuto.

    Se già iniziate a non tollerare le mie opinioni, mettetevi l’anima in pace. Da qui in poi andrà sempre peggio. Se volete continuare a leggere questo libro che non avete neppure iniziato, sarà meglio che impariate in tutta fretta, se ancora non ne foste capaci, a maneggiare pure voi le opinioni come le mere rappresentazioni che sono.

    Ad ogni modo avete la libertà di non leggere i pezzi che non vi interessassero. Ce ne saranno quasi certamente, visto che non tutto ciò che interessò me quando lo scrissi in specifiche contingenze necessariamente interessa a tutti in ogni luogo e tempo. Ebbene, usate questa libertà! Leggere un testo è un'opportunità, non un obbligo. A volte qui (s)parlerò addirittura di fantascienza – tanto che vi sappiate regolare.

    Ho più o meno finito di dire quello che non avevo da dire. Ma anche il tizio con cui condivido il codice fiscale ed alcuni ricordi e che visse a cavallo dei millenni ha voluto dire la sua. Naturalmente lo ha fatto a suo tempo, all’epoca della prima parziale pubblicazione quando anch’egli volle scrivere una sua introduzione a Pensiero Stocastico – un libro che tutto sommato era di certo più suo che mio, quindi glielo dobbiamo concedere. Troverete fra poco l’introduzione del mio omonimo, assieme all’ottima prefazione di Silvio Sosio. Se io sono il padre di Pensiero Stocastico, Silvio ne è fuori di dubbio il padrino, per le ragioni che vi saranno chiare dopo le prossime introduzioni.

    Un’ultima cosa: qualche pignolo con l’ossessione per la polemica vorrà forse saltarsene fuori con l’osservazione intelligentissima che mentre il sottotitolo parla di 50 sfumature di dissenso, il numero di pezzi che compongono questo libro non sono esattamente 50. Sono in effetti 51. Bene, chi dice che ogni pezzo debba contenere dissenso ad ogni costo? Mi si consenta di dissentire. Ecco! Vale però già questa come sfumatura di dissenso? Si conta anche il dissenso in prefazione? Ma se un pezzo all’apparenza non contiene alcun dissenso rispetto ad un tema su cui c’è consenso, non sarà mica che in realtà il pezzo è animato da un dissenso verso il dissenso al consenso su quel tema? Ovvero siamo sicuri che l’eventuale consenso non sia in realtà un dissenso doppio sotto mentite spoglie, ovvero il famigerato Dissenso Mascherato? Se il pignolo non l’avesse ancora capita, glielo facciamo dire anche da Totò, con la sua voce caratteristica e nel modo in cui solo lui lo può dire (e controllate pure su Youtube): Ma mi faccia il piacere!

    Roberto Quaglia

    Giugno 2020

    Prefazione

    Silvio Sosio

    Documentandomi per scrivere questa introduzione ho scoperto, curiosamente, che la mia amicizia con Roberto Quaglia ha compiuto proprio da pochi giorni il suo decimo anniversario.

    Il nostro primo incontro è in effetti abbastanza particolare da poter essere raccontato. Era il 5 settembre 1992; io e Franco Forte eravamo nel bel mezzo di una di quelle belle vacanze mitiche che si posso vivere solo entro e non oltre i primi trent’anni della propria vita, girando l’Europa dell’est in automobile. Il nostro giro ci aveva portato da Vienna a Bratislava, poi a Budapest da dove eravamo saliti attraversando i boschi della ex Cecoslovacchia fino a Cracovia, in Polonia.

    Ridiscendendo in direzione di Praga avevamo deciso di fermarci a Ostrawa, una città nel nord della Repubblica Ceca, dove sapevamo essere in corso una convention di appassionati di fantascienza.

    La convention, denominata Parcon, si teneva nella sede della locale università. Fummo accolti da Ludmila Freiova, una traduttrice che conosceva bene la nostra lingua, e parlando con lei venne fuori che, incredibilmente, non eravamo gli unici italiani presenti a quel convegno.

    Nemmeno un’ora dopo stavamo passeggiando nel cortile dell’università, io e Roberto parlando della teoria della mente bicamerale di Julian Jaynes, entusiasti della teoria ma soprattutto di aver trovato qualcun altro che la conoscesse, e Franco che ci scrutava pensando di trovarsi improvvisamente in compagnia di due pazzi (probabilmente aveva ragione).

    Roberto Quaglia era già piuttosto noto in giro per l’Europa; girava molto e partecipava volentieri a tutte le convention di fantascienza che trovava, anche a quelle – come nel caso della Parcon – dove si parlava soltanto l’incomprensibile lingua locale. In seguito avrebbe pubblicato alcuni libri e racconti in vari paesi dell’est, cominciando a trasformare il suo ruolo nelle convention da semplice partecipante straniero a quello di ospite. In Romania, dove sono stati pubblicati diversi suoi libri, Roberto è famoso quanto e più degli scrittori di fantascienza americani. Ma, insomma, almeno all’epoca in cui lo conoscemmo in Italia era del tutto sconosciuto.

    Alcuni anni dopo, quando mettemmo in piedi Delos (che allora si chiamava Delos Cyberzine), ovvero la primissima rivista web italiana, proposi a Roberto di collaborare con la rivista curando una propria column. L’idea che avevo in mente era quella delle classiche rubriche nelle quali un personaggio scrive più o meno quello che gli passa per la testa, come la column di Bruce Sterling su Wired. Non so bene se fui io a proporre il titolo Pensiero stocastico o se l’idea sia stata di Roberto, ma in effetti non ha molta importanza, potrebbe essere stata di entrambi.

    Credo che sia io che lui pensando a stocastico facessimo in qualche modo riferimento al romanzo L’uomo stocastico, un romanzo minore di Robert Silverberg del quale in effetti il titolo è quasi l’unica cosa che resti nella memoria. L’uomo stocastico del romanzo riusciva a predire il futuro più o meno attraverso il calcolo delle probabilità (per i dettagli consiglio la lettura del romanzo, non è escluso che si scopra che i miei ricordi sono sballati).

    Il tutto ha a che fare con la teoria del caos, secondo la quale in un sistema caotico si possono fare previsioni solo basandosi sul calcolo delle probabilità delle tendenze del sistema stesso.

    Il concetto ben si adattava a quello che stavamo pensando: una rubrica nella quale, attraverso un processo di pensiero quasi caotico, venissero fuori idee nuove e interessanti.

    All’inizio Roberto cercava di tenere in qualche modo la rubrica nell’ambito dell’argomento fantascienza, ma ben presto lasciò perdere liberando del tutto la propria immaginazione.

    La rubrica ebbe davvero un notevole successo. Non sono mancate le testimonianze di entusiasmo da parte di alcuni lettori, che scrivevano alla rivista eccitati soprattutto degli articoli di Roberto Quaglia.

    Alcuni pensieri arrivarono ben presto ai primissimi posti nella classifica degli articoli più letti della storia di Delos, anche perché, non di rado, Roberto affrontava argomenti di strettissima attualità, ma proponendo punti di vista così originali da suscitare un grande interesse che si diffondeva a macchia d’olio col tam tam della rete ben oltre la relativamente ristretta cerchia degli appassionati di SF, lettori tradizionali della rivista.

    In seguito tra l’altro Roberto divenne un vero maestro anche nell’arte di indicizzazione nei motori di ricerca, per cui in un certo periodo praticamente qualunque cosa si cercasse con Altavista o Virgilio saltava fuori un articolo di Roberto Quaglia. Questo contribuì non solo ad aumentare gli accessi di Pensiero stocastico, ma anche i lettori di Delos.

    Qualcuno potrebbe avere qualche dubbio sulla congruenza tra Pensiero stocastico e l’argomento della rivista, la fantascienza. A torto, secondo me: gli articoli di Quaglia, pur non parlando di letteratura o di cinema, rappresentano il più puro spirito della fantascienza, almeno come la intendo io. Quello spirito che ci permette di capire meglio il mondo in cui viviamo cercando di farcelo vedere dal di fuori, o portando all’eccesso alcuni aspetti per farcene meglio comprendere le implicazioni.

    Gli articoli di Pensiero stocastico erano vera e propria ricerca: ricerca dell’uscita, per usare una metafora che potrebbe essere mutuata dal film The Truman Show. L’uscita dal luogo comune, dal modo normale di vedere le cose, l’uscita dai preconcetti, dagli schemi di ragionamento imposti dalla cultura o dai media. Un flusso di pensieri del tutto libero: non di rado poteva anche accadere che un articolo partisse occupandosi di un dato argomento e poi finisse per trovarsi da tutt’altra parte.

    È il caso per esempio dell’articolo Il futuro della fantascienza, che fu scritto in origine per il souvenir book della Worldcon del 1995 (unico scritto italiano mai pubblicato sul souvenir book di una Worldcon, en passant), che finiva per parlare della teoria della mente bicamerale (l’ho citata due volte e sembra che si parli sempre di questa teoria, ma in realtà non è così; male, perché è una teoria troppo bella per non parlarne in continuazione).

    E spesso, attraverso divagazioni e ragionamenti strani e a volte apparentemente inconcludenti, saltava fuori la gemma, l’idea illuminante, quella trovata che ti fa rileggere la frase per capirla meglio, sollevare gli occhi dal libro e dire: wow!.

    Altri passi possono far rabbrividire o scandalizzare. Nulla di strano; il gioco è quello di uscire dagli schemi, di cercare di porsi da punti di vista diversi, da prospettive nuove, quasi aliene. E guardare cosa ne viene fuori. Non è necessario pensare che quello che si legge sia vero, e neppure che l’autore ne sia convinto – spesso non lo è affatto. Quello che conta è il modo di guardare, non cosa si vede.

    E ora, dopo aver mostrato il valore del libro che state per leggere, è il momento di prendermi ciò che mi spetta. Perché se dopo sette anni e oltre cinquanta puntate di Pensiero stocastico ora state leggendo questo libro, una parte del merito – o della colpa – è anche mia. Per tutto questo tempo ho rotto le scatole, ogni santo mese, al povero Roberto, stressandolo per fargli scrivere il suo articolo. E ogni santo mese arrivava il suo articolo, buon ultimo, appena prima di chiudere il numero.

    Alcuni articoli sono nati da nostre discussioni telefoniche. Discutendo fra noi dei possibili argomenti di cui parlare ed esplorandone le potenzialità discutendo fra noi. Un’esperienza per me molto gratificante, anche a causa della nostra affinità intellettuale; a volte mi trastullo con l’idea che Roberto Quaglia sia una mia personalità alternativa, che partendo dalla stessa matrice ha sviluppato maggiormente le capacità di speculazione e di estrapolazione. Gli articoli di Roberto nati da nostre discussioni quasi sempre sviluppavano l’idea di base quasi nella stessa direzione in cui l’avrei sviluppata io, ma sempre arrivando più avanti e scoprendo risvolti capaci di sorprendermi e affascinarmi.

    Certo, chissà. È anche possibile che se per tutto questo tempo non gli fossi stato addosso costringendolo ogni mese a scrivere Pensiero Stocastico, Roberto avrebbe potuto impiegare il suo tempo in qualche altro modo estremamente creativo. Avrebbe potuto scrivere un romanzo incredibile che avrebbe sbancato il mercato librario mondiale, e dal quale Ridley Scott avrebbe tratto un film secondo alcuni inferiore al libro ma comunque di gran successo. Oppure avrebbe potuto diventare un genio della new economy, creare una grande corporation europea basata su Internet che avrebbe mostrato a tutti come usare la rete in modo sensato per trarne adeguati guadagni, evitando il boom fasullo che ha poi portato al successivo crollo indiscriminato del settore. Oppure avrebbe potuto essere invitato da Maurizio Costanzo al suo famoso show, e parlando in quella sede di che cos’è la fantascienza avrebbe potuto rialzare le sorti del genere facendolo diventare popolare nel nostro paese almeno quanto i libri di Platinette.

    Fra tutti questi futuri alternativi, il libro che avete in mano è l’unico che si è realizzato. Trattatelo come si deve, e leggetelo con l’attenzione che merita. Non avrete un’altra occasione altrettanto buona di cambiare il vostro modo di vedere il mondo che vi sta attorno.

    O forse sì.

    Silvio Sosio

    Settembre 2002

    Introduzione dell'autore (2002)

    La gente normale si divide in due: quelli che leggendo Pensiero Stocastico pensano che io sia un tipo strano e quelli che leggendo Pensiero Stocastico sono sicuri che io sia matto. In realtà, la maggior parte della gente normale non legge affatto, tanto meno Pensiero Stocastico, altrimenti io sarei famosissimo, ma in giro c’è più gente normale di quanto la gente anormale sospetti, ed è quindi inevitabile che in tale affollamento qualcuno ogni tanto sbagli strada e si ritrovi senza averlo voluto a leggere con smarrimento uno dei miei pensieri stocastici. È anche per questo che ho ritenuto opportuno scrivere una piccola introduzione a questo libro.

    Gli articoli di Pensiero Stocastico in questa raccolta sono stati scritti nell’arco di svariati anni e sono tutti stati pubblicati sulla rivista online di fantascienza Delos. Perché li ho scritti? Beh, non certo per denaro e anche in quanto a gloria siamo messi maluccio. Sono cose se si fanno solo se si ha un pubblico che apprezza e il mio pubblico in questi anni di Pensiero Stocastico è soprattutto stato Silvio Sosio, il direttore di Delos nonché deus ex machina di Fantascienza.com, l’unico che li avrebbe sicuramente sempre letti e apprezzati per ciò che essi esattamente erano. Non che altri non avrebbero potuto apprezzarli, ma forse non li avrebbero letti.

    Negli articoli contenuti in questo libro io espongo e sviluppo un sacco di idee, ed esterno opinioni talvolta inconsuete. Premetto subito che io non condivido necessariamente le mie opinioni. Molti intellettuali o presunti tali commettono volentieri l’errore tipico della gente comune di confondere le opinioni con la realtà, finendo così per identificarsi irrimediabilmente con i propri punti di vista e perdendo completamente di vista la realtà. Quando menzioniamo la realtà, tuttavia, è bene rammentare che si tratta di un’entità ragionevolmente inconoscibile e tutto ciò che possiamo fare è prendere atto dei segni che da essa ci giungono attraverso i nostri limitati sensi e contemporaneamente interpretarli secondo le limitate capacità della nostra mente e degli archetipi su cui essa si fonda. Nel migliore dei casi ciò produce opinioni. Le opinioni sono utensili da usare, non cose in cui credere come se fossero vere. Cambiamo tutti opinione più spesso di quanto ci se ne accorga, soprattutto quando cambiare opinione produce vantaggi. Talvolta oscilliamo avanti e indietro con disinvoltura tra un’opinione e l’opinione opposta senza sentirci ridicoli neppure per un istante. Taluni di noi riescono anche a credere contemporaneamente a due verità opposte ed inconciliabili senza mai battere ciglio (Orwell battezzò questo fenomeno doublethinking, bispensiero).

    Poiché la nostra mente funziona così, tanto vale prenderne atto.

    Non condivido quindi necessariamente le mie opinioni, o piuttosto le opinioni che troverete in questo libro, ma non per questo le rinnego. Non considero ciò che ho nel tempo scritto e pensato né giusto né sbagliato, bensì semplicemente un punto di vista possibile. Al di là della loro possibile utilità pratica, le opinioni hanno un maggiore o minore valore estetico, ed è questa probabilmente la chiave di lettura preferibile con la quale le si dovrebbe prendere in considerazione. Vedere le opinioni come geometrie di concetti, e scegliere di godersi appieno la varietà di geometrie azzardate e improbabili anziché avvizzire tutta la vita rintanati nel rassicurante bozzolo di geometrie monotone e tombali, ecco la mia umile ricetta di vita. Non sempre funziona come si vorrebbe. Ma tentar non nuoce e di sicuro rende più vivi.

    La mia introduzione è già finita, non capisco quindi perché continuiate a leggere. Ah già, perché per essere coerente con me stesso mi devo adesso contraddire. Quindi non crediate del tutto a quanto il mio alter-ego vi ha detto nelle righe precedenti! Egli crede in buona fede di essere me, ma è in errore e lo sa. La verità è che io credo fermamente nelle mie opinioni, qualsiasi esse siano, anche quando si contraddicono. In questo, ne sono certo, sono simile a tutti voi. Il trucco che rende quest’assurdità possibile è che nessuno di noi è una persona soltanto. Ogni giorno al risveglio siamo una persona diversa – dormire serve proprio a questo, a cambiare identità. Ma le vecchie identità non scompaiono mai del tutto da noi. Ce le portiamo sempre dietro, poiché esse sono noi. E quante più identità si sono collezionate nel corso della propria vita, tanto più si è vissuto. Se poi tutti questi personaggi dentro di noi bisticciano per la supremazia della propria visione del mondo, tanto meglio! Vorrà dire che abbiamo una buona dialettica interna. E allora, perché non lasciarla trapelare all’esterno? Divertitevi.

    Roberto Quaglia

    Settembre 2002

    Cosa ci faccio io qui?

    Eccomi qua, chiunque io sia, a infilzare il vostro cervello con parole che non avete scelto voi. Proprio così! È in tal modo che infatti agisce il trucco della scrittura/lettura. Si scrive, generalmente, per infilare nei cervelli di altri individui parole che essi non avrebbero altrimenti pensato, soprattutto in quel momento. È per questo che oggi, quando per infilare le idee nei cervelli altrui c’è la televisione, non si scrive né legge più granché.

    Eccomi qua, nella mia presunta identità anagrafica di Roberto Quaglia, con la mia faccia prevalente esibita nella foto che dovrebbe essere allegata a questo segmento scritto.

    Inizia da oggi, con questo pezzo (così si dice), la mia collaborazione con Delos. I libri continueranno a esistere ancora per qualche tempo, ma le riviste cartacee verranno assai presto soppiantate da quelle elettroniche. In questo senso, Delos è l’inizio del Futuro, oppure, se preferite, l’inizio del Nuovo Presente, o addirittura (questo lo dico per i maniaci delle complicazioni), l’inizio del Passato Futuro (o Futuro Passato?) Tutto ciò vi confonde? Tanto meglio! Così avrete subito chiaro in mente che aria tira nel mio cervello.

    Dicevo allora che i libri continueranno a esistere ancora per qualche tempo, mentre le riviste cartacee saranno sostituite da quelle elettroniche. Mentre infatti un libro è un oggetto unitario, che di solito si legge per intero, portandoselo magari a letto in mancanza di meglio, che volentieri si conserva in libreria per future riletture o per mostrare agli ospiti che lo si è letto anche se non è vero, una rivista è invece quasi sempre un articolo usa & getta, spesso di attualità, quasi sempre ripiena di cose che non ci interessano, tranne che una minima parte di esse. Tanto è vero che se ogni tanto un articolo ci conquista particolarmente, lo ritagliamo per conservarlo prima di gettare via il resto. Una rivista elettronica ha il pregio di non intasare nemmeno provvisoriamente i nostri scaffali e di rimanere confinata nel suo sito telematico sino a quando non ci piaccia sfogliarla o ri-sfogliarla. E se un articolo ci entusiasma, nulla ci vieta di stamparcelo. Se invece ci delude, nulla ci impedisce di comunicare garbatamente il nostro dissenso direttamente all’autore, tramite l’indirizzo di posta elettronica generalmente esposto. Inutile dire che produrre una rivista in versione elettronica è più economico ed ecologico che in versione cartacea, e che non esistono problemi di tiratura, perché una rivista elettronica ha inevitabilmente il successo che si merita (o quantomeno è così che io spero che sia).

    Per questi motivi trovo significativa l’esistenza di Delos, e ho deciso di collaborarvi.

    Noto adesso che siamo già al sesto paragrafo di questo articolo, se non sbaglio, e ancora non si è parlato di fantascienza. Ciò appare grave, soprattutto ai miei occhi, dato che io sarei qui (qui?), in una rivista elettronica di fantascienza, per parlare innanzitutto di fantascienza. Se ciò non apparisse grave ai miei occhi, non mi preoccuperei. Ma per fortuna io so che ciò che appare essere, in realtà non è mai come appare (so pure che non ci vuole molto a saperlo), anche se è ai miei occhi che ciò appare, occhi dei quali il mio cervello solitamente si fida. Già non ci capite più niente? Bene, bene. E di bene in peggio aggiungo che se così non fosse, non ne parlerei, né parlerei del fatto che non ne parlerei. Perfetto. Adesso non capisco più nemmeno io che cosa io abbia voluto intendere o abbia inteso mio malgrado, e finalmente torno con la coscienza a posto.

    Eh, già, la confusione che ho creato mi rimette le coscienza a posto, e se mi viene in mente perché, spiegherò tra poco perché.

    Mi mette la coscienza a posto, quindi, forse, perché sebbene io non abbia ancora parlato di fantascienza come avrei (o non avrei?) dovuto, ho comunque agito (scritto), animato dal medesimo principio che anima chiunque pensi, scriva o legga fantascienza. Quale principio? Non è facile definirlo. Mi piace partire da lontano, e allora dico innanzitutto che è il principio dell’Evoluzione, che nell’esperienza che abbiamo dell’universo è la tendenza cosmica verso superiori gradi di complessità.

    Dalla radiazione di fondo dell’inizio dei tempi (l’avevo detto che sarei partito da lontano) l’Evoluzione ha generato le particelle elementari, dalle particelle elementari Essa ha generato gli atomi più piccoli e poi quelli più grossi, poi Essa si è sbizzarrita a generare molecole, dapprima semplici e poi via via più complesse, quindi, mai paga, l’Evoluzione ha generato quella curiosa aggregazione di molecole che noi chiamiamo materia vivente, dalla quale infine (infine?), l’Evoluzione è giunta a generare noi esseri umani. Ma l’Evoluzione non si è fermata lì, agli homo sapiens che affilavano pietre nelle caverne; nei millenni è continuata nei nostri cervelli, aumentando la complessità sotto forma di quella curiosa cosa che è la nostra cultura e la nostra consapevolezza. E in questo curiosissimo secolo di cui stiamo facendo esperienza, l’Evoluzione (cos’altro?) ha fra le altre cose generato quel particolare genere di letteratura che per comodità chiamiamo fantascienza. Visto dove volevo arrivare? In realtà, la fantascienza non è propriamente un genere letterario.

    Essa è invece un’attitudine di pensiero, e tale attitudine di pensiero può essere inquadrata come la fotografia del livello di complessità raggiunto dall’Evoluzione sul nostro pianeta. Tale attitudine di pensiero non è solo rappresentata dalla fantascienza. Essa permea in realtà ogni area di ricerca culturale umana, ma è nel campo della fantascienza che troviamo la più affascinante sintesi della maggior quantità di tali separate aree di cultura. In verità, la parola Evoluzione, che io ho usato per nominare quel misterioso principio che ha portato tanta complessità nell’Universo, significa, in sé, ben poco. Certo è che una sorta di principio pare davvero esserci in come sono finora andate le cose, e allora perché non usare l’etichetta Evoluzione? L’importante è ricordarsi che si tratta soltanto di un’etichetta.

    Di qualsiasi cosa si tratti, tale principio è l’anima che anima (eh! eh!) la letteratura di fantascienza. E allora mi sembra ovvio che l’interesse maggiore debba venir rivolto al suddetto Principio, prima che a uno dei suoi prodotti. Per questo, quando penso, parlo o scrivo di fantascienza, non mi curo che sia proprio di fantascienza che io stia pensando, parlando o scrivendo, ma bado soltanto che io stia pensando, parlando o scrivendo animato da quel principio di cui abbiamo detto. Così facendo, tra l’altro, finisco spesso a pensare, dire e scrivere fantascienza, ma solo come conseguenza.

    Il problema della fantascienza è che la maggior parte di coloro che se ne occupano, agiscono all’interno dei formalismi costituiti da ciò che in fantascienza è già stato pensato, detto e scritto, così venendo meno a quel principio (l’Evoluzione) che è ciò che nella fantascienza c’è di più significativo, poiché è esso e soltanto esso che ne è il creatore. I grandi capolavori di fantascienza degli anni cinquanta e sessanta, a esempio, sono tali perché allora furono scritti, ispirati da tale principio, poiché effettivamente ampliavano il campo di ciò che poteva venir pensato, detto e scritto in fantascienza. Se tali capolavori venissero scritti adesso, sarebbero altrettanto belli, ma culturalmente non significherebbero granché. Molti apparirebbero anche sciocchi. Ma sono capolavori perché furono scritti allora. Ciò valga d’insegnamento a coloro che ambissero a scrivere fantascienza. Non scrivete nulla che assomigli a qualcosa che sia già stato scritto! O almeno, fate di tutto per evitarlo…

    Lo spazio a mia disposizione volge al termine, e mi accorgo di non aver per nulla parlato di ciò che credevo che fosse mia intenzione esprimere oggi. Credevo di credere di volere fare due riflessioni elementari sui minimi sistemi connessi alla fantascienza, e adesso credo di credere di avere invece voluto sfociare in due riflessioni elementari sui massimi sistemi connessi alla fantascienza. Vero è che per oggi ho fatto abbastanza confusione, e questo mi basta, e spero che basti anche a voi.

    Pubblicato originariamente a dicembre 1995 – (Delos 12)

    Era appena arrivato Internet, e già prevedevo l’estinzione delle riviste cartacee. Un quarto di secolo dopo è sì vero che le riviste esistono ancora, ma è anche vero che non legge più quasi nessuno. Sopravvivono nelle sale d’attesa dei medici e dentisti, o come oggetti da collezione, ma sono sempre di meno un oggetto di consumo di massa.

    La Vita, l’Universo e Tutte Quelle Persone Scomparse nei Propri Personaggi

    Sicuro è, volendo fare finta di sì, che alcune cose esistono. Si tratta delle cose che crediamo che esistano, le quali esistono – volendo fare finta che esistano, proprio perché crediamo che esistano.

    Poi ci sono le cose che sono vive, volendo fare finta che ci siano. Un’antica usanza umana ci rende tal compito facile e spontaneo, e noi non lo smentiremo. Ci sono quindi delle cose che sono vive, e ci sono perché noi crediamo che siano vive.

    Infine ci sono delle cose che oltre ad esistere e ad essere vive, sanno di esistere e di essere vive, e soprattutto sanno di sapere di esistere e di essere vive. Naturalmente, anche questa terza categoria esiste a causa del nostro far finta che esista, mediante il trucco di crederci. Tutto ciò è alquanto mistificante, ma risulta intensamente pratico.

    In realtà – e per eccesso di praticità facciamo finta che esista pure la realtà – non c’è alcuna separazione reale fra queste tre categorie immaginarie. Tuttavia, nella nostra esperienza l’immaginazione spicca laddove altrimenti ci sarebbe soltanto un denso nulla macchiato di bestia, ovvero la mente di un essere umano.

    E l’immaginazione ci trascina attraverso l’esistenza, e attraverso la vita, e attraverso il fiume dei pensieri autocoscienti dispensandoci in primo luogo l’illusione dell’esistenza, della vita e dell’autocoscienza. È da esse che quindi partiamo, per le nostre odierne divagazioni stocastiche, in virtù dell’evidenza che altra origine di noi stessi non ha dignità di essere da noi e fra noi ora intesa e menzionata.

    Quante sono le cose che esistono! Praticamente tutte. Nulla si para ai nostri sensi sfuggendo alla nostra illusione che esista. Ovunque ci volgiamo, vediamo Qualcosa perentoriamente esistere, ci piaccia o non ci piaccia. Così inflazionata è questa umile categoria, che in verità ci interessa ben poco, anche se coviamo l’hobby che non sia così.

    Più interessante si prospetta l’analisi della nostra seconda categoria immaginaria, la categoria delle cose che sono vive.

    Taluni sciocchi pensano davvero che ciò che pare vivo lo sia veramente, ed in tale credenza si perde ogni dignità e speranza di intuire pur vagamente ciò che realmente nel cosmo si verifica. Ma noi abbiamo smesso il costume di sciocco rifilatoci durante i biechi saldi della nostra nascita, e sapendo di non sapere non ignoriamo che la categoria delle cose vive sia soltanto un convenzione. Nondimeno, è utile e pratico fingere che ciò che ci pare vivo lo sia davvero. Chi non capisse nulla di quanto andasse or ora leggendo, la smetta una buona volta di preoccuparsi: egli o ella finalmente ha deviato una spanna dal solco delle false certezze, ed un bagno di confusione è il minimo che ci si possa aspettare. Ma come insegna l’igiene, ogni tanto un bagno conviene. Anche se la saggezza ci ammonisce: troppi bagni possono annegare uno sprovveduto.

    Le cose che sono vive, e che tali sono in virtù delle proprie apparenze, presentano un superiore grado di complessità rispetto alle cose che più semplicemente esistono, le quali esistono in virtù delle proprie apparenze. Ogni reale differenza fra queste due categorie immaginarie è rappresentata proprio e soltanto da tale differente grado di complessità. La complessità non è né bene né male, ma è in genere più complessa della semplicità.

    Taluni ingenui sono infine convinti che i componenti della nostra terza categoria immaginaria, le cose che oltre ad esistere e ad essere vive sanno di esistere e di essere vive, ed eventualmente sappiano di sapere di esistere e di essere vive (è così che ci immaginiamo certi esseri umani), realmente sappiano di esistere e di essere vive e addirittura sappiano di sapere di esistere e di essere vive. In realtà, il più superficiale degli approfondimenti confuta senza esitazione tale palesemente ingenua ipotesi. È innegabile che un evento che assomigli alla comprensione di esistere e di essere vivi e forse anche del fatto di sapere di esistere e di essere vivi si compia saltuariamente all’interno di varie menti umane, ma confondere una rappresentazione con ciò che essa rappresenta è l’errore vergognoso di qualsiasi sedicente pensante, un atto che iscrive chi lo compie nel capiente novero dei poveri ingenui.

    Ciò che ha più senso (o minor non-senso) dire è che i componenti della nostra terza categoria immaginaria sono contraddistinti da un grado di complessità superiore a quelli delle altre due categorie. Essendo da queste parti la complessità maggiore, c’è molto di più da dire, da notare, da distinguere. In effetti, una vita umana non basta a notare, distinguere e parlare di tutto ciò che rientra nella nostra prima categoria immaginaria, le cose che esistono, né tanto meno di tutto ciò che compone la seconda categoria, le cose che sono vive. A maggior ragione, notare, distinguere e parlare di tutto ciò che compone la terza categoria è un compito ciclopico che atterrisce, oltre a tutto perché tale terza categoria si amplia e si complica incessantemente ad una velocità incredibilmente maggiore di quella necessaria alla nostra attenzione per seguirne l’evoluzione.

    In tale tumultuoso caos di insorgenti nozioni destinate a sfuggirci in misura sempre maggiore, ubriacarsi o deprimersi sono due scelte ugualmente lecite. La prima è più divertente della seconda, e per questo motivo, e soltanto per questo, è ragionevole e consigliabile preferirla alla seconda.

    L’ubriacatura di sapere è un tuffo giù per le rapide di un impetuoso rivolo dal quale si dipartono incessantemente in mille e mille bivi una sconfinata quantità di altri rivoli che non potranno essere esplorati. Procedere fieramente a casaccio in tale frattale realtà usando ciò che ci pare l’arbitrio, per preferire, secondo criteri estetici, ad ogni bivio o trivio o polivio, una direzione rispetto alle altre è l’atteggiamento più interessante e rispondente a quelle caratteristiche che farebbero di noi, in misura maggiore o minore, titolati elementi di quella terza categoria immaginaria della quale abbiamo vaneggiato sinora, la categoria delle cose che sanno di esistere e di essere vive e che eventualmente sanno anche di sapere di esistere e di essere vive.

    Venendo un po’ più sul concreto, almeno apparentemente (e le apparenze sono tutto, come la scienza ci insegna, involontariamente, pretendendo talvolta di argomentare che sarebbe vero il contrario) e comunque a casaccio, come si conviene, sfoggiamo il nostro accorgimento che ogni umano possa venir scisso in due parti: ciò che egli o ella personalmente (essenzialmente) è, ed il ruolo o i ruoli nei quali egli o ella si cala per esigenze di società. I ruoli sono prefissati e ben definiti: l’Avvocato, l’Operaio, il Notaio, il Politico, il Presidente di Qualcosa, il Ladro, il Giudice e sono completamente impersonali. Come in teatro, e in particolare nella Commedia dell’Arte, i copioni, pur lasciando un margine all’improvvisazione e all’interpretazione, hanno un indirizzo prefissato. Pur potendo addobbare le proprie gesta di qualche fronzolo personale, si deve seguire il canovaccio, poiché così esige il copione della società, senza di quale la società non sarebbe come è. Questa colossale recita teatrale che si chiama la Società è innanzitutto utile a se stessa, e secondariamente può essere utile a chi ne fa parte, ed in genere lo è, in misura variabile. Visto che esiste, è indubbiamente necessaria, e gli sciocchi che vorrebbero infantilmente abolirla farneticando di anarchia o di altri vocaboli magici senza sapere cosa stanno dicendo sono appunto sciocchi bambinoni, alcuni dei quali fieri e splendidi nella loro vitale, ma immatura posizione, altri – come al solito la maggioranza – decisamente fastidiosi in un ruolo come tanti altri interpretato senza personale fantasia.

    Triste, noioso, fastidioso o tragico – soprattutto noioso e fastidioso – è il fatto che la maggior parte degli individui, i quali, facendo come tutti parte di una società, ne interpretano un ruolo, smarriscano il senso autentico della loro identità nella confusione fra sé ed il ruolo che interpretano. E allora troviamo avvocati che sono davvero convinti di essere innanzitutto avvocati, politici davvero convinti delle posizioni che assumono per esigenze di scena, medici davvero convinti di essere soprattutto medici, ladri convinti di essere davvero dei ladri, prostitute convinte di essere davvero delle prostitute, e potrei continuare così fino ad esaurimento di tutti i ruoli interpretabili in società. In tale confusione fra persona e personaggio, non di rado la persona scompare, ed avanza il personaggio, un vuoto involucro condannato alla coatta replicazione dei propri copioni finché la consunzione del proprio organismo non ne decreti la definitiva uscita di scena. Quanto più bello ed interessante sarebbe il mondo e la società se coloro che ne fanno parte fossero consapevoli della distinzione fra la propria persona ed il ruolo che rivestono in società. Avremmo così individui che fanno l’avvocato, invece di esserlo, donne che fanno la puttana, invece che esserlo, uomini che fanno il giudice, invece che esserlo, uomini che fanno i ladri, anziché essere tali. Che differenza farebbe? dirà qualcuno…

    Pensateci. Io lo so che differenza ci sarebbe. E spero di avere fornito a chi legge l’input per meditarci in proprio, qualsiasi cosa ciò significhi.

    Ma cosa c’entra con questo la fantascienza? Da queste parti – c’è scritto sulla confezione! – si parlerebbe di fantascienza. Cosa c’entra allora la fantascienza con tutto quanto detto sinora quest’oggi (qualsiasi sia l’oggi che noi si intenda)? E io che ne so? Anzi! Cosa me ne importa?! Ma sono pronto a dare soddisfazione ai maniaci, convinto come sono che la fantascienza ragionevolmente c’entri con qualsiasi cosa, come tutto abbia sempre a che fare con se stesso, d’altronde, qualsiasi cosa ciò significhi in chi stia leggendo.

    Ecco allora sorgere la suprema tristezza e soprattutto noia quando anche nel campo della science fiction, della fantascienza, il panorama si orna qua e là di personaggi di cartapesta che hanno dimenticato di non essere i personaggi che interpretano. Cosa intendo dire? E che ne so!? L’importante è che lo sappia chi sta leggendo questa roba. Prendete il mio testo come un testo di Rorschach: ognuno vi colga i significati che preferisce. La

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1