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Il galateo del carrierista: Come far carriera in azienda senza averne merito
Il galateo del carrierista: Come far carriera in azienda senza averne merito
Il galateo del carrierista: Come far carriera in azienda senza averne merito
E-book152 pagine1 ora

Il galateo del carrierista: Come far carriera in azienda senza averne merito

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Info su questo ebook

Ventuno storie ambientate in un’azienda italiana, senza nome e senza identità, ma archetipo universale di malcostume. Un’azienda dove l’idea di competenza coincide con quella di casta, dove gli emarginati lo sono non per mancanza di conoscenza, ma di conoscenze.
La voce narrante, Libero Scrittore, è il delatore a cui spetta il compito di tirare le fila, storia dopo storia, svelandoci a cosa è disposto l’essere umano pur di salire i gradini della piramide aziendale.
Il libro è dedicato allo scrittore Giorgio Voghera (testimone di spessore della cultura triestina del Novecento), grazie alla scoperta della grande attualità del suo Come far carriera nelle grandi amministrazioni, pubblicato nel 1959 con lo pseudonimo di Libero Poverelli.
Bettina Todisco è nata a Udine di Latisana e vive a Trieste. Laureata in Matematica, specializzata in informatica, lavora in un’azienda del settore ICT. Giornalista pubblicista collabora con periodici di spettacolo e cultura. Il galateo del carrierista. Come far carriera in azienda senza averne merito è il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mar 2019
ISBN9788835374268
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    Anteprima del libro

    Il galateo del carrierista - Bettina Todisco

    dell’autore

    Lettera del delatore

    Cara lettrice e caro lettore,

    durante gli anni di lavoro impiegatizio, trascorsi in una grande azienda italiana il cui nome non starò qui a svelare – le aziende si assomigliano tutte come le famiglie felici – ho visto cose che voi umani, impiegati come me, riconoscerete nei racconti inclusi in questo libro: Il Galateo del carrierista. Come far carriera in azienda senza averne merito.

    L’idea di scrivere mi è venuta in un inverno lungo e particolarmente freddo, quando presi la decisione di metter ordine fra i volumi che si accatastavano nelle librerie, secondo una sequenza stratigrafica determinata dal mio estro momentaneo di lettore.

    L’impresa, non lo nego, si presentava ardua, ma decisi comunque di affrontarla.

    Non solo avrei messo in ordine i miei libri, seguendo un metodo di catalogazione tematico, ma mi sarei preso la briga di inventariarli io, prima che lo dovesse fare qualcun altro. Sì, perché, cari miei lettori, a sessant’anni, comincia a balenarti l’idea che gli anni che ti restano da vivere potrebbero essere pochi: almeno sette avrei sperato, undici, tredici, diciassette, forse diciannove, magari ventitré. Perché porre limiti all’attesa di vita?

    Avevo già disposto nel mio testamento olografo a quale biblioteca comunale lasciare i miei molti libri. Come avrei potuto riposare in pace sapendoli separati in mille rivoli o gettati nel cassonetto della carta, sempre che gli eredi fossero dotati di una qualche sensibilità ecologista e non li abbandonassero direttamente nell’indifferenziata?

    Cominciai a documentarmi con pedanteria sui vari sistemi di classificazione delle biblioteche, ma poi prevalse un approccio più realistico, e disposi in vari punti del pavimento del mio appartamento, ordinate pile di libri suddivise per argomento.

    Mi trovai così a zigzagare tra colonne con in cima dei fogli da me scarabocchiati: Letteratura italiana, Letteratura inglese in originale e Letteratura francese in originale, Poesia, Matematica, Fisica, Fotografia, Viaggi, Arte, Psicologia, Informatica, Giochi, Religioni, Storia, Cucina, Varie. In quest’ultima sezione erano approdati strani libercoli del tipo: Come costruire un acquario, Vuoi riparare la tua bicicletta?, Trenta modi per diventare più intelligente, che non sapevo nemmeno di possedere.

    Forse tutto ciò v’interessa assai poco, e lo posso comprendere, ma fu proprio mentre suddividevo con religiosa dedizione i miei libri in categorie che m’imbattei nell’ordine: nel libretto rosso di Mao, con copertina plastificata di un bel colore rosso acceso – come potrebbe mai essere se non rosso, il libretto rosso di Mao? – acquistato in un mercatino di Pechino vent’anni prima, e in un libricino dalla copertina cartonata color rosa, che non ricordavo di possedere. Il titolo era Come far carriera nelle grandi amministrazioni e l’autore si chiamava Libero Poverelli.

    Sembrava intonso, eppure conteneva soverchie sottolineature a matita e qualche punto esclamativo a fianco di un paragrafo che doveva avere suscitato un entusiasmo particolare nel lettore. Dopo un attimo di esitazione, ricordai che segnare con qualche commento le pagine era stata nel passato una mia abitudine e che il libro, dimenticato negli anni, doveva essere stata una lettura da me molto apprezzata.

    Aprii il libretto e lessi:

    Bisogna che premetta alcune parole per spiegare il motivo che mi ha spinto a scrivere queste pagine. Ero impiegato da più di vent’anni in una grandissima azienda privata, relativamente ben amministrata e generosa col suo personale. Colleghi e superiori mi riconoscevano una notevole competenza e mi consideravano un lavoratore assiduo e sollecito verso gli interessi della Società. In più di un’occasione avevo portato felicemente a termine modeste, ma non proprio facilissime missioni. Eppure non riuscivo a fare nemmeno un po’ di carriera. Colleghi più giovani di me, che io stesso avevo formato e che continuavano a consultarmi in casi difficili, mi avevano sorpassato. I miei diretti superiori, che raramente prendevano una decisione senza aver sentito prima il mio parere, ottenevano promozioni su promozioni. Io ero sempre fermo al medesimo punto. Fu così che decisi di analizzare in profondità le cause dell’altrui successo e del mio insuccesso.

    Lessi, tutto d’un fiato, le trentasei pagine del libretto e mi stupii per l’acume di cui aveva dato prova l’insigne Libero Poverelli, così lontano dallo stereotipo del travet, stile ragioniere Ugo Fantozzi, la cui inerzia davanti al destino sfociava nel grottesco.

    Al contrario quelle pagine conservavano un’attualità e una modernità sorprendenti. La nostra Italia, nepotista e anti- meritocratica, non aveva, in tal senso, mosso un passo da allora. E ben cinquantacinque – sottolineo cinquantacinque – erano gli anni trascorsi.

    Eppure, a ben guardare gli anni di lavoro dell’esimio Libero Poverelli, lui non li aveva né dormiti né giocati. E, da uomo colto ed erudito qual era, m’immaginai si fosse compiaciuto assai a fare il verso a quel grand’uomo rinascimentale che era stato Niccolò di Bernardo dei Machiavelli:

    e per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni, che io sono stato a studio all’arte dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati; e doverrebbe ciascheduno haver caro servirsi di uno che alle spese di altri fussi pieno di esperienza.

    Ora che dire? Non posso che augurarvi una buona lettura delle storie di vita aziendale che, ispirato da quel delizioso libretto rosa, decisi di scrivere, una volta ordinati e inventariati i miei amati libri. L’azienda in cui lavoravo inconsapevolmente contribuì alla stesura della mia opera, invitandomi a consumare, nell’anno in corso, i cinquanta giorni di ferie in eccedenza, accantonati nel tempo. Più che un invito era un ordine, ma comunque la ringrazio.

    Sospesi, momentaneamente, la lenta operazione di catalogazione in Excel dei libri e mi concentrai nella scrittura de Il Galateo del carrierista. Come far carriera in azienda senza averne merito.

    Buona lettura.

    Il delatore

    Libero Scrittore

    Il dipendente perfetto

    Ettore Mazza faceva un po’ tutti i mestieri: l’autista, il giardiniere, l’aggiusta tutto e, se necessario, il cameriere.

    Ma Ettore Mazza era ben più di tutto questo. Era l’essenza della forza bruta, cieca, ottusa e servile. Ed era a completa e assoluta disposizione del dottor Andrea Maria Adami, il direttore Risorse umane &¹ organizzazione dell’azienda.

    Una mattina di primavera, alle otto e mezza, l’ingegner Giulio Andrea Bonelli, quadro, neoassunto, responsabile del Servizio di prevenzione e protezione, diretto riporto del dottor Andrea Maria Adami, incontrò Mazza per via. Mazza lo salutò chinando il capo.

    «Buongiorno», rispose Bonelli affiancandolo. Percorsero insieme i venti minuti a piedi che ancora li separavano dalla sede principale dell’azienda. Bonelli era curioso, e anche un po’ malizioso.

    «Da quanti anni è in azienda?». 13

    «Ho cominciato a quindici anni e ne ho quarantacinque».

    «Da trent’anni allora».

    «Quasi».

    «Come ha trovato questo posto?».

    «L’ingegner Antonio Maria Adami, padre del dottor Andrea Maria Adami e direttore generale, mi conosceva fin da bambino. Mio padre lavorava anche lui in azienda. È morto, colpito da un infarto, in bagno, un bagno dell’azienda, a un anno dalla pensione».

    «Ma le piace qui?».

    «Molto».

    «Perché?».

    «Si lavora dottore, si guadagna, si vive. Che cosa vuole che le dica?».

    «Sono in azienda da poco e la vedo fare tanti lavori. Ieri alla pausa caffè della conferenza interna faceva il cameriere».

    «Era una sostituzione, può succedere. Sa dottore, io mi do da fare, mi arrangio. Ho imparato a fare tutto da ragazzo e con le mani. Studiare, no, lasci perdere».

    «Ma le medie le ha fatte».

    «Avevo abbandonato. Poi il diploma l’ho preso, con le serali. Lo dovevo all’ingegner Antonio».

    «Alla fine, ce l’ha fatta».

    «Mi piace obbedire e mi piace l’ordine».

    «Ordine, cosa intende per ordine? Se il dottor Adami le ordinasse di fare delle cose prive di senso, le farebbe?».

    «Ma il dottor Adami non ordina mai cose prive di senso. E poi, chi sono io per sindacare quello che ordina il dottor Adami? Io sono pagato per obbedire. È la cosa che mi viene meglio. Mi piace obbedire al dottor Adami. E mi piace essergli d’aiuto».

    «Perché a lui?».

    «Perché io sono fedele di natura. E il dottor Adami la merita tutta, la mia fedeltà».

    Arrivarono in azienda. Mazza si diresse verso il magazzino. Bonelli salì nel suo ufficio al quarto piano.

    Ettore Mazza, cominciò a riflettere in ascensore, era un servo nato, talmente servo che aveva trovato assolutamente naturale rispondere alle sue domande, come aveva fatto. Era, la sua, una naturale predisposizione interiore a conformare le proprie azioni a un ordine impartito dall’autorità riconosciuta. Mazza era l’uomo per eccellenza vagheggiato dal dottor Adami, da portare a modello per tutti i dipendenti dell’azienda.

    Quello stesso giorno, all’uscita della mensa aziendale, l’ingegner Bonelli incontrò il proprio capo.

    «Caffè al bar?».

    «Sì, se mi offre anche una sigaretta», rispose Adami. «Le ho lasciate in ufficio».

    Il bar dove facevano il caffè buono era a due isolati dall’azienda.

    Dopo un veloce apprezzamento sulla giornata di sole, seppur pallido, dopo giorni e giorni di pioggia, Bonelli buttò là:

    «Sa, stamattina, venendo al lavoro ho incontrato Mazza, Ettore Mazza».

    «Ah, una persona di prim’ordine. Pensi che è con noi da trent’anni».

    «Me l’ha detto».

    «È un uomo dai sani principi. Ce ne fossero di persone fidate come lui».

    Arrivarono al bar.

    «È molto affezionato a lei. Normale?».

    «Macchiato. Vuole che non lo sappia?».

    «Un dipendente perfetto?».

    «In un certo senso. Non ha cultura, ha i suoi limiti oggettivi, come la scarsa intelligenza. Non ha studiato. E l’aspetto non lo aiuta – una montagna d’uomo, le mani due badili –, so che i

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