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Sostenibilità digitale: Perchè la sostenibilità non può prescindere dalla trasformazione digitale
Sostenibilità digitale: Perchè la sostenibilità non può prescindere dalla trasformazione digitale
Sostenibilità digitale: Perchè la sostenibilità non può prescindere dalla trasformazione digitale
E-book593 pagine5 ore

Sostenibilità digitale: Perchè la sostenibilità non può prescindere dalla trasformazione digitale

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Info su questo ebook

Mancano 10 anni alla data che le Nazioni Unite hanno fissato il perseguimento degli obiettivi di Agenda 2030. 10 anni nei quali il ruolo della tecnologia digitale sarà fondamentale e determinerà la possibilità di vincere le sfide della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Per farlo i Governi, le Istituzioni, le aziende e le singole persone dovranno comprendere il ruolo del digitale. e capire come sfruttarlo. 

Decisioni di grande importanza dovranno essere prese rispetto a temi centrali ed a strumenti sempre più importanti nelle nostre vite. Il libro di Stefano Epifani affronta in modo sistematico, semplice ed approfondito i punti di contatto tra le tecnologie digitali ed i loro impatti sulla sostenibilità, evidenziandone le opportunità, ma anche le minacce per la nostra società. 

La tecnologia digitale fa bene o fa male? L’intelligenza artificiale crea o distrugge posti di lavoro? I social network migliorano o peggiorano le relazioni? Sono le domande che si sentono fare sul digitale oggi, ma sono quasi sempre domande sbagliate. La domanda più importante che dovremmo porci è quanto - e come - la tecnologia può contribuire a migliorare le nostre vite, diventando strumento di sostenibilità. Una domanda alla quale il libro fornisce una serie di risposte, anche attraverso le storie di Valerio, Anna, Alfio, Domenico e Carla. Cinque persone, per cinque professioni diverse, che si ritrovano a dover fare i conti con un mondo che cambia velocemente, e che li obbliga a guardare con occhi nuovi a vecchi modi di fare, lavorare, vivere. Cinque storie usate come spunto per riflettere sugli impatti della trasformazione digitale. Per acquisire quella consapevolezza che ci fa essere protagonisti, e non vittime del cambiamento portato da tecnologie come intelligenza artificiale, social media, big data, blockchain, realtà virtuale. 

Con Introduzione di Alberto Marinelli, Direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, Università di Roma, e la Prefazione di Enrico Giovannini, Portavoce dell'ASviS. 

Hanno detto di Sostenibilità Digitale: "Il libro di Stefano Epifani? Bellissimo e necessario" (Marco Bentivogli, Segretario Generale di FIM CISL e autore di Contrordine Compagni, Manuale di Resistenza alla Tecnologia"). “Sostenibilità Digitale affronta le tematiche dell’innovazione e della sostenibilità in modo innovativo e integrato, operando una scelta chiara a favore dell’Agenda 2030 come bussola per portare il mondo su un sentiero di sviluppo sostenibile" (Enrico Giovannini, Portavoce dell'ASviS). "“Sostenibilità Digitale è un trattato di filosofia con forti legami alla sociologia, alla tecnologia ed alla politica, con una concretezza ed una semplicità espositive straordinarie. È un libro che soprattutto fa riflettere e pensare" (Luciano Guglielmi, CIO Mondadori). “Il libro di Stefano Epifani è il primo testo sistematico disponibile in lingua italiana dedicato alla frontiera in cui la trasformazione digitale incrocia ed integra le prospettive dello sviluppo sostenibile. Esemplare per chiarezza anche quando tocca argomenti ostici, dispiega occasioni di approfondimento su un numero molto esteso di tematiche emergenti nel dibattito pubblico" (Alberto Marinelli, Direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, Università di Roma). 
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2020
ISBN9788894484137
Sostenibilità digitale: Perchè la sostenibilità non può prescindere dalla trasformazione digitale

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    Sostenibilità digitale - Stefano Epifani

    Stefano Epifani

    Sostenibilità Digitale

    Perché la sostenibilità non può fare a meno della trasformazione digitale

    ISBN: 978-88-944841-3-7

    Anno di pubblicazione: 2020

    Indice

    L'autore

    Introduzione di Alberto Marinelli

    Prefazione di Enrico Giovannini

    1. Trasformazione digitale: il senso di una rivoluzione di senso

    1.1 Da dove veniamo?

    1.2 Cos’è la trasformazione digitale?

    1.3 Come reagiamo all’innovazione?

    2. Possiamo scegliere il futuro?

    2.1 Il futuro è una scelta?

    2.2 Il futuro tra passato e presente

    2.3 Si stava meglio quando si stava peggio. O forse no

    2.4 Scegliere la sostenibilità come modello culturale

    3. Gli strumenti del cambiamento: cosa diventano le cose?

    3.1 Le tessere del puzzle

    3.2 All’inizio era Internet

    3.3 I social network site e l’era delle piattaforme

    3.4 La società dei dati

    3.5 Cosa diventano le cose?

    4. Le scelte della sostenibilità digitale

    4.1 Scegliere la sostenibilità digitale

    4.2 Reale o virtuale?

    4.3 Sicurezza o libertà?

    4.4 Privacy o controllo?

    4.5 Apertura o chiusura?

    4.6 Possesso o consumo?

    4.7 Utenti o attori?

    Postfazione di Sonia Montegiove

    Appendici

    Appendice 1: la dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo

    Appendice 2: Millennium Development Goals

    Appendice 3: gli obiettivi di sviluppo sostenibile di Agenda 2030

    Appendice 4: Manifesto per la sostenibilità digitale

    Appendice 5: Manifesto sulle Fake News

    Ringraziamenti

    Bibliografia

    L'editore

    Colophon

    Note

    L'autore

    Stefano Epifani è docente di Internet Studies in Sapienza, Università di Roma, dove insegna dal 2003. Dal 2010 è advisor per le Nazioni Unite sugli impatti della trasformazione digitale applicata ai processi di sviluppo urbano sostenibile. Nel 2012 ha fondato Tech Economy, oggi Tech Economy 2030: il primo magazine digitale italiano dedicato al tema della Sostenibilità Digitale. Nel 2015 ha fondato il Digital Transformation Institute, istituto di ricerca sui temi della trasformazione digitale, del quale è a tutt’oggi Presidente.

    Tra le principali pubblicazioni: RetailTransformation: gli impatti della trasformazione digitale sulle filiere del consumo (DTI, 2018); Smart city: quali impatti sulle città del futuro (DTI, 2017); L’innovazione come leva di crescita: il punto di vista dei giovani imprenditori (DTI, 2017); Gli impatti della digital transformation nella filiera Agrifood (DTI, 2017); Manuale di comunicazione politica on-line (Istituto di Studi Politici San Pio V, 2011); Decidere l’Innovazione (Sperling & Kupfer, 2006); Learning Community: modelli collaborativi di gestione della conoscenza (Franco Angeli, 2004); Business Community: gestire il capitale intellettuale nell’economia della conoscenza (Franco Angeli, 2003); Internet per chi scrive (Gruppo Editoriale Jackson, 1995).

    Introduzione di Alberto Marinelli

    Dobbiamo ritrovare la capacità di parlare del futuro. Anche se gli orizzonti temporali, dopo gli anni di crisi e ristagno economico, si sono straordinariamente contratti. Anche se le illusioni sulla capacità delle tecnologie di produrre sistemi di comunicazione paritari e democratici si sono consumate per effetto di una quotidianità intrisa di slogan populisti, di hate speaking e fake news che imbrattano le time line delle social media platform. Anche se il sogno di un’intelligenza collettiva, distribuita e partecipativa, si confronta con un presente in cui il dominio delle piattaforme e il controllo che viene esercitato sui dati prodotti dagli utenti sembra confinarci all’interno delle nostre bolle, e ritornarci l’immagine riflessa delle opinioni, espresse da noi e dai nostri amici, come una rappresentazione realistica della realtà.

    In questo panorama, tutt’altro che confortante, questo libro ha il coraggio di tornare a parlare di futuro; di scommettere su un futuro in cui sono le scelte degli esseri umani il motore dell’evoluzione, anche quando si ha a che fare con tecnologie che sembrano dominarci, come l’intelligenza artificiale, o asservirci e mercificarci, come il capitalismo di piattaforma, con la sua capacità di plasmare i singoli mercati, dall’informazione alla salute, dall’alimentazione alla finanza.

    Proprio perché evita qualsiasi cedimento al determinismo tecnologico – spesso inconsapevole e incontrollato – che si cela dietro ogni discorso che assume la tecnologia come un elemento centrale nella matrice dell’innovazione (economica, sociale, politica), la riflessione proposta da Stefano Epifani può assumere come centrale il tema della digital transformation e considerarla come una questione di senso: un processo di radicale ridefinizione delle condizioni operative dei sistemi tecnologici, economi e sociali che ha il potere di cambiare il senso delle cose.

    Per questo motivo, la trasformazione digitale che ha investito i sistemi editoriali – che prendo ora ad esempio – non riguarda soltanto le modalità produttive e la loro ottimizzazione o il superamento dei supporti a stampa attraverso la distribuzione online. Le diverse ondate di trasformazione digitale (dalla distribuzione online dei quotidiani fino alle platform press) impongono, allo stesso tempo, una ridefinizione delle competenze e della funzione della professione giornalistica; ma soprattutto comportano un’alterazione profonda del processo tradizionale di gatekeeping e di costruzione del prodotto (il quotidiano, il telegiornale, ecc.), poiché spostano la frontiera dell’accesso all’informazione sulle social media platform e sui sistemi di comunicazione interpersonale. Le singole unità informative si presentano ora come frammentate e isolate; la loro diffusione (e il loro successo) è sempre più dipendente da meccanismi di piattaforma come il like o lo share.

    Osservare la trasformazione digitale, dunque, impone di rintracciare il nuovo senso delle cose che si manifesta in ogni aspetto della nostra vita quotidiana e di renderlo trasparente, controllabile; in una parola: di riportarlo sotto il dominio umano. Perché il nostro futuro dipende sempre dalle nostre scelte e se queste sono informate e consapevoli possono orientare rispetto ai tanti futuri possibili, esprimendo una preferenza che sia supportata anche da valori, da dimensioni ideali e etiche.

    Al capitalismo di piattaforma si può preferire il cooperativismo di piattaforma e una prospettiva di ritorno del valore estratto dai processi di datificazione (o almeno di una sua quota) sulle singole comunità. Si può decidere di conferire dati sensibili che riguardano le proprie condizioni di salute (catturati attraverso i sensori dello smartwatch) e pretendere che non siano solo mercificati rispetto alle ricerche finanziate dalle società farmaceutiche, ma che rappresentino un capitale di dati a accesso aperto per le necessità di ricerca di tutte le istituzioni e, in particolare, di quelle universitarie.

    Rispetto ad ogni singolo aspetto dei processi di trasformazione digitale, il volume di Epifani propone un’analisi approfondita e aggiornata ma, allo stesso tempo, mette in evidenza le scelte che si prospettano e le potenziali conseguenze rispetto al futuro. Ma la vera chiave di lettura che accresce la consapevolezza rispetto alle scelte che dobbiamo affrontare è nel titolo stesso del libro, che interfaccia il processo di digital trasformation con le sfide dello sviluppo sostenibile.

    La sostenibilità non è un concetto rivolto al passato, non solo perché pone un bilanciamento tra le esigenze delle generazioni presenti e le potenzialità delle generazioni future, ma soprattutto perché pone costitutivamente i processi di innovazione e cambiamento al centro delle osservazioni e delle proposte operative che riguardano lo sfruttamento delle risorse, l’orientamento degli investimenti, le traiettorie di sviluppo compatibili con le visioni istituzionali e la consapevolezza dei cittadini rispetto alla loro sfera comportamentale.

    Il digitale in queste sfide non è solo un prezioso alleato ma il motore del cambiamento. Dal lato dei singoli utenti/cittadini, la pervasività delle tecnologie, la loro capacità di farsi addomesticare e integrare nelle diverse sfere dei mondi virtuali, l’ottimizzazione e la semplificazione rispetto all’accesso a informazioni, conoscenza e servizi rappresentano lo snodo più rilevante attraverso il quale le sfide dell’innovazione sostenibile possono transitare, essere accettate e trasformarsi in prassi comportamentali.

    Dalla smart mobility alla gestione del ciclo dei rifiuti, dalla consapevolezza rispetto all’impatto socio-ambientale dei prodotti di consumo alle prospettive di messa a valore e condivisione delle risorse della sharing economy, le interfacce (questa volta in senso quasi letterale) delle tecnologie digitali rappresentano il punto di contatto, la porta di ingresso per entrare in modo non passivo ma propositivo all’interno dei nuovi ecosistemi in formazione.

    Ed anche dal lato dei processi che una volta avremmo chiamato industriali, e che toccano nel profondo le priorità dell’innovazione nei cicli produttivi, l’automazione dei processi, le modalità e le forme di coinvolgimento nel lavoro, la compatibilità ecologica dei materiali e di sistemi di lavorazione, le tecnologie digitali sono il motore del cambiamento. big data, Internet Of Things, intelligenza artificiale entrano nella catena del valore e la ridisegnano: dagli apparati manifatturieri e dalla loro gestione flessibile fino alle opportunità – e insieme, ai nuovi rischi – del capitalismo di piattaforma.

    Su questa nuova frontiera, in cui la trasformazione digitale incrocia e si integra con le prospettive dello sviluppo sostenibile, il volume di Stefano Epifani rappresenta il primo testo sistematico disponibile in lingua italiana.

    Esemplare per chiarezza anche quando tocca argomenti ostici (come la blockchain o i bitcoin), dispiega occasioni di approfondimento su un numero molto esteso di tematiche emergenti nel dibattito pubblico, senza avere la pretesa di dettare la linea o di proporre un modello ma mettendo il lettore – coerentemente rispetto all’impostazione del volume – nelle condizioni di conoscere per poter poi scegliere con consapevolezza e contribuire alle decisioni che orienteranno il nostro futuro.

    Alberto Marinelli

    Professore Ordinario, Direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale (CoRis) Sapienza, Università di Roma

    Prefazione di Enrico Giovannini

    Per portare il mondo su un sentiero di sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale, ambientale e istituzionale servono tre ingredienti fondamentali: tecnologia, governance e cambiamento di mentalità. La prima è indispensabile per cambiare in profondità i modelli di produzione, di consumo e di interazione tra le persone, e tra le persone e l’ambiente. Ad esempio, nonostante i tanti passi avanti compiuti sul piano dell’efficientamento degli impianti esistenti e dell’uso di fonti rinnovabili, a livello globale non siamo ancora in grado di produrre la quantità di energia necessaria per soddisfare, a costi accettabili, la domanda presente e quella futura senza distruggere l’ambiente e generare milioni di morti precoci per inquinamento, come invece stiamo facendo.

    Ma se anche disponessimo di tali tecnologie, e dunque (per restare nell’esempio) sostituissimo tutte le auto esistenti con auto non inquinanti alimentate da energie rinnovabili, le nostre città resterebbero comunque paralizzate dal traffico, così come resterebbero inaccettabili le disuguaglianze tra centri e periferie, o tra aree urbane e aree periferiche: ecco perché il cambiamento delle politiche e delle modalità in cui si governano (la governance) i processi socio-economici è altrettanto importante delle tecnologie.

    Ma se anche avessimo le giuste tecnologie e modificassimo i processi decisionali, e perseguissimo obiettivi sbagliati, lo sviluppo sostenibile resterebbe un sogno. Se, ad esempio, la massimizzazione dell’utilità individuale attraverso consumi sempre più alti di beni ad alto impatto di materia (come un SUV, per quanto elettrico, per restare nell’esempio precedente) non fosse bilanciata da considerazioni di giustizia distributiva e di rispetto degli ecosistemi, se continuassimo a valutare la salute di un Paese esclusivamente attraverso la misura del Prodotto interno lordo (Pil) o quella di un’impresa guardando solo ai profitti trimestrali, continueremmo a prendere decisioni sbagliate, come stiamo facendo oggi.

    Ovviamente, in tutti e tre gli aspetti (tecnologia, governance e valori) la rivoluzione digitale assume un ruolo centrale. I nuovi modelli produttivi sono sempre più orientati a quella che nel libro L’Utopia Sostenibile ho definito l’economia digi-circolare: dall’agricoltura di precisione che consente di risparmiare acqua e fertilizzanti all’internet delle cose che consente di anticipare la sostituzione o la manutenzione di impianti e prodotti (evitando così la loro dispersione nell’ambiente), dall’uso delle materie prime seconde basate sul riciclo dei rifiuti e sull’ecodesign dei prodotti alla fruizione condivisa di beni e alla gestione smart delle città rese possibili dalle reti di ultima generazione, e si potrebbe continuare all’infinito, la rivoluzione digitale è una delle condizioni necessarie, ancorché non sufficienti, della trasformazione dei modelli di consumo e di produzione.

    Analogamente, la rivoluzione digitale può essere utilizzata per definire sistemi più avanzati di governance, grazie all’uso di grandi masse di informazioni e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Applicare un approccio sistemico per affrontare i problemi legati all’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo richiede modelli decisionali molto più sofisticati di quelli attualmente utilizzati sia a livello di singola unità economica che a livello di governo, sovranazionale, nazionale e locale. La condivisione di informazioni affidabili e certificate può migliorare i processi di formazione del consenso democratico, così come una più tempestiva valutazione dei risultati ottenuti può consentire di apportare le necessarie modifiche alle politiche precedentemente messe in campo. Infine, ma non meno importante, la rivoluzione digitale può contribuire a modificare preferenze e abitudini, anche di consumo, incoraggiando scelte più consapevoli e responsabili, come già sta accadendo con l’utilizzo di etichette intelligenti, in grado di informare l’utente/consumatore sull’impatto socio-ambientale dei prodotti o sulle politiche di sostenibilità praticate dalle imprese produttrici.

    Questo volume tratta di tutte queste tematiche in modo innovativo e integrato, operando una scelta chiara a favore dell’Agenda 2030, firmata dai 193 paesi dell’ONU nel settembre 2015, come bussola per portare il mondo su un sentiero di sviluppo sostenibile. L’Agenda 2030, con i suoi 17 Obiettivi e i 169 Target estremamente concreti, copre tutte le dimensioni della sostenibilità e, come tale, impone un approccio sistemico al quale l’autore si rifà in modo molto esplicito. Poiché l’adozione di tale punto di vista è facile a dirsi, molto più difficile a farsi, è interessante come nel volume si mostri con chiarezza come la digitalizzazione da un lato possa consentire di ottenere grandi risultati, dall’altra apra nuove problematiche che possono rendere più difficile il raggiungimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile. Secondo un recente studio internazionale, le innovazioni di carattere digitale possono contribuire in modo significativo al raggiungimento di oltre 100 dei 169 Target dell’Agenda 2030, e l’autore evidenza bene, con casi concreti, come questo possa avvenire. Ma poi il quinto capitolo, giustamente, si concentra sulle scelte da compiere difronte a dilemmi di grande importanza, dalle quali dipenderà in misura consistente l’impatto finale della trasformazione digitale sulla sostenibilità dello sviluppo, compresa l’equità nella distribuzione dei vantaggi che essa potrà generare.

    Da tutte le analisi disponibili appare evidente come la transizione allo sviluppo sostenibile non avverrà unicamente sulla spinta dell’innovazione, di politiche specifiche operate da un singolo Governo, o dalle scelte di singoli consumatori. Intendiamoci, come già detto tutto ciò è necessario, ma per operare la sterzata di cui abbiamo bisogno in tempi rapidi la Politica con la P maiuscola è chiamata ad un impegno senza precedenti nella storia dell’umanità. Ed è qui che la società civile e le opinioni pubbliche nazionali e globali hanno un ruolo chiave da giocare, per spingere tutti nella direzione giusta. Anche in questo campo la rivoluzione digitale offre straordinarie opportunità, come il movimento dei Fridays for Future ha dimostrato.

    Di fronte a questi grandi sfide l’Italia non sta procedendo nella direzione giusta e alla giusta velocità, come dimostra anche l’ultimo Rapporto dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), disponibile sul sito ASviS. Le forze politiche italiane sembrano ignare dell’urgenza di certe politiche o impegnate in interventi specifici che, ancorché utili, non sembrano dettati dall’approccio sistemico di cui abbiamo parlato. Una nuova speranza viene dalla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, che ha posto la transizione ecologica, la giustizia sociale e l’Agenda 2030 al centro dei propri programmi, adottando proprio una visione integrata dei vari problemi, dopo anni di freddezza su questi temi da parte della Commissione Juncker.

    Per l’Italia questo cambiamento rappresenta un’ulteriore occasione da non perdere, non tanto per ricevere fondi per specifici progetti, quanto per sviluppare una propria una visione del futuro, orientato allo sviluppo sostenibile, da conseguire anche attraverso politiche continentali.

    Enrico Giovannini

    Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile

    Professore ordinario, Università di Roma Tor Vergata

    1. Trasformazione digitale: il senso di una rivoluzione di senso

    1.1 Da dove veniamo?

    Valerio fu strappato dalle braccia di Morfeo dal suono acuto della sveglia sul comodino. Il tempo di lavarsi e vestirsi in fretta, ascoltando la radio per sapere cosa fosse successo al mondo: un giovane giornalista deve sempre tenersi informato. Una colazione veloce con un occhio alla TV e via in strada, sollecitato dal petulante bip bip del suo Casio, che, dal polso, gli ricordava che era ora di affrettarsi per l’intervista. Borsa in spalla con registratore, macchina fotografica e l’inseparabile block notes. Scorta di un paio di cassette da 60, e rullini da 36 a volontà. Per il viaggio colonna sonora dall’ultimo disco dei Dire Straits, Money For Nothing, ascoltati dal suo walkman nuovo di pacca.

    A qualche appassionato di musica sarà saltato agli occhi, dal riferimento a Money for Nothing, che le righe precedenti sono ambientate nella seconda metà degli anni Ottanta. L’album che contiene l’omonimo brano, infatti, è stato pubblicato ormai oltre trent’anni fa.

    Ma anche chi non dovesse conoscere i Dire Straits, pur perdendosi molto, non farebbe fatica a collocare in quell’epoca la vita e le avventure professionali del giovane Valerio.

    È il contesto degli strumenti citati che rende la collocazione nel tempo inequivocabile: sveglia, radio, orologio da polso, macchina fotografica e rullini, audiocassette e walkman: tutti strumenti che hanno segnato un’epoca, rappresentando l’apice dell’era dei media analogici nel momento di massimo splendore, prima del suo inevitabile tramonto.

    Quando Mark Knopfler [²] pizzicava per la prima volta la sua Stratocaster per suonare Money for Nothing, il sistema operativo MS DOS era stato immesso sul mercato da un paio d’anni e la Commodore aveva appena iniziato a produrre il celebre Commodore 64. Insomma: è il momento in cui l’informatica esce dai laboratori, dove i computer erano utilizzati da esperti in camice bianco, ed entra nelle case. È l’epoca in cui nasce il concetto di "Personal Computer" (PC). Un’epoca che si è sviluppata per quasi trent’anni e che ha posto le basi per un cambiamento radicale della società in cui viviamo. E che è arrivata oggi, esattamente come successo nella seconda metà degli anni ’80 con l’era dei media analogici, a un ennesimo punto di svolta.

    Nel tempo, infatti, la logica digitale è uscita dai computer nei quali è nata ed è entrata negli oggetti. In tutti gli oggetti. Il processo è stato graduale, ma inesorabile. Superata la fase epica dei mainframe [³] e dei computer a schede perforate, i primi PC erano comunque degli scatoloni che scaldavano come delle stufe a gas e non avevano che una frazione della capacità computazionale di quella di una stufa a gas di oggi (che, per inciso, si gestisce da internet e decide da sola la temperatura del salotto, grazie a sistemi di intelligenza artificiale di complessità superiore alle macchine che hanno portato l’uomo sulla luna). I primi PC erano oggetti pensati per svolgere funzioni ben precise da un luogo ben preciso: in genere la scrivania di un ufficio. Con il trascorrere degli anni, però, le cose sono cambiate: la componentistica elettronica si è miniaturizzata, i consumi elettrici si sono abbassati e, contemporaneamente, si è innalzata la durata delle batterie per i device pensati per un uso in mobilità. Inoltre, cosa non secondaria, si sono inabissati i costi della componentistica di base. Ciò ha reso progressivamente conveniente e utile impiegare l’informatica – grazie a microchip sempre più economici e potenti – per controllare oggetti che prima erano realizzati attraverso sistemi del tutto analogici. Lo stesso linguaggio Java, che ha rivoluzionato l’informatica ed è ben noto a chi si occupa di digitale, nasce in effetti per controllare la componentistica degli elettrodomestici. A ciò si è aggiunto lo sviluppo delle reti – internet su tutte – che ha fatto sì che tutti questi oggetti fossero collegati tra loro e con noi.

    La metamorfosi degli oggetti che ci circondano è partita dal telefono. Il primo decennio del nuovo millennio ha visto sancirsi la fusione dei mondi dell’informatica e delle telecomunicazioni, prima distinti e, con essa, la trasformazione del telefono, che in breve tempo è diventato la porta d’ingresso principale verso un mondo sempre più connesso e interattivo. Tutti gli strumenti citati nel racconto del giovane Valerio – dalla radio alla televisione, dal walkman alla macchina fotografica, passando per il block notes – hanno finito per convergere verso un unico strumento: il telefono, ormai diventato smart.

    Telefono che, diventando smart, è cambiato non solo nella forma e nelle funzioni, ma nel suo senso profondo. Ogni oggetto è al centro di molteplici dinamiche di interazione, i cui elementi principali sono: l’utente, l’oggetto stesso e l’ambiente circostante. Nel caso di strumenti come il telefono, a questi tre elementi si aggiunge il sistema al quale danno accesso, che può essere a bassa complessità (un altro telefono, con il quale Valerio parla con la redazione), oppure ad alta complessità (ad esempio la Rete con la sua profondità e la sua molteplicità di linguaggi). La metamorfosi che ha visto protagonista il telefono, quindi, non ha impattato solo sugli elementi funzionali che lo caratterizzano, ma ha anche ridefinito le interazioni, attraverso di esso, dell’utente con l’ambiente circostante e con il sistema con il quale entra in contatto. In questi termini, la trasformazione del telefono in smartphone non ha rappresentato soltanto un’implementazione funzionale, ma un vero e proprio cambiamento di senso dello strumento rispetto alla sua funzione.

    Ridefinendo il modello di interazione dell’utente con il sistema dei servizi presenti in Rete e mettendolo nelle condizioni, tramite interfacce sempre più semplici e intuitive, di essere costantemente connesso (non a caso si parla di esperienza always-on [⁴] ), lo smartphone – inteso tanto come strumento in sé quanto come punto fisico di contatto dell’utente con un sistema di cambiamenti ben più ampio, non ha soltanto definito una nuova modalità di comunicazione, ma ha, quindi, contribuito a ridefinire il paradigma di interazione sociale nella sua completezza e complessità.

    Se dovessimo rinarrare oggi la giornata di Valerio lo faremmo in maniera totalmente diversa, tanto nell’enumerazione degli strumenti citati nel suo racconto quanto nelle pratiche a essi connesse e da essi tecnologicamente rideterminate. Valerio, appena sveglio, si informa alla radio e guarda la TV, ma l’informazione oggi non passa più prioritariamente da questi strumenti, quanto piuttosto dai social media, attraverso i quali le persone non solo parlano con i propri contatti, ma – nel bene e nel male – si informano sui fatti per loro interessanti. Ciò determina schemi comportamentali nuovi e dinamiche che, ancora oggi, vanno studiate e approfondite nelle loro caratteristiche per comprenderne le potenzialità e minimizzare i rischi che un cambiamento così profondo comporta.

    Valerio ha bisogno di uno zaino per riempirlo di strumenti – dal registratore alla macchina fotografica, dal blocco per gli appunti al walkman – che oggi trovano tutti posto all’interno di un solo device: lo smartphone, o al limite il tablet. Ma questa convergenza non si limita a far risparmiare spazio nello zaino: rimodella piuttosto il paradigma d’interazione di Valerio e con esso la dinamica comportamentale sua e delle persone con le quali entra in contatto. L’esistenza stessa di internet non solo lo mette in condizione di fare il suo lavoro più velocemente (una volta gli articoli venivano addirittura dettati al telefono a chi si occupava della fotocomposizione della pagina del giornale, che sarebbe andato in edicola soltanto il giorno dopo), ma ne cambia il senso. Fare oggi il giornalista non vuol dire usare strumenti più veloci, ma significa avere un ruolo nella società del tutto diverso da quello che si aveva ai tempi in cui Knopfler suonava Money for Nothing. Il Valerio giornalista nato a cavallo del nuovo millennio avrà una funzione sociale totalmente diversa da quella del Valerio degli anni ’80, essendo totalmente diverso il contesto sociale ed economico in cui si muove ed essendo stati tali contesti profondamente influenzati dallo sviluppo delle tecnologie digitali.

    Tecnologie digitali che hanno cambiato il modo in cui le persone si informano, ridisegnato i loro processi decisionali (che si tratti della scelta dell’albergo per le vacanze o del voto alle elezioni politiche), ristabilito le modalità con le quali interagiscono con lo strumento e, tramite esso, tanto con le altre persone quanto con un ecosistema sempre più vasto di servizi.

    Servizi che non si limitano soltanto alla sfera dell’informazione digitale ma che oggi – nell’era dell’" internet delle cose" [⁵] – fanno dello smartphone e di molti altri oggetti accomunati dal prefisso smart (dagli orologi agli occhiali, per arrivare alle automobili) delle vere e proprie interfacce verso la realtà che ci circonda. Realtà nella quale tali strumenti vengono utilizzati:

    per gestire le relazioni con gli altri individui;

    per garantire l’accesso alle informazioni disponibili in Rete;

    per arricchire l’interazione con un mondo fisico fatto di oggetti connessi tra loro e con noi.

    Il concetto di smartness, traducibile come una via di mezzo tra intelligenza, velocità e flessibilità, esce così dai singoli oggetti per essere applicato a una dimensione nella quale essi interagiscono tra di loro in una logica di ecosistema. Ecosistema che è (o vuole essere) smart nel suo insieme, ridefinendo così l’esperienza dell’utente che vi è immerso.

    Si parla, quindi, di smart living pensando al processo di ridefinizione di senso del concetto di abitazione, di smart working declinandone gli impatti sulla dimensione lavorativa, di smart city applicandolo alla dimensione urbana. E così via.

    Logiche e dimensioni nelle quali ha sempre meno senso distinguere il reale dal virtuale, potendo, al più, far riferimento a due dimensioni della stessa realtà che si compenetrano: una fisica e l’altra digitale. Dimensioni che, oltretutto, si ridefiniscono dinamicamente in una relazione che vede l’essere umano al centro di un complesso percorso di cambiamento e che si sviluppa tra contrapposte tensioni e spinte spesso divergenti, il risultato delle quali è quel fenomeno definito, oggi, trasformazione digitale.

    1.2 Cos’è la trasformazione digitale?

    Una vera e propria battaglia. Convincere il padre e lo zio – i fondatori – a investire per aprire una presenza on-line dignitosa si era rivelato ben più difficile del previsto. Le aveva sentite proprio tutte. Non serve. Si è sempre fatto così. Non è momento di investire. Che c’entra internet con il formaggio. E a tutte aveva trovato risposte convincenti, che però avevano generato solo altre domande. Anna era letteralmente esasperata. Ma aveva intuito che non poteva mollare. Non poteva lasciare l’azienda al tempo del fax. Non si sentiva parlar d’altro che di internet, di commercio elettronico, di trasformazione digitale. Che poi, a dire il vero, cosa fosse ‘sta trasformazione digitale mica le era tanto chiaro... D’altro canto aveva studiato all’istituto agrario: se si fosse trattato di formaggio avrebbe potuto dare lezioni a chiunque. C’era praticamente nata dentro! Ma internet, computer e tecnologia l’avevano sempre lasciata fredda. Quasi come quelle caciottine aromatizzate al tartufo: che lo sanno tutti che è un aroma chimico, finto. Cose da grande distribuzione e per turisti. Un’altra storia. Niente a che vedere con il profumo del fieno appena tagliato, che le piaceva tanto. Tuttavia, intuiva che, dietro tutti quei termini apparentemente privi di senso, ci fosse qualcosa da tener d’occhio. Qualcosa che poteva cambiare la sua azienda in meglio. O creare un sacco di problemi...

    Se ci fosse una classifica dei termini più fraintesi, probabilmente trasformazione digitale sarebbe ai primi posti. E la confusione di Anna è più che giustificata. Il termine trasformazione digitale è ormai entrato a far parte del lessico comune. Tuttavia, come spesso accade con parole e neologismi in qualche modo collegati al settore dell’ Information & Communication Technology (ICT), la confusione sul reale significato di tali termini può portare a errori interpretativi che generano fraintendimenti sul senso profondo dei fenomeni che descrivono.

    Le motivazioni di questa endemica confusione terminologica esistente nel mondo del digitale sono diverse. Da una parte c’è l’insana, ma tutto sommato umanamente comprensibile, necessità di chi sviluppa le tecnologie di coniare un termine originale ogniqualvolta si intraveda una nuova tendenza o un nuovo fenomeno. Dall’altra c’è la devastante tendenza del marketing delle aziende che si occupano di informatica, consulenza o innovazione a coniare termini nuovi che possano essere utilizzati per provare a vendere prodotti o servizi che, a dire il vero, non sempre sono necessariamente così nuovi. Una vera e propria rincorsa alla tecnologia di moda, utile per rimpolpare i bilanci dei fornitori e gettare nello sconforto i clienti e che, spesso, ha il risultato aberrante di allontanare le aziende dall’innovazione, gettandogliela contro quando i tempi non sono maturi e dandola per superata quando invece lo sarebbero. Il tutto in nome della necessità di proporre la prossima tecnologia di moda, necessaria, talvolta, esclusivamente a consolidare il fatturato di chi la propone.

    In questo caos complessivo è finito anche il concetto di trasformazione digitale, generalmente sovrapposto e confuso con quello di digitalizzazione. Ma confondere digitalizzazione e trasformazione digitale

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