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La competenza personale tra formazione e lavoro
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E-book262 pagine3 ore

La competenza personale tra formazione e lavoro

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Info su questo ebook

La polisemia che continua ad accompagnare il concetto di competenza e, di conseguenza, il suo riconoscimento e la sua valutazione, sia a scuola che in ambito lavorativo, rischia di vanificare il prezioso potenziale formativo che porta con sé. Perché questo non accada e la competenza personale diventi, invece, la manifestazione dinamica e situata dell’intreccio virtuoso tra il sapere e il fare riflessivo che ogni persona manifesta quando agisce “bene” per sé e per gli altri, a scuola, come nel lavoro, come nella vita personale, occorre riscoprirne la dimensione unitaria e integrale, che trova fondamento epistemologico nel principio dell’alternanza formativa.
Questo libro segue questa prospettiva e cerca di mostrare come, così intesa, la competenza rappresenti un vero e proprio “ponte” educativo tra il mondo della formazione e quello del lavoro. Un altro elemento di attenzione è rappresentato dalla normativa nazionale che, su pressione delle politiche europee, ha introdotto l’alternanza scuola lavoro, il sistema di certificazione delle competenze non solo nei sistemi formali, ma anche non formali e informali e particolare attenzioni ai momenti delle transizioni lavorative. Il rischio di tutte queste pratiche è la loro riduzione ad adempimento burocratico e cartaceo. Il che ne segnerebbe il destino. Per questo, l’ultimo capitolo presenta alcune esperienze, tratte dal mondo della scuola e delle transizioni lavorative, che questo rischio hanno cercato di evitare.
LinguaItaliano
Data di uscita28 set 2018
ISBN9788838247408
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    La competenza personale tra formazione e lavoro - Giuliana Sandrone

    GIULIANA SANDRONE

    LA COMPETENZA PERSONALE TRA FORMAZIONE E LAVORO

    ISBN: 9788838247408

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    INTRODUZIONE

    I. LA COMPLESSITÀ, CIFRA DEL RAPPORTO TRA FORMAZIONE E LAVORO

    1. Cautele metodologiche di fronte alla complessità

    2. Formazione, condividere un significato

    3. Lavoro, condividere un significato

    4. L’alternanza formativa: un sistema possibile?

    II. IL CONCETTO DI COMPETENZA, L’UE E LE POLITICHE DEL LAVORO

    1. Per un significato condiviso di competenza

    2. La competenza nel mondo del lavoro

    3. La competenza nel mondo formativo

    4. Le politiche europee e la competenza

    5. Le indicazioni UE e il mondo del lavoro italiano

    III. LA COMPETENZA E IL SISTEMA EDUCATIVO NAZIONALE

    1. La valutazione nel sistema educativo d’istruzione italiano

    2. La valutazione esterna ed interna

    3. La competenza negli ultimi vent’anni della scuola italiana

    4. Strumenti per riconoscere, valutare e certificare competenze nei diversi gradi di scuola

    IV. VALUTARE E CERTIFICARE COMPETENZE. ESEMPI DAL MONDO DELLA SCUOLA E DEL LAVORO*

    1. Primo ciclo di istruzione: un percorso per favorire lo sviluppo in verticale delle competenze

    2. Alternanza Scuola Lavoro: al centro, le competenze condivise

    3. La certificazione delle competenze in un’agenzia per il lavoro in Lombardia

    Per concludere

    Bibliografia

    Indice dei nomi

    CULTURA

    Studium

    134.

    Scienze dell’educazione,

    pedagogia e storia della pedagogia

    GIULIANA SANDRONE

    LA COMPETENZA PERSONALE

    TRA FORMAZIONE E LAVORO

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Realizzato con il contributo del

    Dipartimento di Scienze Umane e Sociali

    dell’Università degli Studi di Bergamo

    Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 9788838247408

    www.edizionistudium.it

    INTRODUZIONE

    La domanda è ormai quasi ossessiva: se il lavoro cambierà in qualità e quantità così intensa come delinea il Rapporto Industry 4.0, la cosiddetta quarta rivoluzione industriale [1] , e se questo cambiamento avrà la rapidità che ci si aspetta, come pensare, organizzare e realizzare un sistema formativo che possa accompagnare ciascuno dei nostri giovani ad un ingresso ragionato ed efficace nel mondo del lavoro? Ancor di più, come pensare ad una formazione continua che, lungo tutto il corso della vita, possa stimolare e sostenere ciascuna persona nelle molte transizioni lavorative che la attendono? È evidente come il concetto di formazione che si mette in campo diventa strategico, leva centrale per tentare di fronteggiare i cambiamenti che si profilano nel mondo del lavoro e, allo stesso modo, per affrontare l’altro immenso problema che incombe sul nostro prossimo futuro: la drammatica penuria di giovani e, ad essa collegata, la necessità di non perderne neanche uno, di offrire a tutti e a ciascuno la possibilità di sviluppare al meglio le proprie singolari buone potenzialità. Di qui le domande: quale formazione si attaglia a questi nostri giovani, che sono e saranno sempre di meno in una società inesorabilmente affollata di anziani [2] il cui welfare, almeno nelle forme finora conosciute, rischia l’insostenibilità? Come pensiamo di poterci permettere di avere, come negli ultimi 10 anni, una dispersione scolastica pari al 28,5% che, tradotta in numeri, denuncia la perdita di 1.744.142 giovani, i quali, quasi sempre nel secondo anno di scuola superiore, hanno lasciato la scuola, molto spesso un Istituto professionale o tecnico [3] ? Del resto, siamo tutti consapevoli del fatto che, scomparendo dalla scuola, così come dai percorsi istituzionali che registrano la situazione giovanile, questo fenomeno, al di là degli immensi costi economici [4] , al di là della perdita in termini di futuri e regolari lavoratori attivi, determina un’onda enorme di potenziale disagio giovanile che si abbatte sul nostro sistema e va a minare le basi del nostro vivere sociale non solo ora, ma per i decenni a venire.

    1. Problemi all’orizzonte

    Le due questioni, il lavoro che cambia e la mancanza di giovani, si intrecciano ponendo attenzione a questi dati che ricorrono frequenti nelle analisi internazionali: come sostiene il World Economic Forum, entro il 2020 lo smart manufactoring e la digitalizzazione dei processi determineranno la perdita di milioni di posti di lavoro oggi esistenti, non compensati dalla quantità inferiore dei nuovi lavori che saranno creati. È un saldo negativo (da più analisi viene indicato un gap di circa 5 milioni di posti di lavoro persi) che occorre problematizzare, se si intende sostenere la posizione secondo cui l’automazione determina un ampio e complesso processo di innovazione capace, comunque, di favorire l’incremento del rapporto domanda-offerta nei diversi settori produttivi, sostenendo l’occupazione. Allo stesso modo occorre problematizzare un dato correlato, ormai diffuso, che anticipa come il 65% dei bambini che inizia oggi il proprio ciclo di studi è destinato a trovare un lavoro che oggi ancora non esiste e, nell’arco della loro vita professionale cambierà tra i 5 e i 7 lavori [5] ; quale tipo di conoscenze e abilità dovranno possedere questi bambini, quali competenze personali e professionali dovranno aver sviluppato per essere in grado di affrontare una così imponente flessibilità professionale, quale tipo di istituzione educativa (scuola, IeFp, Università, ITS, ...) avrà adeguatamente preso in carico la loro formazione e quali istituzioni, quali soggetti, pubblici e/o privati li sosterranno nelle molte transizioni che dovranno affrontare come persone, prima ancora che come lavoratori?

    La cosiddetta «fabbrica intelligente», in cui tradizione industriale e dimensione digitale si incontrano [6] e si incontreranno sempre di più, determina un impatto forte per i lavoratori, gli operai e i tecnici che ci vivono, e c’è chi teme nuova disoccupazione tecnologica e nuove forme di alienazione. Se appare saggio, ad oggi, evitare schieramenti sia catastrofici, sia tecno-entusiastici, altrettanto opportuno è assumere consapevolezza degli inevitabili cambiamenti che si delineano per il lavoratore, sapendo che, come scrive Butera [7] :

    l ’azienda di oggi vuole un operaio propositivo, partecipativo, proattivo come un manager, che nel lavoro metta anima e corpo, un lavoratore che svolga mansioni molto più interessanti ma sia anche più creativo, responsabile, coinvolto. Un «operaio aumentato» [...] disponibile a mettere al servizio del lavoro quelle stesse abilità di «nativo digitale» che utilizza nella vita privata.

    Quale riconoscimento economico, ma anche quale formazione per questo nuovo lavoratore? Non solo: quale formazione per i lavoratori in servizio che l’alfabeto digitale richiesto ancora non conoscono? Nel commento critico del Piano nazionale Industria 4.0, varato dal governo italiano [8] , gli autori insistono sull’importanza del grado di consapevolezza e di conoscenza dei cambiamenti intervenuti o che interverranno in questa rivoluzione industriale, affermando che essa

    non è automazione ma interazione costante e circolare tra ricerca, progettazione, produzione, contributo cognitivo del lavoratore, consumo, sviluppo che incide sui fattori della produzione e sulle logiche della domanda in termini di condivisione e di reciprocità ( sharing economy ) rispetto ai processi di produzione industriale e di utilizzo dei beni [...]. Le fabbriche del futuro non saranno singole aziende ma città interconnesse ad alta densità di concentrazione di risorse, tecnologie e competenze, rompendo definitivamente i muri che separano la fabbrica dalla scuola e dall’università come dai centri di ricerca e sviluppo e dalle start up [...]. L’interesse su alternanza, apprendistato, sistema duale e sistema dei fondi interprofessionali per gli adulti si muove proprio in questa prospettiva [...] di radicale cambiamento dei contesti di ideazione, progettazione, produzione e sviluppo [9] .

    Individuare su quali competenze puntare per la formazione iniziale del giovane che dovrà affrontare, e non soggiacere, a questa trasformazione, e per la formazione continua del lavoratore che non vuol essere mero spettatore dei cambiamenti che modificano il suo lavoro, i suoi compiti, il suo ruolo, diventa questione centrale della riflessione non solo economica, ma anche sociale e pedagogica. Il Piano Nazionale poc’anzi citato parla di competence center, veri e propri poli aggregatori capaci di connettere competenze provenienti dai vari settori produttivi e dalla ricerca scientifica e tecnologica per individuare strategie adeguate alla sfida sociale che si prepara. Che i prefigurati competence center siano organizzati attraverso una governance sussidiaria e flessibile, capace di prescindere da logiche dirigistiche e settoriali, questa è una vera e propria scommessa, il cui abbrivio resta saldamente ancorato alla risposta che questa domanda esige: che cosa si intende quando si parla di competenza?

    2. Prospettive dal significato di competenza

    Una rapida ed efficace integrazione tra formazione e lavoro è evidentemente lo snodo cruciale per affrontare nel prossimo futuro queste emergenze che non ci fanno dimenticare, peraltro, le problematicità attuali, come la disoccupazione giovanile, i fenomeni preoccupanti di sottooccupazione e la perdita di interesse per la ricerca del lavoro; dunque, come già suggeriva la 101° sessione della Conferenza internazionale del lavoro riunitasi a Ginevra nel 2012, occorre

    migliorare i legami tra educazione, formazione e mondo del lavoro attraverso il dialogo sociale, il risanamento del mismatch delle competenze e la standardizzazione delle qualifiche necessarie del mercato del lavoro; rafforzare la vocazione tecnica dell’educazione e della formazione (TVET), includendo sistemi di esperienza lavorativa e di apprendimento come l’apprendistato [10] .

    Si presenta certamente prioritario il tema dello sviluppo di quelle competenze che meglio possono accompagnare la transizione dei giovani dalla formazione al mondo del lavoro; immediatamente accanto, si pone il tema della rivalutazione formativa del lavoro che può e deve accompagnare, meticciandolo sistematicamente e non sporadicamente, l’intero percorso di studio dei nostri giovani, trasformandolo in un percorso di vera e compiuta alternanza formativa [11] . Temi complessi, come continuano a farci notare statistiche e opinionisti [12] , rispetto ai quali è urgente creare soprattutto sensibilità educative e ragioni pedagogiche che possano modificare le prassi formative ancora oggi esistenti.

    Ed è proprio l’apporto critico della riflessione pedagogica che verrà utilizzato in questa sede per esplorare, sia pur parzialmente rispetto alla sua complessità, il concetto di competenza, la sua promozione, valutazione e certificazione; si tratta di aspetti diventati centrali, a partire dai primi anni del 2000, nelle politiche europee volte a correlare formazione e lavoro. Ne parleremo come di un concetto ponte, che può dare ragioni per la ricomposizione di una frattura culturale radicata che vede, da una parte, coloro che ancora ritengono l’educazione in campo formale romanticamente lontana dai problemi reali e più che mai da quelli occupazionali e, dall’altra, coloro che, fatte proprie le teorie del cosiddetto capitale umano [13] , prefigurano come ottimale un rapporto domandista tra sistema educativo e mondo del lavoro. Se intesa come concetto ponte, la competenza rimanda, invece, a due prospettive che si incrociano continuamente: la prima, avendo aperto definitivamente all’unitarietà dell’apprendimento, lo indirizza in un continuum di co-costruzione di significati, personale ed interpersonale, che spazia dal campo formale al non formale ed informale, trasforma l’acquisizione dei saperi disciplinari da scopo a strumento dell’educazione e della formazione, apre all’intersezione e alla ristrutturazione continua tra i risultati di apprendimento, ovunque appresi, e le caratteristiche personali che, in situazione, ciascuno è chiamato a mettere in campo per risolvere problemi e affrontare i vari progetti che la vita, il lavoro, ma non meno la scuola, via via gli pongono. La seconda prospettiva, partendo proprio da quest’ultimo aspetto, sposta il fuoco dell’agire competente dall’analisi di fattori esterni al soggetto alla dimensione interna, individuale, che riconosce e valorizza capability [14] personali, adatte a far fronte all’incertezza e alla complessità del mondo globalizzato, alle continue trasformazioni post-moderne che portano con sé, da un lato, la rinuncia strutturale a controllare esclusivamente le variabili esterne dei processi di lavoro e di apprendimento (proprio perché divenute ormai troppo mutevoli e imprevedibili) e, dall’altro, la valorizzazione delle caratteristiche interne personali di ciascuno, intese come potenzialità propulsive dell’esser -ci di ciascuno nel mondo, nella professione, nello studio, nelle sempre più frequenti e complesse transizioni di vita.

    3. Quale sistema di formazione?

    Intendere e rilevare la competenza come concetto ponte non è facile, ne siamo consapevoli; per di più, le difficoltà aumentano geometricamente quando si tratta di valutarla e certificarla, quando ci si chiede perché e a chi può essere utile questo processo, quando si intende sottrarlo alle semplificazioni amministrative che incombono ogni qualvolta si voglia esprimere una valutazione sui diversi risultati di apprendimento che una persona ha maturato in una delle innumerevoli sue situazioni di vita (a scuola, al lavoro, nelle sue attività di volontariato, sportive, di viaggio, ecc.). Da un punto di vista pedagogico, lo vedremo, è l’unitarietà che contraddistingue l’agire personale di ciascuno a scontrarsi con l’atomizzazione e la separatezza che, non da oggi, contraddistingue i processi di valutazione, a scuola così come in ambito lavorativo. Non affronteremo in questa sede la questione della valutazione nel suo specifico epistemologico, se non per sottolineare i tratti pedagogici distintivi che occorre far emergere e tutelare, evidenziando come il tema della valutazione sia ben presente, sia pur nella complessità, nelle politiche europee che hanno in questi anni investito i nostri ambiti formativi e lavorativi.

    Condotta una doverosa ispezione epistemologica dei termini che rappresentano i due estremi del ponte che il concetto di competenza intende creare, la formazione e il lavoro, si procederà, dunque, partendo dalla scelta operata dall’Unione europea nel fare proprio, rispetto al concetto di competenza, l’esito di una riflessione pedagogica, maturata in ambito francofono a cavallo del passaggio di secolo, che ha come figure centrali studiosi come P. Jonnahert, G. Le Boterf, P. Perrenoud, B. Rey, X. Roegiers [15] . Si tratta, lo vedremo, di un’assunzione che porta con sé anche l’esito di altre, precedenti riflessioni sul concetto di competenza, che vengono non solo dal mondo dell’educazione e della formazione, ma anche da quello dell’economia e del lavoro. Dopo aver visto come, quando e perché la Commissione europea assume come centrale, per le politiche formative dei paesi aderenti, questo preciso significato di competenza, cercheremo di ri-percorrere alcune delle principali trasformazioni che, specie nel contesto italiano, lo accompagnano all’interno della dimensione educativo-formativa con inevitabili intrecci con la dimensione economico-occupazionale, tenendo conto delle prospettive che recenti dispositivi normativi stanno aprendo verso la realizzazione di un «sistema duale».

    4. Il sistema duale

    Con questa espressione si intende un modello formativo integrato tra scuola e lavoro che permette di organizzare una sistematica e coerente sinergia tra le istituzioni formative e il mondo del lavoro allo scopo di perseguire, sia pur in ambienti e con modalità diversi, risultati di apprendimento comuni che possano non solo facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, ma anche ridurre significativamente la dispersione scolastica e tutte quelle situazioni che l’acronimo inglese NEET [16] raccoglie. Si tratta di un modello molto diffuso in alcuni paesi europei, che in questi ultimi anni è stato ampiamente studiato, anche sulla scia di brillanti anticipazioni locali. La «via italiana al sistema duale», almeno da un punto di vista normativo, si è definitivamente avviata a livello nazionale, attraverso una serie di norme che riguardano sia il campo giuslavoristico, sia il campo della formazione iniziale che si realizza nell’istruzione pubblica e nell’IeFp [17] e rilanciano, anche attraverso sperimentazioni mirate, dispositivi non nuovi ma certo poco utilizzati come l’apprendistato (con particolare attenzione a quello di 1° e 3° livello) e l’alternanza scuola lavoro. Di fatto, ad oggi, scuola, IeFp, ITS, IFTS, Università e mondo del lavoro, in tutte le sue complesse articolazioni, possono diventare co-protagonisti di un cambiamento che ci si augura essere economico e sociale, certo, ma che, prima ancora, sappiamo essere profondamente culturale e che, in quanto tale, necessita di un puntuale approfondimento riflessivo, allo scopo di supportare e alimentare con ragioni epistemologiche e formative l’interazione circolare e costante che sempre accompagna, in un sistema duale, teoria e pratica, progettazione e produzione, riflessione e operatività, ricerca e realizzazione.

    Ci occuperemo, nel corso di questo lavoro, di alcune manifestazioni di questo cambiamento, giacché la pedagogia del lavoro, così come la pedagogia della scuola e del sistema formale, da alcuni anni hanno ormai messo in campo strumenti di ricerca interpretativa e dispositivi concettuali atti a superare la mera dimensione economico-sociale del lavoro e di una formazione per chi di questo lavoro si farà carico; confermeremo, dunque, come né il paradigma separatista che ha fortemente condizionato, a tutti i livelli, il nostro sistema di istruzione, né la dimensione meramente economicistica del lavoro rappresentino più gli strumenti epistemologici funzionali ad affrontare le situazioni di enorme complessità che la realtà economica, sociale ed educativa presenta. Non a caso, il concetto di formazione diventa strategico, assumendo una connotazione che, in tutti i campi, va ben al di là del rimando ad un’azione funzionalista e modellizzatrice di performance lavorative, ma assume, lungo tutto il corso e in ogni luogo della vita, il significato pieno del «darsi forma», dell’interazione continua tra un

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