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ETERNAL SOUL Trilogia I parte 1 "Uno con Te"
ETERNAL SOUL Trilogia I parte 1 "Uno con Te"
ETERNAL SOUL Trilogia I parte 1 "Uno con Te"
E-book287 pagine3 ore

ETERNAL SOUL Trilogia I parte 1 "Uno con Te"

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Info su questo ebook

No non leggere, potrebbe essere pericolo ... Ehi … mi hai letto? Non andare avanti nella lettura, nooo! Ok, ora che ho la tua attenzione e curiosità puoi proseguire: Uno sparo rimbomba nella notte e la vita di una ragazzina cambia per sempre. Ariel si ritrova immersa in una vita nuova, a metà strada tra il sovrannaturale e il naturale, ripiena di un potere che deve imparare a gestire con l'aiuto dello Spirito Santo. La sua anima eterna è stata chiamata ad adempiere una missione: liberare la città di Eternal. Un viaggio (a tratti ironico) per territori sconosciuti dell'anima e della Terra per scoprire di più sul significato profondo del Bene e del Male.
LinguaItaliano
Data di uscita13 feb 2020
ISBN9788831659116
ETERNAL SOUL Trilogia I parte 1 "Uno con Te"

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    Anteprima del libro

    ETERNAL SOUL Trilogia I parte 1 "Uno con Te" - Samuele Solarino

    Indice

    IN­TRO

    CAPITOLO 1 Ariel

    CAPITOLO 2 Uno con Te

    CAPITOLO 3 Pablo, Gnomo, sette fate e tanta confusione!

    CAPITOLO 4 Eternal Soul

    CAPITOLO 5 Benedictus

    CAPITOLO 6 Legami di sangue

    CAPITOLO 7 Un’Estate diversa

    CAPITOLO 8 Il rapimento

    CAPITOLO 9 Juda del nord

    CAPITOLO 10 Il deserto e la cattedrale

    CAPITOLO 11 Il piccolo Gabriel

    ART­WORK #1

    CAPITOLO 12 Ariel, il mostro!

    CAPITOLO 13 Cinque mondi

    CAPITOLO 14 Zabulon

    CAPITOLO 15 Incubo

    CAPITOLO 16 Fine percorso

    CAPITOLO 17 Corpo, Anima e Spirito

    CAPITOLO 18 La morte si addice a Xi

    CAPITOLO 19 Degeneration e Ali Purificatrici

    CAPITOLO 20 Angeli custodi

    ART­WORK #2

    CAPITOLO 21 Il cavaliere con l'armatura argentea

    CAPITOLO 22 Il terzo e il quarto desiderio

    CAPITOLO 23 Alla volta di Eternal

    CAPITOLO 24 La lingua nera del serpente

    CAPITOLO 25 La fine?

    CAPITOLO 26 Addio, Gabriel!

    CAPITOLO 27 La storia di Bibi

    CAPITOLO 28 Il funerale

    CAPITOLO 29 Jezabel

    CAPITOLO 30 Esplosione

    ART­WORK #3

    ETER­NAL SOUL

    TRI­LO­GIA I 

    PAR­TE 1

    Uno con Te

    One wi­th You

    Sa­mue­le So­la­ri­no

    Per Be­ne­det­ta

    Il tuo cor­po ac­col­ga sem­pre lo Spi­ri­to dell'Eter­no e la tua ani­ma bru­ci del Suo San­to do­no.

    IN­TRO­DU­ZIO­NE

    Eter­nal Soul è un pro­get­to che ave­vo in men­te da mol­tis­si­mi an­ni, le pri­me boz­ze ri­sal­go­no al 1995 quan­do fre­quen­ta­vo il pri­mo an­no di li­ceo ar­ti­sti­co. L'idea era sem­pli­ce: una ra­gaz­zi­na che ac­qui­si­va po­te­ri e scon­fig­ge­va il ma­le. In quel pe­rio­do ero pa­ti­to di su­per eroi Mar­vel e quin­di era nor­ma­le ave­re una tra­ma li­nea­re e sem­pli­ce co­me quel­la. Nac­que co­sì una ra­gaz­zi­na im­pac­cia­ta che si di­ver­ti­va a ve­sti­re i pan­ni di una su­per eroi­na che, tra gag e frain­ten­di­men­ti, riu­sci­va a fa­re fuo­ri il ba­lor­do di tur­no. In real­tà il no­me Eter­nal Soul nac­que do­po, il pri­mo ve­ro per­so­nag­gio era su­per Ma­nu, il no­me pro­ve­ni­va da Ema­nue­la, una mia ami­ca a cui de­di­ca­vo que­ste ro­cam­bo­le­sche av­ven­tu­re. Ma­no a ma­no pe­rò la tra­ma si fa­ce­va nel­la mia te­sta sem­pre più fit­ta tan­to che riu­scì a fa­re una pri­ma boz­za del­la pri­ma se­rie, per es­se­re one­sti, una so­la ne ave­vo in­ven­ta­ta. Non scris­si nul­la, so­lo i ti­to­li del­le 30 pun­ta­te con qual­che ap­pun­to e al­cu­ni di­se­gni. A quel tem­po non ave­vo un PC e tan­to­me­no non ero in gra­do di uti­liz­za­re soft­ware di scrit­tu­ra, quin­di ri­ma­se tut­to scrit­to a pen­na su fo­gli vo­lan­ti. Ov­via­men­te di­se­gna­vo, di­se­gna­vo tan­to, co­sì mol­te av­ven­tu­re di Eter­nal Soul fu­ro­no per an­ni so­lo con­cet­ti sca­ra­boc­chia­ti: vi­si, ar­ma­tu­re, po­te­ri, al­lea­ti e cat­ti­vi. Con­ti­nuai a leg­ge­re fu­met­ti, mi in­te­res­sai di man­ga ma guar­da­vo an­che mol­ta TV, so­prat­tut­to Ani­me co­sic­ché ani­ma­zio­ni co­me I Ca­va­lie­ri del­lo Zo­dia­co, Ken Shi­ro, Sai­lor Moon, Dra­gon Ball e mol­ti al­tri, fe­ce­ro en­tra­re in cir­co­lo nel­la mia men­te al­tre tra­me. Le se­rie di Eter­nal Soul di­ven­ne­ro ben quat­tro: la pri­ma la chia­mai sem­pli­ce­men­te Eter­nal Soul, la se­con­da In­con­scio, la ter­za (una mi­ni tri­lo­gia) Ka­de­vra Em­pee­ror e una quar­ta Next Ge­ne­ra­tion. Tut­to ave­va pre­so for­ma ma non eb­bi mai la pa­zien­za di met­ter­mi a scri­ve­re nul­la, tut­to era an­co­ra ap­pun­ta­to qui e lì. So­lo qual­che an­no do­po, nel 2000 scris­si di get­to tut­ti e 30 ca­pi­to­li del­la pri­ma se­rie. La ste­su­ra era ele­men­ta­re e su­per­fi­cia­le, i per­so­nag­gi man­ca­va­no di spes­so­re e la sto­ria a trat­ti pre­sen­ta­va clas­si­ci luo­ghi co­mu­ni dei fu­met­ti e dei car­to­ni ani­ma­ti, co­se già vi­ste e sen­ti­te per in­ten­der­ci. Mi ci vol­le­ro al­tri tre an­ni per ri­scri­ve­re la sto­ria, più det­ta­glia­ta e ma­tu­ra e con lei, an­che la se­con­da se­rie tra­mu­ta­ta in Ar­ca­dia e la suc­ces­si­va Lo­tus", co­sì ave­vo de­ci­so di chia­ma­re la ter­za se­rie. L'idea mi pia­ce­va, il per­so­nag­gio di Ariel si sta­va fa­cen­do lar­go, vo­le­va più spa­zio co­sì pen­sai di mo­di­fi­ca­re la tri­lo­gia cen­tra­le che avreb­be col­le­ga­to le pri­me tre par­ti all'ul­ti­ma ma a que­sto pun­to mi ven­ne un'idea: per che non fa­re tre tri­lo­gie? Tra il 2006 e il 2008 ter­mi­nai tut­to il la­vo­ro ma qual­co­sa si spen­se, ave­vo da­to tut­ta la mia in­ven­ti­va per que­sto pro­get­to che non ave­vo più vo­glia di por­tar­lo avan­ti. Mi fer­mai per qual­che an­no ma scris­si al­tre co­se che mi con­sen­ti­ro­no di ma­tu­ra­re nel­la scrit­tu­ra e ve­de­re le sto­rie da un al­tro pun­to di vi­sta. Eter­nal Soul fa­ce­va sem­pre ca­po­li­no nei miei pen­sie­ri ma do­vet­te aspet­ta­re il 2015 (ben vent'an­ni do­po la pri­ma idea) per es­se­re ri­pre­sa. Ri­me­sco­lai le car­te in ta­vo­la, ri­pen­sai al­la tri-tri­lo­gia e creai qual­co­sa di nuo­vo dal­le ce­ne­ri del vec­chio. Man­ten­ni per­so­nag­gi e sto­ria di fon­do ma scar­di­nai le­ga­mi e in­trec­ci, ero fi­nal­men­te sod­di­sfat­to, de­ci­si di ri­pren­de­re il rac­con­to dal pri­mo ca­pi­to­lo, do­ve­vo ri­con­trol­la­re la psi­co­lo­gia dei per­so­nag­gi, le con­nes­sio­ni tra que­ste e da­re al let­to­re l'im­pres­sio­ne di tro­var­si di fron­te a qual­co­sa che non ave­va mai let­to.  A gen­na­io 2015 die­di una spol­ve­ra­ta al­la pri­ma par­te del­la tri­lo­gia e, a set­tem­bre, ter­mi­nai la ste­su­ra. Fi­nal­men­te Eter­nal Soul ave­va un'ani­ma, dei con­te­nu­ti, del­le si­tua­zio­ni di cui an­da­vo or­go­glio­so, Ariel era pron­ta per la sua pri­ma ap­pa­ri­zio­ne, ma la sto­ria non era an­co­ra ter­mi­na­ta. Do­po al­tri 4 an­ni ri­mi­si ma­no al­la sto­ria per­ché ave­vo ca­pi­to che man­ca­va an­co­ra un toc­co, Eter­na Soul ave­va un cor­po, un’ani­ma ma le man­ca­va an­co­ra lo Spi­ri­to Di­vi­no. Ed ora, ec­co­la qui.

    Il no­me Eter­nal Soul è na­to per ca­so, cer­ca­vo qual­co­sa di po­ten­te, un ri­fe­ri­men­to ad un po­te­re mae­sto­so che non si po­tes­se esau­ri­re con sem­pli­ci pa­ro­le. Mi spie­go, mol­ti po­te­ri dei su­per eroi so­no le­ga­ti al no­me, no­me che iden­ti­fi­ca per­fet­ta­men­te la lo­ro fun­zio­ne. Vo­le­vo un qual­co­sa di in­de­fi­ni­to, che non fos­se chia­ro da su­bi­to al let­to­re il suo si­gni­fi­ca­to, e inol­tre che non si li­mi­tas­se a qual­co­sa di pu­ra­men­te ma­te­ria­le, op­pu­re che si ac­qui­sis­se con in­ci­den­ti o al­tro ma che fos­se sca­tu­ri­to da qual­co­sa di più gran­de. Eter­nal da­va il sen­so di in­fi­ni­to e ine­sau­ri­bi­le e Soul, ani­ma, qual­co­sa che noi tut­ti ab­bia­mo e che è col­le­ga­ta con il mon­do so­pran­na­tu­ra­le. L'ani­ma, nel no­stro cor­po è un qual­co­sa che non riu­scia­mo a ca­pi­re per­ché gli es­se­ri uma­ni so­no fat­ti di ma­te­ria, spes­so e vo­len­tie­ri ci di­men­ti­chia­mo che il no­stro es­se­re è an­che im­ma­te­ria­le. Non svi­lup­pan­do que­sta par­te del no­stro mon­do, non lo com­pren­dia­mo, met­ten­do co­sì da par­te un gran­de po­ten­zia­le. Inol­tre l'ani­ma è col­le­ga­ta al l'Eter­no dal­lo Spi­ri­to, l'es­sen­za di Dio, ren­den­do­ci ca­pa­ci di co­se me­ra­vi­glio­se, straor­di­na­ri po­te­ri in gra­do di co­mu­ni­ca­re con tut­to ciò che ci cir­con­da. L'ani­ma eter­na è que­sta, il no­stro cor­po tra­scen­den­ta­le, so­pran­na­tu­ra­le, im­mor­ta­le che ci tra­sfor­ma in cor­pi ri­col­mi del­la po­ten­za di Dio per con­tem­pla­re la Sua glo­ria. Ariel è tut­to que­sto, ere­de dell'Eter­nal Soul in quan­to ani­ma pu­ra as­se­ta­ta del­la Pa­ro­la di Dio, noi tut­ti pos­sia­mo po­ten­zial­men­te es­se­re Eter­nal Soul, ba­sta ac­cet­ta­re l’aiu­to dell’Al­tis­si­mo.

    Per il mo­men­to è tut­to, ora se­guia­mo le av­ven­tu­re di Ariel e nel pros­si­mo li­bro sco­pri­re­mo al­tre co­se in­te­res­san­ti.

    Buo­na let­tu­ra!

    Sa­mue­le

    La fe­de per­ce­pi­sce per rea­le ciò che sfug­ge ai sen­si, la fe­de non pro­vie­ne dal­le no­stre emo­zio­ni, la fe­de è una que­stio­ne di vo­lon­tà.

    So­no le tre del mat­ti­no di un fred­do in­ver­no di feb­bra­io. Nel­le cam­pa­gne ro­ma­ne aleg­gia un si­len­zio tom­ba­le, non vi è ani­ma­le o per­so­na che si ag­gi­ri per le stra­di­ne, an­che l’il­lu­mi­na­zio­ne stra­da­le è qua­si del tut­to as­sen­te se non fos­se per un vec­chio lam­pio­ne dan­neg­gia­to che fa lu­ce ad in­ter­mit­ten­za su una por­zio­ne di stra­da ster­ra­ta. Un ru­mo­re in lon­ta­nan­za squar­cia il si­len­zio not­tur­no, è un fur­gon­ci­no che sfrec­cia sul­la car­reg­gia­ta a gran­de ve­lo­ci­tà, su un pa­io di cur­ve ri­schia di fi­ni­re fuo­ri stra­da ma ri­pren­de il con­trol­lo ap­pe­na in tem­po. Die­tro di lui quat­tro au­to­mo­bi­li ne­re spor­ti­ve lo in­se­guo­no ma non rie­sco­no a rag­giun­ger­lo. Un’au­to del­la po­li­zia com­pa­re dal nul­la a si­re­ne spie­ga­te in co­da al­le tre au­to spor­ti­ve. Dal fi­ne­stri­no si af­fac­cia una ra­gaz­zi­na, di cir­ca sei an­ni con una fac­cia ro­ton­da e al­le­gra ma gli oc­chi chiu­si e le so­prac­ci­glia in­cur­va­te, co­me se fos­se ar­rab­bia­ta, in dis­so­nan­za col suo sor­ri­so a tut­to ton­do. I suoi ca­pel­li so­no spa­ra­ti in aria, la sua fac­cia sem­bra nel com­ples­so un gi­ra­so­le: ti­ra fuo­ri un ba­zoo­ka, mi­ra con la ma­no de­stra la mac­chi­na del­la po­li­zia e fa fuo­co. Dal ba­zoo­ka esce un rag­gio aran­cio­ne e gial­lo che fa esplo­de­re il vei­co­lo che si schian­ta tra gli ar­bu­sti del­la stra­da di cam­pa­gna. La ra­gaz­zi­na rien­tra den­tro e, con un te­le­fo­no cel­lu­la­re, chie­de una ri­co­gni­zio­ne ae­rea.

    Il fur­go­ne in­tan­to è riu­sci­to a pren­de­re una pic­co­la tra­ver­sa del­la stra­da prin­ci­pa­le, si av­vi­ci­na ad un bo­schet­to e spe­gne i fa­ri. Le quat­tro au­to­mo­bi­li ne­re pas­sa­no sen­za no­ta­re il fur­go­ne e si al­lon­ta­na­no ver­so la cit­tà. Dal fur­gon­ci­no esce un uo­mo, una cin­quan­ti­na di an­ni, ca­pel­li lun­ghi e bion­di rac­col­ti in una trec­cia, ai la­ti del­le orec­chie due ciuf­fi di ca­pel­li for­ma­no una ver­ti­gi­ne. Gli oc­chi so­no di un ver­de in­ten­so e il suo sguar­do è se­ve­ro e au­to­ri­ta­rio. L’uo­mo è ve­sti­to con un ar­ma­tu­ra do­ra­ta in mez­zo al­la qua­le ri­por­ta il sim­bo­lo di una cro­ce bian­ca, una spa­da al fian­co con in­ci­so un leo­ne.

    Pa­pà, do­ve sia­mo? di­ce un se­con­do uo­mo che esce dal fur­go­ne, mol­to si­mi­le per fi­sio­no­mia al pri­mo ma con i ca­pel­li ca­sta­no chia­ro e le­ga­ti con una trec­cia, me­de­si­me ver­ti­gi­ni ai la­ti del­le orec­chie, oc­chi chia­ri ed espres­sio­ne del vol­to pre­oc­cu­pa­to. La sua ar­ma­tu­ra è si­mi­le a quel­la di suo pa­dre ma di co­lo­re az­zur­ro-ar­gen­tea, stes­sa iden­ti­ca spa­da, l’uo­mo ha cir­ca trent’an­ni. Sia­mo vi­ci­ni ma non pen­sa­vo che ci avreb­be­ro sco­per­ti co­sì pre­sto, qual­cu­no de­ve aver­li in­for­ma­ti …. Ri­spon­de l’uo­mo dai ca­pel­li bion­di.

    Dal fur­go­ne esco­no due bam­bi­ni, un ma­schiet­to di cin­que an­ni e una fem­mi­nuc­cia di tre, lui sem­bra at­ten­to ai di­scor­si dei due adul­ti men­tre lei pia­gnu­co­la per il son­no.

    Re­bec­ca, non pian­ge­re, rien­tra nel fur­go­ne e vai a dor­mi­re, an­che tu Ja­cob. Di­ce la vo­ce di una don­na den­tro il fur­go­ne. La ra­gaz­za, qua­si com­ple­ta­men­te av­vol­ta nell’om­bra, ha cir­ca trent’an­ni ed è se­du­ta agli ul­ti­mi po­sti del vei­co­lo, tie­ne in brac­cio una neo­na­ta che dor­me, ac­can­to a lei ri­po­sa­no tran­quil­le al­tre due neo­na­te. Ja­cob e Re­bec­ca rien­tra­no nell’abi­ta­co­lo, la bam­bi­na ab­brac­cia il fra­tel­lo e chiu­de gli oc­chi, lui con la ma­no de­stra le ac­ca­rez­za la te­sta poi il suo sguar­do tor­na fuo­ri, do­ve suo pa­dre e suo non­no stan­no di­scu­ten­do sul da far­si.

    Ho la­scia­to mia mo­glie mo­ren­te, non le ho po­tu­to di­re nem­me­no ad­dio, que­sto non ti sem­bra già un gran­de sa­cri­fi­cio, pa­pà?

    Isaac … Non po­te­va­mo fa­re al­tri­men­ti. An­che io ho per­so tua ma­dre. Spe­ria­mo so­lo che … L’uo­mo ab­bas­sa gli oc­chi di­spia­ciu­to.

    Isaac di­gri­gna i den­ti: Ora sia­mo in trap­po­la. Di­ci che ne è val­sa la pe­na?

    Un pic­co­lo ae­reo pas­sa so­pra di lo­ro in­ter­rom­pen­do la con­ver­sa­zio­ne per po­chi istan­ti.

    La don­na nel fur­go­ne emet­te un gri­do­li­no dal­lo spa­ven­to: Isaac, Abraam ….

    I due si gi­ra­no a guar­dar­la.

    Abraam: Do­vreb­be es­ser qui a mo­men­ti.

    Chi? ri­spon­de il fi­glio.

    Po­co lon­ta­no due fa­na­li bril­la­no nel buio, ma­no a ma­no si av­vi­ci­na un ca­mion­ci­no scas­sa­to. Il vei­co­lo par­cheg­gia a po­chi me­tri dai due, fa un se­gna­le con i fa­ri.

    Tu pren­di una del­le due e vai con lui. Ti spie­ghe­rà tut­to.

    Pa­pà ma, cos …

    Vai! ri­spon­de l’uo­mo con au­to­ri­tà.

    Il ra­gaz­zo pren­de con sé una neo­na­ta, la don­na emet­te un ge­mi­to qua­si per fer­mar­lo, i due si guar­da­no per po­chi se­con­di poi lui esce.

    Re­bec­ca, tu vie­ni con me. Dis­se Isaac.

    La bam­bi­na apre gli oc­chi. Vai di­ce il fra­tel­lo. Re­bec­ca an­nui­sce e se­gue il pa­pà. I due en­tra­no nell’al­tro fur­go­ne. Poi Abraam si met­te al­la gui­da del pri­mo fur­gon­ci­no: Pren­di la pic­co­la ed esci. Dis­se ri­vol­gen­do­si al­la don­na.

    Ma si­gno­re, qui in mez­zo al bo­sco di not­te?

    Fi­da­ti di me.

    Dall’oscu­ri­tà uscì una fi­gu­ra: Vi sta­vo aspet­tan­do.

    La don­na uscì dal fur­go­ne e si in­cam­mi­nò ver­so il bo­sco tre­man­te.

    Ja­cob, pren­di tua so­rel­la in brac­cio. Voi ve­ni­te con me.

    Il fur­go­ne uscì dal bo­schet­to la­scian­do la ra­gaz­za con in brac­cio la neo­na­ta so­la con la fi­gu­ra na­sco­sta nel buio. Il vei­co­lo in­tan­to ster­zò per la stra­da prin­ci­pa­le e si di­res­se ver­so la cit­tà men­tre un pic­co­lo ae­reo il­lu­mi­na­va con i suoi po­ten­ti fa­ri la stra­da al­la ri­cer­ca di qual­co­sa o qual­cu­no.

    La ra­gaz­za tre­man­te si mi­se a pian­ge­re: E ora? Che suc­ce­de?

    CA­PI­TO­LO 1

    Ariel

        Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin! La sve­glia del­le set­te.

        Ariel si sve­gliò tur­ba­ta, quel­lo che ave­va ap­pe­na fat­to era un so­gno ter­ri­bi­le, chi era quell’uo­mo? Chi era­no quel­le per­so­ne? Era al­me­no la ter­za vol­ta nel­lo stes­so me­se che so­gna­va que­gli sco­no­sciu­ti e quel­le sce­ne ma a dif­fe­ren­za del­le pre­ce­den­ti vol­te, la se­ra pri­ma non ave­va esa­ge­ra­to con i pe­pe­ro­ni ri­pie­ni. Pro­vò a fa­re men­te lo­ca­le su quel­le im­ma­gi­ni: ciò che le ri­ma­ne­va più im­pres­so era il vol­to dell’uo­mo più an­zia­no, co­sì di­spe­ra­to ma al­lo stes­so tem­po pie­no di or­go­glio e no­bi­le. Le fac­ce de­gli al­tri per­so­nag­gi sem­bra­va­no av­vol­te nel buio, an­neb­bia­te, co­me se qual­cu­no le im­pe­dis­se di ri­co­no­sce­re le lo­ro iden­ti­tà. An­co­ra per­sa nei suoi ra­gio­na­men­ti Ariel ven­ne as­sa­li­ta da Bil­lo, il suo gat­to che, ogni mat­ti­na la ve­ni­va a sa­lu­ta­re lec­can­do­le la fac­cia con la sua lin­gua grin­zo­sa.

        Bil­lo fi­ni­sci­laaaaaa, che schi­fo! Il gat­ti­no a pe­lo cor­to ros­so pez­za­to di bian­co con dei lu­mi­no­si oc­chio­ni gial­li non sem­bra­va in­ten­zio­na­to a la­sciar­la in pa­ce. Ariel lo pre­se e lo spin­se ai pie­di del let­to, Bil­lo, per ven­di­car­si fe­ce un sal­to acro­ba­ti­co piom­ban­do­le sul brac­cio per poi mor­der­la sul bi­ci­pi­te. I due co­min­cia­ro­no a rin­cor­rer­si per la stan­za se­mi­nan­do con­fu­sio­ne e di­sor­di­ne to­ta­le. Do­po la gior­na­lie­ra lot­ta, in cui Ariel ne usci­va pun­tual­men­te per­den­te, con graf­fi e mor­si su tut­to il cor­po, sce­se a fa­re co­la­zio­ne an­zi, cad­de mal­de­stra­men­te dal­le sca­le in quan­to an­co­ra mez­za as­son­na­ta. Pur­trop­po la ra­gaz­za era fa­mo­sa per la sua di­stra­zio­ne, so­prat­tut­to la mat­ti­na ap­pe­na sve­glia, sua ma­dre era tal­men­te abi­tua­ta ai mo­di del­la fi­glia, da aver po­si­zio­na­to un gran­de cu­sci­no ai pie­di del­le sca­le. Ariel si rial­zò: Se non ci fos­se la mia pre­vi­den­te mam­mi­na, for­se avrei per­so già da tem­po tut­ti i den­ti da­van­ti a fu­ria di ca­de­re. La mam­ma di Ariel, una don­na ro­bu­sta con bril­lan­ti ca­pel­li co­lor ros­so rac­col­ti in una ci­pol­la, die­te un scap­pel­lot­to al­la fi­glia: A qua­si quin­di­ci an­ni do­vre­sti met­te­re un po’ la te­sta a po­sto! poi al­zò gli oc­chi al cie­lo. Ariel, con un ghi­gno: Beh, sa­rò im­pac­cia­ta ma so­no una per­fet­ta don­ni­na di ca­sa: la­vo, sti­ro, pu­li­sco e cu­ci­no!

        Vo­glia­mo par­la­re di quan­do fai la la­va­tri­ce e ci met­ti tan­to di quel sa­po­ne che la ca­sa di­ven­ta una nu­vo­la? Di quan­do sti­ri e le tue ma­gliet­te pren­do­no fuo­co? Pu­li­sci? L’ul­ti­ma vol­ta ho do­vu­to chia­ma­re un esor­ci­sta e …

        Ok, ok, ok … mes­sag­gio ri­ce­vu­to. Non sa­rò per­fet­ta ma ti vo­glio be­ne mam­ma Mar­ta!. La mam­ma del­la ra­gaz­za al­zò gli oc­chi al cie­lo nuo­va­men­te.

        Tut­to d’un sor­so Ariel bev­ve l’in­te­ra taz­za di lat­te e caf­fè, an­co­ra spor­ca sul­le lab­bra guar­dò sua ma­dre che traf­fi­ca­va con dei pac­chet­ti. Che fai? chie­se con un sor­ri­so che le il­lu­mi­nò i gran­di oc­chi ce­le­sti. Mar­ta si rac­co­man­dò: Sem­pre ad im­pic­ciar­ti! Piut­to­sto sbri­ga­ti al­tri­men­ti fa­rai tar­di co­me al so­li­to a scuo­la. Ariel an­nuì: Sai, è l’en­ne­si­ma vol­ta che fac­cio uno stra­no so­gno. Sem­bra che ogni not­te di­ven­ti più ni­ti­do: un fur­gon­ci­no che fug­ge nel­le cam­pa­gne, pro­prio qui vi­ci­no, due uo­mi­ni e una don­na con due ra­gaz­zi­ni e tre neo­na­te … la don­na si fin­se in­te­res­sa­ta: Ma non è la tra­ma di un rac­con­to che hai scrit­to con Sa­mi? Mi pa­re di aver­lo già sen­ti­to! No! Ti sto di­cen­do che l’ho so­gna­to! Bah, al­lo­ra sa­ran­no di nuo­vo i pe­pe­ro­ni … Uf­fa, ie­ri ab­bia­mo man­gia­to spa­ghet­ti e in­sa­la­ta! Fa­rai tar­di!! Se non esci di ca­sa su­bi­to ti ti­rò una cia­bat­ta!

        Ariel uscì di ca­sa in tut­ta fret­ta, era in ri­tar­do per pren­de­re l’au­to­bus per an­da­re a scuo­la. Mar­ta fe­ce un so­spi­ro guar­dan­do dal­la fi­ne­stra la fi­glia cor­re­re co­me una dis­sen­na­ta. La don­na si ti­rò su le ma­ni­che e co­min­ciò a fa­re le pu­li­zie per ca­sa e, pas­san­do da­van­ti al­la fo­to del pa­dre di Ariel, il suo vol­to si rab­buiò. Il pa­dre era un bell’uo­mo, sul­la tren­ti­na, fol­ti ca­pel­li ca­sta­ni con del­le ver­ti­gi­ni all’al­tez­za del­le orec­chie, una ca­rat­te­ri­sti­ca che Ariel ave­va ere­di­ta­to. La don­na spol­ve­rò la fo­to e tol­se una pic­co­la mac­chia pro­prio all’al­tez­za del­lo stem­ma che il pa­pà del­la ra­gaz­za ave­va sul­la spal­la de­stra: un stel­la a quat­tro pun­te bian­ca. La don­na re­cu­pe­rò Bil­lo che sta­va mia­go­lan­do con­tro un va­so pog­gia­to su una men­so­la. Bil­lo ave­va tut­to il pe­lo al­za­to, Mar­ta scos­se la te­sta e dis­se a se stes­sa: Ta­le gat­to, ta­le pa­dro­na! Co­me sie­te stra­ni … mia­go­la­re ad un va­so! Pre­se Bil­lo in brac­cio e lo mi­se in giar­di­no. Il va­so pi­roet­tò su se stes­so per poi fer­mar­si di col­po!

        Ariel cor­se per le stra­de del quar­tie­re per rag­giun­ge­re la fer­ma­ta del bus: era una ra­gaz­za sem­pli­ce, non trop­po al­ta di sta­tu­ra, cir­ca un me­tro e ses­san­ta­cin­que, ca­pel­li ca­sta­no chia­ro che le ar­ri­va­va­no al­le spal­le, ave­va una fran­get­ta ri­bel­le con due ciuf­fi che co­steg­gia­va­no il vi­so, una fa­scia az­zur­ra le te­ne­va il re­sto dei ca­pel­li in­die­tro ma due ver­ti­gi­ni scen­de­va­no ai la­ti del­le orec­chie.  La sua car­na­gio­ne era piut­to­sto chia­ra, gli oc­chi gran­di, le lab­bra car­no­se e un na­so pic­co­lo e gra­zio­so. Fi­si­ca­men­te era snel­la, le pia­ce­va por­ta­re ve­sti­ti sem­pli­ci e mol­to ca­sual: jeans stret­ti fi­no al gi­noc­chio, una t-shirt az­zur­ri­na che le sco­pri­va a ma­la­pe­na la pan­cia, un giac­chet­to jeans e un pa­io di sti­va­li ne­ri. Sua ma­dre le di­ce­va sem­pre che so­mi­glia­va a suo pa­dre ed ef­fet­ti­va­men­te era ve­ro guar­dan­do la sua fo­to ma c’era­no dei ca­rat­te­ri che non riu­sci­va a tro­va­re, era­no ele­men­ti che non ave­va ere­di­ta­to nem­me­no da sua ma­dre. Mar­ta era sta­ta sem­pre sfug­gen­te quan­do par­la­va di Isaac, suo pa­dre, ave­va af­fer­ma­to che la­vo­ra­va pres­so una gran­de azien­da di tra­spor­ti e mo­rì a cau­sa di un in­ci­den­te, una de­ci­na di gior­ni do­po la sua na­sci­ta. Di fo­to­gra­fie a ca­sa non se ne tro­va­va­no, se non un pa­io: una di pro­fi­lo un po’ sbia­di­ta e l’al­tra fron­ta­le, qua­si un pri­mo pia­no, il cui in­gran­di­men­to era sta­to at­tac­ca­to sul mu­ro del cor­ri­do­io. Gli abi­ti di Isaac sem­bra­va­no stra­va­gan­ti, nel sen­so che ri­cor­da­va­no dei ve­sti­ti prin­ci­pe­schi, per non par­la­re poi di quel me­da­glio­ne con quel­la stra­na stel­la bian­ca: quel­la for­ma a quat­tro pun­te le ri­cor­da­va un neo bian­co che ave­va die­tro al col­lo, era pic­co­lo e qua­si im­per­cet­ti­bi­le.

        Ariel ar­ri­vò fi­nal­men­te al­la fer­ma­ta del bus, do­ve ad aspet­tar­la vi era il suo ami­co Sa­muel, Sa­mi per gli ami­ci, piut­to­sto ner­vo­so vi­sto il con­si­sten­te ri­tar­do. Sen­za nem­me­no ri­vol­ger­le la pa­ro­la Sa­mi spin­se l’ami­ca sull’au­to­bus che, for­tu­na­ta­men­te fa­ce­va ca­po­li­nea pro­prio lì.

        Ma è pos­si­bi­le che tut­te le mat­ti­ne dob­bia­mo di­scu­te­re del­le stes­se co­se? Che hai nel cer­vel­lo Ariel?!

        Ap­pun­to, non ne di­scu­tia­mo, tan­to sai che PUN­TUAL­MEN­TE fac­cio tar­di …

        Ok, da do­ma­ni pren­do l’au­to­bus pri­ma co­sì non do­vrò ave­re più que­ste as­sur­de di­scus­sio­ni con te.

        Suuu, non fa­re co­sì! Mi co­no­sci da quan­do ero pic­co­la, so­no un di­sa­stro per que­ste co­se ma so far­mi per­do­na­re, tie­ni ... Ariel die­de una car­ta ar­gen­ta­ta a Sa­mi. Il ra­gaz­zo la pre­se e vi­de che av­vol­ge­va qual­co­sa di gom­mo­so, la aprì e Ma che schi­fo que­sta è una gom­ma cian­ci­ca­ta e riav­vol­ta nel­la sta­gno­la … ed è an­co­ra umi­daaaaaa La ra­gaz­za scop­piò a ri­de­re.

        I due con­ti­nua­ro­no a di­scu­te­re sui con­sue­ti ri­tar­di di Ariel, lei ten­tò di giu­sti­fi­car­si in mil­le mo­di ma Sa­mi or­mai non le cre­de­va più. Al­la fi­ne lei

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